Reati contro la famiglia: violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Il Capo IV del Titolo XI, dedicato ai delitti contro la famiglia, disciplina le condotte offensive della assistenza familiare. Nel caso di specie l’imputato veniva condannato, tanto in primo, quanto in secondo grado, per il reato di cui all’art. 570, comma secondo, n.2 c.p. per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai due figli minori, così sottraendosi agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale. La norma suddetta punisce, infatti, “chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, o alla qualità di coniuge”, e in particolare chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”. Lo stesso imputato veniva, altresì, condannato per il reato di cui all’art. 388, commi primo e secondo, c.p. per aver eluso l’esecuzione del provvedimento emesso dal giudice di primo grado, riguardante l’affidamento dei minori.
La Suprema Corte ha ritenuto pienamente integrato il reato di cui all’art. 570 c.p. (comma secondo, n.2) in virtù della mancata prestazione, da parte dell’imputato,dei mezzi di sussistenza ai figli minori. Tali mezzi devono essere rapportati allo stato di bisogno dell’avente diritto, di talchè, trattandosi nel caso di specie di soggetti minori, lo stato di bisogno deve necessariamente presumersi in assenza di una prova puntuale in ordine alla disponibilità di una propria redditività o comunque di autonome fonti di sostentamento.
Quanto al reato di cui all’art. 388 c.p., invece, la Corte si è interrogata sull’effettivo valore che assume in concreto la condotta di elusione di un provvedimento giurisdizionale: tale norma è inserita nel Capo II del Titolo III del codice penale, e cioè tra i delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie. Il bene interesse tutelato dalla norma de qua è costituito tanto dall’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, quanto dalla esigenza costituzionale della effettività della giurisdizione. I primi due commi dell’art. 388 c.p. richiedono che venga in rilievo la cogenza di provvedimenti giurisdizionali, idonei a risolvere particolari situazioni di conflitto. Tuttavia, nel caso di misure concernenti l’affidamento di figli minori, il rilievo cogente del provvedimento giurisdizionale si proietta sulle modalità dell’affidamento e sulla regolamentazione delle facoltà degli aventi diritto, posto che, a prescindere dal provvedimento stesso, già sussiste in capo ai genitori il dovere di cura e di assistenza materiale e morale nei confronti dei figli (artt. 147 e 316 c.c.). Tanto vale ad affermare che la violazione dei doveri di cura e di assistenza non può correlarsi ad un provvedimento che disciplina le modalità dell’affidamento e del diritto di visita, in quanto tale obbligo prescinde da un atto giurisdizionale. Pertanto, la Suprema Corte ritiene che la condotta di disinteressamento nei confronti dei figli e quindi di violazione del dovere di cura degli stessi non integri il reato di cui all’art. 388 c.p. (commi primo e secondo), ma quello di cui all’art. 570 c.p. (comma primo), nella parte in cui fa riferimento ad una condotta contraria all’ordine familiare, con conseguente sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 – 30 novembre 2015, n. 47287 Presidente Rotundo – Relatore Ricciarelli
Ritenuto in fatto
- Con sentenza dell’8/4/2014 la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza pronunciata il 5/11/2013 dal Tribunale di Brindisi nei confronti di F.C. , condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il reato di cui all’art. 570 comma secondo, n. 2 cod. pen., per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai due figli minori, nella misura di Euro 200,00 mensili ciascuno, così sottraendosi agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà di genitore, e per il reato di cui all’art. 388, commi primo e secondo, cod. pen., riferito all’elusione dell’esecuzione del provvedimento emesso dal Tribunale di Brindisi in data 23/2/2009, riguardante l’affidamento dei minori, che l’imputato era autorizzato a tenere con sé il sabato e la domenica e nel periodo estivo nel mese di luglio. La Corte territoriale valorizzava la testimonianza resa dall’ex moglie dell’imputato, reputata attendibile, dalla quale era emerso che il F. , peraltro spesso detenuto, si era sottratto agli obblighi nei confronti dei minori, omettendo il versamento delle somme dovute e non curando di tenere i rapporti con i figli. A fronte dello stato di bisogno dei minori, riteneva la Corte che non fosse stata acquisita prova dell’impossibilità assoluta per l’imputato di provvedere ai figli. Inoltre il predetto si era disinteressato degli stessi, omettendo di dare esecuzione al provvedimento riguardante l’affidamento dei minori, il che valeva ad integrare l’elusione penalmente sanzionata, ravvisata in qualunque comportamento da cui derivi la frustrazione delle legittime pretesi altrui. Infondati erano da ritenersi anche i motivi di appello riguardanti la mancata concessione delle attenuanti generiche e l’entità della pena. 2. Presentava ricorso il difensore dell’imputato, articolando sei motivi. 