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Diritto Penale. Il denaro oggetto del prezzo o profitto del reato è sempre aggredibile con la confisca in forma specifica.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Con la sentenza n. 2336 del 2015, la sesta sezione penale della Cassazione ha avuto modo di delimitare i confini tra confisca per equivalente e in forma specifica.

I fatti della controversia in esame partivano da un sequestro preventivo preordinato alla confisca per equivalente di somme di denaro corrispondenti alla condotta appropriativa di peculato.

La linea della difesa si svolgeva sulla base della circostanza, secondo la quale la confisca per equivalente del profitto del reato è stata introdotta a seguito della legge 190 del 2012.

Data la natura sanzionatoria di tale misura, questa non può trovare applicazione in relazione a fatti anteriori alla sua entrata in vigore.

La Cassazione, tuttavia, sposta il problema su un altro piano.

Invero, delinea l’irrilevanza della qualificazione del denaro oggetto del sequestro alla stregua di prezzo (sempre confiscabile nella forma per equivalente) o profitto (confiscabile per equivalente solo  dopo l’entrata in vigore della legge del 2012), affermando che, nel caso di specie, non si tratta di applicare la misura della confisca per equivalente, bensì di quella in forma specifica.

Invero, essendo bene fungibile per eccellenza, il denaro sottoposto a vincolo di indisponibilità deve soltanto corrispondere al valore della somma formata dal prezzo o dal profitto del reato, non occorrendo accertare alcun nesso pertinenziale tra il reato contestato e il cespite monetario da sottoporre a futura confisca.

Qualora, cioè, il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo essere equivalente all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare.

 

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-01-2015) 19-01-2015, n. 2336

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Giovanni – Presidente –

Dott. PAOLONI Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. CITTERIO Carlo – Consigliere –

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C.A., nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 19/06/2014 del Tribunale di Ferrara;

esaminati gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;

udita la relazione del consigliere Dott. PAOLONI Giacomo;

udito il Pubblico Ministero in persona del sostituto Procuratore generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso chiedendo il rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale sollevata in udienza dal difensore, perchè tardiva in quanto andava prospettata al Tribunale del riesame, e il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’avv. FRAGASSO Emanuele, che ha insistito per l’annullamento della ordinanza impugnata.

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

  1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara, ritenuta -sul presupposto della commissione del reato “interamente all’estero”- la propria competenza ai sensi dell’art. 10 c.p.p., comma 2, ha iscritto procedimento penale nei confronti di C. C., P.C.A. e A.A. in ordine al delitto di peculato per essersi appropriati, in concorso e previo accordo tra loro, della complessiva somma di Euro 3.170.000 sottratta al finanziamento di euro 54 milioni erogato dal Governo italiano a favore del progetto di riqualificazione del territorio iracheno denominato New Eden, gestito dalla o.n.g. destinatarie dei fondi Nature Iraq (in precedenza Iraq Foundation). Condotta appropriativa – sottrattiva attuata dal C. quale direttore generale del Ministero dell’Ambiente firmatario dei provvedimenti di erogazione dei fondi italiani, dall’ A. quale presidente e amministratore di Nature Iraq, dal P.C. quale intermediario finanziario, poichè – ricevuti i fondi – la società Nature Iraq formava una provvista “in nero” di Euro 3.170.000 (attraverso emissione di false fatture emesse dalla società olandese GBC in favore di Nature Iraq), facendola confluire su un conto svizzero presso la UBS di Lugano intestato al P.; somma successivamente suddivisa, entro il giugno 2011, in Euro 2.030.000 a favore del P. e in Euro 1.020.000 in favore del C..
  2. Accogliendo la richiesta del procedente p.m., il g.i.p. del Tribunale di Ferrara con decreto del 23.5.2014 ha ordinato il sequestro preventivo per equivalente (art. 321 c.p.p., art. 322 ter c.p.) delle somme corrispondenti alle rispettive appropriazioni riferibili al C. e al P.. In particolare e tra l’altro il g.i.p. ha disposto per il P. il sequestro della somma di euro 2.030.000 riversata attraverso vari passaggi e giacente sul suo conto corrente cifrato svizzero denominato “Sole” (decreto, p. 32).
  3. Giudicando ex art. 324 c.p.p., sulla richiesta di riesame del provvedimento di sequestro avanzata dalla difesa del P., il Tribunale di Ferrara con l’ordinanza del 19.6.2014 indicata in epigrafe ha respinto il gravame e confermato il decreto di sequestro preventivo.

I giudici del riesame hanno disatteso il rilievo difensivo secondo cui erroneamente il g.i.p. disponente la misura cautelare reale avrebbe imputato l’indicata somma di Euro 2.030.000 a sostanziale profitto del reato ascritto al P., poichè l’estensione del sequestro per equivalente al profitto, oltre che al prezzo, del reato è stata introdotta soltanto con la L. 6 novembre 2012, n. 190, cioè in epoca successiva ai fatti integranti la regiudicanda cautelare.

