DIRITTO CIVILE. MUTUO: può essere utilizzato come titolo esecutivo ma dipende dalla quietanza
Al fine di verificare se un contratto di mutuo possa essere utilizzato quale titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., occorre verificare, attraverso l’interpretazione di esso integrata con quanto previsto nell’atto di erogazione e quietanza o di quietanza a saldo ove esistente, se esso contenga pattuizioni volte a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata, e che entrambi gli atti, di mutuo e di erogazione, rispettino i requisiti di forma imposti dalla legge.
Il fatto
La vicenda in decisione ha origine nel 1986, allorchè la società ricorrente concedeva un mutuo in marchi tedeschi ad altra società, quietanziato dall’amministratore unico di quest’ultima e garantito da alcuni parenti mediante ipoteca su tre immobili.
Il rimborso rateale del mutuo veniva regolarmente effettuato per i primi anni. Per i ratei successivi la ricorrente otteneva dal Tribunale di Napoli sentenza nel 2003 con la quale la mutuataria veniva condannata a corrispondere oltre 2 milioni di euro.
Successivamente veniva intrapresa una procedura esecutiva a carico dei garanti cui faceva seguito un giudizio di opposizione all’esecuzione. I fideiussori sostenevano, in buona sostanza, che la sentenza definitiva del Tribunale di Napoli non avesse alcun effetto nei loro confronti, essendo rimasti estranei al giudizio e che la ricorrente non fosse dotata di idoneo titolo esecutivo.
Il giudizio di primo grado si concluse con una sentenza di rigetto dell’opposizione all’esecuzione da parte del Tribunale di Brindisi il quale affermava che il titolo esecutivo in base al quale la ricorrente procedeva era costituito dal contratto di mutuo integrato dall’atto di erogazione delle somme mutuate, e affermava che la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli spiegava i suoi effetti quale giudicato riflesso in relazione all’avvenuto accertamento del fatto storico della mancata estinzione del mutuo.
Proposto gravame, la Corte d’Appello di Lecce lo accoglieva affermando l’inesistenza di idoneo titolo esecutivo, non costituendo autosufficiente titolo esecutivo il contratto di mutuo prodotto, in quanto avente natura di mutuo di scopo, o di contratto condizionato di finanziamento, non integrante la prova di un credito certo, liquido ed esigibile, in tal modo sovvertendo la decisione del giudice di primo grado.
Secondo i giudici di seconde cure il mutuo non può neanche assumere valore di titolo esecutivo, per effetto della sua integrazione con le quietanze dei versamenti fatti al mutuatario e degli estratti dei libri contabili dell’istituto mutuante, trattandosi di atti non formalmente omogenei con esso, in quanto mancava il ricevimento, da parte di notaio, della dichiarazione negoziale costitutiva di debiti pecuniari.
La decisione
Gli Ermellini non hanno condiviso il principio di diritto espresso dai Giudici di Lecce secondo cui il mutuo, qualora non sia accompagnato dalla immediata dazione della somma di denaro, perderebbe irreversibilmente il carattere della realità, non potendo questo carattere essere recuperato attraverso la integrazione del contratto di mutuo con il separato atto di quietanza a saldo.
La Suprema Corte, pur ribadendo la tesi tradizionale per la quale il contratto di mutuo è un contratto reale, che quindi si perfeziona con la consegna della somma data a mutuo, che è elemento costitutivo del contratto, non configura la consegna idonea a perfezionare il contratto di mutuo esclusivamente nei termini di la materiale e fisica traditio del denaro nelle mani del mutuatario, ritenendo sufficiente che questi ne acquisisca la disponibilità giuridica.
Nella pratica degli affari, accanto all’ipotesi in cui all’interno del contratto stesso di mutuo le parti si diano reciprocamente atto che la somma oggetto del mutuo è stata consegnata, dal mutuante al mutuatario, specificando le modalità di tale consegna, può affiancarsi la redazione ed autonoma sottoscrizione di un apposito atto di erogazione e quietanza, o di semplice quietanza a saldo, atto formalmente autonomo e distinto rispetto al mutuo, talvolta neppure contestuale alla conclusione del mutuo ma di poco successivo, come avvenuto nel caso in esame.
