Home Articoli Diritto civile. Decesso a seguito di sinistro stradale e risarcimento del “danno...

Diritto civile. Decesso a seguito di sinistro stradale e risarcimento del “danno da aspettative future” dei genitori.

1479
0
CONDIVIDI

Diritto civile. Decesso a seguito di sinistro stradale e risarcimento del “danno da aspettative future” dei genitori.

Abbastanza particolare si presenta il caso di specie, dove rispettivamente la madre ed il fratello della vittima dell’incidente stradale, ricorrono in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello, in quanto quest’ultima non avrebbe correttamente valutato le richieste risarcitorie relative ai danni patrimoniali e non subiti a seguito del decesso della vittima.

Tuttavia, interessante è la censura riguardante il mancato riconoscimento del danno patrimoniale; più specificamente il cosiddetto danno “da aspettative future”, che i genitori avrebbero subito a seguito del verificarsi dell’occorso. La Corte rigetta tale motivo, specificando che, per ottenere la richiesta di risarcimento di tale danno in favore dei genitori per la perdita degli emolumenti che il figlio avrebbe loro verosimilmente elargito una volta divenuto economicamente autosufficiente, è necessario dimostrare che la vittima contribuiva stabilmente ai bisogni della famiglia, ovvero che i genitori avrebbero verosimilmente e probabilmente avuto bisogno delle sovvenzioni del figlio. Ne consegue che il danno “da aspettative future” non si fonda né solo sulla mera convivenza tra la vittima e gli aventi diritto, né sul fatto che la vittima avesse un reddito.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-05-2015, n. 11150

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26194/2011 proposto da:

S.M. ((OMISSIS)) e B.M. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANGELO SECCHI 9, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO RUVITUSO, rappresentati e difesi dall’avvocato PAUSELLI Luciana giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNIPOL ASSICURAZIONI S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del Direttore dei Servizi di Liquidazione Direzionale della Unipol, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato CAROLI Enrico Maria, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 322/2010 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 10/08/2010, R.G.N. 463/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato LUCIANA PAUSELLI;

udito l’Avvocato LETIZIA CAROLI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. – In data (OMISSIS), lungo la strada comunale di (OMISSIS), l’autovettura “Fiat Panda”, assicurata presso la Veneta Assicurazioni S.p.A. e condotta dalla proprietaria, C.G., investi la moto “Yamaha 125”, condotta dal proprietario, T.L., il quale decedette poche ore dopo il ricovero ospedaliero. Intervenne, quindi, sentenza penale di condanna della C. per omicidio colposo, passata in giudicato il (OMISSIS).

1.2. – Con citazione del giugno 2000, B.M. e S. M., rispettivamente madre e fratello unilaterale ex parte ma tris di T.L., adirono il Tribunale di Perugia, Sezione distaccata di Città di Castello, in qualità di eredi diretti dello stesso, nonchè la prima per un’ulteriore quota, quale erede di T.M., padre della vittima del sinistro, deceduto il (OMISSIS). Gli attori domandarono la condanna della Winterthur Assicurazioni S.p.A. – quale incorporante la Veneta Assicurazioni S.p.A. – e di C.G. al risarcimento del danno biologico e del danno morale, in favore dei genitori, e del danno morale spettante al fratello, oltre ad una somma per il venir meno delle aspettative di un contributo economico a loro beneficio da parte del congiunto.

1.3. – L’adito Tribunale, a seguito di istruzione della causa, pronunciò ordinanza ex art. 186-quater c.p.c., che revocò con la decisione definitiva, resa nel maggio 2004, con cui, riconosciuto il concorso di colpa di T.L. nella causazione del sinistro nella misura del 10%, condannò la C. e la Winthertur Assicurazioni S.p.A., in solido tra loro, al pagamento, in favore di B.M., della somma di Euro 2.182,23 a titolo di danno biologico e della somma di Euro 91.831,08 a titolo di danno morale, nonchè al pagamento, in favore di S.M., della somma di Euro 27.549,62 a titolo di danno morale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla pronuncia al saldo, compensando in parte le spese di lite.

