Diritto civile. Il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio integra un illecito endofamiliare.
L’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza.
Il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di una figlia integra da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, e determina, dall’altro, un’ immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela.
Tale condotta integra gli estremi dell’illecito civile e dà luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.
Questi i principi affermati recentemente dalla Corte di Cassazione civile, sezione sesta, con la sentenza n. 3079 del 16 febbraio 2015.
Nel caso di specie, una figlia naturale citava in giudizio il padre biologico, accusato di non aver provveduto al suo mantenimento – dunque di aver omesso i doveri genitoriali propri quali l’assistenza e l’istruzione – ottenendo accoglimento della propria domanda, successivamente riformata parzialmente in appello.
I giudici del Palazzaccio hanno affermato che l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sorge dalla nascita e discende dal mero fatto della generazione e decorre dal momento della nascita. E’ infatti orientamento costante che la sentenza dichiarativa della filiazione produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c..
Tale preciso obbligo direttamente desumibile dal sistema di protezione della filiazione stabilito nell’art. 30 Cost., commi 1 e 2, non viene meno quando il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, essendo sorto sin dalla nascita nei confronti di entrambi i genitori.
La statuizione giudiziale relativa alla dichiarazione di paternità o maternità è, conseguentemente, del tutto ininfluente rispetto alla natura e alla nascita dell’obbligo sopradescritto, nè assume alcun rilievo, neanche ai fini della decorrenza temporale del diritto, la formulazione della domanda rivolta al riconoscimento dello status.
Si determina, pertanto, un automatismo tra procreazione e responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 cod. civ., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore.
Precedentemente, la Corte, con la sentenza n. 5652 del 2012, relativa ad una fattispecie del tutto analoga, ha, specificamente affermato che «La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ.esercitatile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità».
In conclusione, non può dubitarsi, con riferimento al caso di specie, come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela.
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