Invero, per poter valutare la realità del contratto di mutuo, e quindi, per quanto qui ci interessa, per poterne valutare l’idoneità ad essere utilizzato quale titolo esecutivo, l’esistenza di un separato atto di quietanza non è di per sè indice inequivoco di una semplice promessa di dare a mutuo o comunque di un contratto di mutuo di natura consensuale e non reale (v. anche Cass. n. 19738 del 2014 relativa anch’essa ad una opposizione all’esecuzione in cui il titolo era costituito da contratto di mutuo).
In conclusione, per poter verificare se il contratto di mutuo abbia o meno natura reale, esso non può essere esaminato atomisticamente ma deve essere esaminato e interpretato congiuntamente agli altri atti accessori, che realizzano concretamente ed operativamente il conferimento ad altri della disponibilità giuridica attuale di una somma di denaro da parte del mutuante, ovvero congiuntamente con l’atto di quietanza.
Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-08-2015, n. 17194
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17145/2013 proposto da:
SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ SGA SPA (OMISSIS), in qualità di cessionaria dei crediti in blocco dell’ISVEIMER SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del Dott. RA.LU.MA., elettivamente domiciliata in ROMA, V.ENRICO FERMI 80, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PESCE, rappresentata e difesa dall’avvocato SPARANO ERNESTO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.C., P.B., R.G. in proprio e quale erede di P.G., PR.BA., P.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN, rappresentati e difesi dagli avvocati ROMANO VINCENZO, LORENZO DURANO giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
e contro
SGA, ITALFONDIARIO;
– intimate –
avverso la sentenza n. 433/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 29/05/2013 R.G.N. 765/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2015 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito l’Avvocato ERNESTO SPARANO;
udito l’Avvocato VINCENZO ROMANO;
udito l’Avvocato LORENZO DURANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la manifesta infondatezza del 1^ motivo del ricorso, assorbiti gli altri.
Svolgimento del processo
La vicenda che viene in decisione ha origine nel 1986, allorchè l’Isveimer concesse un mutuo in marchi tedeschi alla Mec Elettronica s.p.a., il cui importo venne consegnato all’amministratore unico della società P.A. e da questi quietanzato. I tre fratelli P., Ba., A. e G., e le rispettive mogli, C.C., Ri.Ri. e R. G., prestarono fideiussione a garanzia della restituzione del capitale mutuato rilasciando anche ipoteca su tre immobili.
Il rimborso rateale del mutuo fu regolarmente effettuato per i primi anni; per i ratei del 1992, 1993, 1994 e 1995 vennero emesse da funzionari dell’Istituto mutuante le schede contabili di ricevuto pagamento in relazione alle quali si svolse un procedimento penale per falsità in atti (che coinvolse anche P.A.), nel quale gli impiegati vennero imputati di aver emesso le ricevute di pagamento pur non avendo percepito in restituzione gli importi dovuti, procedimento che si concluse con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
La Isveimer ottenne dal Tribunale di Napoli sentenza in data 28.11.2003, ormai definitiva, con la quale la Mec Elettronica s.p.a.
fu condannata a corrispondere alla società erogatrice del mutuo complessivi Euro 2.253.960,82 oltre interessi; il tribunale ritenne nulli i documenti liberatori rilasciati da Isveimer, posto che i pagamenti delle ultime rate del mutuo non erano avvenuti, e che il debito non si era estinto. Successivamente l’Istituto intervenne in una procedura esecutiva a carico dei fideiussori fratelli P. e delle rispettive consorti, garanti della debitrice principale Mec Elettronica s.p.a., per ottenere il pagamento del proprio credito, relativo alle rate del contratto di mutuo rimaste non pagate sulla base del contratto di mutuo e del successivo atto di quietanza a saldo.