  1. – Avverso tale decisione proponevano gravame B.M. e S.M., che la Corte di appello di Perugia, con sentenza resa pubblica l’8 agosto 2010, accoglieva in parte.

2.1. – Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale confermava la statuizione del primo giudice in punto di concorso di colpa del T. nella misura del 10%, avendo questi violato l’obbligo di mantenersi il più vicino possibile al margine destro della carreggiata, come prescritto dall’allora in vigore art. 104 C.d.S., comma 3, giacchè tanto gli era imposto dall'”andamento della strada” e dalla “presenza di un dosso”, che limitava “a pochi metri (55) la visuale utile”, così da non riuscire “a sfilare la vettura, proseguendo”.

2.2. – Il giudice di secondo grado riteneva, poi, fondato l’appello quanto alle doglianze circa il mancato risarcimento del danno morale richiesto iure successionis dagli eredi della vittima del sinistro e liquidava il danno in Euro 5.000,00, da ridursi del 10% in virtù del concorso di colpa, per un importo pari ad Euro 4.500,00.

2.3. – Quanto al danno biologico sofferto iure proprio dagli attori, la Corte di appello, sulla scorta delle risultanze della c.t.u., escludeva che fosse dovuto al S. il predetto danno, con conferma, però, dell’importo liquidato in suo favore in primo grado a titolo di danno non patrimoniale (non inclusivo del danno biologico); mentre, in parziale riforma della decisione impugnata, incrementava la somma liquidata in favore della B. a titolo di risarcimento del danno biologico, operando una personalizzazione della liquidazione nella misura del 30%, riconoscendole anche il diritto al risarcimento del danno biologico iure successionis in qualità di erede di T.M.. Di talchè, applicando la riduzione del 10% per il ritenuto concorso di colpa, veniva liquidata, in favore della medesima B., la somma complessiva di Euro 150.880,50.

2.4. – La Corte territoriale accoglieva, poi, l’appello in ordine al mancato riconoscimento del danno patrimoniale, quale danno emergente, limitatamente alle spese sostenute per la consulenza tecnica, liquidate in Euro 654,66, mentre confermava il rigetto della domanda di risarcimento del danno da “aspettative future”, in assenza di allegazioni atte a supportare l’esigenza di prova in ordine alle circostanze utili per il riconoscimento del ristoro richiesto.

2.5. – Infine, il giudice del gravame riteneva inammissibile, per difetto di interesse, la doglianza relativa alla decorrenza di rivalutazione ed interessi non dall’epoca del sinistro, ma dalla pronuncia della sentenza.

  1. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono B.M. e S.M. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’Unipol Assicurazioni S.p.A. (già Aurora S.p.A. e già Winthentur Assicurazioni S.p.A.), mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede C.G., già contumace in appello.

Motivi della decisione

  1. – Con il primo mezzo è denunciato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2054 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 104 C.d.S., nonchè dedotto vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte territoriale avrebbe applicato in modo non corretto l’art. 104 C.d.S., sulla scorta di una erronea valutazione delle risultanze istruttorie, dalle quali emergeva il presupposto di operatività del primo comma (percorrenza della carreggiata in prossimità del margine destro anche in caso di strada libera), e non già del terzo (percorrenza della carreggiata il più vicino possibile al margine destro in caso di incrocio di veicoli, strada in curva o con dosso), della citata norma, giacchè il sinistro si era verificato all’inizio di un tratto rettilineo, della lunghezza di metri 60, e interamente nella corsia di pertinenza di T.L., al quale, pertanto, non era ascrivibile alcun concorso di colpa.