Al riguardo il Tribunale, premessa la riconducibilità del sequestro anche alle somme giacenti su un conto corrente (alimentato da fondi rientrati dalla Svizzera) intestato alla madre dell’indagato presso la banca Fideuram (essendo il P. munito di delega di firma ad operare in autonomia sul conto), ha osservato che le somme attinte dal sequestro sono congruamente qualificabili, alla stregua delle emergenze bancarie afferenti ai conti svizzeri del C. e dello stesso P., come prezzo del reato. Precisamente come prezzo dei servizi resi dal P. al coindagato C. e al deceduto M.L. (destinatario di Euro 120.000 sottratti ai finanziamenti per l’Iraq) mediante “la propria rete di conoscenze nel mondo finanziario internazionale per la pulitura dei fondi attraverso i diversi passaggi di fatturazione, ipotizzata falsa, dell’olandese GBC alle o.n.g. irachene”.

  1. Il difensore dell’indagato ha impugnato per cassazione il provvedimento del riesame, deducendo con articolato motivo l’erronea applicazione dell’art. 322 ter c.p. e art. 321 c.p.p. nei termini di seguito sintetizzati.

La confisca per equivalente cui è finalizzato il decreto di sequestro preventivo non è applicabile nella vicenda concernente il P., perchè il profitto del reato è divenuto confiscabile per equivalente solo in seguito alla novella dettata dalla L. n. 190 del 2012, entrata in vigore dopo la commissione dei fatti criminosi attribuiti al P. e riferibili ad un periodo temporale compreso (come da imputazione provvisoria) tra il dicembre 2007 e il giugno 2011. Con la conseguenza che in caso di condanna per l’ascritto delitto di peculato il profitto del reato non potrebbe essere confiscato, stante la riconosciuta natura sanzionatoria di tale confisca, che impedirebbe un’applicazione retroattiva dell’istituto (Sez. U, n. 18374 del 31.1.2013, Adami, Rv. 255037). Anteriormente alla citata novella normativa del 2012 la giurisprudenza di legittimità nelle ipotesi di peculato ha sempre circoscritto il sequestro per equivalente al solo prezzo del reato, mai estendendolo anche al profitto (in tal senso: Sez. U, n. 38691 del 25.6.2009, Caruso, Rv. 244189).

Quanto alla qualificazione, come prezzo o profitto del reato, delle somme di cui si sostiene essersi appropriato il ricorrente, l’ordinanza del riesame ritiene di configurarle come prezzo del reato, costituendo il corrispettivo dei “servizi” di interposizione finanziaria resi dall’indagato al pubblico ufficiale C. e ad altri terzi. Ma, se il prezzo del reato è la ricompensa girata al funzionario pubblico dal privato, la parte restante dell’ipotizzato “utile illecito”, vale a dire quella destinata al privato, non può che costituire il profitto del reato di peculato conseguito dallo stesso soggetto privato. L’assunto del Tribunale estense, che riconduce la ricompensa al pubblico ufficiale e il residuo utile illecito nella categoria del prezzo di reato, confligge con l’imputazione provvisoria elevata nei confronti del P., cui si attribuisce una attività di “pulitura” o dissimulato occultamento dei fondi pubblici sottratti grazie al funzionario pubblico.

Ma una operazione di “pulitura” di denaro (categoria giuridica, per altro, indefinita) non può essere fatta rientrare nello schema del concorso nel reato di peculato, che ha per oggetto una appropriazione o distrazione di fondi pubblici.

  1. Nella odierna discussione il difensore del ricorrente ha eccepito in limine l’incompetenza territoriale del Tribunale di Ferrara e dello stesso g.i.p. emittente la misura cautelare reale, segnalando – con produzione di copia degli atti – che:
  2. a) adito ai sensi dell’art. 54 quater c.p.p., comma 3, il Procuratore Generale presso questa S.C. ha designato in quello del Procuratore della Repubblica di Roma l’ufficio del pubblico ministero che deve procedere alle indagini preliminari in base alla regola suppletiva di determinazione della competenza territoriale dettata dall’art. 9 c.p.p., comma 1, a Roma essendo avvenuta la parte iniziale della vicenda criminosa attraverso la firma dei provvedimenti di erogazione dei finanziamenti italiani in favore dell’Iraq da parte dell’indagato C. nella sua qualità di direttore generale del Ministero dell’Ambiente;
  3. b) il pubblico ministero presso il Tribunale di Roma ha esercitato l’azione penale nei confronti degli indagati C. e P., chiedendone il rinvio a giudizio immediato in ordine ai fatti criminosi loro ascritti a titolo di corruzione attiva e passiva (così diversamente qualificate le condotte definite ai sensi dell’art. 314 c.p. dal p.m. di Ferrara), “per avere A. (giudicato separatamente) retrocesso a C., per il tramite di P., parte del finanziamento a fondo perduto erogato di Ministero dell’Ambiente a favore del progetto New Eden” iracheno;
  4. c) il g.i.p. del Tribunale di Roma con decreto emesso in data 11.11.2014 ha fissato giudizio dibattimentale immediato per l’udienza del 12.3.2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. L’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa del P. va disattesa e il ricorso deve essere rigettato per infondatezza delle dedotte censure.

