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Diritto Amministrativo. L’Adunanza Plenaria boccia l’obbligo del test d’ingresso in Medicina per chi è iscritto in una facoltà UE

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Non dovrà sostenere il test d’ingresso per l’ammissione al primo anno di medicina chi proviene da un’università straniera. È quanto stabilito da una recentissima sentenza del Supremo Consesso di giustizia amministrativa, investito, dall’organo d’appello siciliano con ordinanza del 25 luglio 2014,  del compito di risolvere una volta per tutte i gravi contrasti giurisprudenziali sorti in merito alla possibilità, per gli studenti iscritti alla facoltà di Medicina e Chirurgia di una università straniera, di ottenere il trasferimento nell’analoga facoltà di un Ateneo italiano, pur non avendo superato a suo tempo l’esame di ammissione al predetto corso di laurea, per carenza del punteggio minimo necessario.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato pone fine una volta per tutte a clamorosi contrasti giurisprudenziali tra gli organi di giustizia amministrativa.

Alcuni Tribunali amministrativi regionali, infatti, avallando la tesi “negazionista” del Ministero dell’Università –  propenso a ritenere che il trasferimento presso un’università italiana potrebbe risultare elusiva del disposto di cui agli artt. 1, comma 1, e 4, L. n. 264 del 1999, che limita l’accesso prevedendo dei sistemi di selezione d’ingresso – ritenevano che lo studente intenzionato a trasferirsi da una università straniera ad una italiana dovesse sottoporsi al test d’ammissione indipendentemente dal fatto di avere ormai superato presso l’ateneo straniero di frequenza gli esami del primo anno o di degli anni successivi, pena, in caso contrario, il rischio di vanificare l’effettività della funzione selettiva e di programmazione della vigente disciplina in materia a livello nazionale.

Altri Tar italiani, invece, ritenevano che il superamento dei test d’ingresso non fosse necessario (ex plurimis, T.A.R. Lazio Roma, n. 255 del 2013; T.A.R. Abruzzo L’Aquila, n. 1061 del 2013; T.A.R. Sicilia, Catania, n. 1528 del 2014 e n. 2665 del 2012; T.A.R. Sardegna, n. 507 del 2012; T.A.R. Campania, Napoli, n. 1326 del 2012).

Il Consiglio di Stato, dal suo canto, aveva sempre patrocinato la tesi più restrittiva, preoccupato dall’eventualità che la semplice permanenza in Atenei esteri potesse comportare un palese aggiramento del principio del numero chiuso. Tale tesi era stata da ultimo ribadita con sentenza numero 1722 con cui, il 10 aprile 2014, i giudici di Palazzo Spada avevano ancora una volta posto un freno all’indiscriminata apertura degli Atenei Italiani a studenti provenienti dall’estero, rilevando che “Se si consentisse l’iscrizione di studenti provenienti da università straniere, chiunque non abbia superato l’esame di ammissione potrebbe immatricolarsi presso un ateneo straniero e chiedere, l’anno successivo, il trasferimento presso un’università italiana. Gli effetti elusivi sarebbero evidenti, mettendo a rischio la stessa effettività della funzione selettiva e di programmazione” (in tal senso si erano espressi anche Cons. di Stato, Sez. VI, 15 ottobre 2013, n. 5015; Cons. di Stato, Sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2866; Cons. di Stato, Sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2063).

Prendendo definitivamente le distanze dagli approcci tradizionali e aprendosi all’approccio possibilista del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, il Consiglio di Stato rileva come la necessità di superare il test di ingresso per accedere a facoltà a numero chiuso in Atenei universitari italiani, prevista per l’accesso al primo anno di corso, non vige per i trasferimenti da Università estere in corso di studi. Il carattere rivoluzionario di tale decisum va tuttavia ridimensionato dall’espresso riferimento a due criteri ben definiti, necessari e sufficienti per evitare da un lato l’aggiramento del numero chiuso e per garantire dall’altro un’elevata qualità dell’istruzione universitaria nazionale: “Ciascuna università deve accogliere le istanze degli studenti ma nel rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall’Università stessa per ogni accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso … omissis … l’accoglimento dell’istanza è subordinato a un rigoroso vaglio, in sede di riconoscimento dei crediti formativi acquisiti presso l’università straniera in relazione ad attività di studio compiute, frequenze maturate ed esami sostenuti, della qualificazione dello studente, secondo parametri che ogni ateneo potrà predeterminate”.

 

Cons. Stato, Sent., 28-01-2015, n. 1

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 24 di A.P. del 2014, proposto da:

Universita’ degli Studi di Messina,

in persona del legale rappresentante p.t.,

per legge rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso la sede della stessa, in Roma, via de’ Portoghesi, 12,

contro

Raffaele Cuffaro e Salvatore Pinzarrone,

costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’avv. Girolamo Rubino ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Fabrizio Paoletti, in Roma, viale M.llo Pilsudsky, 118,

e con l’intervento di

ad opponendum:

MAFFEI Ivana, VASILE Alessandra, ALBERTI Luca, LATINO Francesca, IZZO Alessia e MISTRETTA Pietro,

rappresentati e difesi dall’avv. Umberto Cantelli ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Delia Santi, in Roma, via S. Tommaso d’Aquino, 47,

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. SICILIA – SEZ. STACCATA di CATANIA – SEZIONE III n. 02037/2012, resa tra le parti, concernente trasferimento studenti da atenei stranieri, a seguito di rimessione all’adunanza plenaria con ordinanza n.454/2014 del consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati, come proposto innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana;

Vista l’ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 689/2013, di reiezione della domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata proposta dall’Amministrazione appellante;

Vista l’Ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n. 454/2014, di deferimento dell’appello all’Adunanza Plenaria;

Visto l’atto di costituzione in giudizio, in questa fase, degli appellati;

Visto l’atto di intervento ad opponendum, in questa fase, di Ivana Maffei ed altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti tutti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2014, il Cons. Salvatore Cacace;

Uditi per le parti, alla stessa udienza, l’avvocato Marco Stigliano Messuti dello Stato per l’appellante, l’avv. Girolamo Rubino per gli appellati e l’avv. Umberto Cantelli per gli intervenienti;

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

  1. – Gli odierni appellati, iscritti nell’anno accademico 2011/2012 al I anno di studi della Facoltà di Medicina dell’Università di Timisoara ( Romania ), presentavano alla Università degli Studi di Messina istanza per il trasferimento presso questa Università con iscrizione al II anno del corso di laurea in Medicina e Chirurgia per l’anno accademico 2012/2013.

Con delibera del Consiglio di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia in data 12 settembre 2012 l’Università degli Studi di Messina ha ritenuto dette domande non valutabili, con la motivazione che gli studenti, “provenendo da Università straniere, non hanno superato in Italia l’esame di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, requisito essenziale previsto dal Manifesto degli studi”.

Gli interessati impugnavano i provvedimenti di diniego di trasferimento innanzi al

TAR per la Sicilia – sezione staccata di Catania, che, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva il ricorso, annullando gli atti impugnati, “con riguardo al dedotto omesso preavviso di rigetto … nonché al lamentato difetto di istruttoria, laddove … in assenza di alcuna disposizione, anche interna, l’Amministrazione ha tout court rigettato la domanda di trasferimento dei ricorrenti, senza la previa valutazione dei crediti dagli stessi acquisiti presso l’Università straniera, necessari per l’eventuale iscrizione richiesta” ( pagg. 2 – 3 sent. ).

