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DIRITTO CIVILE. LA MOGLIE CASALINGA “MANTIENE” IL MARITO, MA SOLO SE BENESTANTE

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

DIRITTO CIVILE. LA MOGLIE CASALINGA “MANTIENE” IL MARITO, MA SOLO SE BENESTANTE

Con la sentenza n. 8719 depositata il 29 aprile 2015 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento può incombere anche all’ex moglie casalinga in caso di una disparità economica di notevole entità.

Nel caso in specie, il Tribunale di Teramo, con sentenza non definitiva di separazione, poneva interamente a carico della moglie casalinga priva di reddito – ma benestante in virtù di un patrimonio personale frutto di una liberalità di tre milioni di euro – il mantenimento dei due figli nonché l’obbligo di corrispondere al marito un mantenimento di 500,00 mensili.

Avverso la decisione definitiva il marito proponeva appello dolendosi dell’importo dell’assegno in quanto non appropriato al tenore di vita che la coppia conduceva prima della separazione, grazie al cospicuo patrimonio di cui godeva la moglie.

La Corte d’Appello dell’Aquila ritenendo inadeguata la misura dell’assegno, lo aumentava a euro 2000,00.

La questione, a seguito di ricorso proposto dalla moglie, approda dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha confermato l’operato dei giudici di merito, sancendo che non v’è alcuna differenza tra uomo e donna nel momento in cui deve essere garantito alla famiglia il medesimo tenore di vita, pertanto l’obbligo di pagare il mantenimento può incombere anche all’ex coniuge privo di reddito da lavoro, ma possessore di un ingente patrimonio personale che ha influito sullo stile di vita della famiglia durante l’unione matrimoniale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-04-2015, n. 8716

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15857-2013 proposto da:

B.P. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. CERBARA 64, presso l’avvocato CASTIELLO FRANCESCO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.P. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso l’avvocato DI LUZIO MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato DEL PRINCIPE MARIO, giusta procura speciale per Notaio dott.ssa GIUSI MARINO di ATRI –

Rep. n. 68 del 9.10.2014;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 231/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 15/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2015 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato BALDARI FILIPPO, con delega, che si riporta;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato DEL PRINCIPE che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Teramo, pronunciata con sentenza non definitiva la separazione fra i coniugi D.G.P. e B.P., con la sentenza definitiva pose a carico di quest’ultima l’obbligo di corrispondere al marito un assegno di mantenimento di Euro 500 mensili, annualmente rivalutabili. L’appello proposto dal D. G. contro la decisione definitiva è stato parzialmente accolto dalla Corte d’Appello di L’Aquila.

La corte territoriale ha ritenuto inadeguata la misura dell’assegno, tenuto conto da un lato dell’elevato tenore di vita che la coppia conduceva prima della separazione, assicurato principalmente dai cospicui redditi di cui godeva la moglie, coniuge economicamente più forte, e dall’altro del fatto che il D.G., a decorrere dal 10.2.07, era stato licenziato dall’azienda della quale era dipendente ed era stato posto in mobilità; ha pertanto disposto un aumento dell’assegno di mantenimento dovuto dalla B. al marito, determinandolo in Euro 800 mensili dalla data della domanda al febbraio del 2007, ed in Euro 2000 mensili dal marzo successivo al 4.11.09, data in cui, a seguito dell’introduzione del giudizio di divorzio, i rapporti patrimoniali fra i coniugi risultavano regolati dall’ordinanza presidenziale di fissazione provvisoria dell’assegno divorzile.

La sentenza, pubblicata il 15 marzo 2013, è stata impugnata da B.P. con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e illustrato da memoria, cui D.G.P. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la B. denuncia violazione dell’art. 156 c.c. Assume, in particolare, che la corte del merito non avrebbe tenuto conto: che, ancorchè titolare presso Credit Suisse di un deposito bancario di oltre tre milioni di Euro (derivanti dalla liquidazione della quota da lei posseduta nella società di famiglia), ella è una casalinga, priva di reddito da lavoro e deve farsi interamente carico del mantenimento dei due figli, l’una studentessa universitaria fuori sede e l’altro afflitto da gravi problemi di tossicodipendenza; che la somma depositata è frutto di una liberalità del padre ed è quindi priva di incidenza ai fini della determinazione del suo reddito; che, comunque, tale somma è l’unica disponibilità liquida sulla quale può contare per far fronte a tutti gli impegni, ed è destinata a diminuire, dovendo necessariamente servirle per il resto della vita; che, inoltre, si tratta di disponibilità limitata, perchè sul conto può operare anche suo padre, in forza di procura irrevocabile; che D.G. è, per contro, comproprietario di un ampio e lussuoso complesso immobiliare, idoneo a procurargli reddito, e non è disoccupato, in quanto esercita l’attività di disk jockey e lavora anche presso il Comune di Atri.