  1. Con riferimento alla incompetenza per territorio ex art. 21 c.p.p., comma 2 del giudice per le indagini preliminari e dei giudici del riesame del Tribunale di Ferrara eccepita in udienza dai difensore del ricorrente è agevole osservare che la stessa si basa su eventi e situazioni processuali estranei ai motivi di impugnazione enunciati con il ricorso e riguardanti i successivi sviluppi del procedimento penale che vedono allo stato il P. imputato del reato di corruzione attiva per atto contrario ai doveri di ufficio del funzionario pubblico corrotto (il coimputato C.).

2.1. In primo luogo è ben vero che -come adduce il difensore del ricorrente- la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’incompetenza per territorio del giudice procedente può essere sollevata per la prima volta, in materia cautelare (personale o reale), anche in cassazione. Ma, come si evince da tutte le decisioni di legittimità evocate dal difensore, tale possibilità non può che essere sempre subordinata ad una duplice condizione, costituita -da un lato- dalla proposizione dell’eccezione con il medesimo ricorso e -da un altro lato- dalla indicazione di elementi specifici che trovino i propri referenti nel provvedimento impugnato (o in atti che ne siano necessario presupposto) e non su dati di fatto mai introdotti davanti al giudice di merito o, ancor meno, sui quali si rendano necessarie valutazioni e verifiche estranee al giudizio di legittimità e che focalizzino l’ipotizzata violazione della legge processuale in tema di competenza ratione loci su emergenze fattuali il cui accertamento è precluso al giudice di legittimità (cfr.:

Sez. 2^, n. 4548/05 del 2.12.2004, Ruggiero, Rv. 231139; Sez. 6^, n. 25835 del 4.6.2010, Franzè, Rv. 247776; Sez. 6^, n. 13096 del 5.3.2014, De Santis, Rv. 259505).

Condizioni, queste, entrambe insussistenti nel caso oggetto di ricorso.

Nè può dimenticarsi, del resto, che la competenza è istituto che riguarda l’attività del giudice di merito, ogni provvedimento giurisdizionale presupponendo l’implicita affermazione della propria competenza da parte del giudice che lo emette. Situazione che per le ordinanze cautelari genetiche è agevole evincere dal combinato disposto dell’art. 291 c.p.p., comma 2 e art. 27 c.p.p., che attribuiscono al giudice il potere di accogliere la richiesta cautelare del p.m., in condizioni di urgenza, anche quando riconosca e dichiari la propria incompetenza. Potere che va riconosciuto anche al giudice dell’impugnazione, posto che (come chiarito dalle Sezioni Unite di questa S.C.: Sez. U, n. 1 del 24.1.1996, Fazio, Rv. 204164) la pronuncia di incompetenza in ordine a provvedimenti cautelari oggetto di gravame produce, al pari della declaratoria di incompetenza del giudice disponente la misura cautelare, l’inefficacia differita, ex art. 27 c.p.p., della stessa misura cautelare.

2.2. In secondo luogo nel descritto contesto processuale, in assenza -merita ribadire- di una delibazione sulla propria competenza (positiva o negativa) da parte del giudice procedente (sia esso il Tribunale di Ferrara o, oggi allo stato, il Tribunale di Roma), nessun peculiare peso può annettersi all’intervenuta determinazione della competenza del pubblico ministero presso il Tribunale di Roma adottata dal Procuratore Generale presso questa Corte ai sensi dell’art. 54 quater c.p.p., comma 3.

Al riguardo è appena il caso di osservare, infatti, che tale provvedimento riveste una tipica natura “organizzatoria” dell’attività di una parte processuale (la pubblica accusa) e non produce alcun effetto sull’efficacia delle misure cautelari già adottate, sulla quale possono incidere soltanto i provvedimenti dichiarativi di incompetenza pronunciati dal giudice con riferimento alle misure da lui stesso disposte. E’ soltanto la formale dichiarazione di incompetenza del giudice che determina, infatti, l’inefficacia della misura cautelare (personale o reale) che non sia stata rinnovata dal giudice competente nei venti giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti ex art. 27 c.p.p. (Sez. U, n. 12823 del 25.3.2010, Mones, Rv. 246273).

