Diritto Amministrativo. Abuso edilizio tra D.I.A. e doverosità della tutela demolitoria
Massime
L’efficacia abilitante derivante dalla presentazione di una denncia d’inizio attività non può che prodursi con riferimento alla qualificazione dell’intervento dichiarata dallo stesso istante nella propria denuncia e nei limiti di tale qualificazione, dovendo negarsi che dalla d.i.a. possano discendere effetti diversi e ulteriori rispetto a quanto in essa dichiarato.
Ove il manufatto oggetto di demolizione non coincide non quello oggetto della denuncia non può ritenersi applicabile la disciplina di cui all’articolo 23 del d.P.R. 380/2001, in quanto non si è formato nessun titolo implicito rispetto alle opere oggetto di demolizione e nessun affidamento del privato da “tutelare” viene in evidenza con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta ad agire preliminarmente in autotutela.
TAR Puglia, sez. III, sent. 18 dicembre 2014 n. 1590.
- Il Casus decisus
Nel caso di specie, il ricorrente impugnava l’ordinanza del 2008 con la quale il responsabile dell’ UTC del Comune di Margherita di Savoia disponeva la demolizione delle opere abusive realizzate da quest’ultimo in zona EA3 e precisamente un “capannone delle dimensioni mt 30,10 x 15,70”.
Con d.i.a. presentata nel 2004, il ricorrente aveva preannunciato lavori di sistemazione del suolo e realizzazione di una tettoia in lamiera zincata; con successiva d.i.a., presentata nello stesso anno, il ricorrente comunicava l’apposizione di pannelli di lamiera coibentati come perimetrazione laterale della tettoia già esistente e l’installazione di impianti vari al fine di adibire la stessa a ricovero di derrate e mezzi agricoli.
Ciò premesso, nel corso di un sopralluogo effettuato nel gennaio 2006 da personale del nucleo di polizia edilizia, veniva accertato che il capannone era stato chiuso su tre lati da muro in cemento armato per un’altezza di mt. 2,60 con sovrastante pannellatura in coibentati fino all’altezza della copertura, mentre solo pannelli coibentati risultavano sul lato destinato all’accesso.
Sulla scorta di tali presupposti, l’UTC adottava la predetta ingiunzione di demolizione, siccome – a quanto si legge nell’ordinanza – il manufatto era stato realizzato “in assenza totale di permesso di costruire” ed in contrasto con le NTA e con il regolamento edilizio.
Il ricorrente, senza negare in punto di fatto quanto emergeva dall’atto sanzionatorio, impugnava l’ingiunzione di demolizione affidando, in particolare, il gravame al motivo di ricorso attinente la violazione dei principi generali in materia di esercizio dei poteri di autotutela.
Nello specifico, l’ordine di demolizione non avrebbe tenuto conto degli effetti della d.i.a., consolidatasi per il decorso del termine previsto per l’esercizio del potere inibitorio e non rimossa previamente dal Comune in autotutela.
- Quaestio Iuris. Sulle condizioni di efficacia della D.I.A.
Tanto premesso in fatto, preme rilevare che in materia di denuncia di inizio attività (DIA), come disciplinata dall’art. 22 del D.P.R. 6 guigno 2001, n. 380, sussistono tuttora diversi indirizzi giurisprudenziali, che investono sia la natura giuridica dell’istituto, sia gli effetti del decorso del termine, che consente al dichiarante di effettuare gli interventi edilizi oggetto di denuncia.
In particolare:
- in alcune pronunce si ravvisa in esito alla procedura in questione la formazione di un provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento: cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 5.4.2007, n. 1550; Cons. St., sez. IV, 12.3.2009, n. 1474 e 25.11.2008, n. 5811; Cons. St., sez. II, 28.5.2010, parere n. 1990;
- in altre decisioni si identifica la DIA come atto privato di autocertificazione, che pur non costituendo espressione di potestà pubblicistica resta oggetto di poteri di controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del predetto termine, sempre comunque nel rispetto degli articoli quinquies e nonies della L. n. 241 del 1990: cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 717 e 14.11.2012, n. 5751);
Le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, tuttavia, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la DIA deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate – in quanto prive di titolo abilitativo – agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati, oltre che nell’art. 22 sotto il profilo oggettivo, nell’art. 23 del citato D.P.R. n. 380 del 2001: al comma n. 1 di quest’ultimo, per quanto riguarda le modalità della domanda ed i requisiti soggettivi richiesti per la relativa presentazione, e nel comma 4 in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la cui tutela non compete all’Amministrazione comunale. E’ poi chiarito al comma 5 del medesimo articolo 23 che, per comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche “gli atti di assenso eventualmente necessari“.
