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Diritto Penale – Il favor rei e la retroattività della norma penale in materia tributaria

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Diritto Penale – Il favor rei e la retroattività della norma penale in materia tributaria

Di recente la Corte di Cassazione è intervenuta, con sentenza n. 891/2016, sull’applicazione del principio del favor rei, nell’ambito della retroattività della norma penale modificata parzialmente da una successiva norma di legge, quando questa preveda una disciplina, appunto, più favorevole al reo.

Nel caso preso ad oggetto il sig. Tizio e il sig. Caio erano stati condannati, con sentenza del 3/12/2012, rispettivamente, ad un anno e sette mesi di reclusione e a sei mesi di reclusione. Al sig. Tizio erano stati contestati i delitti di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. n. 74/2000, e quindi dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, relativamente all’art. 2, e dichiarazione infedele, relativamente all’art. 4; mentre ad entrambi era stata imputata la fattispecie di cui all’art. 11 dello stesso decreto, e cioè sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Allo stesso tempo, tuttavia, nelle more del giudizio di legittimità, era stato emanato il d. lgs. n. 158/2015 (entrato in vigore dal 22/10/2015), che, all’art. 4, modificava l’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 in oggetto, prevedendo una soglia di punibilità diversa e più elevata rispetto a quella per la quale era stata emanata la sentenza di condanna nel 2012; cosicché la dichiarazione infedele contestata al sig. Tizio per gli anni d’imposta 2006, 2007, 2008 e 2009 risultava inferiore nel quantum alla soglia di punibilità successivamente vigente, individuata dal decreto n. 158/2015.

La Suprema Corte, sulla base di tali considerazioni e in applicazione del principio del favor rei, che permette, in deroga al principio dell’irretroattività della legge penale, l’applicazione retroattiva di una norma penale modificata parzialmente da una successiva norma di legge, quando questa preveda una disciplina più favorevole al reo (come nel caso di specie), ha perciò predisposto l’annullamento della sentenza senza rinvio, per insussistenza del fatto. Infine la Corte ha evidenziato come fosse da preferirsi tale formulazione (insussistenza del fatto) rispetto a quella “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, in quanto quest’ultima deve essere adottata quando il fatto non corrisponde ad una fattispecie incriminatrice in ragione o di un’assenza di previsione normativa o di una successiva abrogazione della norma o di un’intervenuta dichiarazione d’incostituzionalità (integrale e non parziale, come nel caso di specie); mentre la formula “il fatto non sussiste” va adottata quando difetti un elemento costitutivo del reato, come nel caso in esame.

 

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 gennaio 2016, n. 891

Tributi – Reati tributari – Dichiarazione infedele – Soglie di punibilità – Favor rei – Retroattività – Applicazione anche ai giudizi in corso

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 3/12/2012, il Tribunale di Pinerolo applicava a (…) e (…) – ai sensi dell’art. 444 cod. proc. Pen. – la pena, rispettivamente, di un anno e sette mesi di reclusione e di sei mesi di reclusione; al primo, quale titolare dell’omonima impresa individuale, erano contestati i delitti di cui agli artt. 2 e 4, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e ad entrambi la fattispecie di cui all’art. 11 del medesimo decreto.
  2. Propongono separati ricorsi per cassazione (…) e (…), personalmente, deducendo i seguenti motivi:

(…):

– Erronea applicazione degli artt. 129, 444 cod. proc. Pen. Il Tribunale, nel pronunciare la sentenza, avrebbe dovuto accertare la mancanza di ogni responsabilità in capo ai ricorrenti, sì da pervenire ad una declaratoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. Pen.;

(…):

Erronea applicazione dell’art. 322-ter cod. pen. Il Tribunale avrebbe disposto la confisca per equivalente, previo sequestro, di beni appartenenti ad entrambi i ricorrenti per un valore – per ciascuno di essi – corrispondente all’intero profitto del reato; quel che non risponderebbe a criteri di personalità e proporzionalità della pena, cui ogni sanzione – compresa la confisca in oggetto – debbono sottostare.

