Il riciclaggio si configura anche se il denaro è stato depositato in banca
L’art. 648-bis c.p., sotto la rubrica “Riciclaggio”, punisce con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493 chiunque -fuori dei casi di concorso nel reato- sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale, mentre è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l’ultimo comma dell’art. 648 c.p., il che significa che il reato è configurabile anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Il reato di riciclaggio si configura con ogni attività diretta a far perdere al denaro oppure a beni o altre utilità economiche di provenienza delittuosa la riconoscibilità della loro origine illecita e/o ad immetterli nel ciclo economico-finanziario, investendoli in iniziative economiche lecite con il pericolo di alterare i meccanismi di mercato.
La legge penale italiana reprime soltanto il riciclaggio doloso. Presupposto del riciclaggio può essere qualsiasi reato in conseguenza del quale si formino proventi che possano costituirne oggetto: il catalogo è stato aperto a tutti i delitti non colposi. Il riciclaggio non è reato di evento, bensì di mera condotta, più precisamente di condotta pericolosa; e la pericolosità è rivelata dalla sua idoneità ad ostacolare in concreto l’identificazione della provenienza delittuosa dell’oggetto del reato.
Con riferimento al caso esaminato, in genere, costituisce condotta idonea alla integrazione della fattispecie criminosa la mostrata disponibilità del soggetto a ricevere sul proprio conto somme oggetto di appropriazione indebita (Cass. Pen., Sez. VI, n. 26746 del 6 aprile 2011); commette il delitto colui che accetta di essere indicato come beneficiario economico di conti correnti accesi all’estero, formalmente intestati a società aventi sede in paradisi fiscali, ma in realtà appartenenti a terzi, e sui quali confluiscono i proventi di attività delittuosa (Cass. Pen., Sez. VI, n. 24548 del 22 maggio 2013) ed integra il delitto anche il trasferimento di fondi tra conti correnti accesi presso lo stesso istituto di credito.
Tanto premesso, nel caso in esame l’imputato sosteneva che i giudici del merito avrebbero omesso del tutto di motivare in ordine alle ragioni per cui le condotte contestate avrebbero ostacolato la tracciabilità della provenienza del denaro, limitandosi ad affermare l’idoneità della condotta dissimulatoria in maniera del tutto assertiva. Al contrario, asseriva che le descritte operazioni per le quali egli era stato condannato sono tali da consentire la piena tracciabilità del denaro senza alcuna possibilità di errore o di difficoltà nella ricostruzione.
La Cassazione ha respinto il ricorso, in particolare puntualizzando -riguardo alla dedotta non ipotizzabilità, nel caso di specie, del reato di cui all’art. 648 bis c.p., in presenza di una completa tracciabilità dei flussi finanziari-, come il riciclaggio si considera integrato anche nel caso in cui venga depositato in banca denaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito il denaro viene automaticamente sostituito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tandundem (Cass. Pen., Sez. II, n. 47375 del 6 novembre 2009). Infatti, in tale fattispecie delittuosa non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata. Proprio in base a tali principi, si è affermata la sussistenza del reato di riciclaggio anche nella condotta di mero trasferimento del denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro conto corrente di un diverso istituto bancario. Tornando al caso in esame, l’operazione di svuotamento delle casse delle società e il successivo deflusso del denaro nei conti correnti di soggetti del tutto estranei alla compagine societaria ha costituito indubbiamente un ostacolo alla tracciabilità, intesa nel senso sopra indicato, del denaro. Nel caso di specie, infatti, concludono gli Ermellini, non v’è dubbio che l’operazione di svuotamento delle casse ed il trasferimento di tale denaro, tanto attraverso assegni circolari, quanto attraverso bonifici ad un terzo, che ha sua volta lo ha reimpiegato per rifinanziare un’altra società costituiscono operazioni idonee ad ostacolare la provenienza delittuosa del denaro.