All’ésito della decisione del T.A.R. gli studenti, previa rinuncia alla prosecuzione dei loro studi presso l’università straniera di provenienza, hanno ottenuto l’iscrizione presso l’Università degli Studi di Messina, con la convalida di una parte delle attività formative e dei relativi esami superati.

Avverso tale sentenza l’Università degli Studi di Messina ha poi proposto appello innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, contestando, in sostanza, il presupposto logico, posto a base della sentenza di primo grado, secondo cui “né l’art. 4 della L. n. 264 del 1999 né il bando prevedono disposizioni in ordine all’ipotesi del trasferimento di studenti universitari da un Ateneo straniero ad uno nazionale” ( pag. 2 app. ).

Resistevano all’appello innanzi al C.G.A.R.S. gli originarii ricorrenti, insistendo per la reiezione del gravame.

Nella camera di consiglio del 25 luglio 2013 il C.G.A.R.S. respingeva – con ordinanza n. 689/2013 – la domanda cautelare proposta dall’Amministrazione appellante.

Successivamente, all’ésito del passaggio in decisione della causa all’udienza collegiale del 7 maggio 2014, il C.G.A.R.S. ha ritenuto, con Ordinanza n. 454/2014, che la problematica cui la controversia inerisce, “relativa alla precisa individuazione dei presupposti richiesti nell’ordinamento vigente per il trasferimento di studenti iscritti in università straniere a corsi di laurea dell’area medico-chirurgica, anche in considerazione di contrastanti pronunce giurisprudenziali, vada rimessa alla Adunanza Plenaria ex art. 99. comma 1 c.p.a.” ( pag. 8 Ord. ).

Più in particolare, il C.G.A.R.S., rappresentati gli opposti orientamenti giurisprudenziali sul tema, ha poi esposto i profili che lo conducono a ritenere di condividere la tesi favorevole all’accoglimento dell’istanza di trasferimento di cui si tratta, così sintetizzando, dopo ampia ed esaustiva analisi, la disciplina, cui la materia deve ritenersi esposta:

“A) Non esiste un diritto degli studenti iscritti ad una università straniera ad essere trasferiti in una università italiana (come non esiste tale diritto per coloro che fossero iscritti in una università italiana). E ciò quali che siano i corsi di studio oggetto delle relative aspirazioni.

  1. B) Per quanto riguarda gli studenti dei corsi di laurea delle classi per le quali l’ordinamento italiano prevede un numero limitato di accessi (e in particolare per quelli dell’area medico-chirurgica), il trasferimento da altre sedi deve considerarsi regolato dalle medesime norme, sia che il trasferimento sia richiesto da studenti iscritti in università italiane, sia che esso lo sia da studenti iscritti in università straniere, dal momento che le norme relative agli accessi – e quindi alle immatricolazioni – non hanno riferimento ad altri studenti che a quelli appunto che aspirano ad accedere, per la prima volta, alla formazione universitaria.
  2. C) Limiti al trasferimento degli studenti dell’area medico-chirurgica sono costituiti dalla oggettiva disponibilità nella sede di accoglienza di posti per la coorte alla quale lo studente trasferito dovrebbe essere aggregato, in base alla programmazione nazionale vigente per l’anno di riferimento, e dalle speciali norme eventualmente legittimamente adottate dalle sedi – in via regolamentare generale – in virtù della autonomia loro riconosciuta” ( pagg. 34 – 35 Ord. ).

Conclusivamente, ad avviso del Collegio rimettente, “l’interesse ad un trasferimento da università straniera ad una università italiana, benché non perseguibile in virtù di una disciplina primaria (oggi inesistente), non appare in contrasto (in mancanza anche di norme secondarie espresse) con i principi e dell’ordinamento comunitario e di quello interno. Il riconoscimento di segmenti di formazione conseguiti all’estero non appare infatti in alcuna misura precluso da principi, normative e prassi vigenti, come deve osservarsi, oltretutto, in considerazione di quanto già avviene con riferimento alle discipline Erasmus, per le quali le singole università sono pacificamente legittimate dall’ordinamento vigente (comunitario ed italiano) a stipulare (anche per i corsi dell’area medico-chirurgica) convenzioni in virtù delle quali – attraverso una valutazione in concreto ex ante (idoneità di programmi, docenti, modalità di accertamento del profitto) – esse riconoscono ai loro studenti, segmenti di formazione (attuata presso università straniere), che rifluiscono (con pieno effetto ai fini del titolo finale) sul contenuto della formazione che porta al conseguimento del titolo finale” ( pagg. 35 – 36 Ord. ).

Si sono costituiti per resistere anche in questa sede gli appellati, che, con successiva memoria, premesse eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità dell’appello sotto varii profili, insistono per l’infondatezza dello stesso.

Memoria ha pure prodotto l’appellante, reiterando le tesi di gravame incentrate sul combinato disposto degli artt. 1 e 4 della L. 2 agosto 1999, n. 264, che a suo avviso “contempla l’obbligo di concorso sia per le iscrizioni al primo anno del corso di laurea in medicina e chirurgia ovvero odontoiatria e protesi dentaria, che per gli anni successivi” ( pag. 2 mem. ), sottolineando altresì “la totale compatibilità con il diritto dell’Unione Europea” di tale previsione.

Hanno proposto inoltre atto di intervento ad opponendum alcuni studenti di atenei comunitarii pubblici della Romania, che, vistesi respingere domande di trasferimento presso l’Università degli Studi di Messina analoghe a quelle che hanno dato luogo al presente giudizio, hanno proposto ricorsi in sede giurisdizionale ( accolti dallo stesso T.A.R. Catania con diverse sentenze, di cui solo alcune sarebbero state appellate), sul cui ésito prospettano la “scontata influenza della decisione” di questa Adunanza Plenaria; donde, affermano, la sussistenza del loro “interesse ad intervenire”.

All’udienza del 19 novembre 2014 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.

  1. – Preliminarmente, deve essere dichiarato inammissibile l’intervento ad opponendum dispiegato dagli studenti, che, adducendo di essere destinatarii di provvedimenti analoghi a quelli oggetto del presente giudizio, hanno dedotto un interesse al mantenimento dell’annullamento di questi, come pronunciato dal T.A.R.

Invero, l’intervento ad opponendum svolto in grado di appello avverso l’impugnazione diretta contro la sentenza che ha accolto il ricorso di primo grado, la cui finalità è appunto quella di contrastare le ragioni dell’Amministrazione ricorrente in appello, va correttamente qualificato come intervento ad adiuvandum degli originarii ricorrenti, per il quale la giurisprudenza richiede la titolarità di una posizione giuridica dipendente da quella da questi dedotta in giudizio.

Non essendo dunque sufficiente a supportare un siffatto intervento in giudizio la semplice titolarità di un interesse di fatto ( suscettibile invece di fondare il mero intervento ad opponendum “proprio” e cioè quello svolto a sostegno dell’Amministrazione resistente in primo grado ) e non essendo gli odierni opponenti titolari di una posizione giuridica in qualche modo dipendente da quella degli appellati, è dunque da escludersi per essi la possibilità di intervenire in causa in via litisconsortile, proponendo una domanda, che di fatto si configura, peraltro, come autonoma e parallela ( se non addirittura contrassegnata da un potenziale conflitto con gli originarii ricorrenti ) a quella proposta da questi ultimi, in quanto volta a tutelare una loro propria posizione giuridica attinta da provvedimenti analoghi a quelli per i quali qui si controverte.