Allorchè il creditore procedente rinunziò e i debitori chiesero l’estinzione della procedura esecutiva, il g.e. rigettò l’istanza di estinzione ritenendo l’intervenuta dotata di idoneo titolo esecutivo, avendo la Isveimer prodotto l’atto di mutuo e l’atto di quietanza. La procedura esecutiva andò quindi avanti su impulso della intervenuta Isveimer. Più volte i fratelli P. chiesero la sospensione della procedura esecutiva, deducendo di aver estinto il debito e di essere rientrati in possesso delle cambiali rilasciate a garanzia, restituite loro dall’Istituto di credito ad ogni rata di pagamento del debito. A fronte del rigetto delle istanze di sospensione non venne mai, fino al 2007, intrapreso alcun giudizio di merito e l’esecuzione sui beni degli attuali controricorrenti andò avanti finchè, a fronte del rigetto di una nuova istanza di estinzione avvenuto nel 2007, i P. iniziarono un giudizio di opposizione all’esecuzione sostenendo che la sentenza definitiva del Tribunale di Napoli non avesse alcun effetto nei loro confronti, essendo rimasti estranei al giudizio, che la Isveimer non fosse dotata di idoneo titolo esecutivo e che il credito nei loro confronti si fosse in ogni caso prescritto. Il giudizio di primo grado si concluse con una sentenza di rigetto dell’opposizione all’esecuzione da parte del Tribunale di Brindisi, n. 540 del 2010, in cui il tribunale affermò che il titolo esecutivo in base al quale l’Isveimer procedeva era costituito dal contratto di mutuo integrato dall’atto di erogazione delle somme mutuate, e affermava che la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli a definizione del giudizio civile di risarcimento dei danni tra la Mec Elettronica s.p.a. e la Isveimer, benchè non facesse stato nei confronti dei fideiussori, rimasti estranei a tale giudizio, tuttavia spiegasse i suoi effetti quale giudicato riflesso in relazione all’avvenuto accertamento del fatto storico della mancata estinzione del mutuo; rigettava poi l’eccezione di prescrizione essendo stata interrotta la prescrizione anche nei confronti dei fideiussori dall’inizio del procedimento civile dinanzi al Tribunale di Napoli, con atto di citazione del 2007.
I fratelli P. e le rispettive mogli proposero appello.
La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 433 del 2013 oggi impugnata, qualificata l’opposizione proposta come opposizione all’esecuzione, accolse l’appello, affermando che la S.G.A. s.p.a.
(concessionaria di Isveimer s.p.a. in liquidazione) non fosse dotata di idoneo titolo esecutivo, non costituendo autosufficiente titolo esecutivo il contratto di mutuo prodotto, in quanto avente natura di mutuo di scopo, o di contratto condizionato di finanziamento, non integrante la prova di un credito certo, liquido ed esigibile.
La Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a. in qualità di cessionaria dei crediti dell’Isveimer s.p.a. in liquidazione propone ricorso articolato in cinque motivi per la cassazione della sentenza n. 433 del 2013 della Corte d’Appello di Lecce, nei confronti di Pr.Ba., C.C., R.G., in proprio e quale erede di P.G., di P.B. e P.C., quali credi di P.G., nonchè dell’Italfondiario (incorporante della Castello Gestione Crediti s.r.l., intervenuta nella procedura esecutiva e poi parte del giudizio di opposizione all’esecuzione).
Resistono con controricorso Pr.Ba., C.C., R.G., in proprio e quale erede di P.G., P. B. e P.C., quali eredi di P.G..
L’Italfondiario, regolarmente intimato, non si è costituito.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 474 c.p.c., e art. 1813 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero lamenta che la corte d’appello abbia ritenuto, diversamente dal primo giudice, che il contratto di mutuo posto in esecuzione non costituisca titolo esecutivo e che esso non possa essere letto congiuntamente all’atto di quietanza a saldo, in cui vi è la prova dell’avvenuta consegna della somma mutuata, anch’esso stipulato per atto pubblico appena un mese dopo.
1.2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione del principio del ne bis in idem in relazione all’art. 324 c.p.c., e del giudicato sostanziale.
Sostiene che gli opponenti fratelli P. e le rispettive mogli fossero ben a conoscenza che la somma mutuata non era stata restituita, e che in ogni caso essi mancassero della legittimazione attiva a proporre opposizione per la preclusione maturatasi a seguito del provvedimento di rigetto della loro istanza di sospensione adottato dal g.e. nel 2006, a seguito del quale essi non avevano introdotto il giudizio di merito, con formazione del giudicato interno.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso, la società ricorrente lamenta la violazione del principio del giudicato interno, ex art. 2909 c.c..
Riprende la questione formulata con il motivo precedente per cui i controricorrenti mancherebbero di legittimazione attiva, per l’intervenuta formazione di una serie di giudicati interni, correlati ai vari provvedimenti di rigetto adottati dal g.e., avverso le richieste di estinzione della procedura esecutiva o di sospensione dell’esecuzione più volte proposte dai fratelli P..