Erroneamente, dunque, la difesa del P. omologa gli effetti della dichiarazione giudiziale di incompetenza per territorio a quelli del provvedimento del Procuratore Generale (presso la Corte di Appello o presso questa Corte) che disponga nei casi controversi l’individuazione dell’ufficio di Procura che deve procedere;

provvedimento, questo, che afferisce al riparto di attribuzioni e competenze interne all’organo del pubblico ministero e non è idoneo a invalidare un atto giurisdizionale (v: Sez. 4^, n. 15127 del 6.3.2006, Barbato, Rv. 233962; Sez. 6^, n. 23853 del 7.5.2013, Burinato, Rv. 256606; in termini: Sez. 5^, n. 26586 del 9.4.2014, Trivelli, Rv. 260568: “Il provvedimento con cui il Procuratore Generale individua la competenza di una determinata Procura a procedere per il reato ipotizzato, in data successiva all’adozione di un decreto di sequestro preventivo, ha natura organizzatoria e non spiega effetto sull’efficacia della misura cautelare reale, sulla quale incidono unicamente i provvedimenti dichiarativi di incompetenza del giudice che l’abbia disposta”).

  1. Le critiche sollevate con il ricorso in punto di qualificazione come prezzo (consentita) o come profitto (non consentita, trattandosi di connotazione introdotta dal legislatore in epoca successiva alla condotta criminosa) del reato di peculato ascritto al P. sono infondate. Critiche che nascono da un errato inquadramento prospettico, frutto di disattenta lettura dell’art. 322 ter c.p., dell’istituto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (o per “valore corrispondente”, come recita la norma), in cui appaiono essere incorsi anche i giudici del riesame.

E’ agevole osservare, infatti, che il sequestro preventivo ordinato dal g.i.p. del Tribunale di Ferrara della somma di Euro 2.030.000 giacente sui conti bancari del P. è avvenuto in forma “diretta”, quale prezzo o profitto del reato. Sequestro concretamente disposto ai sensi dell’art. 322 ter c.p., comma 1, prima parte e non per equivalente valore (comma 1, seconda parte), come si suppone nel ricorso e nella stessa impugnata ordinanza del riesame.

La L. n. 190 del 2012, ha aggiunto alla confisca per equivalente del prezzo del reato anche l’omologa confisca per equivalente del profitto del reato, laddove prezzo e/o profitto del reato rendono (e già rendevano) sempre possibile -in alternativa tra loro o insieme- l’obbligatoria diretta ablatio del denaro frutto dell’uno o dell’altro o di entrambi. Donde la giuridica irrilevanza, nel caso in esame del tema del corretto inserimento del compendio pecuniario sottoposto a sequestro nelle nozioni di profitto o di prezzo del reato. Irrilevanza che, giova rimarcare, vale ovviamente anche per il reato di corruzione oggi contestato al P., stante la latitudine applicativa dell’art. 322 ter c.p., comma 1.

Nel caso del ricorrente P. il prezzo o il profitto (o, in parti diverse, l’uno e l’altro) delle illecite condotte ascrittegli è costituito da numerario, bene fungibile per definizione. Di tal che ne diviene obbligatoria la confisca (“…è sempre ordinata la confisca…”) in forma specifica e non per equivalente (cfr.: Sez. 6^, n. 30966 del 14.6.2007, Puliga, Rv. 236984; Sez. 6^, n. 14174/10 del 26.11.2009, Canalia, Rv. 246721; Sez. 2^, n. 21228 del 29.4.2014, Riva Fire S.p.A., Rv. 259717). In altri termini il denaro sottoposto a vincolo di indisponibilità deve soltanto corrispondere al valore della somma formata dal prezzo o dal profitto del reato, non occorrendo accertare alcun nesso pertinenziale tra il reato contestato e il cespite monetario da sottoporre a futura confisca (v.

in termini: Sez. 3^, n. 1261/13 del 25.9.2012, Marseglia, Rv. 254175:

“Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare”).

Al rigetto dell’Impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2015

 

 

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Elisa Asprone
Elisa Asprone, nata a Napoli il 22/09/1986 Laurea in Giurisprudenza conseguita a 24 anni presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II", con votazione 110/110, con una tesi in diritto commerciale dal titolo "Violazione dell'obbligo di OPA e risarcimento del danno". Pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato. Diploma di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Master di I livello in diritto dell'Unione europea, conseguito presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" e breve esperienza formativa presso la Corte di Giustizia a Lussemburgo. Conseguimento titolo di Avvocato il 10/09/2013. Relatrice di convegni formativi presso l'ordine degli avvocati di Nola inerenti al diritto dell'immigrazione. Magistrato ordinario presso il tribunale di Napoli .