DIRITTO CIVILE. LA “VOCAZIONE NAZIONALE” DELLE TABELLE DI MILANO
Con la sentenza n. 10263 del 20.5.2015, la Suprema Corte di Cassazione ha cassato con rinvio una pronuncia della Corte di Appello di Genova che aveva utilizzato le tabelle di Genova anziché quelle di Milano per quantificare il danno morale sofferto dal fratello di un soggetto deceduto in seguito ad un sinistro stradale.
In particolare, nell’indicata sentenza, la Corte di Cassazione, richiamando molte sue pronunce sul punto, ha ribadito che le Tabelle di Milano “hanno ormai assunto una vocazione nazionale, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali – ingiustificate disparità di trattamento che finivano per profilarsi in termini di violazione dell’art. 3 Cost., comma 2”.
Pertanto, ad avviso della Suprema Corte, i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale e, di conseguenza, la mancata adozione da parte del giudice di merito delle predette Tabelle in favore di altre – come verificatosi nel caso in esame – integra una violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-05-2015, n. 10263
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 22230/2011 proposto da:
C.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato VALENTINO GENTILE, rappresentato e difeso dall’avvocato CALZOLARI LUIGI, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FONDIARIA SAI SPA in persona del legale rappresentante Dott. S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato CARDIA MARCO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
D.G.M., L.A., P.S., V.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 958/2010 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 1/9/2010, R.G.N. 1606/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/02/2015 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito l’Avvocato LUIGI CALZOLARI;
udito l’Avvocato GIANLUCA MARUCCHI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 1/9/2010 la Corte d’Appello di Genova ha respinto i gravami interposti dal sig. C.D. (in via principale) e dalla società Fondiaria-Sai s.p.a. (in via incidentale) in relazione alla pronunzia Trib. La Spezia, di parziale accoglimento della domanda proposta dalle signore P.S. e C. M. nei confronti dei sigg. V.M. e D.G. M. nonchè della compagnia assicuratrice La Fondiaria Assicurazioni s.p.a. di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di sinistro stradale all’esito del quale era deceduto in data (OMISSIS) il loro, rispettivamente, marito e padre sig. C.A., in ragione del ravvisato concorso di colpa del medesimo nella determinazione del medesimo nella misura del 30%.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il sig. C.D. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo, illustrato da memoria.
Resiste con controricorso la società Fondiaria-Sai s.p.a..
Motivi della decisione
Con unico complesso motivo il ricorrente denunzia “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamenta che erroneamente la corte di merito ha quantificato il danno morale sofferto, quale fratello della vittima, in base alle Tabelle di Genova anzichè di quelle di Milano.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, i criteri di valutazione equitativa, la cui scelta e adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, debbono essere idonei a consentire di addivenirsi ad una liquidazione congrua, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (v., da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1361).
In tema di liquidazione del danno l’equità si è infatti in giurisprudenza intesa nel significato di “adeguatezza” e di “proporzione”, assolvendo alla fondamentale funzione di “garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale”, con eliminazione delle “disparità di trattamento” e delle “ingiustizie” (così Cass., 7/6/2011, n. 12408: “equità non vuoi dire arbitrio, perchè quest’ultimo, non scaturendo da un processo logico-deduttivo, non potrebbe mai essere sorretto da adeguata motivazione. Alla nozione di equità è consustanziale l’idea di adeguatezza e di proporzione. Ma anche di parità di trattamento”).
I criteri da adottarsi al riguardo debbono consentire pertanto una valutazione che sia equa, e cioè adeguata e proporzionata (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, in ossequio al principio per il quale il danneggiante e il debitore sono tenuti al ristoro solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento ad essi causalmente ascrivibile (v., da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1361).
Essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è altresì da escludersi che l’attività di quantificazione del danno sia di per sè soggetta a controllo in sede di legittimità, se non sotto l’esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr., da ultimo, Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 19/5/2010, n. 12918; Cass., 26/1/2010, n. 1529), giacchè il giudice è tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali e, perchè la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che fornisca l’indicazione, anche se sommariamente, delle ragioni del processo logico sul quale essa è fondata (cfr. Cass., 30/5/2002, n. 7896; Cass., 30/5/1995, n. 6061;
Cass., 4/5/1989, n. 2074; Cass., 13/5/1983, n. 3273).
A tale stregua, la quantificazione di un ammontare che si prospetti non congruo rispetto al caso concreto, in quanto irragionevole e sproporzionato per difetto o per eccesso (v. Cass., 31/8/2011, n. 17879), e pertanto sotto tale profilo non integrale, depone nel senso di adozione di un sistema di quantificazione per ciò stesso a palesarsi inidoneo a consentire al giudice di pervenire ad una valutazione informata ad equità, legittimando i dubbi in ordine alla sua legittimità.
Valida soluzione si è ravvisata essere invero quella costituita dal sistema delle tabelle (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972. V. altresì Cass., 13/5/2011, n. 10527).
