Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha utilizzato quale spunto di riflessione la vicenda sottopostagli. L’imputato, infatti, era accusato di aver cagionato alla vittima, nel corso dell’esecuzione di un intervento di lifting del sopracciglio una diminuzione della sensibilità della zona interessata ancora permanente a distanza di cinque anni dall’intervento
Proprio in questa occasione, dunque, ancora una volta gli ermellini hanno tenuto a precisare e a delineare la portata innovativa dell’art. 590 sexies c.p., introdotto con la L. 8 marzo 2017 n. 24, in tema di lesioni e morte cagionata nell’esercizio della professione sanitaria.
Tale articolo, infatti, in maniera del tutto innovativa rispetto alla normativa prevista dal cd. Decreto Balduzzi, non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa (lieve o grave) ma tende a ridurre gli spazi di possibile responsabilità penale del sanitario che si è attenuto nell’esecuzione, e non già nella scelta, delle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali.
Si è teso ad introdurre, quindi, una forma di esclusione di responsabilità per la sola imperizia, con una disparità rispetto, dunque, alle situazioni in cui vi sia stata negligenza o imprudenza da parte del sanitario, scelta che non ha convinto gli ermellini che paventano una possibile questione di legittimità sul punto.
La Suprema Corte, poi, circa l’applicabilità della nuova normativa ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della stessa, indubbiamente di portata favorevole rispetto alla precedente, ha ritenuto possibile tale attuazione ai sensi dell’art. 2 c. 4 c.p. e 129 c.p.p. anche dinanzi alla Corte di Cassazione poiché rilevabili e deducibili d’uffizio ex art. 609 c. 2 c.p.p.
Cassazione IV sez. Pen. n. 50078/2017 ud. 19 ottobre 2017 dep. il 31 ottobre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FAUSTO IZZO Presidente
Dott. PATRIZIA PICCIALLI Rel. Consigliere
Dott. UGO BELLINI Consigliere
Dott. ANTONIO LEONARDO TANGA Consigliere
Dott. GIUSEPPE PAVICH Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
–
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS)
avverso la sentenza n. 1243/2016 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 23/06/2016
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/10/2017 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gabriele Marrotta che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Udito per la parte civile l’Avv. (OMISSIS)
Udito il difensore Avv. (OMISSIS)
RITENUTO IN FATTO
- Il Tribunale di Bologna ha affermato la responsabilità dell’imputato in epigrafe in ordine al reato di lesioni colpose gravi in danno di (omissis) e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile da liquidarsi dinanzi al giudice civile, riconoscendo una provvisionale di euro 10.000,00. La pronunzia è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna.
All’imputato è stato mosso l’addebito di aver cagionato alla vittima, nel corso dell’esecuzione di un intervento di ptosi (lifting) del sopracciglio una ipoestesia tattile in ristretta zona frontale destra, consistente in una diminuzione della sensibilità della zona interessata ancora permanente a distanza di cinque anni dall’intervento. La colpa è stata individuata nella imperizia nella concreta esecuzione dell’intervento e non nella scelta dello stesso, imperizia che aveva determinato la lesione del nervo sovra orbitario nel corso della esecuzione.
L’incertezza sull’azione che aveva determinato tale lesione (la somministrazione dell’anestesia o la successiva fase di taglio o di sutura) veniva considerata irrilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità in quanto entrambe le azioni erano state poste in essere personalmente dall’imputato. La Corte territoriale escludeva l’applicabilità della legge Balduzzi sul rilievo che l’intervento non era di particolare complessità e della gravità della colpa, concretizzatasi in una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato.
- Ricorre per cassazione l’imputato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo, dopo aver ripercorso la vicenda, lamenta la violazione dell’art. 43 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della violazione della regola cautelare da parte dell’imputato, fondata sulla consulenza tecnica della parte civile, contrastata da quelle svolte nell’interesse dell’imputato. Si lamenta che in mancanza di una consulenza svolta dal PM o dalla Corte di appello non era dato comprendere quale fosse quell’agire appropriato da cui il medico avrebbe deviato, con la conseguenza che dalla verificazione dell’evento si era fatta discendere automaticamente la responsabilità del sanitario senza identificare adeguatamente la condotta colposa e senza prendere in considerazione le valutazioni dei consulenti della difesa.
