L’apposizione di un termine di durata non esclude la facoltà di recesso ad nutum
La corte di Cassazione, con sentenza n. 469/2016, ha modo di precisare i contorni applicativi del cosiddetto recesso ad nutum.
In tale pronuncia, invero, si afferma che l’esercizio di tale tipologia di recesso non può negarsi sol che sia fissato un termine di durata al rapporto contrattuale.
Il caso di specie prende le mosse da un contratto d’opera professionale tra un paziente e un medico, in base al quale le parti pattuivano che, per la durata di due anni, il professionista si impegnava a determinate attività: assicurare una reperibilità, offrire assistenza e informazione al paziente nonché a raggiungerlo in caso di necessità di un intervento chirurgico.
Prima della decorrenza, però, del periodo pattuito, il paziente esercitava il recesso ad nutum, sciogliendosi dal vincolo contrattuale. Vittorioso in primo grado, il professionista ha visto disattese le proprie pretese in Corte d’Appello e in Cassazione.
Quest’ultima, in particolare, ha precisato che il cliente può sempre recedere ad nutum da un contratto d’opera professionale, a differenza del professionista, che può farlo solo per giusta causa, in virtù del rapporto fiduciario che si instaura col medico.
La previsione di un temine di durata, secondo la Corte, non esclude la possibilità di esercitare tale tipo di recesso, a meno che non si evinca, in maniera inequivoca, dal complesso del regolamento negoziale, la volontà delle parti di vietare la facoltà di recesso.
Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-01-2016, n. 469
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –
Dott. MATERA Lina – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 6408/2011 proposto da:
P.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 19, presso lo studio dell’avvocato COZZI GIANDOMENICO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
F.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato SERGIO FIENGA, rappresentato e difeso dall’avvocato MINOLI LUCA MASSIMO FABIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 357/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2015 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;
udito l’Avvocato Cecilia PONZANO con delega depositata in udienza dell’Avvocato COZZI Giandomenico, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento delle difese esposte ed in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e per la compensazione delle spese.
Svolgimento del processo
- P.C., (medico-chirurgo), conveniva dinanzi al Tribunale di Milano F.M., per sentire dichiarare risolto, per fatto e colpa di quest’ultimo, il contratto di prestazione d’opera intellettuale, intercorso inter partes in data 17/1/01, con condanna del predetto F. al risarcimento dei danni da lei subiti, esposti, indicativamente in L. 620.000.000, oltre agli ulteriori danni, non patrimoniali, derivanti dall’ingiustificata interruzione del rapporto di cui sopra.
Costituitosi in giudizio, il F. contestava gli assunti avversari, chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna al pagamento della somma di L. 200.000.000, a titolo di risarcimento dei danni.
Il tribunale pronunciava la risoluzione del contratto per fatto e colpa del convenuto che condannava al risarcimento dei danni liquidati in Euro 183.858,66.
Secondo il primo Giudice tra le parti era stato stipulato un contratto, sussumibile nell’ambito delle disciplina, fissata dall’art. 2229 c.c. e ss., avente ad oggetto (in via esclusiva, per l’attore, ex art. 2) la prestazione di attività di anamnesi, diagnosi oltre che di informazione e consulenza e assistenza……” con la previsione della durata in anni 2: l’apposizione del termine integrava deroga espressa al recesso ad nutum di cui all’art. 2237 c.c.: di conseguenza doveva ritenersi inadempiente il convenuto che aveva receduto illegittimamente dal contratto.
Con sentenza dep. l’11 febbraio 2010 la Corte di appello di Milano in riforma della sentenza impugnata dal convenuto, rigettava la domanda proposta dall’attrice nonchè la riconvenzionale.