  1. – Sempre in via preliminare, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità dell’appello sollevate dai resistenti.

Esse si rivelano tutte infondate.

3.1 – Quanto, anzitutto, alla dedotta “acquiescenza prestata dall’Università di Messina alla sentenza del T.A.R. Catania”, che gli appellati pretendono di ricavare dal “riconoscimento delle materie” da essi sostenute all’estero ( come effettuato dall’Università ai fini dell’iscrizione conseguita all’accoglimento del ricorso di primo grado ), che costituirebbe a loro avviso “espressione di un potere discrezionale concretamente e deliberatamente esercitato”, ricordato ch’è pacifico che la spontanea esecuzione della pronuncia di primo grado non si configura come comportamento idoneo ad escludere l’ammissibilità della relativa impugnazione ( Cons. St., III, 21 giugno 2012, n. 3679 ) giacché l’eventuale accoglimento di questa è idoneo a travolgere i nuovi atti adottati dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza di primo grado che verrebbero comunque meno con effetto retroattivo perdendo ab initio il loro fondamento giuridico ex art. 336 c.p.c. ( Cons. St., III, 18 giugno 2012, n. 3550; da ultimo, Cons. St., III, 1 agosto 2014, n. 4103 ), nella fattispecie il nuovo atto adottato dall’Amministrazione ( di riconoscimento delle frequenze conseguite in altri Atenei e degli esami ivi sostenuti ) non costituisce espressione di nuove, autonome, scelte discrezionali dell’Amministrazione stessa, ma mera esecuzione del dictum del Giudice di primo grado ( che ha posto a fondamento del disposto annullamento degli atti impugnati la mancata “previa valutazione dei crediti” acquisiti dai ricorrenti presso l’Università straniera ), in quanto l’Università, con la delibera del Consiglio di Corso di laurea in Medicina e Chirurgia assunta nella adunanza del 15 marzo 2013, peraltro assunta espressamente dando atto di “discutere in ordine ai provvedimenti … al fine di dare ottemperanza … alla Sentenza n. 3037/2012 del Tar Sicilia, sez. 3 CT” e di “operare la comparazione dei programmi degli esami sostenuti da ciascuno dei ricorrenti” in adempimento di quanto disposto dalla Autorità Giudiziaria ( v. verbale della apposita Commissione in data 7 marzo 2013 ), non ha fatto altro che procedere al riconoscimento dei crediti di cui all’art. 23 del Regolamento Didattico d’Ateneo, che sono appunto “acquisiti in relazione ad attività di studio e ad esami sostenuti presso università straniere” ( comma 2 dell’art. 23, cit. ); sì che il riconoscimento degli esami sostenuti, effettuato previa comparazione dei programmi relativi dell’Ateneo di provenienza con i programmi del piano di studi dell’Università di Messina, non rappresenta nulla di più del riconoscimento di crediti ( v. anche art. 5, comma 4, del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 ) dovuto in esecuzione della sentenza di primo grado, che ha appunto annullato gli atti impugnati facendo conseguentemente “obbligo all’Università di rideterminarsi, ponendo a fondamento di ogni ulteriore decisione la congruità dei crediti maturati dai ricorrenti presso l’Ateneo straniero” ( pag. 3 sent. ).

Né, per finire sul punto, la qualificazione degli atti posti in essere dall’Università successivamente alla sentenza di primo grado in termini di incompatibilità con la volontà di avvalersi dell’impugnazione ( e dunque in termini di acquiescenza alla sentenza stessa, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. ) può affidarsi, come pretenderebbero gli appellati, alla valutazione di un mero funzionario dell’Università ( v. nota prot. n. 34014 del 19 giugno 2013 versata in atti ), le cui personali considerazioni ( aventi rilevanza esclusivamente interna, dal momento che interni all’Amministrazione ne sono i destinatarii ) circa l’opportunità di ricorrere in appello avverso la sentenza T.A.R. n. 3037/2012 e l’idoneità degli atti adottati “a prestare acquiescenza” alla stessa non sono certo in grado di denotare in maniera precisa ed univoca il proposito dell’Amministrazione, che può esprimersi sulla materia controversa solo attraverso atti compiuti dal Rettore e dal Consiglio di Corso di Laurea (atti nella fattispecie del tutto insussistenti), di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia.

3.2 – Quanto alla eccezione di improcedibilità dell’appello per effetto dell’asserito intervenuto superamento dei provvedimenti di diniego di iscrizione oggetto del giudizio a seguito dei “successivi giudizi positivi ottenuti con riferimento ai vari esami sostenuti” e dunque della dimostrazione così asseritamente data dagli appellati circa la “propria idoneità alla frequenza del corso di laurea in medicina e chirurgia”, anch’essa si rivela infondata.

Ed invero non è possibile ritenere che il favorevole esito di alcuni esami del corso di studi, cui s’è avuto accesso in relazione al favorevole esito del giudizio di primo grado instaurato contro il diniego di iscrizione motivato con il mancato superamento del test di accesso previsto per i corsi di laurea ad accesso limitato, possa ritenersi assorbente del mancato possesso di quel requisito di ammissione (su tale qualificazione v. l’art. 4, comma 2, della L. 2 agosto 1999, n. 264); questione, questa, chiaramente rilevante nel presente giudizio solo nella misura in cui da esso effettivamente dipenda, come qui dedotto dall’appellante, l’ammissione anche a seguito di trasferimento.

In realtà, l’interesse alla decisione dell’appello dell’Amministrazione avverso la sentenza di annullamento di un diniego di iscrizione fondato sulla mancanza di un requisito di ammissione permane fin quando sia in corso la procedura, sull’ammissione alla quale ( o, meglio, sulla rinnovata attività dell’Amministrazione di ammissione alla quale ) il provvedimento giudiziale valido ed efficace abbia avuto carattere decisivo e condizionante.

Occorre poi puntualizzare che non è invocabile nella fattispecie la possibilità di sanatoria introdotta dall’art. 4, comma 2-bis, della L. n. 168 del 2005, sia perché essa deve ritenersi ammessa soltanto per le varie ipotesi di procedimenti finalizzati alla verifica della idoneità dei partecipanti allo svolgimento di una professione il cui esercizio risulti regolamentato nell’ordinamento interno ma non riservato ad un numero chiuso di professionisti mentre va esclusa per le selezioni di stampo concorsuale per il conferimento di posti a numero limitato, sia perché il superamento del test di cui si tratta costituisce indubbiamente, come già detto, un requisito di ammissione ( essendo qui controverso soltanto se esso sia richiesto anche per le ipotesi di trasferimento da altra università con richiesta di iscrizione ad anni successivi al primo ) e non certo una “abilitazione” od un “titolo”, il cui conseguimento costituisce appunto indefettibile presupposto per l’applicazione della disposizione richiamata, all’applicazione della quale non può darsi comunque in ogni caso luogo quando il ricorso tenda a contestare una esclusione per mancanza dei requisiti ( Cons. St., VI, 15 febbraio 2012, n. 769 ).