2.2. Con il secondo motivo si duole della manifesta illogicità della motivazione con riferimento al diniego dell’applicazione del cd. decreto Balduzzi, di cui si invoca l’applicabilità vertendosi in tema di imperizia, non essendo esclusa nelle operazioni di routine. Si deduce con lo stesso motivo il travisamento delle dichiarazioni dei consulenti della difesa per inferire il grado della colpa del sanitario.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 590 e 583 cod. pen. sul rilievo che la Corte di appello aveva affermato la sussistenza della ipoestesia tattile, fondandola, oltre che sulla CT di parte civile, sulle tre successive visite neurologiche, prendendo a riferimento per determinare la durata della malattia (oltre gg. 40) la data dell’intervento (13.5.2009) mentre lo stato di malattia penalmente rilevante nel caso di intervento chirurgico non poteva che partire dal momento in cui i normali postumi dell’intervento abbiano trovato completa remissione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- La non manifesta infondatezza dei motivi proposti, nei termini che verranno delineati, impone al Collegio di tenere conto del corso della prescrizione intervenuta successivamente alla sentenza di appello.
L’intervento chirurgico nel corso del quale si verificarono le conseguenze già descritte è stato infatti compiuto il 13 maggio 2009 e quindi l’ordinario termine di prescrizione, non emergendo dagli atti periodi di sospensione del decorso della stessa, è intervenuto alla data del 13 novembre 2016.
Ciò non esclude che debba esaminarsi funditus il ricorso, anche laddove evoca un difetto di motivazione della sentenza gravata, essendovi le statuizioni civili su cui occorre provvedere, onde l’auspicato [dal ricorrente] proscioglimento nel merito dovrebbe essere adottato ex articolo 129, comma 2, cod.proc.pen., per il principio del favor rei, anche allorquando si vedesse in ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova della responsabilità (cfr. Sez. Un.35490 del 28/05/2009,Tettamanti).
Alla luce dei principi appena richiamati, deve riconoscersi che non solo dalla sentenza non risulta affatto evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che non costituisce reato, ecc. ma non risulta neanche la contraddittorietà o insufficienza della prova.
Il ricorso è infondato, a fronte di due decisioni che, lette coerentemente, forniscono una ricostruzione della vicenda lineare, con corretta applicazione dei principi.
- In premessa, vale osservare che si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione [di responsabilità], il che limita all’evidenza i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che [ma non è questo il caso, già alla luce dei motivi di ricorso] il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano.
Ciò che qui, come detto, deve escludersi, essendosi evocata essenzialmente una tipica censura di merito, sull’apprezzamento del compendio probatorio [gli esiti degli apporti tecnici], articolata sulla base del preteso mancato svolgimento di ulteriori approfondimenti tecnici [in ispecie e principalmente una perizia officiosa].
E’ noto in proposito che la Corte di cassazione non è giudice del sapere scientifico, giacchè non detiene proprie conoscenze privilegiate: essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. In questa prospettiva, il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorchè gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purchè dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l’omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della relazione tecnica disattesa, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento. Laddove il giudice abbia rispettato tali principi, il giudizio di fatto formulato è incensurabile in sede di legittimità (v. Sez.4, n.18080 del 18/03/2015, p.c. Eccher in proc. Barretta).
Nella specie, convergentemente [ed incensurabilrnente] i giudici del merito, proprio col conforto dei contributi tecnici disponibili e necessari, hanno valorizzato il tema della colpa in capo all’imputato, apprezzando in positivo il comportamento tenuto del sanitario, considerandone l’inappropriatezza rispetto al risultato che poteva e doveva essere perseguito, valutandone la rilevanza sull’esito negativo derivatone per la persona offesa.