Cass. Pen., Sez. II, 22 ottobre 2014, n. 43881.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente –
Dott. FIANDANESE Franco – Consigliere –
Dott. GALLO Domenico – rel. Consigliere –
Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovann – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.L., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza 10/1/2014 della Corte d’appello di Milano, sezione 4^ penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gallo Domenico;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
Uditi per le parti civili, l’avv. Markus Werner Wiget, per la parte civile Fallimento italiana alimentari divisione elettronica s.r.l. e in qualità di sostituto processuale dell’avv. Fabio Belloni, per la parte civile Fallimento Europa Supermercati S.a.s. Di Zaccaria Cristian & C, nonchè l’avv. Rosario Minniti, per la parte civile Fallimento MQM Service s.r.l.;
uditi per l’imputato, l’avv. Chiariello Giancarlo e l’avv. Enzo Musco che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 10/1/2014, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Milano, in data 5/12/2012, che aveva condannato M.L. alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa per il reato di riciclaggio, oltre al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili.
2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto ed equa la pena inflitta;
3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato con due atti separati, l’uno a firma dell’avv. Giancarlo Chiariello, l’altro a firma dell’avv. Enzo Musco e dell’avv. Giancarlo Chiariello.
4. L’avv. Chiariello solleva tre motivi di gravame con i quali deduce:
4.1 Violazione di legge, di norme processuali stabilite a pena di nullità e vizio della motivazione. Al riguardo si duole di violazione del diritto al contraddittorio perchè, essendo stato contestato il riciclaggio di ingenti somme provenienti dal delitto di bancarotta fraudolenta, il Gup aveva rimodulato il reato sorgente, individuandolo in una asserita condotta di appropriazione indebita consumata da R.P. e L.M. ai danni delle società da essi di fatto gestite, incidendo, così, in modo irreversibile nella dimensione concreta del diritto di difesa. In particolare eccepisce che l’arbitraria immutazione in ordine alla fenomenologia del reato presupposto abbia del tutto deprivato il ricorrente di qualsiasi possibilità difensiva, depotenziando le “chances” dell’imputato di dimostrare la propria assoluta inconsapevolezza in ordine alle asserite condotte di infedeltà patrimoniale. Si duole, pertanto, di violazione dei principi del giusto processo e cita la sentenza Drassich della Corte EDU. 4.2 Violazione di legge, di norme processuali stabilite a pena di nullità e vizio della motivazione con riferimento agli artt. 648 bis e 648 cod. pen., L. Fall., artt. 216 e ss. e artt. 2383, 2384, 2388, 2392 cod. civ.. In proposito si duole che il giudice d’appello non abbia fornito una risposta alle puntuali e specifiche censure articolate nei motivi d’impugnazione. Eccepisce che l’atteggiamento psicologico del ricorrente al momento della ricezione delle somme non era inquinato o contaminato dalla consapevolezza di una possibile derivazione illecita da cespiti di società in stato prefallimentare.
Contesta, pertanto, le argomentazioni del giudice d’appello in ordine alla sussistenza del dolo in testa all’agente. Contesta, inoltre, la sussistenza dell’elemento oggettivo, eccependo che le movimentazioni di denaro incriminate si sono realizzate con modalità tracciabili, inidonee a dissimulare la provenienza dei cespiti ed ostacolarne, anche solo astrattamente, l’accertamento della fonte originaria.
4.3 Violazione di legge, di norme processuali stabilite a pena di nullità e vizio della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio. Al riguardo si duole che i giudici del merito non abbiano applicato la diminuente obbligatoria di cui all’art. 648 bis c.p., comma 3 ed eccepisce l’omessa motivazione in ordine al diniego delle generiche e di esclusione della recidiva.
5. Con il secondo atto di ricorso a firma congiunta dei due difensori, il ricorrente solleva cinque motivi di gravame con i quali deduce:
5.1 Inosservanza dell’art. 24 Cost., comma 2, art. 441, comma 1 in relazione all’art. 423 cod. proc. pen., art. 512 cod. proc. pen.;
nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 522 cod. proc. pen. per difetto di contestazione.