1.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

Esso, infatti, senza aggredire intrinsecamente la logicità del ragionamento seguito dalla Corte territoriale, si palesa come una rivisitazione, ab externo, delle risultanze probatorie, proponendo apprezzamenti di fatto e valutazioni, secondo la prospettiva utile alla stessa parte, che sono invece riservati esclusivamente al giudice del merito e, in quanto tali, incensurabili in questa sede, ove, come nella specie, sorretti da motivazione sufficiente e plausibile. Ciò senza tener conto che le censure neppure colgono appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata (cfr. pp. 14/16 di detta sentenza e p.2.1. del “Ritenuto in fatto” che precede), giacchè l’applicazione dell’art. 104 C.d.S., comma 3, ad opera della Corte territoriale si radica non solo nella presenza di un dosso (che i ricorrenti neppure escludono, fornendo una versione solo parziale delle risultanze istruttorie, là dove tacciono se detto dosso precedesse o meno il rettilineo), ma anche della circostanza dell’incrocio con il veicolo condotto dalla C., che il T. non era riuscito “a sfilare” proprio per la posizione tenuta nella propria carreggiata, ossia non il “più vicino possibile al margine destro”.

  1. – Con il secondo mezzo è dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 2059, 1223, 1226 e 1227 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè denunciato vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte territoriale avrebbe violato le regole disciplinanti il risarcimento del danno, discostandosi dal principio di integralità del risarcimento del danno alla persona, recependo sostanzialmente il criterio “matematico puro” applicato dal Tribunale, così personalizzando in modo insufficiente (nella sola misura del 30%) il risarcimento dovuto alla B. e lasciando inalterato quello del S.. Ciò in quanto il giudice di appello si sarebbe attenuto alle tabelle del Tribunale di Milano in vigore nel 2004 e, dunque, antecedenti ai dieta delle Sezioni unite del novembre 2008, in forza dei quali erano state elaborate altre tabelle, ricomprensive dell’intero danno non patrimoniale (e, segnatamente, di quello esistenziale e parentale), da doversi applicare nella specie.

Sarebbe, altresì, incongrua la somma riconosciuta alla B. iure successionis per il danno morale patito dal compagno convivente.

T.M., padre della vittima del sinistro, la cui liquidazione non renderebbe comprensibile l’iter logico seguito dalla Corte nella determinazione della relativa somma.

Insufficiente e contraddittoria sarebbe la motivazione anche in riferimento al mancato adeguamento della somma liquidata in primo grado a S.M., che, oltre ad essere parametrata alle vecchie tabelle, darebbe incongruo rilievo al solo fatto che il fratello non fosse convivente.

Quanto poi al danno patrimoniale, la Corte territoriale avrebbe illegittimamente ritenuto non provata la circostanza di un pronosticabile stato di indigenza dei genitori, tale da rendere ragionevole la previsione che in futuro essi avrebbero avuto bisogno della corresponsione degli alimenti da parte del figlio minore.

Contrariamente a quanto rilevato dal giudice di appello, erano stati depositati documenti che provavano circostanze concrete dalle quali evincere la legittima aspettativa al contributo economico alla famiglia da parte della vittima del sinistro.

2.1. – Il motivo, nel suo complesso, non può trovare accoglimento.

Quanto alla liquidazione del danno non patrimoniale, le censure non si incentrano, in modo pertinente e congruo, sulla valutazione in concreto operata dalla Corte territoriale in base a parametri ed elementi oggettivi (tra cui quello della non convivenza della vittima del sinistro con il fratello attore), contestualizzati alla vicenda controversa (pp. 23/27 della sentenza impugnata), ed alla luce proprio dei principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nel 2008 (in particolare, sent. n. 26972). Con la conseguenza che il motivo di ricorso si colloca su un piano di non consentita astrattezza, postulando un mero automatismo della misura risarcitoria derivante dalla meccanica applicazione di tabelle aggiornate, che, però, in siffatti termini, non è dato configurare, considerato che dette tabelle rappresentano un criterio di liquidazione che funge da parametro di conformità rispetto ad una valutazione equitativa del danno non patrimoniale, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., dal quale il giudice, ricorrendo in concreto circostanze idonee, può motivatamente discostarsi (cfr., in tale prospettiva, Cass., 7 giugno 2011, n. 12408; sull’inammissibilità, per difetto di specificità, di doglianza concernente la mera applicazione del sistema tabellare, cfr. anche Cass., 17 settembre 2013, n. 21229).