Per quel che ancora interessa, i Giudici – nell’escludere l’inadempimento addebitato dall’attrice al cliente – ritenevano che questi aveva legittimamente esercitato il recesso dal contratto previsto dall’art. 2237 c.c., comma 1, a favore del committente, non potendo intendersi tale facoltà esclusa per effetto della previsione pattizia di un termine di durata del contratto: era, infatti, comunque da verificarsi nel singolo caso se l’apposizione del termine di durata sia sufficiente di per sè a integrare la deroga pattizia alla facoltà del recesso ad nutum, non potendo condividersi alcun automatismo interpretativo come invece affermato dal tribunale. E, nella specie – alla stregua del contratto concluso dalle parti – assumeva rilevanza decisiva il particolare, più intenso, intuitus personae ovvero la fiducia posta a base della collaborazione fra medico e paziente che aveva affidato a un medico personale ed esclusivo la speranza di cura e di guarigione da una rara malattia:
l’apposizione del termine di durata non era espressione univoca della volontà di derogare al recesso ad nutum, anzi poteva leggersi come elemento che rafforzava la esigenza della componente fiduciaria.
- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P. C. sulla base di tre motivi illustrati da memoria.
Resiste con controricorso l’intimato.
Motivi della decisione
- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2237 c.c., censura la sentenza impugnata per avere, in contrasto con i principi elaborati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità, ritenuto che l’apposizione del termine di durata non sia sufficiente di per sè ad escludere il recesso ad nutum previsto a favore del cliente committente.
- Il secondo motivo, lamentando omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione, denuncia che, pur cadendo in errore sulla necessità di verificare in concreto se l’apposizione del termine abbia comportato rinuncia o meno al recesso, la sentenza aveva comunque omesso l’esame del contenuto delle clausole contrattuali secondo cui era stato previsto un obbligo di esclusiva a carico del professionista nei confronti del cliente: il che giustificava la rinuncia al recesso. Parimenti, non era stata presa in considerazione la facoltà accordata al professionista di recedere ad nutum dal contratto, che aveva comportato per l’attrice l’abbandono degli altri impegni lavorativi.
In effetti, la sentenza aveva ritenuto una categoria di contratti, quelli super intuitus personae, sconosciuta alla dottrina e alla giurisprudenza ovvero che il rapporto fra medico e paziente fosse connotato da un più intenso intuitus personae rispetto agli altri rapporti professionali con una operazione empirica e priva di valore giuridico. Se il cliente può recedere dal contratto in virtù del rapporto fiduciario, l’esercizio di tale facoltà non può tradursi nella lesione del diritto del professionista derivante dagli obblighi contrattuali assunti.
- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., censura l’interpretazione del contratto laddove non aveva tenuto conto delle pattuzioni intercorse fra le parti convenute e in particolare della facoltà di recesso ad nutum accordata al prestatore o ancora della circostanza che, con lettera del 16/24 maggio 2001, il F. non aveva dichiarato di volere recedere dal contratto, essendo consapevole della rinuncia alla facoltà ex art. 2237 c.c..
- I motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
Ai sensi dell’art. 2237 c.c., comma 1, il cliente può recedere ad nutum dal contratto di opera professionale, mentre al prestatore è consentito il recesso soltanto per giusta causa: la facoltà di scioglimento è accordata al cliente-committente in considerazione della natura fiduciaria del rapporto caratterizzato dall’intuitus personae.
Certamente è legittima l’apposizione di un termine di durata del contratto, non essendo vietata da alcuna specifica norma, così come è derogabile pattiziamente la facoltà di recesso ad nutum del cliente.
Peraltro, occorre verificare se, in presenza di una durata convenzionale, il rapporto sia suscettibile di anticipato scioglimento per effetto del recesso ad nutum da parte del cliente ovvero se la previsione di un termine di durata integri rinuncia alla facoltà di recesso da parte del cliente.
In primo luogo, va considerato che in generale è configurabile il recesso ad nutum anche nei contratti a tempo determinato, come del resto è previsto nel contratto di appalto e nel contratto di opera manuale (artt. 1671 e 2227 c.c.), quando il rapporto si fonda sulla fiducia posto che anche questi ultimi sono rapporti con una scadenza predeterminata fissata con riferimento al compimento dell’opus (unico) e non sono contratti a tempo indeterminato o di durata, che si caratterizzano per soddisfare plurimi bisogni del committente.