1.4 Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, che consisterebbe nel fatto che gli opponenti avevano chiesto che la corte d’appello accogliesse l’opposizione e dichiarasse che la SGA non aveva diritto a procedere esecutivamente nei loro confronti e che non fosse titolare di alcun diritto di credito nei loro confronti, mentre la sentenza aveva accolto l’opposizione, e dichiarato che la SGA non aveva diritto di procedere esecutivamente nei confronti degli appellanti, però per difetto del titolo esecutivo. Afferma che la problematica relativa all’inesistenza del titolo esecutivo (afferente ad una opposizione agli atti più che ad una opposizione all’esecuzione) non farebbe parte dei motivi d’appello.
1.5 Infine, anche con il quinto motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 112 in relazione alla pronuncia sulle spese.
La ricorrente evidenzia che gli appellanti si sono sempre limitati a chiedere l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese, competenze ed onorari, quindi a richiedere una pronuncia sulle spese limitata al grado di giudizio in corso, solo in memoria di replica avrebbero esteso la loro domanda alla vittoria delle spese del doppio grado di giudizio, e quindi che la pronuncia sarebbe andata ultra petita laddove ha riliquidato le spese di entrambi i gradi di giudizio ponendole a carico della parte soccombente in appello.
Passando all’esame dei motivi, il primo motivo è fondato e va accolto, con cassazione della sentenza impugnata.
2.1 La corte d’appello, da pag. 11 in poi, allorchè, sfrondato il campo dalle questioni ed eccezioni preliminari, si dedica all’esame del primo motivo di appello, risolve la principale questione sottopostale dagli appellanti, ovvero se l’Isveimer, intervenuta nella procedura esecutiva a loro carico, fosse dotata o meno di idoneo titolo esecutivo che la legittimasse a proseguire nell’esecuzione dopo la rinuncia del creditore principale, affermando che l’Istituto era carente di titolo esecutivo, in tal modo accogliendo l’appello e sovvertendo la decisione del giudice di primo grado.
2.2 Essa afferma, molto sinteticamente, che si tratterebbe nel caso di specie non di un qualsiasi contratto di mutuo, ovvero di un tipico contratto reale, ma di un contratto di finanziamento condizionato e/o di un mutuo di scopo, e ne trae la conclusione che esso sia inidoneo a costituire autonomo titolo esecutivo. A pag.13 della motivazione riconduce poi il contratto concluso tra Mac e Isveimer ad un terzo tipo contrattuale, il contratto preliminare di mutuo (di cui all’art. 1822 c.c.), anch’esso inidoneo a costituire titolo esecutivo perchè tipicamente privo di realità ed inidoneo ad attestare di per sè l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile.
2.3 La corte d’appello esclude poi che il contratto concluso tra Mac e Isveimer, il quale, a prescindere delle molteplici (ed alternative) classificazioni prospettate, non darebbe a suo avviso prova della effettiva consegna delle somme, possa a questo scopo essere integrato con il distinto atto di erogazione intercorso tra le parti del contratto di mutuo a pochi giorni di distanza. In particolare, la corte territoriale afferma che “Nè il contratto può assumere valore di titolo esecutivo, per effetto della sua integrazione con le quietane dei versamenti fatti al mutuatario e degli estratti dei libri contabili dell’istituto mutuante, trattandosi di atti non formalmente omogenei con esso, in quanto manca il ricevimento, da parte di notaio, della dichiarazione negoziale costitutiva di debiti pecuniari” (riproducendo la massima redatta, in relazione ad una diversa fattispecie concreta, di contratto condizionato di mutuo alberghiero o fondiario per la sentenza di cassazione n. 4293 del 1979). Quindi la sentenza procede affermando che la banca erogatrice, che eroga acconti con il sistema dei versamenti rateali e non consegna al mutuatario l’intera somma presa a prestito, ha a disposizione la particolare procedura di riscossione coattiva prevista dalla L. 29 luglio 1949, n. 474, ma non può utilizzare il contratto di mutuo come titolo esecutivo per avvalersene all’interno di una normale procedura esecutiva.
