La “legge più martoriata degli ultimi tempi” ancora al vaglio della Consulta: non commette reato il sanitario che effettua la selezione eugenetica.
Già da diversi lustri, la legge n. 40/2004 che disciplina la procreazione medicalmente assistita è stata definita come “la legge più martoriata degli ultimi tempi”.
Difatti, il reticolo normativo originariamente disegnato dal Legislatore è stato, pian piano, “sgretolato” e messo in discussione ad opera sia della Consulta sia della Corte europea dei diritti dell’uomo. A tal uopo, nient’affatto peregrina appare la constatazione secondo cui, poco più di un anno fa, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto assoluto di fecondazione eterologa sancito dagli artt. 4, III comma, e 9 della legge in questione; successivamente, con la sentenza n. 96/2015, i Giudici costituzionali hanno dichiarato l’illegittimità degli artt. 1, commi I e II, e 4, comma I, nella parte in cui non consentivano alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili di ricorrere alle tecniche di P.m.a.
In entrambe le ipotesi, la censura traeva origine dalla violazione degli artt. 2, 3, 29, 31, 32 e 117 della Carta costituzionale nonché 8 CEDU.
Invero, la ragione ispiratrice sottesa ai numerosi interventi pretorili può rinvenirsi nell’esigenza di ridefinire – alla luce delle nuove istanze sociali – il labile e delicato equilibrio tra autorità dello Stato ed autodeterminazione dell’individuo. Tematiche così delicate (come pure, mutatis mutandis, il matrimonio tra omosessuali, l’aborto, la convivenza more uxorio, il testamento biologico) sono avvinte da un quesito di fondo, id est quale sia il limite per uno Stato (laico) nel disciplinare tali materie e quale sia lo spazio da lasciare alla libertà del singolo.
Alla luce di ciò, il Tribunale di Napoli – nella veste di giudice a quo – ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 lett. b) e 4, e 14, commi 1 e 6, L. 40/2004 nella misura in cui non consentono, rispettivamente, la selezione a fini eugenetici e la soppressione degli embrioni soprannumerari.
I Giudici di Piazza del Quirinale, sulla base del principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, hanno dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 13, commi 3, lett. b) e 4, della Legge sulla fecondazione assistita. Ciò per violazione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza sancito dall’art. 3 della Carta costituzionale nonché per la tutela del diritto alla salute e della libertà di autodeterminazione (ex multis, artt. 2, 31 e 32 della Grundnorm); ragion per cui non costituisce più reato la condotta del sanitario che effettui la selezione degli embrioni al fine di evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili nonché corrispondenti ai criteri di gravità ex art. 6, comma 1, lett. b) della Legge n. 194/1978.
Al contrario, l’art. 14 ha superato indenne il vaglio di costituzionalità in quanto la Consulta ha ritenuto che la malformazione degli embrioni non possa legittimare, per ciò solo, un trattamento peggiore rispetto a quello degli embrioni sani. Pertanto, allo stato attuale ed in virtù della tutela della dignità dell’embrione (che non è certamente riducibile a mero materiale biologico), resta ancora in vigore il divieto di crioconservazione e soppressione degli embrioni soprannumerari. Tuttavia, stante la natura così sensibile della tematica de qua non può dirsi che l’architettura normativa odierna sia insuscettibile di successivi interventi legislativi ovvero giurisprudenziali. Ciò a testimonianza del fatto che il diritto, specie quando trattasi di settori trasversali che intercettano anche la bioetica, rappresenta una scienza in fluttuante divenire ed in continua evoluzione.
Corte Costituzionale Sentenza N. 229 del 2015
composta dai signori:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
– Alessandro CRISCUOLO Presidente
– Giuseppe FRIGO Giudice
– Paolo GROSSI ”
– Giorgio LATTANZI ”
– Aldo CAROSI ”
– Marta CARTABIA ”
– Mario Rosario MORELLI ”
– Giancarlo CORAGGIO ”
– Giuliano AMATO ”
– Silvana SCIARRA ”
– Daria de PRETIS ”
– Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, e dell’art.
14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promosso dal Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento penale a carico di D.B. ed altri con ordinanza del 3 aprile 2014, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di costituzione di D.B. ed altri;
udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il Giudice relatore Mario Rosario
Morelli;
udito l’avvocato Gennaro Lepre per D.B. ed altri.
Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di un processo penale, il Tribunale ordinario di Napoli –
premessane la rilevanza e la non manifesta infondatezza in riferimento agli articoli 2, 3 e
32 della Costituzione, nonché per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, duplice questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, e
dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui dette norme contemplano quali ipotesi di reato – come quelle, appunto, tra le altre contestate ai professionisti, imputati in quel giudizio – rispettivamente, la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni soprannumerari, «senza alcuna eccezione», non facendo, quindi, salva l’ipotesi in cui una tale condotta «sia finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche» e la soppressione concerna, conseguentemente, gli embrioni soprannumerari affetti, invece, da siffatte malattie.
1.1.− In particolare, secondo il rimettente, l’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della su citata legge n. 40 del 2004 – con il sanzionare penalmente anche la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche – violerebbe l’art. 3, sotto il profilo della ragionevolezza, e l’art. 32 Cost., per contraddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’embrione di cui all’art. 1 della medesima legge n. 40.
E contrasterebbe, altresì, con l’art. 117, primo comma, Cost., «in relazione all’art.
8 della CEDU, come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica (in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan contro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57)».