In proposito censura quale error in procedendo la scelta dei giudici di merito di individuare un reato presupposto (l’appropriazione indebita) diverso da quello (bancarotta fraudolenta per distrazione) indicato nell’imputazione ed eccepisce che l’immutazione del delitto presupposto avrebbe determinato la nullità della sentenza per difetto di correlazione con l’accusa. Eccepisce che il delitto presupposto costituisce elemento costitutivo del delitto di riciclaggio, per cui il mutamento di tale elemento comporta l’immutazione del fatto ex art. 521 cod. proc. pen.. In particolare eccepisce che l’immutazione del delitto presupposto abbia inciso profondamente sul diritto di difesa in quanto la scelta del rito abbreviato non condizionato si basava sulla convenienza di impedire la modifica di una imputazione certamente destinata a franare.
Osserva che il diritto potestativo dell’imputato di richiedere il giudizio abbreviato si sostanzia anche nel diritto a che l’imputazione non venga modificata; infatti nell’unico caso in cui è consentita la modifica dell’imputazione, all’imputato è riconosciuto il diritto di rinunciare al già disposto giudizio abbreviato.
5.2 Erronea applicazione dell’art. 648 bis cod. pen. e vizio della motivazione sul punto. In proposito eccepisce che i giudici del merito omettono del tutto di motivare in ordine alle ragioni per cui le condotte contestate avrebbero ostacolato la tracciabilità della provenienza del denaro, limitandosi ad affermare l’idoneità della condotta dissimulatoria in maniera del tutto assertiva. Al contrario, asserisce che le descritte operazioni per le quali il M. è stato condannato sono tali da consentire la piena tracciabilità del denaro senza alcuna possibilità di errore o di difficoltà nella ricostruzione.
5.3 Erronea applicazione dell’art. 648 bis cod. pen. per difetto di dolo, mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto.
Al riguardo contesta, sia la consapevolezza della provenienza delittuosa del denaro in testa all’agente, criticando come illogiche le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, sia la volontà di ostacolare l’individuazione della provenienza illecita del denaro, dolendosi di assenza di motivazione sul punto.
5.4 Erronea applicazione dell’art. 648 bis cod. pen. in relazione al reato presupposto e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che, qualora si consideri reato presupposto l’appropriazione indebita, la condotta del M. non sarebbe punibile in quanto costui sarebbe concorrente nel reato commesso dall’intraneus.
5.5 Erronea applicazione della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies e dell’art. 316 cod. proc. pen.. Al riguardo si duole che i giudici dell’appello abbiano omesso di motivare in ordine all’esistenza di una sproporzione rispetto al valore dei singoli beni volta per volta acquistati e non rispetto al patrimonio inteso come complesso unitario. Si duole, inoltre, che sia stata disposta la confisca anche dei conti correnti e dei rapporti di deposito il cui sequestro era stato disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 1, e non ai sensi del comma 2.
5.6 Erronea applicazione dell’art. 99 c.p., comma 2, n. 1 in relazione all’art. 101 cod. pen.. Al riguardo si duole di difetto di motivazione in ordine al riconoscimento del requisito della medesima indole fra i fatti oggetto del presente giudizio e quelli già giudicati.
6. La parte civile Fallimento Italiana Alimentari Divisione Elettronica s.r.l. ha depositato memoria resistendo al ricorso di cui chiede l’inammissibilità o il rigetto.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato soltanto in punto di riduzione della pena ex comma 3 art. 648 bis per i motivi di seguito indicati.