3.1 Non è oggetto diretto di esame da parte di questa Corte la questione della esatta qualificazione del contratto di mutuo in concreto concluso tra Mac Elettronica s.r.l. e Isveimer, che la corte d’appello qualifica ora in termini di contratto di finanziamento condizionato, ora di mutuo di scopo, o infine di contratto preliminare di mutuo, senza alcun riferimento ai contenuti contrattuali, e quasi i diversi tipi indicati fossero sinonimi, trattandosi invece di tipologie di contratti ben differenti l’una dall’altra.
3.2 Quella che va in questa sede censurata è l’affermazione in diritto, contenuta nella sentenza impugnata, che porta alla conclusione di negare carattere di titolo esecutivo al contratto di mutuo tra Mac Elettronica s.p.a. e Isveimer, secondo la quale il mutuo, qualora non sia accompagnato dalla immediata dazione della somma di denaro, perderebbe irreversibilmente il carattere della realità, non potendo questo carattere essere recuperato attraverso la integrazione del contratto di mutuo con il separato atto di quietanza a saldo.
Questa Corte ha affrontato più volte il dato di fatto della progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e della loro progressiva sostituzione con annotazioni contabili, che non si accompagna alla scomparsa di strumenti di tradizionale utilizzazione nella pratica degli affari e nella vita sociale in genere quali il contratto di mutuo, ma ne impone una rilettura dei caratteri essenziali che tenga conto dell’evolversi della realtà fattuale senza peraltro stravolgerli.
In quest’ottica, la giurisprudenza di questa Corte pur ribadendo la tesi tradizionale per la quale il contratto di mutuo è un contratto reale, che quindi si perfeziona con la consegna della somma data a mutuo, che è elemento costitutivo del contratto (così come il pur necessario consenso legittimamente prestato dalle parti al trasferimento di questa somma), non configura la consegna idonea a perfezionare il contratto di mutuo esclusivamente nei termini di la materiale e fisica traditio del denaro nelle mani del mutuatario, ritenendo sufficiente che questi ne acquisisca la disponibilità giuridica. Si affianca pertanto in posizione paritetica alla immediata acquisizione della disponibilità materiale del denaro l’acquisizione della disponibilità giuridica di esso, correlata con la contestuale perdita della disponibilità delle somme mutuate in capo al soggetto finanziatore.
Va qui richiamato e ribadito il principio di diritto per il quale il conseguimento della giuridica disponibilità della somma mutuata da parte del mutuatario, può ritenersi sussistente, come equipollente della traditio, nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in guisa tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio di quest’ultimo, ovvero quando, nello stesso contratto di mutuo, le parti abbiano inserito specifiche pattuizioni, consistenti nell’incarico che il mutuatario da al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse del primo (cfr. già Cass. 12 ottobre 1992, n. 11116 e 15 luglio 1994, n. 6686; nonchè Cass. n. 2483 del 2001, Cass. 5 luglio 2001, n. 9074 e 28 agosto 2004, a 17211; e, da ultimo, Cass. 3 gennaio 2011, n. 14).
Di ciò si da chiaramente atto nella massima di Cass. n. 2483 del 2001: “Il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario; ne consegue che la tradito rei può essere realizzata attraverso l’accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario, perchè in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario”.
E’ da aggiungere che sia la normativa antiriciclaggio che le progressive misure normative atte a scoraggiare e limitare l’uso di denaro contante nelle transazioni commerciali negli ultimi anni hanno accentuato anche nella pratica il ricorso a strumenti alternativi di trasferimento del denaro.
Nella giurisprudenza recente, si è dato atto di varie ipotesi nelle quali la realità del contratto non viene meno allorchè, in luogo della consegna materiale della somma data in prestito, talvolta non proponibile per i più diversi motivi (quali l’ingenza delle somme, la necessità di averne disponibilità in un luogo diverso da quello di conclusione del mutuo), si svolgano altre forme di trasferimento della disponibilità ritenute equipollenti alla consegna materiale, atteso che il requisito della realità, proprio di tale tipologia contrattuale, può essere integrato anche mediante il conseguimento della disponibilità giuridica della cosa, piuttosto che con la sua consegna in natura:
– si è affermato che la “tradito rei” può essere realizzata attraverso la consegna dell’assegno (nella specie, circolare interno, intestato alla parte e con clausola di intrasferibilità) alla parte mutuataria, che abbia dichiarato di accettarlo “come denaro contante”, rilasciandone quietanza a saldo (Cass. n. 14 del 2011);
– si è affermato che l’esecuzione dell’ordine, proveniente da un istituto bancario, di versare un importo determinato a un terzo, realizzato mediante un mandato emesso sulla propria cassa, cui segua un “atto di quietanza finale di mutuo fondiario”, integra il perfezionamento del contratto di mutuo (Cass. n. 25569 del 2011);
– si è dato atto,infine, della reciproca integrazione dell’atto di mutuo con l’atto di erogazione e quietanza che può contenere anche la specificazione di alcuni elementi contenuti nel contratto di mutuo, quale il criterio per la quantificazione degli interessi (Cass. n. 18325 del 2014).