Infondata è, poi, la censura che investe la liquidazione del danno iure successionis in favore della B. quale erede di T. M., giacchè la motivazione della Corte territoriale non risulta affatto generica e inintelligibile, fondandosi invece su una valutazione del complessivo danno non patrimoniale, che da rilievo anche al dato temporale certo del pregiudizio in concreto patito da T.M., padre della vittima, deceduto cinque anni dopo il sinistro (là dove non risulta conferente il precedente citato in ricorso – Cass. n. 28407 del 2008 -, ancorato alla circostanza che il decesso del congiunto fosse intervenuto nel corso del processo, posto che, nella specie, il giudizio è stato introdotto successivamente al decesso dello stesso predetto T.).

Inammissibili sono, poi, le censure che investono il mancato riconoscimento del danno patrimoniale.

Ai fini del risarcimento di tale danno in favore dei genitori per la perdita degli emolumenti che il figlio avrebbe loro verosimilmente elargito una volta divenuto economicamente autosufficiente, non è sufficiente dimostrare nè la convivenza tra vittima ed aventi diritto, nè la titolarità di un reddito da parte della prima, ma è necessario dimostrare o che la vittima contribuiva stabilmente ai bisogni dei genitori, ovvero che questi, in futuro, avrebbero verosimilmente e probabilmente avuto bisogno delle sovvenzioni del figlio; ciò alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo, tra l’altro, alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, alla età loro e del defunto e alla prevedibile entità del reddito di costui (tra le altre, Cass., 3 maggio 2004, n. 8333; Cass., 11 maggio 2012, n. 7272).

La Corte di appello (cfr. pp. 28/30 della sentenza impugnata e p.2.4.

del “Ritenuto in fatto che precede”), in armonia con il ricordato principio, ha fondato la reiezione del gravame sul punto in ragione del difetto di allegazione e prova di circostanze atte a dimostrare il danno “da aspettative future”.

I ricorrenti neppure in questa sede danno contezza di siffatte allegazioni e riscontri probatori, che avrebbero dovuto essere già presenti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, richiamando soltanto taluni documenti che, come tali, non integrano le allegazioni e produzioni anzidette, mancando, peraltro, di indicare quando e dove i documenti citati siano stati prodotti, atteso che la numerazione che li accompagna è quella relativa al deposito documentale avvenuto in questa sede; deposito che, in assenza di prova sulla previa produzione nei gradi di merito, risulta inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

  1. – Con il terzo motivo è prospettata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1224 c.c., nonchè dedotto vizio di motivazione.

La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che gli appellanti non avessero interesse ad impugnare la decisione del Tribunale in punto di interessi delle somme liquidate, per essere questa asseritamente più vantaggiosa. Ciò che, invece, era da escludersi in ragione del fatto che il giudice di primo grado aveva riconosciuto i soli interessi dalla pronuncia al saldo sulle somme rivalutate, mentre avrebbe dovuto adottare il calcolo, più vantaggioso e fatto proprio dalla giurisprudenza prevalente, in forza del quale gli interessi vanno calcolati sulle somme all’attualità devalutate e poi rivalutate annualmente.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Con esso, infatti, non si coglie affatto la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale si fonda proprio sul principio, evocato dagli stessi ricorrenti, per cui, in relazione ai debiti di valore, sono dovuti la rivalutazione e gli interessi legali, là dove questi ultimi non vanno calcolati nè sulla somma originaria, nè su quella rivalutata al momento della liquidazione, ma computati sulla somma originaria rivalutata anno per anno (tra le tante, Cass., 10 marzo 2006, n. 5234; Cass., 25 febbraio 2009, n. 4587). Ed è su questo principio che la Corte di appello ha correttamente rilevato che la liquidazione operata dal primo giudice (non fatta oggetto di impugnazione incidentale da parte dell’appellata compagnia di assicurazioni) era più favorevole per gli appellanti – i quali, dunque, non avevano interesse ad investirla del gravame – giacchè contemplava la liquidazione, sulle somme liquidate all’attualità e, quindi, già rivalutate, non solo degli interessi legali dalla pronuncia, bensì anche della rivalutazione monetaria.

  1. – Il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti solidalmente condannati, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione di dette spese nei confronti dell’intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della società controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 13.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2015