2) Col secondo motivo, nel quale si denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, la ricorrente sostiene che la corte territoriale avrebbe omesso di considerare che il D.G. aveva scelto volontariamente di essere messo in mobilità ed era passato immediatamente alle dipendenze del Comune di Atri, percependo una retribuzione di Euro 800 mensili dal marzo 2007 al novembre 2011. Nel prosieguo del motivo viene, inoltre, contestata la congruità delle motivazioni che sorreggono gli accertamenti dell’elevato tenore di vita goduto dalla famiglia prima della separazione e della natura saltuaria dell’attività di disk jockey del coniuge.

3) Con il terzo ed il quarto motivo, che denunciano l’uno violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’altro dell’art. 2697 c.c., la B. lamenta, rispettivamente, che il giudice d’appello non abbia dato risposta alle numerose sue contestazioni, volte a evidenziare l’insussistenza delle circostanze di fatto allegate dal D.G. a fondamento della domanda avanzata, ed abbia, per contro, riformato la sentenza di primo grado nonostante l’inadempimento del coniuge all’onere probatorio del quale era gravato.

5) Con il quinto motivo la ricorrente si duole, infine, che non sia stato tenuto conto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 c.p.c., del comportamento processuale del marito, che avrebbe “negato l’innegabile” ed avrebbe taciuto circostanze rilevanti ai fini della determinazione dell’assegno.

I motivi sono inammissibili.

6) Va innanzitutto rilevato che il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, anzichè prospettare l’erronea ricognizione da parte del giudice del merito delle astratte fattispecie normative di cui è denunciata la violazione – od a sollevare problemi di interpretazione delle indicate disposizioni – si limitano a contestare la decisione sul rilievo dell’omessa, od errata, valutazione delle risultanze di causa.

Tuttavia, ad un esame condotto sotto il diverso, e corretto, profilo del vizio di motivazione, tutte le illustrate ragioni di censura si manifestano come volte esclusivamente alla richiesta, cui non può essere dato ingresso nella presente sede di legittimità, di una completa rivisitazione del materiale istruttorie, al fine di sollecitare una decisione di merito diversa da quella cui è pervenuto il giudice d’appello.

6.1) Nel primo motivo, peraltro, si danno per accertate talune circostanze (l’esistenza di una procura irrevocabile e illimitata ad operare sul conto conferita al padre della B.; l’assunzione del D.G. da parte del Comune di Atri) delle quali la sentenza non fa neppure menzione, ma non si precisa, secondo quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quali siano, ed in quale esatta sede processuale siano stati prodotti, i documenti che varrebbero a provarle.

6.2) Nel terzo motivo, in cui il vizio di omessa pronuncia è erroneamente riferito all’omesso esame di allegazioni ed eccezioni difensive, la ricorrente tralascia di considerare che, secondo la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudice del merito può fondare il proprio convincimento sui soli elementi probatori che ritiene rilevanti per la decisione e non è obbligato a prendere in esame e a disattendere tutte le contrarie argomentazioni e contestazioni, a condizione che risulti logicamente giustificato il valore preminente accordato agli elementi da lui utilizzati (cfr., da ultimo e fra moltissime, Cass. nn. 13485/014, 8129/014, 25608/013).

6.3) Il quarto motivo contiene una generica elencazione degli elementi di prova che il D.G. avrebbe dovuto fornire, e non avrebbe fornito, per ottenere l’accoglimento della propria domanda, senza che sia chiarito se, e da dove possa ricavarsi, che le risultanze istruttorie sulle quali la corte territoriale ha fondato il proprio contrario convincimento fossero, in tutto o in parte, indimostrate o comunque inidonee a sorreggere la decisione.

6.4) Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo al quinto motivo, che muove, ancora una volta, dall’assiomatico presupposto che il D.G. abbia negato o taciuto circostanze rilevanti ai fini della decisione e che, comunque, non specifica da quali fatti processuali il giudice del merito avrebbe dovuto trarre argomenti di prova in ordine alla ricorrenza di quelle circostanze, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2.

6.5) Va infine evidenziato, per completezza, che nessuno dei motivi in esame prospetta ragioni di doglianza riconducibili al vizio di legittimità delineato dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (cui il ricorso, proposto contro una sentenza pubblicata il 15.3.013, è soggetto ratione temporis), il quale esige che il ricorrente indichi il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” lo stesso sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. SS.UU, n. 8053/2014).

7) Il rilievo appena svolto sub. 6.5) è di per sè sufficiente a fondare la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo, atteso che la B.: non ha specificato se, ed in quale esatta fase del giudizio di merito, sia stata prodotta la lettera della Teleco Cavi, già datrice di lavoro del D.G., che varrebbe, da sola, a smentire l’accertamento della corte territoriale secondo cui questi era stato licenziato dalla società (all’epoca in concordato preventivo) che, di concerto con le organizzazioni sindacali, aveva attivato la procedura di mobilità a causa di una grave ed irreversibile crisi aziendale, che da lì a poco l’avrebbe condotta al fallimento; non ha chiarito se la questione concernente gli emolumenti asseritamente corrisposti al coniuge dal Comune di Atri sia stata devoluta all’esame della corte d’appello; non ha indicato quali precise risultanze documentali si porrebbero in contrasto con gli ulteriori accertamenti del giudice del merito genericamente contestati. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2015