Mette conto osservare che nella sentenza del 2011, n. 25569, il contratto definitivo di mutuo preso in considerazione era denominato “atto di erogazione e quietanza finale di mutuo fondiario” e nondimeno i ricorrenti mettevano in dubbio che esso attestasse la consegna della somma mutuata, affermando che esso conteneva solo la prova di un mandato emesso sulla propria cassa, contenente l’ordine di versare alla parte mutuataria un importo, e ne ribadivano l’inidoneità ad assumere valore di titolo esecutivo, assumendo che erroneamente la corte territoriale avesse valorizzato la quietanza rilasciata nel medesimo contratto, in quanto tale previsione evidenziava piuttosto, che solo in un momento successivo il mutuante avrebbe, nei fatti, conseguito la somma.
La Corte, premettendo che non fosse certo posta in discussione la realità del contratto di mutuo, che si perfeziona con la consegna della cosa mutuata, nè che presupposto del processo di esecuzione civile è l’esistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, non condivise l’assunto dei ricorrenti, secondo cui il contratto concluso tra le parti, non accompagnato dalla traditio del denaro, non sarebbe stato qualificabile come contratto di mutuo, di talchè, in mancanza di un passaggio fisico di quel denaro, esso non avrebbe determinato l’insorgere di alcun obbligo di restituzione e, non avrebbe potuto, conseguentemente, avere valenza di come titolo esecutivo. La Corte sottolineò in quella sede il contenuto capzioso e in definitiva inappagante del ragionamento dei ricorrenti, volto a caratterizzare l’ordine di versare un determinato importo come fatto irriducibilmente diverso dal versamento dello stesso, in un contesto in cui è fuori discussione che la somma fu poi effettivamente erogata, e in un sistema di rapporti economici caratterizzato dal crescente ricorso alla dematerializzazione dei valori mobiliari e dalla loro sostituzione con mere annotazioni contabili. Ne trasse quindi la conclusione che, contrariamente all’assunto degli impugnanti, il predetto ordine si prestava ragionevolmente a essere apprezzato come corresponsione tout court delle somme mutuate dall’ordinante (tradens), all’ordinatario (accipiens).
La sentenza n. 18325 del 2014 fornisce un ulteriore tassello nella operazione di scomposizione e ricomposizione di una lettura del contratto di mutuo che sia compatibile con il progressivo e irrimediabile processo di dematerializzazione del denaro in atto, in quanto ha ritenuto legittima l’operazione interpretativa del giudice di merito che, al fine di verificare se fosse o meno interamente definito tra le parti, con rispetto del requisito della forma scritta, l’oggetto del contratto di mutuo fondiario intercorso tra le parti, quanto ai suoi contenuti essenziali ovvero alla somma erogata, alle modalità e ai tempi di restituzione, alla misura degli interessi, ha preso in considerazione unitariamente, in quanto l’uno integrava l’altro, dettandone le modalità operative, il contratto di mutuo e l’atto di erogazione e quietanza. La Corte ha ritenuto che fosse corretta la valutazione di merito secondo la quale i due atti, unitariamente considerati, contenevano tutte le previsioni essenziali del rapporto di mutuo (e ne ha tratto la conclusione che l’acquisizione della provvista mediante un prestito in ECU a tasso variabile da parte dell’istituto mutuante, non comportava il recepimento del contenuto di un diverso contratto non sottoscritto dalla parte mutuataria, ma dell’assunzione dello stesso a presupposto del mutuo, con conseguente possibile variazione del tasso di interesse, accettata dalla parte, agganciata non ad un diverso contratto ma a variazioni oggettive relative alla oscillazione delle valute).
