La Cassazione apre al cd. danno comunitario per l’ipotesi di abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato nel settore dell’impiego pubblico, precisando che è onere del lavoratore provare l’abuso anche tramite presunzioni, mentre il danno è in re ipsa.
In particolare, la S.C. (Cass. 30 dicembre 2014 n. 27481 Rel. Tria), afferma che nel pubblico impiego, la circostanza che vengano reiterati contratti di lavoro a termine violando le imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori non comporta che si costituisca il rapporto a tempo indeterminato (neppure a seguito di conversione), e l’ìunica conseguenza è il diritto del lavoratore al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 36, comma 5 del d.lgs. n. 165 del 2001. Tale ultima norma va interpretata, con riguardo a ipotesi differenti da quelle del precariato scolastico, in chiave di “danno comunitario”, cioè una sanzione legale e in re ipsa a carico del datore di lavoro; per la liquidazione di tale danno puà essere impiegato il criterio indicato dall’art. 8 della legge n. 604 del 1966, cioè l’indennità alternativa alla conversione nel settore privato, e non il sistema indennitario onnicomprensivo previsto dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010 (indennità aggiuntiva alla conversione del contratto a tempo determinato), né il criterio previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (esclude la risarcibilità del danno in re ipsa Cass. 13 gennaio 2012 n. 392).