E’ tematica qui non più rinnovabile, anche perché non è compito ineludibile del giudice, che sia in grado di motivatamente decidere, sulla base dei contributi tecnici disponibili, procedere sempre e comunque a perizia di ufficio, perché, pacificamente, la perizia è mezzo di prova neutro ed è sottratta al potere dispositivo delle parti, che possono attuare il diritto alla prova anche attraverso proprie consulenze. La sua assunzione è pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva, con la conseguenza che il relativo diniego non è sanzionabile ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera d), c.p.p. e, in quanto giudizio di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità, anche ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. [Sez. 6, n.48379 del 25/11/2008, Brettoni]
- Ciò premesso, il giudicante [sia in primo che in secondo grado] ha escluso l’applicabilità della c.d. legge Balduzzi, avendo apprezzata, in modo assorbente, la sussistenza dei profili della colpa grave, che come è noto, è configurabile nel caso di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato” [cfr., efficacemente, Sez. 4, n.22281 del 15/04/2014, Cavallaro, Rv. 262273], ossia dell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria [cfr. in termini, Sez.
4, n. 9923 del 19/01/2015, p.c. Donatelli in proc. Marasco].
La decisione si pone in linea con la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.
- Anche l’ultimo motivo di doglianza non merita accoglimento, per l’empirico rilievo che nel reato di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica l’apprezzamento della “durata” della malattia inizia a decorrere dal momento di insorgenza della malattia in fieri, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente.
- Ciò detto, il tema trattato impone di prendere in considerazione- anche se non è stato oggetto di motivo di ricorso- la nuova disciplina introdotta dall’articolo 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, che ha innovato la materia della responsabilità penale del medico.
Da quanto sopra esposto in punto di responsabilità emerge, infatti, con chiarezza che il profilo di colpa è stato individuato nella imperizia nella concreta esecuzione dell’intervento e non nella scelta dello stesso, imperizia che aveva determinato la lesione del nervo sovra orbitario nel corso della sua esecuzione.
L’art. 590 sexíes cod. pen., introdotto dall’ articolo 6 della legge citata, dedicato alla responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario stabilisce che : ” 1. Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.”
- All’articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, il comma 1 è abrogato”.
Si pone, pertanto, in questo caso, in cui si verte in tema di imperizia, il problema dell’applicabilità del novum normativo, se ritenuto più favorevole. L’eventuale non punibilità del fatto, avendo natura sostanziale, è applicabile, invero, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge 24/2017, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e la relativa questione, in applicazione degli artt. 2, comma quarto, cod. pen. e 129 cod. proc. pen., è deducibile e rilevabile d’ufficio ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen. anche nel caso di ricorso inammissibile.
Occorre allora cercare di comprendere quale sia la portata della riforma e quali ne siano gli effetti nella fattispecie in esame.
- Sono noti i dubbi interpretativi suscitati dalla nuova norma. Ciò che è chiaro, in quanto espressamente previsto all’art. 590-sexíes, comma 2, è che è stata abrogata la disciplina penale relativa alla depenalizzazione della colpa lieve della legge Balduzzi, essendo stato abrogato l’intero comma 1 dell’art. 3. Non si pone più pertanto un problema di grado della colpa, salvo casi concreti in cui la legge Balduzzi possa configurarsi come disposizione più favorevole per i reati consumatisi sotto la sua vigenza coinvolgenti profili di negligenza ed imprudenza qualificati da colpa lieve (per ultrattività del regime Balduzzi più favorevole sul punto).
Altrettanto chiaro è che il legislatore ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla imperizia, cioè al profilo di colpa che si fonda sulla violazione delle leges artis, che ha ritenuto non punibili neanche nell’ipotesi di colpa grave.
In questo senso può ritenersi ulteriore elemento di certezza il superamento in senso restrittivo del dibattito apertosi in sede di legittimità sull’applicabilità della legge 189/2012 non solo nelle ipotesi di imperizia ma anche nei casi di negligenza ed imprudenza ( quando le linee guida contengano regole prescrittive di particolare attenzione e cura nello svolgimento di attività considerate pericolose, investendo più la sfera dell’accuratezza, che quella dell’adeguatezza professionale della prestazione; v.,in termini, Sez. 4, n. 23283 del 11,05,2016, De Negri, Rv. 266903; n. 45527 del 01/07/2015, Cerracchio, Rv. 264897; n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260739).
Sono note altresì le critiche sollevate già all’indomani della riforma, che attengono alla rilevanza delle linee guida, così come delineate dal legislatore, ed alla difficoltà di delimitare in concreto la nozione di imperizia da quelle confinanti e, talora, in parte sovrapponibili di negligenza ed imprudenza.