Occorre dare atto che, al di fuori delle ipotesi di mutuo condizionato imposte dalla legge, nella pratica degli affari, accanto all’ipotesi in cui all’interno del contratto stesso di mutuo le parti si diano reciprocamente atto che la somma oggetto del mutuo è stata consegnata, dal mutuante al mutuatario, specificando le modalità di tale consegna (che possono andare dall’accredito dell’importo su un conto corrente alla consegna di assegni circolari, alla ormai recessiva consegna del denaro in contanti), può affiancarsi la redazione ed autonoma sottoscrizione di un apposito atto di erogazione e quietanza, o di semplice quietanza a saldo, atto formalmente autonomo e distinto rispetto al mutuo, talvolta neppure contestuale alla conclusione del mutuo ma di poco successivo, come in questo caso (in quanto posto in essere dopo il perfezionamento delle formalità ipotecarie, o per ragioni contabili di accreditamento delle somme).
Recependo la portata degli arresti giurisprudenziali citati, va in questa sede affermato che, per poter valutare la realità del contratto di mutuo, e quindi, per quanto qui ci interessa, per poterne valutare l’idoneità ad essere utilizzato quale titolo esecutivo, l’esistenza di un separato atto di quietanza non è di per sè indice inequivoco di una semplice promessa di dare a mutuo o comunque di un contratto di mutuo di natura consensuale e non reale (v. anche Cass. n. 19738 del 2014 relativa anch’essa ad una opposizione all’esecuzione in cui il titolo era costituito da contratto di mutuo già dell’Isveimer).
Per poter verificare se il contratto in esame abbia o meno natura reale, esso non può essere esaminato atomisticamente ma deve essere esaminato e interpretato congiuntamente agli altri atti accessori, che realizzano concretamente ed operativamente il conferimento ad altri della disponibilità giuridica attuale di una somma di denaro da parte del mutuante, ovvero, come nel caso esaminato da Cass. n. 18325 del 2014 e nel presente, congiuntamente con l’atto di quietanza.
Poichè nel caso di specie si tratta di accertare non solo se sia stato concluso un contratto reale di mutuo ma anche se esso costituisca titolo esecutivo, l’accertamento demandato al giudice di merito non si limiterà alla natura e all’effettivo contenuto del contratto, integrato con l’atto di quietanza a saldo, ma dovrà contenere anche la verifica del requisito formale richiesto affinchè l’atto possa integrare la funzione di titolo esecutivo.
Coerentemente con queste affermazioni, in relazione alla questione sottoposta all’esame di questa Corte, si deve quindi formulare il principio di diritto secondo il quale:
“Al fine di verificare se un contratto di mutuo possa essere utilizzato quale titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., occorre verificare, attraverso l’interpretazione di esso integrata con quanto previsto nell’atto di erogazione e quietanza o di quietanza a saldo ove esistente, se esso contenga pattuizioni volte a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata, e che entrambi gli atti, di mutuo e di erogazione, rispettino i requisiti di forma imposti dalla legge”.
A tale principio si atterrà la corte territoriale nel verificare se il contratto in concreto concluso da Mac Elettronica s.p.a. e Isveimer, integrato dall’atto di erogazione e quietanza, presenti i caratteri di forma e contenuto richiesti per essere utilizzato quale titolo esecutivo nei confronti dei fideiussori della Mac Elettronica s.p.a., sottoposti ad esecuzione dalla S.G.A. s.p.a., attuali contro ricorrenti.
Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, perchè hanno ad oggetto la medesima questione, e sono inammissibili.
Essi pongono entrambi la questione della carenza di legittimazione attiva in capo ai fratelli P. e alle rispettive consorti a proporre opposizione all’esecuzione, per la preclusione maturatasi a seguito del provvedimento di rigetto delle loro istanze di sospensione, a seguito del quale gli stessi non avevano introdotto il giudizio di merito con formazione – ad avviso della ricorrente – del giudicato interno.
La questione che si tenderebbe a sottoporre a questa Corte è quindi se il provvedimento del giudice dell’opposizione che rigetta l’istanza di sospensione a seguito della delibazione di fondatezza dei motivi di opposizione e fissa l’inizio del giudizio di merito è idoneo a passare in giudicato laddove nel termine fissato la parte debitrice opponente non provveda all’introduzione del giudizio di merito (sulla quale v. tra le altre Cass. n. 16601 del 2005).