Pur se oggetto di forti critiche in dottrina, essendosi il sistema tabellare ritenuto lesivo della dignità umana, da epoca risalente il giudice, anche laddove non imposto dalla legge, fa ricorso all’ausilio di tabelle (v. Cass., 9/1/1998, n. 134).
Tale sistema d’altro canto costituisce solo una modalità di calcolo tra le molteplici utilizzabili (per l’adozione, quanto al danno morale da reato, del criterio della odiosità della condotta lesiva, e quanto al c.d. danno esistenziale, del criterio al clima di intimidazione creato nell’ambiente lavorativo dal comportamento del datore di lavoro e al peggioramento delle relazioni interne al nucleo familiare in conseguenza di esso, v. Cass., 19/5/2010, n. 12318).
Le tabelle, siano esse giudiziali o normative, sono uno strumento idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all’art. 1226 c.c. (v. Cass., 19/5/1999, n. 4 8 52), non già di derogarvi; e di addivenire ad una quantificazione del danno rispondente ad equità, nell’effettiva esplicazione di poteri discrezionali, e non già rispondenti ad arbitrio (quand’anche “equo”).
Lo stesso legislatore, oltre alla giurisprudenza, ha fatto ad esse espressamente riferimento.
Mentre in tema di responsabilità civile da circolazione stradale, il D.Lgs. n. 209 del 2005, ha introdotto la tabella unica nazionale (i cui importi sono stati da ultimo aggiornati con D.M. 6 giugno 2013, in G.U. 14 giugno 2013, n. 138) per la liquidazione delle invalidità c.d. micropermanenti (fino a 9 punti), in caso di assenza di tabelle normativamente determinate, come ad esempio per le c.d.
macropermanenti e per le ipotesi diverse da quelle oggetto del suindicato decreto legislativo, il giudice fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi tribunali (per l’affermazione che tali tabelle costituiscono il c.d. “notorio locale” v. in particolare Cass., 1 giugno 2010, n. 13431), la cui utilizzazione è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui, nell’avvalersene, il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine “di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” (v. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972).
Preso atto che le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una “vocazione nazionale”, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali – ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell’art. 3 Cost., comma 2, questa Corte è pervenuta a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., delle lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%) conseguenti alla circolazione (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402).
Essendo l’equità il contrario dell’arbitrio, la liquidazione equitativa operata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità (solamente) laddove risulti non congruamente motivata, dovendo di essa “darsi una giustificazione razionale a posteriori” (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408).
Si è al riguardo per lungo tempo esclusa la necessità per il giudice di motivare in ordine all’applicazione delle tabelle in uso presso il proprio ufficio giudiziario, essendo esse fondate sulla media dei precedenti del medesimo, e avendo la relativa adozione la finalità di uniformare, quantomeno nell’ambito territoriale, i criteri di liquidazione del danno (v. Cass., 2/3/2004, n. 418), dovendo per converso adeguatamente motivarsi la scelta di avvalersi di tabelle in uso presso altri uffici (v. Cass., 21/10/2009, n. 22287; Cass., 1/6/2006, n. 13130; Cass., 20/10/2005, n. 20323; Cass., 3/8/2005, n. 16237).
Essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si escludeva altresì che l’attività di quantificazione del danno fosse di per sè soggetta a controllo in sede di legittimità, se non sotto l’esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr., da ultimo, Cass., 19/5/2010, n. 12918; Cass., 26/1/2010, n. 1529). In particolare laddove la liquidazione del danno si palesasse manifestamente fittizia o irrisoria o simbolica o per nulla correlata con le premesse in fatto in ordine alla natura e all’entità del danno dal medesimo giudice accertate (v. Cass., 16/9/2008, n. 23725; Cass., 2/3/2004, n. 4186; Cass., 2/3/1998, n. 2272; Cass., 21/5/1996, n. 4671).
La Corte Suprema di Cassazione è peraltro recentemente pervenuta a radicalmente mutare tale orientamento.
La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, si è ravvisato integrare violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408, ove sì è altresì precisato che al fine di evitarsi la declaratoria di inammissibilità del ricorso per la novità della questione non è sufficiente che in appello sia stata prospettata l’inadeguatezza della liquidazione operata dal primo giudice, ma occorre che il ricorrente si sia specificamente doluto, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano; e che, inoltre, nei giudizi svoltisi in luoghi diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono comunemente adottate, quelle tabelle abbia anche versato in atti.
Si è quindi al riguardo ulteriormente precisato che i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, sottolineandosi che incongrua è la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402).
Orbene, laddove ha immediatamente affermato che “dev’essere applicato, nel caso in esame, il consueto criterio di liquidazione del danno non patrimoniale a persona abitualmente in uso presso il Tribunale di Genova, del quale questa Corte condivide il fondamento”, e laddove ha ritenuto “congrua” la liquidazione operata dal giudice di prime cure, “seppure con l’inesatta dizione della non convivenza, in quanto comunque compresa nello scaglione di liquidazione del danno a fratelli conviventi”, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi.
Della medesima s’impone pertanto la cassazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei medesimi applicazione.
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2015