- Segue. Sulla validità dell’ingiunzione di demolizione successiva alla presentazione della D.I.A.
Non può dubitarsi che, a seguito della presentazione della denuncia d’inizio attività, il decorso del tempo determini il consolidarsi del titolo con conseguente necessità della sua preventiva rimozione, in vista dell’assunzione di iniziative sanzionatorie.
Questo principio trova, però, applicazione sul presupposto della corrispondenza di quanto dichiarato alla situazione di fatto e di diritto esistente, e con esclusivo riguardo alla tipologia di intervento che l’istante dichiara di voler realizzare.
Ciò in ragione della ratio stessa dell’istituto della denuncia d’inizio attività, la quale consente una semplificazione procedimentale sulla base di una diretta assunzione di responsabilità da parte del cittadino.
“Deve escludersi, pertanto, che la presentazione della denuncia possa produrre un effetto legittimante alla realizzazione di opere edilizie laddove essa rechi dichiarazioni incomplete o addirittura non conformi alla situazione di fatto e di diritto esistente. Inoltre, come detto, l’efficacia abilitante non può che prodursi con riferimento alla qualificazione dell’intervento dichiarata dallo stesso istante nella propria denuncia e nei limiti di tale qualificazione, dovendo parimenti negarsi che dalla d.i.a. possano discendere effetti diversi e ulteriori rispetto a quanto in essa dichiarato” (Tar Lombardia, Milano, sez. II, sent. 18/6/14 n. 1406).
Le opere oggetto di demolizione, infatti, non figuravano nel caso di specie tra quelle riferite nelle d.i.a. presentate dal ricorrente nell’anno 2004 per cui non non può ritenersi applicabile la disciplina di cui all’articolo 23 del d.P.R. 380/2001, in quanto nessun titolo implicito si sarebbe formato rispetto alle opere in contestazione e nessun affidamento del privato da “tutelare” viene in evidenza con la conseguenza che l’amministrazione non era, quindi, tenuta ad agire preliminarmente in autotutela (in termini, TAR Campania, sez. VI, 8/5/14 sent. n. 2525).
Parte ricorrente, pertanto, del tutto erroneamente lamentava la violazione dei principi in tema di autotutela per non aver il Comune instaurato alcun procedimento di secondo grado atteso che la demolizione deve ritenersi atto dovuto sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata irregolarità dell’intervento, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso – anche se risalente nel tempo – senza necessità di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti o sacrificati. L’ordinanza di demolizione è, infatti, espressione di potere autoritativo non soggetto a prescrizione o decadenza, posta la prevalenza dell’aspettativa della collettività a vedere rispettate le norme in materia edilizia ed urbanistica, rispetto all’affidamento del contravventore a vedere conservata l’opera abusiva (TAR Lazio, sez. I quater, 9/9/14 sent. n. 9525).
- L’affidamento del privato su una situazione di fatto contra ius
Recentemente il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza pronunciata in data 22-09-2014, n. 4780 – ribadendo l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato secondo cui la denuncia d’inizio attività formerebbe un provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento – ha affermato che la d.i.a. “una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela”.
Tale modus operandi violerebbe le garanzie previste dall’art. 19 L. n. 241 del 1990 che, in presenza di una d.i.a. illegittima, consente all’Amministrazione di “intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo”.
Ebbene, tali argomentazioni paiono porsi in contrasto con la giurisprudenza costante dei giudici di Palazzo Spada.
L’Amministrazione, intervenendo con un provvedimento repressivo avente ad oggetto lavori già oggetto di una d.i.a senza previamente annullarla in autotutela, oblitererebbe l’affidamento legittimamente ingeneratosi in capo al privato, a seguito del tempo trascorso dalla d.i.a.
Invero, sul punto, il Consiglio di Stato ha recentemente chiarito, con indirizzo del tutto condivisibile, che “anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, delD.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a. e può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento” (Cons. Stato sez. IV, sent. 12 febbraio 2010 n. 781), avendo specificato che “l’esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi rappresenta, in via generale, una delle imprescindibili modalità di cura dell’interesse pubblico affidato all’una od all’altra branca dell’amministrazione ed è espressione del principio di buon andamento, di cui all’art. 97, Cost.“, e che “nella specifica materia dell’attività urbanistico-edilizia, un potere specifico di vigilanza (esercitabile, per la sua stessa natura, anche mediante provvedimenti innominati), volto ad assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, è affidato dalla legge al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale (art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001)” (cfr. da ultimo, Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-01-2015, n. 365; Cons. Stato Sez. VI, Sent., 10-03-2014, n. 1084).