D’altra parte, l’art. 4, comma 2-bis, L. n. 264 del 1999 cit., riguardante, come s’è detto, gli esami per il conseguimento di una abilitazione professionale, ha natura eccezionale e non è suscettibile di applicazione analogica ( Cons. St., VI, 21 maggio 2013, n. 2727 ).

In ogni caso, tale disposizione ha disposto la salvezza degli effetti di una nuova valutazione amministrativa, anche se effettuata d’ufficio o a seguito di un provvedimento giurisdizionale non definitivo, mentre in tema di ammissione ai corsi di laurea di cui si tratta vi è una fase procedimentale ( quella riguardante l’ammissione ), che non può ritenersi in alcun modo validamente surrogata dal successivo percorso di studi dello studente in ipotesi privo del requisito; studente che peraltro conserva l’interesse alla decisione sul proprio ricorso, perché solo una sentenza definitiva di accoglimento di per sé consente di salvaguardare gli effetti degli atti amministrativi emessi in esecuzione della sentenza favorevole di primo grado, destinati in quanto tali ad essere travolti dalla pronuncia d’appello che definisca il giudizio nel senso della reiezione del suo ricorso originario.

3.3 – Parimenti infondata è l’ulteriore eccezione di improcedibilità dell’appello basata sull’intervenuto accoglimento, nelle more del giudizio di appello, del ricorso straordinario al Capo dello Stato a suo tempo proposto dagli odierni appellati avverso la graduatoria della procedura di ammissione al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia bandito dall’Università di Palermo per l’anno accademico 2011/2012; il che, secondo gli stessi, varrebbe a concretizzare quel “diritto all’iscrizione all’università italiana”, la cui mancanza è in sostanza alla base degli atti di diniego oggetto del giudizio, nonché dell’appello proposto dall’Università degli Studi di Messina.

Ritiene in proposito il Collegio che, pur in presenza del sopravvenuto provvedimento dell’Università degli Studi di Palermo di invito agli interessati a presentare domanda di immatricolazione o comunque di passaggio al corso di laurea in medicina e chirurgia di quella Università per effetto dell’accoglimento del ricorso straordinario proposto avverso la graduatoria del concorso per la ammissione a quel corso di laurea per l’anno accademico 2011/2012, il Giudice amministrativo non può sovrapporre la propria valutazione a quella riferibile esclusivamente ai poteri dell’Amministrazione, sì da poter ritenere oggi sussistente in capo agli odierni appellati quel requisito ( il superamento della prova di ammissione di cui si tratta in una Università del territorio nazionale ), la cui mancanza ( da essi mai contestata ) è posta a base degli atti di diniego qui controversi, da essi conseguentemente impugnati sotto il profilo secondo cui l’assenza di tale requisito non rileverebbe in senso ostativo nei loro riguardi, dal momento che l’onere di superamento del test d’ingresso sussisterebbe solo per l’accesso al primo anno di corso e non anche per il trasferimento da essi richiesto.

Non avendo peraltro gli appellati proposto, in relazione a detta sopravvenienza, motivi aggiunti ex art. 104, comma 3, c.p.a. ( nella misura in cui si possa predicare il possesso ex tunc, per effetto del predetto accoglimento del ricorso straordinario, del requisito del superamento della prova di ammissione ), la stessa può risultare loro utile solo ai fini di una domanda di riesame, da parte dell’Università degli Studi di Messina, delle sue precedenti, qui contestate, determinazioni.

  1. – Si può passare, ora, all’esame del mérito dell’appello, alla luce della compiuta ed efficace ricostruzione del quadro fattuale e giuridico operata dall’Ordinanza di rimessione, che si incentra sulla questione “se possa essere accolta la richiesta di quegli studenti che – da iscritti in corsi di laurea dell’area medico-chirurgica presso università straniere – hanno chiesto il trasferimento, con riconoscimento delle carriere e la iscrizione ad anni di corso successivi al primo, presso università italiane; e ciò tenendo presente che essi non si erano sottoposti al previsto test di accesso o che, pur avendolo affrontato conseguendo (come nel caso che ci occupa) il punteggio minimo richiesto per l’idoneità, non si erano comunque collocati in posizione utile per ottenere l’accesso ad una università italiana” (pagg. 7 – 8 Ord.).

4.1 – Questo Consiglio ha più volte ribadito ( da ultimo, sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2028 e 30 maggio 2014, n. 2829 ) che è legittima l’esclusione da un qualsiasi anno di corso degli studenti di università estere, che non superino la prova selettiva di primo accesso, eludendo con corsi di studio avviati all’estero la normativa nazionale ( v. anche Cons. Stato, sez.VI, 15 ottobre 2013, n. 5015; 24 maggio 2013, n. 2866 e 10 aprile 2012, n. 2063 ).

Secondo tale orientamento la disciplina recante la programmazione a livello nazionale degli “accessi” non farebbe distinzioni fra il primo anno di corso e gli anni successivi ( art. 1, comma 1, e 4 della L. 2 agosto 1999, n. 264, in rapporto alle previsioni del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, recante il regolamento sull’autonomia didattica degli atenei ); di conseguenza, il rilascio di nulla osta al trasferimento da atenei stranieri e l’iscrizione agli anni di corso successivi al primo richiederebbero comunque il previo superamento della prova nazionale di ammissione prevista dall’art. 4 L. n. 264 del 1999 citato ( ai fini, appunto, della “ammissione” ), sia per l’immatricolazione al primo anno accademico, sia, come dedotto appunto dall’Università odierna appellante, per l’iscrizione ad anni successivi in conseguenza del trasferimento.

4.2 – Tale conclusione, di legittimità dei dinieghi adottati nei casi in cui si tratti di trasferimento da ateneo straniero senza previo superamento dei tests d’accesso in Italia, deve essere, ad avviso del Collegio, sottoposta ad un’attenta rimeditazione, sulla base delle attente osservazioni attinenti all’interpretazione logico-letterale dell’anzidetta normativa di riferimento formulate dall’Ordinanza di rimessione all’esame.

4.3 – Ed invero, sul piano puramente letterale e sistematico valga rilevare:

– a livello di normazione primaria e secondaria, le uniche disposizioni in materia di trasferimenti si rinvengono ai commi 8 e 9 dell’art. 3 del D.M. 16 marzo 2007 in materia di “Determinazione delle classi di laurea magistrale”, che, senz’alcun riferimento a requisiti per l’ammissione, disciplinano il riconoscimento dei crediti già maturati dallo studente ( “8. Relativamente al trasferimento degli studenti da un corso di laurea ad un altro, ovvero da un’università ad un’altra, i regolamenti didattici assicurano il riconoscimento del maggior numero possibile dei crediti già maturati dallo studente, secondo criteri e modalità previsti dal regolamento didattico del corso di laurea di destinazione, anche ricorrendo eventualmente a colloqui per la verifica delle conoscenze effettivamente possedute. Il mancato riconoscimento di crediti deve essere adeguatamente motivato. 9. Esclusivamente nel caso in cui il trasferimento dello studente sia effettuato tra corsi di laurea appartenenti alla medesima classe, la quota di crediti relativi al medesimo settore scientifico-disciplinare direttamente riconosciuti allo studente non può essere inferiore al 50% di quelli già maturati. Nel caso in cui il corso di provenienza sia svolto in modalità a distanza, la quota minima del 50% è riconosciuta solo se il corso di provenienza risulta accreditato ai sensi del regolamento ministeriale di cui all’art. 2, comma 148, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla L. 24 novembre 2006, n. 286” ).