2.1. Primo motivo: inosservanza della legge penale, illogicità e contraddittorietà della motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riguardo alla sussistenza del reato di cui al comma primo dell’art. 570 cod. pen.: all’imputato era stato addebitato anche l’abbandono del domicilio domestico e la Corte territoriale aveva confermato la condanna anche sul punto, quando non sarebbe potuto dirsi sufficiente il fatto storico dell’avvenuto allontanamento di uno dei coniugi e neppure sarebbe potuta considerarsi bastevole una situazione transitoria o giustificata dalla necessità di sottrarsi ad altrui condotte lesive, essendo invece necessario che l’allontanamento sia privo di giusta causa così da connotarsi di disvalore dal punto di vista etico e sociale. 2.2. Secondo motivo: analoghi vizi in relazione al reato di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen.: la Corte aveva registrato il solo fatto dell’inadempimento da parte dell’imputato ma senza valutare lo stato di bisogno della moglie separata e dei figli e senza considerare la prova dell’incapacità economica dell’obbligato; l’obbligo penalmente sanzionato sarebbe dovuto riferirsi non tanto alla somma liquidata dal giudice ma alle cose indispensabili, quali vitto, vestiario, abitazione; era mancata inoltre la consapevolezza da parte del prevenuto dello stato di bisogno in cui si trovava il soggetto passivo, a fronte della consapevolezza della propria condizione di incapacità economica, in stato di continua precarietà a fronte di periodi di carcerazione e dello svolgimento solo saltuario di attività di imbianchino. 2.3. Terzo motivo: violazione di legge processuale ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.: non era stata valutata l’inattendibilità e la genericità delle dichiarazioni dell’ex moglie dell’imputato che aveva manifestato risentimento ed era comunque portatrice di un interesse, tale da imporre una valutazione cauta e rigorosa, a fronte di un racconto costellato di incongruità e ricuciture, privo di un costrutto logico, fermo restando che tale racconto non aveva fatto emergere la necessaria prova della capacità economica dell’obbligato o del suo venir meno per una volontaria determinazione del colpevole. 2.4. Quarto motivo: violazione dell’art. 388 cod. pen. agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.: veniva richiamato l’insegnamento delle Sezioni unite della Corte di cassazione e quello della Corte costituzionale, sottolineandosi che i primi due commi dell’art. 388 cod. pen. hanno quale oggetto giuridico l’interesse all’effettività della tutela giurisdizionale e che dunque l’elusione implica una condotta più trasgressiva della mera inottemperanza; si aggiungeva che i bimbi avevano avuto contatti continui con i nonni paterni e con la sorella dell’imputato, avendo la stessa ex moglie dichiarato che il F. entrava e usciva dal carcere ed era stato anche vittima di un attentato, per cui ella evitava al momento di mandare i bimbi per paura, fermo restando che in base a quanto dichiarato dalla donna l’imputato era rimasto in carcere a Torino per alcuni mesi ed ella non aveva reputato opportuno mandare i figli fino a Torino. 2.5. Quinto motivo: violazione di legge, in particolare dell’art. 62-bis cod. pen. agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.: era mancata la concessione delle attenuanti generiche in relazione ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., potendo essere il diniego fondato anche sull’apprezzamento di un dato negativo ritenuto prevalente; ma nella specie parevano sussistere ragioni tali da giustificare una riduzione. 2.6. Sesto motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 133 e 81 cod. pen. agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.: la pena era da ritenersi eccessiva e sarebbe dovuta rideterminarsi nella misura minima onde poter assolvere alla sua funzione rieducativa.