2. Preliminarmente va rilevato che il fatto che la Corte d’appello abbia individuato come reato presupposto del riciclaggio l’appropriazione indebita anzichè la bancarotta, non comporta violazione del diritto al contraddittorio perchè se il reato presupposto è un elemento che concorre a determinare la fattispecie tipica, nel caso di specie non vi è stata immutazione del fatto, in quanto la contestazione, sia pur qualificando erroneamente il reato presupposto come bancarotta fraudolenta, fa esplicito riferimento a denaro ricevuto dal M. come illecitamente sottratto dalle casse del gruppo MGM. Del resto la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di rilevare che la bancarotta fraudolenta per distrazione in ambito societario (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, comma 1 e art. 223, comma 1) è figura di reato complessa, che comprende tra i propri elementi costitutivi una condotta di appropriazione indebita del bene distratto, per se stessa punibile ai sensi dell’art. 646 cod. pen. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 37567 del 04/04/2003 Ud. (dep. 03/10/2003) Rv. 228297). Sull’elemento di fatto della ricezione di denaro proveniente dall’illecito svuotamento della casse della MQM, occorre rilevare che il M. – come ha osservato la Corte territoriale – è stato messo in condizione di difendersi, sin dall’interrogatorio, ex art. 294 cod. proc. pen. ed ha fornito la propria versione in ordine alla ricezione della somma di Euro 3.600.000 da parte di R.P.. Pertanto, non essendoci stata alcuna immutazione del fatto, avendo la Corte mutato soltanto la qualificazione giuridica del reato presupposto, non sussiste il dedotto vizio di difetto di correlazione fra l’accusa e la sentenza.
In punto di diritto, questa Corte, proprio con l’ultima sentenza Drassich, ha rilevato che qualora il fatto venga diversamente qualificato dal giudice di appello senza che l’imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione mediante il ricorso per cassazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 37413 del 15/05/2013 Cc. (dep. 12/09/2013) Rv. 256652).
Ovviamente, a maggior ragione, la garanzia del contraddittorio è assicurata quando il mutamento della qualificazione giuridica avvenga con la sentenza di primo grado. Ha osservato, al riguardo questa Corte che l’osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere, sancito dall’art. 111 Cost., comma 3, e dall’art. 6 CEDI), comma 1 e 3, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2341 del 07/11/2012 Ud. (dep. 17/01/2013) Rv. 254135). Orbene sul mutamento della qualificazione giuridica si è sviluppato pienamente il contraddittorio, in quanto l’imputato ha potuto interloquire in ordine alla riqualificazione del reato presupposto, sia attraverso l’appello, sia attraverso il ricorso in Cassazione. Di conseguenza non possono essere accolte le censure articolate sul punto dal ricorrente.
3. Sono infondate le censure relative alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di riciclaggio che argomentano sulla eccepita tracciabilità dei flussi finanziari ricevuti dal M. e da lui reimpiegati per aumentare il capitale sociale della Leomat S.p.a.
In punto di diritto questa Corte ha statuito che integra di per sè un autonomo atto di riciclaggio, poichè il delitto di riciclaggio è a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud. (dep. 11/01/2011) Rv. 249446). In motivazione la sentenza citata ha precisato che: “riguardo alla dedotta non ipotizzabilità, nel caso di specie, del reato di cui all’art. 648 bis c.p., in presenza di una completa tracciabilità dei flussi finanziari, si rileva come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riciclaggio si considera integrato anche nel caso in cui venga depositato in banca denaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito il denaro viene automaticamente sostituito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tandundem (Sez. 2, 6 novembre 2009, n. 47375, Di Silvio; Sez. 6, 15 ottobre 2008, n. 495, Arghi Carrubba; Sez. 2, 15 aprile 1986, n. 13155, Ghezzi). Infatti, in tale fattispecie delittuosa non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata. Proprio in base a tali principi, si è affermata la sussistenza del reato di riciclaggio anche nella condotta di mero trasferimento del denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro conto corrente di un diverso istituto bancario (Sez. 2, 6 novembre 2009, n. 47375, Di Silvio).
Tornando al caso in esame, l’operazione di svuotamento delle casse delle società e il successivo deflusso del denaro nei conti correnti di soggetti del tutto estranei alla compagine societaria ha costituito indubbiamente un ostacolo alla tracciabilità, intesa nel senso sopra indicato, del denaro”.
3. Nel caso di specie, non v’è dubbio che l’operazione di svuotamento della casse del gruppo MQM da parte del R. ed il trasferimento di tale denaro, tanto attraverso assegni circolari, quanto attraverso bonifici al M., che ha sua volta lo ha reimpiegato per rifinanziare un’altra società (la Leomat spa) costituiscono operazioni idonee ad ostacolare la provenienza delittuosa del denaro.
4. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la motivazione dei giudici del merito rende pienamente ragione delle conclusioni raggiunte in punto di dolo. I giudici hanno osservato che date le modalità dell’azione, l’importo elevato della somma ed i rapporti di pregressa conoscenza fra il M. ed il R., il prevenuto non poteva ignorare che i fondi provenivano dalle società facenti capo al R.. Anche le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, ex art. 294 cod. proc. pen. – come ha osservato la Corte – confermano che M. era a conoscenza della provenienza dei fondi dalle società del R., in quanto costui ha dichiarato “che la somma confluita nella Leomat era un prestito che avrebbe in parte restituito versando il denaro in restituzione alle società facenti capo al R.”. Quel che è certo è che il M. ha ricevuto, con più trasferimenti, dal R. la somma di Euro 3.600.000,00 senza che vi sia documentazione di alcun titolo giuridico che giustifichi sotto il profilo legale questo ingente passaggio di denaro. Non v’è dubbio che si tratta di comportamenti sintomatici della consapevolezza in testa all’agente della provenienza illecita del denaro e del conseguente dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l’identificazione (cfr Cass. Sez. 2, Sentenza n. 50950 del 13/11/2013 Ud. (dep. 17/12/2013) Rv. 257982). Del resto, secondo i più recenti arresti di questa Corte nel delitto di riciclaggio, come nel delitto di ricettazione, l’elemento soggettivo può essere integrato anche dal dolo eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8330 del 26/11/2013 Ud. (dep. 21/02/2014) Rv. 259010).
5. Una volta accertato che il reato presupposto consiste nell’appropriazione indebita, deve escludersi che il M. possa essere considerato concorrente nel reato di appropriazione indebita commesso dal R. ai danni delle società del gruppo MQM. La tesi sollevata con il quarto motivo del ricorso a firma congiunta dei due difensori, che oppongono che il M. non sarebbe punibile perchè concorrente con il reato commesso dall’intraneus, comporta una rilettura delle prove e degli elementi fattuali esaminati dai giudici del merito. Pertanto postula un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni legittimamente assunte dai giudici del merito, come tale, il motivo è inammissibile.
6. Sono inammissibili anche il quinto e sesto motivo del ricorso a firma congiunta dei difensori. Quanto alle censure concernenti l’erronea applicazione della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies e dell’art. 316 cod. proc. pen., il motivo non è ammissibile per difetto del requisito della specificità in quanto il ricorrente fa riferimento ai singoli beni che dovrebbero essere oggetto del giudizio di sproporzione ed ai suoi redditi, senza, tuttavia, identificarli, descriverli o quantificarli. Per quanto riguarda l’ulteriore censura in punto di decreto di sequestro, il motivo non è ammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza del ricorso.
7. Infine per quanto riguarda il sesto motivo le censure non sono ammissibili perchè manifestamente infondate poichè è del tutto evidente che i reati contestati al M. sono della medesima indole di quelli per cui è stato condannato, che gravitano nella medesima tipologia criminosa della criminalità d’impresa.
8. E’ fondato, invece, il terzo motivo dell’atto a firma dell’avv. Chiariello in punto di trattamento sanzionatorio. La Corte d’appello, una volta riconosciuto che il reato presupposto è l’appropriazione indebita, avrebbe dovuto applicare la riduzione di pena, ex art. 648 bis c.p., comma 3 che dispone: “la pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”. La Corte territoriale, invece, ha confermato la pena inflitta dal Gup, che non ha applicato la diminuente di cui all’art. 648 bis c.p., comma 3. Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio sul punto. Nel resto il ricorso va rigettato.
9. Il parziale accoglimento del ricorso esclude la condanna al pagamento delle spese processuali, tuttavia il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, le quali risultano vittoriose nel grado.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore delle parti civili Fallimento Italiana Alimentari Divisione Elettronica S.r.l., Fallimento Europa Supermercati S.a.s., Fallimento MQM Service S.r.l., liquidate per la prima in Euro 4.000,00, per la seconda in Euro 1.800,00, per la terza in Euro 3.000,00 oltre IVA CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2014