La doglianza relativa al lasso temporale intercorso tra la presentazione della d.i.a. e la successiva ordinanza di demolizione appare, quindi, inconferente.
A riguardo, si osserva che “la tesi giurisprudenziale, secondo cui vi è l’obbligo dell’Amministrazione di motivare circa le ragioni di pubblico interesse alla demolizione se, per il lungo lasso di tempo trascorso, si sia formato nel privato contravventore, a causa dell’inerzia mantenuta dai pubblici poteri, un affidamento sulla legittimità dell’opera, non è confortata dalla sussistenza di alcuna espressa previsione normativa in tale senso. Al contrario, a siffatta interpretazione sembrano ostare la natura rigidamente vincolata del potere sanzionatorio–repressivo degli abusi edilizi, nonché il dato giuridico per cui la sanzione demolitoria, più che a punire il responsabile dell’abuso, è volta a ripristinare la situazione antecedente alla violazione, ponendo un rimedio ai fenomeni di compromissione del territorio. Ne discende che il mero decorso del tempo non è sufficiente a far insorgere un affidamento sulla legittimità dell’opera o, comunque, sul consolidamento dell’interesse del privato alla sua conservazione, né, per conseguenza, ad imporre la necessità di una specifica motivazione in ordine all’esistenza di un interesse pubblico prevalente. Infatti, l’unico interesse, la cui tutela è rimessa dal legislatore alla sanzione demolitoria, è l’interesse al ripristino dell’assetto del territorio preesistente all’abuso, tipizzato come prevalente dallo stesso legislatore. In definitiva, il potere di irrogare delle sanzioni in materia edilizia ed urbanistica può essere esercitato in ogni tempo, posto che la legge non lo sottopone a termini di prescrizione, né di decadenza, e che riguarda una situazione di illiceità permanente, ossia una situazione di fatto attualmente contra ius. Esso, inoltre, non necessita di specifica motivazione in relazione alla sussistenza dell’interesse pubblico ad irrogare la sanzione, neppure quando l’abuso sia stato commesso parecchi anni prima, non essendo configurabile nessun legittimo affidamento del contravventore a vedere conservata una situazione di fatto che, in disparte l’idoneità o meno del tempo a consolidarla, rimane contra ius” (così TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 8 novembre 2007, sentenza n. 6200, nonché ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 24/7/13 sent. n. 3810, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432).
- Considerazioni conclusive
In conclusione, non può ragionevolmente predicarsi né invocarsi alcuna situazione di legittimo affidamento in capo ad un soggetto che ha posto in essere un’attività contra ius, estrinsecatasi nell’avvenuta realizzazione di un manufatto edilizio in assenza di titolo legittimante, versando tale soggetto in una perdurante posizione di illiceità, relativamente alla quale già i giureconsulti romani avevano escluso la titolarità, sia pure in chiave processuale, di un diritto protetto dall’ordinamento, avendo elaborato il principio per cui “nemo censetur suam turpitudinem alligans“.
La profonda ragione di intima coerenza comportamentale che sottende quel broccardo può essere estesa e applicata sul versante procedimentale che definisce il prisma delle situazioni protette tal legislatore nello svolgersi della sequela del procedimento amministrativo per finire di negare tutela a tutte le situazioni e i rapporti amministrativi caratterizzati da una affidamento di mero fatto, non qualificato dall’essere incolpevole.
Chi ha presentato una denuncia d’inizio attività nel tentativo di legittimare un’opera assentibile mediante altro e diverso titolo abilitativo, si trova, dunque, in una posizione di eventuale affidamento non incolpevole e come tale non meritevole di tutela; parimenti, “chi ha realizzato un abuso edilizio, così come chi ha presentato un’istanza di condono non può di certo dolersi del fatto che l’Amministrazione lo abbia avvantaggiato, emanando a notevole distanza di tempo i provvedimenti repressivi dell’abuso non sanabile” (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. VII, 8 febbraio 2013 n. 830 ).
Infatti, le acquisizioni giurisprudenziali e prima ancora dottrinarie raggiunte in tema di tutela dell’affidamento postulano tutte che esso sia appunto meritevole di tutela perché incolpevole, non potendo pertanto essere estese a tutelare fenomeni comportamentali contrassegnati dalla colpevolezza.