Considerato in diritto

  1. Con riguardo al ricorso proposto dal (…), osservava la Corte che nelle more del giudizio di legittimità è stato emanato il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, L. 11 marzo 2014, n. 23), in vigore dal 22 ottobre 2015, che – all’art. 4 – ha modificato l’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 in contestazione, sostituendolo con il seguente (per la parte qui di interesse): “Fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a)l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante l’indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni”.

Ne consegue che la dichiarazione infedele contestata al (…) al capo c) per gli anni di imposta 2006, 2007, 2008 e 2009 risulta inferiore nel quantum alla soglia di punibilità oggi vigente, come individuata dal decreto n. 158 citato;

si da imporsi l’annullamento della sentenza senza rinvio, per insussistenza del fatto, con trasmissione degli atti al Tribunale di Torino quanto al residuo reato.

Formula, peraltro, da preferirsi a quella “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”. Ed invero, quest’ultima va adottata là dove il fatto non corrisponda ad una fattispecie incriminatrice in ragione o di un’assenza di previsione normativa o di una successiva abrogazione della norma o di un’intervenuta dichiarazione d’incostituzionalità (integrale e non parziale, come nel caso di specie), permanendo in tutti tali casi la possibile rilevanza del fatto in sede civile; la formula “il fatto non sussiste”, che esclude ogni possibile rilevanza anche in sede diversa da quella penale, va invece adottata quando difetti un elemento costitutivo del reato, come nel caso in esame (v., sul punto; Sez. 3, n. 13810 del 12/02/2008, Diop, Rv. 239949).

  1. Manifestamente infondato, poi, risulta il ricorso della (…).

Con riguardo al primo motivo (peraltro comune al (…), si osserva che per costante indirizzo di questa Corte Suprema, condiviso dal Collegio, la sentenza del Giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo della motivazione, soltanto se dal testo del provvedimento appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. Pen. (da ultimo, Sez. 3, n. 27426 del 16/04/2014, Devicic, Rv. 259394); diversamente, il richiamo alla norma medesima (e ancor più, come nel caso in esame, il riferimento a precise risultanze istruttorie) è sufficiente a far ritenere che il Giudice abbia verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento, non occorrendo ulteriore e più analitiche disamine al riguardo (tra le altre, Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011, Alba, Rv. 252085). Ebbene, dal testo della pronuncia in oggetto detta evidenza non si ravvisa affatto; né, peraltro, i ricorrenti individuano alcun elemento – di ordine logico o documentale – che il Tribunale di Pinerolo avrebbe dovuto esaminare al fine di pervenire alla richiesta declaratoria, sì da derivarne ulteriormente l’inammissibilità del motivo.

  1. In ordine, poi, alla doglianza proposta dalla sola (…) si osserva che l’art. 1, comma 143, L. 24 dicembre 2007, n. 244, stabilisce che “nei casi di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p.” in tema di confisca, compresa, quindi, quella per equivalente; misura, questa, che, nell’impossibilità di applicare il vincolo sul bene direttamente derivante dall’illecito quale prezzo o profitto (perché ceduto, disperso, distrutto o, comunque, non reperito), ne va dunque a colpire un altro di cui il reo ha la disponibilità, individuato in ragione del suo valore, corrispondente – per l’appunto – al prezzo o profitto medesimo ricavato dall’illecito, anche sotto forma di risparmio.

La finalità dell’istituto è stata più volte descritta da questa Corte, ed ha trovato ulteriore, recentissima conferma in una articolata pronuncia del Supremo Collegio (Sez. U., n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, non massimata), che ha ripreso talune delle considerazioni già espresse l’anno precedente dallo stesso Consesso (Sez. U., n. 10561 del 30/1/2014, Gubert) e che occorre, in tal modo “rinforzate”, ribadire in questa sede.