Considerato in diritto
- Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Stando a quanto risulta dalla sentenza del Tribunale di Brindisi, non risulta formalmente rubricata al capo a) la violazione dell’art. 570, comma primo, cod. pen., ivi facendosi riferimento alla mancata prestazione di mezzi di sussistenza in favore dei figli minori, solo in relazione a ciò specificandosi la violazione dell’obbligo di assistenza. Del resto il Tribunale di Brindisi ha operato sulla pena base calcolata per il reato di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., un aumento a titolo di continuazione con il reato sub b). Il riferimento all’allontanamento dalla casa coniugale, che compare in effetti nelle sentenze di merito, è utilizzato per la valutazione della condotta complessiva del F. , anche in relazione al capo b). Ciò avrà peraltro rilievo, come si vedrà infra, ai fini dell’esatta qualificazione di tale secondo reato. In ogni caso le censure contenute nel primo motivo sono manifestamente generiche, in quanto si risolvono in astratte asserzioni, svincolate da specifici riferimenti al contenuto della motivazione della sentenza impugnata, con la quale il motivo non si confronta in alcun modo. 2. Il secondo motivo è infondato e in parte manifestamente infondato. 2.1. Effettivamente il reato è integrato dalla mancata prestazione dei mezzi di sussistenza, rapportati allo stato di bisogno dell’avente diritto. Peraltro nel caso di specie si trattava di minori, con la conseguenza che il loro stato di bisogno sarebbe dovuto presumersi Cass. Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, S., rv. 261871; Cass. Sez. 6, n. 46060 del 22/10/2014, D.M., rv. 260823), in assenza di prova puntuale della disponibilità di una propria redditività o comunque di autonome e idonee fonti di sostentamento, ciò che non è stato neppure prospettato. Né sarebbe potuto valorizzarsi, al fine di escludere il concorrente obbligo dell’imputato, connesso alla qualità e alla responsabilità genitoriale, la circostanza che al sostentamento avesse provveduto in via sussidiaria l’altro genitore (cfr. ancora Cass. Sez. 6, n. 46060 del 2014, cit.). Peraltro ha sul punto rilevato la Corte territoriale che l’ex moglie del F. aveva dichiarato di non disporre di redditi adeguati alle esigenze sue e dei figli, nonostante si prodigasse per garantire il soddisfacimento di tali esigenze. Pur non potendosi inoltre in linea generale stabilire un’automatica equiparazione tra importi fissati in sede giudiziale e mezzi di sussistenza, l’importo di Euro 200,00 mensili per ciascun figlio, stabilito nel caso di specie dal Tribunale di Brindisi, sarebbe dovuto intendersi come somma minima, non eccedente la soglia della stretta sussistenza, rapportata alla disponibilità di beni primari, fermo restando che comunque, in base a quanto rilevato in sede di merito, il F. risulta non aver versato nulla. 2.2. Quanto allo stato di incapacità economica del soggetto obbligato, si rileva che detta incapacità deve essere assoluta ed integrare una situazione di persistente, oggettiva e incolpevole indisponibilità di introiti (Cass. Sez. 6, n. 41362 del 21/10/2010, M., rv. 248955). Correlativamente si è ribadito che l’indisponibilità non vale ad escludere la responsabilità per l’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, allorché essa sia dovuta almeno parzialmente a colpa dell’imputato (Cass. Sez. 6, n. 11696 del 3/3/2011, F., rv. 2496551). Ed ancora deve rilevarsi che a carico dell’obbligato grava l’onere, se non di provare, almeno di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’incapacità economica (Cass. Sez. 6, n. 7372 del 29/1/2013, S., rv. 254515; Cass. Sez. 6, n. 8063 del 8/2/2012, G., rv. 252437). Orbene, ha rilevato la Corte territoriale, in linea con le valutazioni del Tribunale di Brindisi, che non è stata acquisita alcuna prova dell’assoluta indigenza del F. , a fronte del fatto che, in base a quanto dichiarato da L.E. , ex moglie dell’imputato, costui continuava a svolgere attività di imbianchino e posatore di cartongessi. Va altresì osservato che, secondo quanto prospettato nel motivo di ricorso, il F. avrebbe saltuariamente svolto tale attività e avrebbe subito periodi di carcerazione: ma è di tutta evidenza come tale prospettazione non valga a disarticolare, attesane l’assoluta genericità, le formulate valutazioni di merito, non essendo state fornite neppure indicazioni precise in merito alle ragioni delle subite carcerazioni, che peraltro non possono di per sé corroborare l’assunto dell’incapacità economica, in quanto implicano, in assenza dell’allegazione di elementi di segno contrario, la colpa del soggetto obbligato. 