– per quanto concerne più da vicino la fattispecie all’esame, l’obbligo, per gli studenti provenienti da Università straniere, del “superamento del test di ammissione in Italia secondo le modalità stabilite dal MIUR” è recato, nella parte concernente i “trasferimenti”, nel Manifesto degli Studi dell’Università di Messina per l’anno accademico 2012 – 2013 approvato dal Senato Accademico, che tuttavia il T.A.R. ha ritenuto, con statuizione non impugnata da nessuna delle parti in causa e dunque passata in giudicato, “atto di natura informativa, privo di rilevanza giuridica per i fini di cui al ricorso” ( pag. 2 sent. );

– mentre, come s’è visto, con specifico riguardo ai trasferimenti nessuno specifico requisito di ammissione è previsto, l’art. 4 della L. 2 agosto 1999, n. 264 subordina l’ammissione ai corsi i cui accessi sono programmati a livello nazionale ( art. 1 ) o dalle singole università ( art. 2 ) al “previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi”;

– sebbene la norma non riferisca espressamente la locuzione “ammissione” al solo “primo accoglimento dell’aspirante nel sistema universitario” ( per usare l’efficace espressione dell’Ordinanza di rimessione ), a rendere sicuramente preferibile e privilegiata tale interpretazione può valere, nell’àmbito del corpus complessivo delle norme concernenti l’accesso ai corsi di studio universitarii, l’art. 6 del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, che, nell’indicare i “requisiti di ammissione ai corsi di studio”, fa esclusivo riferimento, ai fini della ammissione ad un corso di laurea (di primo livello o magistrale: vedansi i commi dall’1 al 3), al “possesso del diploma di scuola secondaria superiore”, ch’è appunto il titolo imprescindibile previsto per l’ingresso nel mondo universitario; il che rende palese che quando il legislatore fa riferimento alla ammissione ad un corso di laurea, intende riferirsi appunto allo studente ( e solo allo studente ) che chieda di entrare e sia accolto per la prima volta nel sistema;

– a ciò si aggiunga, sempre in un’ottica di lettura sistematica delle disposizioni di vario rango che si accavallano nella materia de qua, che, nel definire “modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2012-2013” ( ch’è esattamente l’anno accademico per il quale gli odierni appellati hanno richiesto all’Università di Messina il poi denegato nulla-osta al trasferimento ), il D.M. 28 giugno 2012 usa indifferentemente i termini “ammissione” ed “immatricolazione” ( v. in particolare l’art. 10, comma 1, relativo a “graduatorie, soglia di punteggio minimo e valutazione delle prove”, nonché il punto 9. dell’Allegato n. 1 relativo alle “procedure per la prova di ammissione ai corsi di laurea” di cui si tratta ) ed è ben noto che il secondo dei veduti termini, come pure opportunamente sottolineato nell’ordinanza di rimessione, è comunemente riferito, nello stesso linguaggio ufficiale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, allo studente, che si iscriva al primo anno di corso e che dunque sia un “novizio” dell’istituzione universitaria;

– non irrilevante, inoltre, può essere il richiamo, nella fattispecie all’esame, del già citato Manifesto degli Studi dell’Università degli Studi di Messina, che, pur recando, come s’è visto, l’obbligatorietà del test di ammissione in Italia per gli studenti provenienti per trasferimento da Università straniere ( clausola, come già detto, del tutto ininfluente ai fini del decidere alla luce della qualificazione datane dal T.A.R. con statuizione non contestata ), riferisce espressamente la “prova di ammissione” al “primo anno di corso”, mentre per le “iscrizioni ad anni successivi al primo” si limita a stabilire il termine, entro il quale devono essere effettuate.

Quanto al piano logico-sistematico valga notare:

– se i contenuti della prova di ammissione di cui all’art. 4 della L. 2 agosto 1999, n. 264 devono far riferimento ai “programmi della scuola secondaria superiore”, è evidente che la prova è rivolta a coloro che, in possesso del diploma rilasciato da tale scuola ( v. il già citato art. 6 del D.M. n. 270 del 2004 ), intendono affrontare gli studi universitarii, in un logico continuum temporale con la conclusione degli studi orientati da quei “programmi” e dunque ai soggetti che intendono iscriversi per la prima volta al corso di laurea, sulla base, appunto, del titolo di studio acquisito e delle conoscenze ad esso sottostanti;

– non a caso, in tale direzione, una ulteriore specificazione si ritrova nell’allegato “A” al già citato D.M. 28 giugno 2012 ( “Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2012-2013” ), che, nel definire i programmi relativi ai requisiti delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, prevede che “le conoscenze e le abilità richieste fanno comunque riferimento alla preparazione promossa dalle istituzioni scolastiche che organizzano attività educative e didattiche coerenti con i Programmi Ministeriali”: ne risulta evidente, come correttamente sottolinea l’Ordinanza di rimessione, “il riferimento della norma ad un accertamento da eseguirsi al momento del passaggio dello studente dalla scuola superiore all’università e dunque la dichiarata funzione alla quale la prova risponde: verificare la sussistenza – nello studente che aspira ad essere ammesso al sistema universitario – di requisiti di cultura pre-universitaria” ( pagg. 25 – 26 ).

– ancora, se la prova stessa è volta ad accertare la “predisposizione per le discipline oggetto dei corsi”, è vieppiù chiaro che tale accertamento ha senso solo in relazione ai soggetti che si candidano ad entrare da discenti nel sistema universitario, mentre per quelli già inseriti nel sistema ( e cioè già iscritti ad università italiane o straniere ) non si tratta più di accertare, ad un livello di per sé presuntivo, l’esistenza di una “predisposizione” di tal fatta, quanto piuttosto, semmai, di valutarne l’impegno complessivo di apprendimento ( v. art. 5 del D.M. n. 270 del 2004 ) dimostrato dallo studente con l’acquisizione dei crediti corrispondenti alle attività formative compiute;

– non a caso, allora, i già richiamati commi 8 e 9 dell’art. 3 del D.M. 16 marzo 2007 danno rilievo esclusivo, in sede ed ai fini del trasferimento degli studenti da un’università ad un’altra, al riconoscimento dei crediti già maturati dallo studente, “secondo criteri e modalità previsti dal regolamento didattico del corso di laurea magistrale di destinazione”;

– nella stessa direzione, per quanto riguarda più da vicino la fattispecie all’esame, l’art. 23 del Regolamento Didattico di Ateneo dell’Università degli Studi di Messina, per i casi di trasferimento di ateneo, non prevede alcuna prova di “ammissione”, ma solo il “riconoscimento dei crediti … anche in relazione ad attività di studio e ad esami sostenuti presso università straniere”.