In particolare, la giurisprudenza dal Supremo Consesso ha ripetutamente sostenuto che la ratio essendi della confisca di valore o per equivalente risiede nell’impossibilità di procedere alla confisca “diretta” della cosa che presenti un nesso di derivazione qualificata con il reato. <<La trasformazione, l’alienazione o la dispersione di ciò che rappresenti il prezzo o il profitto del reato determina la conseguente necessità, per l’ordinamento, di approntare uno strumento che, in presenza di determinate categorie di fatti illeciti, faccia sì che il beneficio che l’autore del fatto ha tratto, ove fisicamente non rintracciabile, venga ad essere concretamente sterilizzato sul piano patrimoniale, attraverso una misura ripristinatoria che incida direttamente sulle disponibilità dell’imputato, deprivandolo del tantunden sul piano monetario>>. Le Sezioni unite, quindi, hanno qui ribadito la natura sazionatoria della confisca per equivalente disciplinata dall’art. 322-ter cod. pen., più volte affermata da questa Corte e motivata dal fatto che, attraverso di essa, si intende privare l’autore del reato di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto direttamente ricavato dall’illecito; ciò, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume così i tratti distintivi di una vera e propria sanzione, non commisurata né alla colpevolezza dell’autore del reato, né alla gravità della condotta (tra le altre, Sez. 3, n. 18311 del 6/3/2014, Cialini, Rv. 259103; Sez. 3, n. 44445 del 9/10/2013, Cruciani, non massimata; Sez. 3, n. 23649 del 27/2/2013, D’addario, Rv. 256164). Del resto, lo stesso Supremo Collegio, già in precedente occasione, aveva espressamente individuato nella confisca per equivalente, ancorché con riguardo al reato di truffa aggravata, <<una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti>>, ribadendo il conseguente <<carattere preminentemente sanzionatorio>> della stessa (Sez. U, n. 41936 del 25/10/2005, Mucci, Rv. 232164; in termini, Sez. 5, n. 15445 del 16/1/2004, Napoletano, Rv. 228750).

La finalità appena richiamata, propria dell’istituto, risulta poi a tal punto avvertita dal legislatore da assegnare a tale misura aviatoria, al pari di quella diretta, il carattere dell’obbligatorietà, desunto dal dato testuale dell’art. 322-ter cod. pen., a mente del quale la confisca “è sempre ordinata”; ciò, quindi, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta, pur laddove – come nella vicenda di specie – la stessa non abbia costituito oggetto dell’accordo delle parti (tra le altre, Sez. 2, n. 20046 del 4/2/2011, Marone, non massimata). Conclusione, questa, ulteriormente discendente del fatto che – come rilevato dal Tribunale di Palermo – la sentenza di patteggiamento è sentenza vincolata relativamente al solo profilo del trattamento sanzionatorio e non anche a quello relativo alla confisca, per il quale la discrezionalità del Giudice si riespande come in una normale sentenza di condanna, si che, ove accordo tra le parti su tale punto vi sia comunque stato, il Giudice stesso non è obbligato a recepirlo o a recepirlo per intero (cfr. Sez. 2, n. 19945 del 19/04/2012, Toseroni, Rv. 252825). Né, infine, è necessario, per l’assenza di norme che dispongano in senso contrario, che la confisca per equivalente sia preceduta dal sequestro preventivo dei beni oggetto della stessa (Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e altri, Rv. 255113), come ancora correttamente affermato dal Tribunale di Palermo nell’ordinanza qui impugnata (punto, peraltro, non controverso).

Orbene, tutto ciò premesso, osserva il Collegio che – per costante indirizzo di legittimità – nel caso di illeciti plurisoggettivi la confisca di valore può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, fermo restando che il provvedimento definitivo di confisca, rivestendo natura sanzionatoria, non può essere duplicato o comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso profitto (tra le altre, Sez. 3, n. 27072 del 12/5/2015, Bertelli, Rv. 264343; Sez. 6, n. 17713 del 18/2/2014, Argento, Rv. 259338; Sez. 5, n. 13562 del 10/1/2012, Bocci, Rv. 253581). Ne consegue che la questione sollevata dalla Gottero, lungi dal costituire censura alla sentenza impugnata, rappresenta – anche con riguardo all’entità del profitto della stessa realizzato con l’illecito – materia che potrà essere sottoposta all’attenzione del Giudice dell’esecuzione.

Il ricorso della stessa, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che <<la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità>>, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. Pen. ed a carico della ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.00,00.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (…) e limitatamente al reato di cui al capo c), perché il fatto non sussiste e, per l’effetto, annulla la decisione di patteggiamento, per lo stesso (…), e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Torino.