2.3. Deve inoltre disattendersi l’assunto secondo cui il F. non sarebbe stato consapevole dello stato di bisogno dei minori in ragione di quanto essi potevano comunque ricevere da altri: il rilievo è giuridicamente erroneo, in quanto, come già osservato, lo stato di bisogno va rapportato alle autonome disponibilità dei minori e non a quanto essi possano ricevere da soggetti gravati in via sussidiaria. 3. Il terzo motivo è inammissibile perché del tutto generico. Si assume che la Corte avrebbe omesso di sottoporre le dichiarazioni di L.E. al necessario rigoroso vaglio di attendibilità e si rileva che dette dichiarazioni sarebbero espressive di astio e risentimento, oltre che connotate da fratture narrative, incongruità e ricuciture. In realtà la Corte territoriale non si è sottratta al compito di valutare l’attendibilità della teste, avendo invece rilevato che il presunto risentimento covato da costei è stato solo genericamente enunciato e non provato e che la deposizione è risultata lineare, chiara, non contraddetta da alcun elemento di segno contrario e anzi confermata da quelli acquisiti (pag. 3 della sentenza della Corte di appello). Il motivo di ricorso non si confronta con tale motivazione e riporta solo un passo nel quale la teste aveva fatto riferimento all’opposizione della nuova compagna del F. , non spiegando in che misura tale elemento potesse costituire segno di risentimento verso il F. , a fronte delle valutazioni compiute dalla Corte. 4. Il quarto motivo prospetta invece elementi che meritano un più attento vaglio. 4.1. Si contesta infatti la configurabilità del reato di cui all’art. 388 commi primo e secondo, cod. pen., in relazione al valore che assume in concreto la condotta di elusione. 4.2. La Corte territoriale sul punto ha ritenuto che integri il reato qualsiasi comportamento omissivo da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui. Si tratta di assunto corretto (in tal senso Cass. Sez. 6, n. 43292 del 9/10/2013, Guastafierro, rv. 257450), che tuttavia non appare pertinente nel caso di specie, non essendosi considerato il significato della condotta contestata. 4.3. Al F. è stato infatti addebitato di aver disatteso l’autorizzazione a tenere con sé i figli il sabato e la domenica e nel periodo festivo, non esercitando il relativo diritto. Ma a ben guardare il mancato esercizio di un diritto non può integrare il reato contestato. L’art. 388 cod. pen. è inserito nel capo II del titolo III del codice penale, cioè tra i delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie. Il bene-interesse protetto dalla norma non è peraltro costituito tanto dall’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali quanto dall’esigenza costituzionale dell’effettività della giurisdizione (Cass. Sez. U., n. 36692 del 27/9/2007, Vuocolo, rv. 236937). Ciò implica comunque che in tutti i casi previsti debba venire in considerazione l’effettività di una pronuncia giurisdizionale, in quanto da essa discendano misure cui corrispondono doveri di comportamento, positivo o omissivo, incidenti sulle specifiche situazioni contemplate dalla norma. Con riguardo ai primi due commi dell’art. 388 cod. pen., in particolare occorre che venga in rilievo la cogenza di provvedimenti giurisdizionali, idonei a risolvere peculiari situazioni di conflitto. Ma nel caso di misure concernenti l’affidamento dei figli minori, il rilievo cogente del provvedimento giurisdizionale si proietta sulle modalità dell
