Il deterioramento del rapporto matrimoniale e la relazione extra-coniugale non integrano il reato di maltrattamenti in famiglia.
La Sesta sezione della Corte di Cassazione ritorna sulla questione relativa alle condotte integranti il reato di cui all’art. 572 c.p., rubricato, a seguito delle recenti modifiche legislative, “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”. Nel caso di specie la Suprema Corte afferma che il mero deterioramento del rapporto matrimoniale e la relazione extra-coniugale di uno dei coniugi, pur non essendo celata all’altro coniuge, non possono ritenersi fatti di per sé integranti la fattispecie di cui all’art. 572 c.p., in assenza di altri elementi che siano tali da creare una situazione di sofferenza fisiopsichica alla vittima.
Tale pronuncia si pone in linea con il costante insegnamento della Corte, secondo il quale il delitto de quo presuppone l’abitualità delle condotte di maltrattamento, che devono essere tali da cagionare una situazione di sofferenza, prevaricazione e umiliazione, nonché uno stato di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di esistenza della vittima. Pertanto, deve necessariamente sussistere una relazione diretta tra le condizioni di prostrazione fisica e morale della persona offesa e le condotte di maltrattamento poste in essere dal soggetto agente, condotte che, nel caso di specie, non sono state ritenute sussistenti, dovendo imputarsi lo stato di sofferenza fisiopsichica della vittima al deterioramento della relazione coniugale, più che a condotte vessatorie e prevaricatrici dell’imputato.
Nondimeno l’aver impedito all’altro coniuge di essere economicamente indipendente può ritenersi circostanza tale da integrare una “violenza economica” riconducibile al reato di cui all’art. 572 c.p., laddove tale condotta non si sia sostanziata in comportamenti vessatori, suscettibili di provocare un vero e proprio stato di prostrazione, sia fisico che morale, nella vittima.
per la sentenza clicca qui