In assenza, in definitiva, di specifiche, contrarie disposizioni di legge ( atteso che, come risulta dall’excursus sopra compiuto, l’art. 4 della L. n. 264 del 1999 non è applicabile all’ipotesi del trasferimento di studenti universitarii da un Ateneo straniero ad uno nazionale ), potrà legittimamente dispiegarsi, nella materia de qua, la sola autonomia regolamentare degli Atenei, che, anche eventualmente condizionando l’iscrizione-trasferimento al superamento di una qualche prova di verifica del percorso formativo già compiuto:

– stabilirà le modalità di valutazione dell’offerta potenziale dell’ateneo ai fini della determinazione, per ogni anno accademico ed in relazione ai singoli anni di corso, dei posti disponibili per trasferimenti, sulla base del rispetto imprescindibile della ripartizione di posti effettuata dal Ministero negli anni precedenti per ogni singola “coorte al quale lo studente trasferito dovrebbe essere aggregato” ( pag. 35 Ord. rimess. ) e delle intervenute disponibilità di posti sul plafond di ciascuna “coorte”;

– nell’àmbito delle disponibilità per trasferimenti stabilirà le modalità di graduazione delle domande;

– fisserà criterii e modalità per il riconoscimento dei crediti, anche prevedendo “colloqui per la verifica delle conoscenze effettivamente possedute” ( art. 3, comma 8, del D.M. 16 marzo 2007 );

– in tale àmbito determinerà i criterii, con i quali i crediti riconosciuti ( in termini di esami sostenuti ed eventualmente di frequenze acquisite ) si tradurranno nell’iscriziione ad un determinato anno di corso, sulla base del rispetto dei requisiti previsti dall’ordinamento didattico della singola università per la generalità degli studenti ai fini della iscrizione ad anni successivi al primo, con particolare riguardo alla eventuale iscrizione come “ripetenti” ed all’ipotesi, sottolineata dall’Ordinanza di rimessione, in cui “lo studente in questione non ha superato alcun esame e conseguito alcun credito” ( pag. 30 Ord., che correttamente sottolinea come essa “non determinerebbe alcun vincolo per la sede di destinazione ai fini di una sua iscrizione” ), od all’ipotesi in cui lo studente abbia superato un numero di esami in numero tale da non potersi ritenere idoneo che alla sua iscrizione al solo primo anno, ai fini della quale, peraltro, non potrà che affermarsi il suo obbligo di munirsi del requisito di ammissione di cui all’art. 4 della L. n. 264 del 1999.

4.4 – Una volta tratta, come s’è visto, la conclusione secondo cui il superamento del test può essere richiesto per il solo accesso al primo anno di corso e non anche nel caso di domande d’accesso dall’esterno direttamente ad anni di corso successivi al primo ( nel quale il principio regolante l’iscrizione è unicamente quello del riconoscimento dei crediti formativi, con la conseguenza, ch’è il caso di sottolineare, che gli studenti provenienti da altra università italiana o straniera, che presso la stessa non abbiano conseguito alcun credito o che pur avendone conseguiti non se li siano poi visti riconoscere in assoluto dall’università italiana presso la quale aspirano a trasferirsi, ricadranno nella stessa situazione degli aspiranti al primo ingresso ), occorre considerare la compatibilità di una siffatta proposizione con l’ordinamento Europeo.

Ne emerge, come si vedrà di seguito, la maggior aderenza della stessa alle coordinate comunitarie, rispetto a quella della rigida tesi che sostiene invece (per la verità, come s’è visto, in contrasto con la stessa interpretazione letterale e logico-sistematica della normativa nazionale di riferimento) che lo studente, che intenda trasferirsi da una università straniera ad una italiana, deve sottoporsi al test d’ammissione indipendentemente dal fatto di avere ormai superato presso l’ateneo di frequenza gli esami del primo (o dei successivi) anni.

L’ordinamento comunitario garantisce, a talune condizioni, il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche delle procedure di ammissione, che non risultano armonizzate; ciò, tuttavia, lungi dal confermare la veduta tesi restrittiva, significa nient’altro che il possesso dei requisiti di ammissione ad un ateneo Europeo non da’ di per sé “diritto” al trasferimento dello studente in qualsiasi altro Ateneo di diverso Stato dell’Unione Europea.

Detta tesi si rivela in realtà contraria all’apicale principio di libertà di circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati comunitarii ( art. 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ), suscettibile di applicazione non irrilevante nel settore dell’istruzione tenuto conto delle competenze attribuite all’Unione per il sostegno e completamento dell’azione degli Stati membri in materia di istruzione e formazione professionale ( art. 6, lettera e), del Trattato ), nonché degli obiettivi dell’azione dell’Unione fissati dall’art. 165 n. 2 secondo trattino del Trattato stesso, teso proprio a “favorire la mobilità degli studenti …, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio”.

Ferma, dunque, la non equipollenza delle competenze e degli standards formativi richiesti per l’accesso all’istruzione universitaria nazionale ( sì che non sarebbe predicabile l’equivalenza del superamento della prova di ammissione ad un’università straniera con quella prevista dall’ordinamento nazionale ), una limitazione, da parte degli Stati membri, all’accesso degli studenti provenienti da università straniere per gli anni di corso successivi al primo della Facoltà di medicina e chirurgia ( qual è indubbiamente la necessità del superamento, ai fini dell’accesso stesso, di una prova selettiva nazionale predisposta, come s’è visto, ai soli fini della iscrizione al primo anno, in quanto volta ad accertare la “predisposizione” ad un corso di studi in realtà già in parte compiuto da chi intenda iscriversi ad uno degli anni successivi ), si pone in contrasto con il predetto principio di libertà di circolazione.

La stessa Corte di Giustizia ha confortato tale tesi con la sentenza 13 aprile 2010, n. 73 resa nel procedimento C-73/08, affermando che, se è pur vero che il diritto comunitario non arreca pregiudizio alla competenza degli Stati membri per quanto riguarda l’organizzazione dei loro sistemi di istruzione e di formazione professionale – in virtù degli artt. 165, n. 1, TFUE, e 166, n. 1, TFUE -, resta il fatto, tuttavia, che, nell’esercizio di tale potere, gli Stati membri devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative alla libera circolazione e al libero soggiorno sul territorio degli Stati membri (v., in tal senso, sentenze 11 settembre 2007, causa C-76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, Racc. pag. I-6849, punto 70, nonché 23 ottobre 2007, cause riunite C-11/06 e C-12/06, Morgan e Bucher, Racc. pag. I-9161, punto 24).

Gli Stati membri, ha aggiunto la Corte, sono quindi liberi di optare o per un sistema di istruzione fondato sul libero accesso alla formazione – senza limiti di iscrizione del numero degli studenti -, ovvero per un sistema fondato su un accesso regolato che selezioni gli studenti.

Tuttavia, che essi optino per l’uno o per l’altro di tali sistemi ovvero per una combinazione dei medesimi, le modalità del sistema scelto devono rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, il principio di libertà di circolazione e soggiorno in un altro Stato membro.

Si deve ricordare che, in quanto cittadini italiani, gli odierni appellati godono della cittadinanza dell’Unione ai termini dell’art. 17, n. 1, CE ( ora art. 20 TFUE ) e possono dunque avvalersi, eventualmente anche nei confronti del loro Stato membro d’origine, dei diritti afferenti a tale status (v. sentenza Corte di Giustizia UE 26 ottobre 2006, causa C-192/05, Tas-Hagen e Tas, Racc. pag. I-10451, punto 19).