’affidamento e sulla regolamentazione delle rispettive facoltà degli aventi diritto, posto che invece, a prescindere dal provvedimento, già sussiste in capo ai genitori il dovere di cura e di assistenza nei confronti dei figli minori, previsto dalle norme del codice civile (attualmente, dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, deve farsi riferimento agli artt. 147 e 316 cod. civ.). Ciò significa che la violazione del dovere di cura, in relazione all’obbligo di assicurare assistenza morale e materiale ai figli, non può correlarsi ad un provvedimento che disciplina le modalità dell’affidamento e del diritto di visita e che assume invece incisivo rilievo nel rapporto con l’altro soggetto, gravato da analogo diritto-dovere. In altre parole l’effettività del provvedimento va valutata in relazione alla sfera di operatività sua propria e al tipo di conflitto che intende dirimere, non potendo invece invocarsi in relazione al mancato esercizio di facoltà riconosciute, correlate peraltro a preesistenti obblighi primari, che prescindono da esso. Ed allora deve ritenersi che la condotta accertata dalla Corte territoriale in piena sintonia con quanto ritenuto dal Tribunale di Brindisi, in ordine alla radicale inosservanza da parte F. del dovere di cura verso i figli, dei quali risulta essersi sostanzialmente disinteressato (in tal senso vengono in rilievo le osservazioni formulate con riguardo alla generale condotta tenuta dall’imputato, poi specificamente valorizzata in relazione al capo b) non integri il reato di cui all’art. 388 commi primo e secondo cod. pen., bensì quello di cui all’art. 570 comma primo, cod. pen., nella parte in cui fa riferimento a comportamento contrario all’ordine delle famiglie con sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità (già potestà) genitoriale (è pacifico che la violazione dei doveri di assistenza da parte del genitore integra l’autonomo reato previsto dall’art. 570, comma primo, cod. pen.: Cass. Sez. U., n. 23866 del 31/1/2013, S., rv. 255271). Le valutazioni in punto di fatto della Corte territoriale non trovano un limite nei rilievi contenuti nel motivo di ricorso, riguardanti i contatti dei bambini con i nonni paterni, i periodi di carcerazione del F. , la paura dell’ex moglie in relazione ad un attentato subito dall’uomo. Si tratta di elementi che non sono idonei a disarticolare il ragionamento probatorio utilizzato dalla Corte, incentrato sulla complessiva inosservanza da parte dell’imputato dei suoi doveri di genitore, manifestatasi attraverso il mancato esercizio del diritto di visita e affidamento. La riqualificazione della fattispecie è resa possibile dal fatto che la condotta ritenuta è in concreto già inclusa nella contestazione, che si tratta di ipotesi di reato meno grave e che la valutazione giuridica non costituisce in questo caso esito imprevedibile, tale da precludere il concreto esercizio del diritto di difesa, considerato anche che le deduzioni difensive hanno abbracciato ogni aspetto inerente ai doveri genitoriali. 5. Il quinto e il sesto motivo sono inammissibili per evidente genericità, in quanto prospettano criteri astratti di determinazione della pena e di applicazione delle invocate attenuanti generiche, ma non si confrontano con le valutazioni formulate dalla Corte territoriale, a conferma di quelle del Tribunale di Brindisi. Peraltro la Corte territoriale ha nitidamente valorizzato i precedenti penali del F. , la reiterazione e gravità del comportamento, noncurante dei doveri di genitore: si tratta di valutazione del tutto in linea con i criteri utilizzabili ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti generiche e della determinazione della pena. 6. A seguito della riqualificazione del fatto di cui al capo b), si impone tuttavia l’annullamento in ordine al trattamento sanzionatorio, limitatamente all’aumento di pena imputabile alla continuazione tra i reati. Di qui il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.
P.Q.M.
Qualificato il capo b) ai sensi dell’art. 570, comma primo, cod. pen., annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce. Rigetta il ricorso nel resto.