La stessa ricorrente segnala che la questione della efficacia preclusiva nel presente giudizio dell’intervenuto rigetto dell’istanza di estinzione è stata ritenuta inammissibile dalla corte d’appello in quanto tardiva, perchè segnalata solo in comparsa conclusionale, e sostiene che ciò sia errato in fatto, avendo sollevato l’eccezione relativa alla prima istanza del Pr.
- già in comparsa di risposta.
Quest’ultima considerazione rende entrambi i motivi del tutto inammissibili, in quanto la questione, proposta dalla ricorrente durante il giudizio di merito, non è stata rigettata dalla corte d’appello dopo l’esame della sua fondatezza nel merito, ma ritenuta inammissibile in quanto tardiva, pertanto la censura della ricorrente avrebbe dovuto rivolgersi contro la pronuncia di inammissibilità e non riproporre il merito della stessa questione non esaminata in appello.
Inoltre, il tentativo della ricorrente di contestare la pronuncia di inammissibilità con l’affermazione che la questione sarebbe stata tempestivamente dedotta già in comparsa di risposta è a sua volta del tutto carente sotto il profilo dell’autosufficienza, in quanto non si indica se nella comparsa di primo o di secondo grado, nè tantomeno ove sia stato depositato e quando questo documento, ai fini della reperibilità di esso da parte della Corte, e neppure se esso sia stato nuovamente prodotto nel corso del giudizio di legittimità.
Alla fine del secondo motivo la ricorrente abbozza quello che dovrebbe essere un autonomo motivo di ricorso, ovvero critica la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che l’eccezione di carenza di legittimazione attiva degli opponenti, sollevata dalla SGA solo in appello, avrebbe dovuto essere proposta con appello incidentale, e essendo stata implicitamente disattesa in primo grado, doveva ritenersi definitivamente rigettata, in quanto tale affermazione si porrebbe in contrasto con il principio di diritto contenuto in Cass. n. 6550 del 2013, secondo il quale “La parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte.
Questa censura, proposta in calce al secondo motivo, è inammissibile in quanto non è neppure inquadrato il vizio di legittimità che si intende segnalare all’attenzione della corte, o quali siano le norme la cui corretta applicazione è stata violata.
La ricorrente osserva poi, al termine della trattazione del terzo motivo, che la corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione del dovere d’ufficio di verificare l’avvenuta formazione di giudicati interni. Tuttavia anche questa affermazione, del tutto autonoma rispetto al contenuto del motivo e rispetto ad essa disomogenea non può essere presa in considerazione perchè volta a sottoporre alla corte una questione diversa rispetto a quella evidenziata nel motivo senza una adeguata formalizzazione e senza che su di essa sia neppure sollecitata l’attenzione della controparte ai fini della integrità del contraddittorio.
Anche il quarto motivo deve ritenersi inammissibile, perchè non richiama i motivi di appello e neppure ne riproduce le conclusioni, non consentendo in tal modo a questa Corte di valutare se in effetti vi sia “stata una pronuncia ultra petita della corte d’appello laddove ha ritenuto di accogliere l’opposizione all’esecuzione per un motivo diverso rispetto a quello originariamente prospettato dai P. e dalle rispettive consorti. Inoltre, dalla lettura della sentenza di appello si ricava l’affermazione secondo la quale (pag, 11 della sentenza impugnata) “con il primo articolato motivo di gravame proposto, gli appellanti lamentano che il tribunale in prime cure avrebbe erroneamente ritenuto valido titolo esecutivo il contratto di mutuo, azionato esecutivamente in via di intervento dalla S.G.A…” e quindi dalla impostazione della questione da parte della corte d’appello risulta che in effetti rientrasse tra i motivi di appello l’essere o meno la Isveimer in possesso di un valido titolo esecutivo.
Il quinto motivo, relativo alla liquidazione delle spese, è assorbito dall’accoglimento del primo, che comporterà una nuova valutazione da parte del giudice di rinvio anche in ordine alle spese di giudizio.
In ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che deciderà anche sulle spese facendo applicazione del sopra enunciato principio di diritto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il secondo, il terzo e il quarto, assorbito il quinto. Rinvia la causa alla Corte d’Appello di Lecce che deciderà, in diversa composizione, anche sulle spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2015