- Occorre, inoltre, tener conto della obiezione di fondo secondo la quale in presenza di “colpa grave”, sarebbe oltremodo difficile ipotizzare come sussistenti le condizioni concorrenti previste per l’impunità del sanitario, nel senso che sembrerebbe difficile conciliare il grave discostamento del sanitario dal proprium professionale con il rispetto delle buone pratiche clinico assistenziali, e, soprattutto, decisivamente, che possa conciliarsi la colpa grave con un giudizio positivo di adeguatezza delle linee guida al caso concreto.
E’ obiezione degna di considerazione, ma alla quale si può opporre il concorrente rilievo della lettera e della finalità della legge: sotto il primo profilo, il legislatore, innovando rispetto alla legge Balduzzi, non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa, così che, nella prospettiva del novum normativo, alla colpa grave non potrebbe più attribuirsi un differente rilievo rispetto alla colpa lieve, essendo entrambe ricomprese nell’ambito di operatività della causa di non punibilità; sotto l’altro concorrente profilo, giova ribadire che con il novum normativo si è esplicitamente inteso favorire la posizione del medico, riducendo gli spazi per la sua possibile responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile.
La nuova legge, in sostanza, cerca di proseguire in un percorso di attenuazione del giudizio sulla colpa medica, introducendo così una causa di esclusione della punibilità per la sola imperizia la cui operatività è subordinata alla condizione che dall’esercente la professione sanitaria siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali e che dette raccomandazioni risultino adeguate alla specificità del caso concreto.
Tale risultato è stato perseguito dal legislatore [in tal senso la lettera della norma non ammette equivoci] costruendo una causa di non punibilità, come tale collocata al di fuori dell’area di operatività del principio di colpevolezza: la rinuncia alla pena nei confronti del medico si giustifica nell’ottica di una scelta del legislatore di non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd. medicina difensiva.
In questa prospettiva l’unica ipotesi di permanente rilevanza penale della imperizia sanitaria può essere individuata nell’assecondamento di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso concreto; mentre non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che seguendo linee guida adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una “imperita” applicazione di queste [con l’ovvia precisazione che tale imperizia non deve essersi verificata nel momento della scelta della linea guida – giacchè non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie, bensì nella fase “esecutiva” dell’applicazione].
E’ una scelta del legislatore – che si presume consapevole- di prevedere in relazione alla colpa per imperizia nell’esercizio della professione sanitaria un trattamento diverso e più favorevole rispetto alla colpa per negligenza o per imprudenza. Non è questa la sede allora di occuparsi funditus di tale scelta, nell’ottica del rispetto dell’articolo 3 della Costituzione [potrebbe in vero dubitarsi della coerenza di una scelta di non punibilità dell’imperizia grave e invece della persistente punibilità di una negligenza “lieve”], per difetto di rilevanza nel caso di specie. Ciò che qui basta ai fini della presente vicenda processuale è la ricostruzione del testo e della finalità della nuova legge e la conseguente applicabilità del novum giacchè si discute di colpa per imperizia.
Alla luce delle considerazioni svolte deve affermarsi il seguente principio di diritto: «Il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. articolo introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse».
- Nel caso in esame, le sentenze di merito, pur condivisibilmente riscontrando la grave imperizia dell’imputato, non hanno svolto alcuna considerazione in ordine al rispetto o meno da parte del sanitario delle linee guida o delle buone pratiche. Pertanto per accertare la ricorrenza di tali circostanze e, quindi, la presenza dell’applicabilità della causa di non punibilità, sarebbe necessario un annullamento con rinvio, inibito dalla maturata prescrizione e dalla impossibilità di prosciogliere l’imputato con formula più favorevole.
Pertanto in ossequio ai principi della sentenza Tettamanti, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza, agli effetti penali, per l’intervenuta prescrizione del reato.
- Ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. il ricorso va rigettato agli effetti civili, tenuto conto delle considerazioni sopra svolte in ordine alla coerenza e logicità della motivazione della sentenza impugnata, laddove ha riconosciuto la condotta gravemente imperita dell’imputato e la sua efficienza causale nel determinare l’effetto lesivo.
Il giudice civile investito della determinazione del quantum del risarcimento provvederà a modularlo secondo le indicazioni di cui all’art. 7 della legge 24 del 2017.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 19/10/2017