1.2.− A sua volta sempre ad avviso del Tribunale a quo, il successivo art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40, pregiudicherebbe il diritto di autodeterminazione garantito dall’art. 2 Cost.; violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza; e si porrebbe, pure esso, in contrasto con il richiamato art. 8 della CEDU, con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. Ciò sul rilievo che
«l’assoggettare a sanzione penale l’operatore medico che proceda alla soppressione degli embrioni soprannumerari affetti da malattie genetiche, costringerebbe le coppie che fanno ricorso alle tecniche di PMA, e che volessero evitare il procreare un figlio affetto da malattia genetica, a subire in ogni caso l’impianto degli embrioni affetti da malattie genetiche – con evidente pregiudizio della salute dalla donna se non sotto il profilo fisico, quantomeno da un punto di vista psicologico – nonché a seguire necessariamente la strada dell’interruzione volontaria della gravidanza».
2.− Nell’introdotto giudizio incidentale di legittimità costituzionale si sono costituiti, con memoria depositata il 29 settembre 2014, cinque degli imputati nel procedimento penale a quo, per chiedere l’accoglimento delle questioni nei termini come prospettati dal giudice rimettente.
3.− Non si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.− Il Tribunale ordinario di Napoli sospetta che l’art. 13 della legge 19 febbraio
2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) – con il vietare, sub comma 3, lettera b), e penalmente sanzionare, sub comma 4, in modo indiscriminato, «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni», senza escludere, dalla fattispecie di reato così configurata, l’ipotesi in cui la condotta dei sanitari «sia finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna degli embrioni affetti da malattie genetiche» − contrasti con gli artt. 3 e 32 della Costituzione, «per violazione del principio di ragionevolezza, corollario del principio di uguaglianza» e per vulnus al diritto alla salute, tutelato dalla stessa “legge 40” anche nei confronti della coppia generatrice; e violi altresì l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 «come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica (in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan contro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57)».
Lo stesso Tribunale sottopone al vaglio di costituzionalità anche il successivo art.
14, commi 1 e 6, della predetta legge n. 40 del 2004, nella parte in cui parallelamente vieta e penalmente sanziona la condotta di soppressione degli embrioni, anche ove trattasi di embrioni soprannumerari risultati affetti da malattie genetiche a seguito di selezione finalizzata ad evitarne appunto l’impianto nell’utero della donna.
Il rimettente dubita, con riguardo a detto disposto normativo, che ne risultino violati l’art. 2 Cost., «sotto il profilo della tutela del diritto all’autodeterminazione della coppia»; l’art. 3 Cost., per irragionevolezza e contraddittorietà rispetto al disposto dell’art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), che «consente agli operatori sanitari di praticare l’aborto terapeutico – anche oltre il termine di 90 giorni dall’inizio della gravidanza – in presenza di “processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”»; oltre che l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al medesimo parametro europeo come sopra evocato.
2.− La prima questione è fondata per l’assorbente ragione e nei limiti che si diranno.
2.1.− Con la recente sentenza n. 96 del 2015, questa Corte ha, infatti, già dichiarato l’illegittimità costituzionale dei precedenti artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della stessa legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1,
lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 […], accertate da apposite strutture pubbliche».
E «Ciò al fine esclusivo», come chiarito in motivazione, «della previa individuazione», in funzione del successivo impianto nell’utero della donna, «di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro», alla stregua del suddetto “criterio normativo di gravità”.
2.2.− Quanto è divenuto così lecito, per effetto della suddetta pronunzia additiva, non può dunque – per il principio di non contraddizione − essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante.
Ed è in questi esatti termini e limiti che l’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della legge n. 40 del 2004 va incontro a declaratoria di illegittimità costituzionale, nella parte, appunto, in cui vieta, sanzionandola penalmente, la condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978, accertate da apposite strutture pubbliche.
3.− La seconda connessa questione – di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40 del 2004 – è, invece, non fondata.
Come reiteratamente, infatti, ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, la discrezionalità legislativa circa l’individuazione delle condotte penalmente punibili può essere censurata in sede di giudizio di costituzionalità soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto od arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza (sentenze n. 81 del 2014, n. 273 del 2010, n. 364 del 2004, ordinanze n. 249 del 2007, n. 110 del 2003, n. 144 del 2001, ex plurimis).
Nel caso in esame, deve escludersi che risulti, per tali profili, censurabile la scelta del legislatore del 2004 di vietare e sanzionare penalmente la condotta di «soppressione di embrioni», ove pur riferita – ciò che propriamente il rimettente denuncia – agli embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica.
Anche con riguardo a detti embrioni, la cui malformazione non ne giustifica, sol per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in
«numero […] superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto», ex comma 2 del medesimo art. 14, nel testo risultante dalla sentenza n. 151 del 2009, si prospetta, infatti, l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico.
Con la citata sentenza n. 151 del 2009, questa Corte ha già, del resto, riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.; e l’ha bensì ritenuta suscettibile di «affievolimento» (al pari della tutela del concepito: sentenza n. 27 del 1975), ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti.
Nella fattispecie in esame, il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res, non trova però giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista.
E ciò conferma la non manifesta irragionevolezza della normativa incriminatrice denunciata.
La quale neppure contrasta con l’asserito «diritto di autodeterminazione» o, per interposizione, con il richiamato parametro europeo, per l’assorbente ragione che il divieto di soppressione dell’embrione malformato non ne comporta, per quanto detto, l’impianto coattivo nell’utero della gestante, come il rimettente presuppone e, in relazione ai suddetti parametri, appunto censura.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b), e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n.
194 (Norme per la tutela della maternità e sulla interruzione della gravidanza) e accertate da apposite strutture pubbliche;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevata − in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione ed all’art. 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 − dal Tribunale ordinario di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 21 ottobre 2015. F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente Mario Rosario MORELLI, Redattore Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’11 novembre 2015.