Diritto Civile. Gli obblighi di correttezza e buona fede debbono improntare i rapporti tra le parti anche nell’eventuale fase patologica del rapporto.
Gli strumenti del processo esecutivo sono volti alla piena soddisfazione del diritto del creditore a percepire, almeno in sede di esecuzione forzata, quanto gli è dovuto dal debitore e non è stato spontaneamente pagato, ma non possono legittimamente essere utilizzati come strumenti di gratuita vessazione del debitore stesso al solo scopo pratico di moltiplicare le spese di esecuzione.
È ben vero che l’emissione di una ordinanza di assegnazione (accostata tradizionalmente dalla giurisprudenza ad una cessione pro solvendo) di per sé non integra una immediata e contestuale estinzione dell’obbligazione del debitore né al contempo comporta una immediata soddisfazione del creditore procedente, in quanto egli sarà pienamente soddisfatto soltanto con l’effettivo incasso delle somme assegnate allorché il terzo destinatario dell’ordinanza di assegnazione avrà provveduto ad effettuare il pagamento.
Questa Corte ha più volte affermato che, stante il principio della cumulabilità dei mezzi di esecuzione, l’emissione di una ordinanza di assegnazione in sé, non essendo immediatamente satisfattiva, non preclude di per sé la possibilità di ottenerne delle altre sempre in relazione allo stesso titolo e fino alla soddisfazione effettiva del credito (Cass. n. 13021 del 1992).
Si ritiene però che il principio della cumulabilità dei mezzi di espropriazione vada coordinato con il principio dell’abuso degli strumenti processuali.
Questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, negli ultimi anni, che costituisce abuso degli strumenti processuali la proposizione frazionata di una pretesa unitaria, a partire dal fondamentale arresto costituito da Cass. S.U. n. 23726 del 2007, secondo il quale “Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere
l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale”.
L’idea che gli obblighi di correttezza e buona fede non operino solo nella fase c.d. isiologica del contratto, ma debbano improntare i rapporti tra le parti anche nell’eventuale fase patologica del rapporto, in particolare nel corso dell’azione giudiziale conseguente all’inadempimento, in cui si coniugano con il principio del giusto processo è stata ribadita da ultimo da Cass. n. 9488 del 2014 (in tema di moltiplicazione dei procedimenti per la determinazione della indennità di esproprio), che ha posto in rilievo che l’inutile moltiplicazione delle azioni costituisca un abuso del processo – idoneo a gravare sia lo Stato che le parti dell’aumento degli oneri processuali, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivanti dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti e all’eventuale lievitazione dei costi a carico della parte soccombente.