D’altra parte, la previsione di cui all’art. 2237, non contiene alcun riferimento o limitazione ai rapporti a tempo indeterminato, non essendovi alcun elemento per ritenere – proprio in considerazione della natura fiduciara del rapporto – che la facoltà di recesso non possa operare anche nel contratto a tempo determinato.
Orbene, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di contratto di prestazione d’opera intellettuale, la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente contemplata dall’art. 2237 c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto; l’apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, nel senso che a tal fine non è necessario un patto specifico ed espresso (Cass. 24367/2008). Al riguardo occorre chiarire che la predeterminazione di un termine di durata del contratto intanto può integrare rinuncia da parte del cliente al recesso ove dal complessivo regolamento negoziale possa inequivocabilmente ricavarsi la volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale. Ciò posto, l’indagine dei Giudici doveva essere diretta a verificare se nel caso concreto – in relazione alle pattuizioni convenute – le parti avessero inteso limitarsi a fissare la durata massima del rapporto o piuttosto avessero voluto escludere il recesso ad nutum del cliente prima di tale data. Al riguardo, la sentenza impugnata ha compiuto siffatto accertamento: correttamente affermando che la deroga pattizia deve essere verificata alla luce del contenuto del contratto e che non sono legittimi automatismi interpretativi, i Giudici hanno compiuto l’esame e dato conto del regolamento negoziale, escludendo – in relazione alla particolare natura della prestazione professionale consistitia in anamnesi, diagnosi, informazione, consulenza e assistenza volta alla ricerca di cure per malattie rare – che il cliente, con l’apposizione del termine, avesse rinuciato alla facoltà di recesso. In sostanza, nel fare riferimento al più intenso intuitus personae, la sentenza ha correttamente considerato la peculiarità della prestazione convenuta ovvero le esigenze che il cliente intendeva soddisfare, confermando la natura fiduciaria del rapporto, che peraltro costituisce un naturale negotii del contratto di opera professionale. Nè, d’altra parte, le censure sollevate dalla ricorrente in merito al contenuto del clausole richiamate e alla interpretazione date dai Giudici sono tali da inficiare le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte.
In merito alla esistenza di un obbligo di esclusiva a carico del professionista – che di per sè solo neppure sarebbe elemento sufficiente per negare la recedibilità dal contratto – le doglianze si risolvono in una soggettiva ricostruzione della volontà pattizia, operata dalla ricorrente per desumere dall’art. 4 del contratto siffatto patto atteso che – a stregua del tenore letterale della clausola citata, così come riportata in ricorso – è da escludere la denunciata violazione delle regole ermeneutiche, laddove l’art. 4 si limitava a stabilire la presenza fisica per due giorni la settimana con presenza telefonica negli altri giorni e con disponibilità a raggiungere nel luogo ove il F. si trovasse ove avesse necessità di un intervento chirurgico o sopecialistico o necessità di consulenza e assistenza medica.
Per quel che poi riguarda, il recesso ad nutum accordato al prestatore di lavoro anche in assenza di giusta causa, tale previsione, lungi dall’integrare circostanza decisiva nel senso prospettato dalla ricorrente, porterebbe addirittura ad escludere che con la ( mera) apposizione del termine le parti si siano vincolate a non recedere dal contratto, assumendo la scadenza rilevanza piuttosto ai fini della durata convenuta.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico del, risultato soccombente Va formulato, ex art. 384 c.p.c., il seguente principio di diritto:
“In tema di contratto di opera professionale, la previsione di un termine di durata del rapporto non esclude di per sè la facoltà di recesso ad nutum previsto a favore del cliente dal primo comma dell’art. 2237 c.c., dovendo verificarsi in concreto in base al contenuto del regolamento negoziale se le parti abbiano inteso o meno vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto prima della scadenza pattuita”.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per onorari di avvocato oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2016