Tra le fattispecie che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto comunitario figurano quelle relative all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE, in particolare quelle attinenti alla libertà di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri, quale conferita dall’art. 18 CE ( ora art. 21 TFUE ) (v. sentenze Corte di Giustizia UE 11 settembre 2007, causa C-76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, punto 87 e giurisprudenza citata; nonché sentenza della stessa Corte 23 ottobre 2007, n. 12, nelle cause riunite C-11/06 e C-12/06).

Tale considerazione è particolarmente importante nel settore dell’istruzione, tenuto conto degli obiettivi perseguiti dagli artt. 3, n. 1, lett. q), CE e 149, n. 2, secondo trattino, CE ( ora art. 165 TFUE ), ovverossia, in particolare, favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti ( v. citate sentenze D’Hoop, punto 32, e Commissione/Austria, sentenza 7 luglio 2005, causa C-147/03, Racc. pag. I-5969, punto 44 ).

Poiché il presente contenzioso riguarda appunto studi compiuti in un altro Stato membro, va ancora sottolineato che una normativa nazionale che penalizzi taluni suoi cittadini per il solo fatto di aver esercitato la loro libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione delle libertà riconosciute dall’art. 18, n. 1, CE ( ora art. 21 TFUE ) a tutti i cittadini dell’Unione ( v. sentenze Corte Giustizia UE 18 luglio 2006, causa C-406/04, De Cuyper, Racc. pag. I-6947, punto 39; Tas-Hagen e Tas, cit., punto 31, nonché Schwarz e Gootjes-Schwarz, cit., punto 93 ).

Più in generale, poi, la facoltà per gli studenti provenienti da altri Stati membri di accedere agli studi di insegnamento superiore costituisce l’essenza stessa del principio della libera circolazione degli studenti ( v. sentenza 7 luglio 2005, causa C-147/03, Commissione/Austria, cit., punti 32, 33 e 70, nonché la giurisprudenza ivi richiamata e, successivamente, la sentenza Bressol, Chaverot e altri/Comunità francese del Belgio, n. 73/2010, cit. ).

Le restrizioni all’accesso ai detti studi, introdotte da uno Stato membro, devono essere quindi limitate a quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti e devono consentire un accesso sufficientemente ampio per i detti studenti agli studi superiori.

A tal riguardo, se, come sottolineato nella stessa Ordinanza di rimessione, la ratio del sistema disegnato dall’art. 4 della L. n. 264 del 1999 è quella di far sì che l’accesso ( ed il proseguimento nella formazione universitaria ) ai corsi di laurea a numero programmato sia caratterizzato dal perseguimento di alti standards formativi, la ulteriore modalità di selezione predicata dalla veduta tesi restrittiva anche per le iscrizioni ad anni diversi dal primo non risulta strettamente necessaria ai fini del raggiungimento degli obiettivi perseguiti, dal momento che la capacità dei candidati provenienti da università straniere ed interessati al trasferimento per tali anni ben può essere utilmente accertata, così come avviene per i candidati al trasferimento provenienti da università nazionali, mediante un rigoroso vaglio, in sede di riconoscimento dei crediti formativi acquisiti presso l’università straniera in relazione ad attività di studio compiute, frequenze maturate ed esami sostenuti, della qualificazione dello studente, il cui assoggettamento ad una prova di ammissione (richiesta, come s’è visto, dall’ordinamento nazionale solo riguardo alle immatricolazioni) non risulterebbe congruo rispetto all’obiettivo di garanzia di una elevata qualità dell’istruzione universitaria nazionale.

In proposito, si devono anche ricordare i principii della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento dei titoli di studio stranieri, come ratificata con L. 11 luglio 2002, n. 148, il cui art. 2 stabilisce che: “La competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell’accesso all’istruzione superiore, del proseguimento degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, è attribuita alle Università ed agli Istituti di istruzione universitaria, che la esercitano nell’ambito della loro autonomia e in conformità ai rispettivi ordinamenti, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia”.

Il che rappresenta indice normativo significativo del potere/dovere attribuito all’autonomia dell’università di riconoscere i periodi di studio svolti all’estero ( e dunque anche quelli non sfociati in un “titolo” ivi conseguito ), tenendo conto del dato sostanziale costituito dalla completezza, esaustività, corrispondenza dei corsi da accreditare con gli omologhi corsi nazionali, prendendo in considerazione i contenuti formativi del corso di studii seguito all’estero con riferimento alle discipline oggetto d’esame; potere, questo, rispetto al quale completamente ultronea risulta la pretesa di effettuazione di una preliminare verifica della “predisposizione” a studi già in parte compiuti.

Detta norma consente anche di superare qualsiasi dubbio di discriminazione fra studenti universitarii provenienti da università italiane ( che comunque hanno a suo tempo superato, ai fini dell’accesso all’università di provenienza, una prova di ammissione ex art. 4 della L. n. 264 del 1999 ) e studenti universitarii provenienti da università straniere ( che una prova di ammissione alla stessa non abbiano sostenuto o che comunque abbiano superato una prova di tal fatta del tutto irrilevante per l’ordinamento nazionale ), giacché il trasferimento interviene, sia per lo studente che eserciti la sua “mobilità” in àmbito nazionale che per lo studente proveniente da università straniere, non più sulla base di un requisito pregresso di ammissione agli studi universitarii ormai del tutto irrilevante perché superato dal percorso formativo-didattico già seguito in àmbito universitario, ma esclusivamente sulla base della valutazione dei crediti formativi affidata alla autonomia universitaria, in conformità con i rispettivi ordinamenti, sulla base del principio di autonomia didattica di ciascun ateneo ( art. 11 della L. n. 341 del 1990, che affida l’ordinamento degli studi dei corsi e delle attività formative ad un regolamento degli ordinamenti didattici, denominato “regolamento didattico di ateneo”; v. anche l’art. 2, comma 2, del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, che dispone che – ai fini della realizzazione della autonomia didattica di cui all’art. 11 della L. n. 341 del 1990 – le università, con le procedure previste dalla legge e dagli statuti, disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio in conformità con le disposizioni del medesimo regolamento, nonché l’art. 11, comma 9, dello stesso D.M., che, a proposito dei regolamenti didattici di ateneo, prevede che le università, con appositi regolamenti, riordinano e disciplinano le procedure amministrative relative alle carriere degli studenti in accordo con le disposizioni del regolamento statale ).

4.5 – Ultimo punto in discussione, nel dibattito circa la necessità o meno del superamento della prova preselettiva prevista per l’accesso al primo anno di corso quale condizione per il trasferimento, è quello degli inconvenienti ( creazione di un processo di emigrazione verso università comunitarie aggirando la normativa sull’esame di ammissione ), che deriverebbero dalla affermazione della inapplicabilità ai “trasferimenti” dalle università, tanto più se di altro Stato comunitario, del requisito del superamento della prova di accesso prevista dall’art. 4 della L. n. 264 del 1999.

