Diritto Civile. Infortuni sul lavoro: responsabilità del datore e onere della prova del danneggiato.
Il tema degli infortuni sul lavoro ha afflitto e tutt’ora incombe nelle pagine delle sentenze della giurisprudenza di legittimità. Ancor più quando da qualche tempo la Suprema Corte ha affermato determinati principi in ordine alla risarcibilità del danno non patrimoniale e all’onere della prova.
Il caso di specie attiene ad un ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello già riformata a seguito di una cassazione della stessa con rinvio, che dichiarava il concorso di colpa del lavoratore nella misura del 40 % nella determinazione dell’occorso e condannava la società datoriale al risarcimento del danno biologico e da invalidità temporanea, ma non anche del danno morale poiché non richiesto temporaneamente con il ricorso introduttivo. Il lavoratore nel tentativo di voler recuperare uno straccio impigliato nei rulli di una macchina, aveva, nel voler procedere celermente al recupero, agito con il macchinario acceso, disattendendo le comuni regole di prudenza e di sicurezza, nonché le direttive datoriali. Al momento dell’incidente era presente anche l’addetto alla vigilanza ed osservanza delle misure di prevenzione che non aveva né interrotto il lavoro né avvisato la direzione aziendale, e per di più il sistema di spegnimento della macchina risultava posizionato altrove e sul luogo ove stava agendo il lavoratore.
Riguardo, invece, alla questione relativa alla ripartizione dell’onus probandi circa la ricostruzione del fatto e della determinazione della responsabilità dell’evento dannoso, la parte che subisce l’inadempimento pur non dovendo dimostrare la colpa dell’altra, fermo restando che è il datore di lavoro che deve provare ex art. 1218 c.c. che la non esatta esecuzione della prestazione deriva da causa a lui non imputabile, deve allegare e dimostrare il fatto materiale e le regole di condotta che si assumono essere state violate, provando che il lavoratore ha posto in essere un comportamento contrario alle comuni norme di diligenza, alle comuni norme di legge ed alle direttive datoriali che servono a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore. Al lavoratore, invece, compete dimostrare l’omissione da parte del datore dell’adozione di tutte le misure di sicurezza idonee ad evitare il danno e non la violazione di ipotetiche misure di prevenzione, in quanto l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva in capo al datore.
Per quanto attiene al mancato riconoscimento del danno morale, la Corte restando fedele ai principi già più volte enunciati (Cass. N.2886 del 2014; 21865 del 2013), afferma che il danno non patrimoniale non può mai ritenersi in re ipsa, ma deve essere tempestivamente allegato e provato da chi lo invoca.
Scarica la sentenza clicca qui