Ritiene il Collegio che siffatte obiezioni, pur suffragate da serie preoccupazioni in ordine alla necessità di garantire il rispetto dei principii e degli obiettivi in tema di accesso agli studi universitarii di cui si tratta ai più meritevoli ( e cioè a coloro i quali dimostrino di possedere le maggiori conoscenze ed attitudini con riferimento ad un determinato standard qualitativo ), non consentano in alcun modo di interpretare la normativa nazionale e sovranazionale di riferimento nel veduto senso programmaticamente “antielusivo”:

– non certo la prima, in quanto, come s’è visto, l’art. 4 della L. n. 264 del 1999 è applicabile ai soli fini dell’immatricolazione e della frequenza al primo anno di corso;

– non la seconda, in presenza di norme sovranazionali, che tendono a garantire la mobilità di studenti e laureati attraverso procedure di riconoscimento non solo di titoli, ma anche dei “cicli e periodi di studio svolti all’estero … ai fini … del proseguimento degli studi universitari”, la cui competenza è demandata alle “Università … che la esercitano nell’ambito della loro autonomia” ( art. 2 L. n. 148 del 2002 ); garanzia, questa, che sarebbe gravemente ostacolata, senza alcuna giustificazione adeguata, dalla pretesa di negare la valutazione sul merito degli studii effettuati all’estero e quindi l’accesso universitario in mancanza del superamento di “apposite prove di cultura generale” dettate esclusivamente per gli studenti che chiedono di iscriversi al primo anno.

– in realtà, la “predisposizione” di uno studente che abbia già effettuato un percorso formativo all’estero, e che magari sia prossimo alla laurea, è ormai superata dallo stesso percorso di studii fino ad allora effettuato, mentre la capacità ed il merito di tali studenti ( il cui diritto ex art. art. 34, comma 2, Cost. ad attingere ai gradi più alti degli studi la Corte Costituzionale ha ritenuto, con la sentenza n. 383/1998, equamente contemperato col diritto di accedere all’istruzione universitaria per effetto del sistema approntato dalla regolamentazione nazionale per l’accesso alla facoltà di medicina ) vanno accertati, ai fini della iscrizione ad anni successivi al primo presso l’università italiana di destinazione, mediante una rigorosa valutazione di quel percorso, affidata alle Università, da effettuarsi anche mediante un riscontro della effettiva equipollenza delle competenze e degli standards formativi dell’Università di provenienza rispetto a quelli assicurati dall’istruzione universitaria nazionale, la cui presunta “superiorità” è in fin dei conti preconcetta, o, come accortamente osservato dall’Ordinanza di rimessione, “assertiva e sostanzialmente assiomatica”.

Del resto, a voler seguire le obiezioni che fanno riferimento ai detti inconvenienti, elusivo finirebbe per configurarsi anche lo stesso conseguimento di un titolo di studio all’estero, il cui riconoscimento è tuttavia garantito, se pure a certe condizioni.

Deve allora a fortiori ritenersi ugualmente garantito nell’ordinamento nazionale il riconoscimento di “segmenti” di formazione compiuti all’estero ( parimenti previa valutazione concreta dei loro contenuti e caratteristiche ), che non solo, come osservato dall’Ordinanza di rimessione, “non appare … in alcuna misura precluso da principi, normative e prassi vigenti”, ma è espressamente previsto dalla Convenzione di Lisbona come dal nostro Paese ratificata.

Il problema “elusione”, e quello connesso “intransigenza/lassismo”, si risolvono invero non con la creazione di percorsi ad ostacoli volti ad inibire la regolare fruizione di diritti riconosciuti dall’ordinamento, ma predisponendo ed attuando un rigido e serio controllo, affidato alla preventiva regolamentazione degli Atenei, sul percorso formativo compiuto dallo studente che chieda il trasferimento provenendo da altro Ateneo; controllo che abbia riguardo, con specifico riferimento alle peculiarità del corso di laurea di cui di volta in volta si tratta, agli esami sostenuti, agli studii teorici compiuti, alle esperienze pratiche acquisite (ad es., per quanto riguarda il corso di laurea in medicina, attraverso attività cliniche), all’idoneità delle strutture e delle strumentazioni necessarie utilizzate dallo studente durante quel percorso, in confronto agli standards dell’università di nuova accoglienza.

Peraltro, una generalizzata prassi migratoria ( prima in uscita da parte degli studenti che non abbiano inteso sottoporsi o che non abbiano superato la prova nazionale di ammissione e poi in ingresso da parte degli stessi studenti che abbiano compiuto uno o più anni di studii all’estero ) in qualche modo elusiva nel senso di cui sopra è da escludersi sulla base dell’indefettibile limite dei posti disponibili per il trasferimento, da stabilirsi in via preventiva per ogni accademico e per ciascun anno di corso dalle singole Università sulla base del dato concernente la concreta potenzialità formativa di ciascuna, alla stregua del numero di posti rimasti per ciascun anno di corso scoperti rispetto al numero massimo di studenti immatricolabili ( non superiore alla offerta potenziale ch’esse possono sostenere ) per ciascuno di quegli anni ad esse assegnato.

Siffatto limite ( generalmente esiguo in quanto risultante da mancate iscrizioni degli idonei nelle selezioni di ammissione degli anni precedenti o da cessazioni degli studii o da trasferimenti in uscita ) costituisce parametro di contrasto sufficientemente efficace rispetto al temuto movimento migratorio elusivo, come dimostra nella fattispecie all’esame lo stesso Manifesto degli studi oggetto del giudizio, che, a fronte dei 225 posti disponibili per l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, stabilisce, alla voce “trasferimenti”, che “il numero massimo di Studenti trasferiti che potranno essere iscritti ad ogni di corso è cinque”.

  1. – Sulla base delle considerazioni che precedono, l’appello dell’Amministrazione all’esame, che contrasta la sussistenza dei vizii di violazione delle norme partecipative e di difetto di istruttoria ravvisati dal T.A.R. sulla base del solo assunto che l’Università “nel negare il nulla osta al trasferimento ha dato esecuzione a norme vincolanti cosicché non le può essere contestato alcun difetto di istruttoria né di difetto di comunicazione del preavviso di diniego” ( pagg. 4 – 5 app. ), dev’essere respinto, dovendo, come s’è visto, escludersi che la possibilità per gli odierni appellati di transitare alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Messina possa, sulla base, della vigente normativa nazionale ed Europea, essere condizionata all’obbligo del test di ingresso previsto per il primo anno, che non può essere assunto come parametro di riferimento per l’attuazione del “trasferimento” in corso di studii, salvo il potere/dovere dell’Università di concreta valutazione, sulla base dei parametri sopra indicati, del “periodo” di formazione svolto all’estero e salvo altresì il rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall’Università stessa per ogni accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.
  2. – Il ricorso, previa dichiarazione di inammissibilità dell’atto di intervento ad opponendum, va quindi respinto, con conseguente conferma, nei sensi di cui in motivazione, della sentenza impugnata.

Le spese del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti, alla luce dei contrasti giurisprudenziali esistenti sulla questione controversa.

 

P.Q.M.

 

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe:

– dichiara inammissibile l’atto di intervento ad opponendum;

– respinge l’appello e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 19 novembre 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Adunanza Plenaria – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Riccardo Virgilio, Presidente

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Stefano Baccarini, Presidente

Alessandro Pajno, Presidente

Raffaele Maria De Lipsis, Presidente

Marzio Branca, Consigliere

Vito Poli, Consigliere

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Deodato, Consigliere

Nicola Russo, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore

Sergio De Felice, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Alessandro Corbino, Consigliere