I confini delimitativi del giudizio contro il silenzio della pubblica amministrazione
Con la recente sentenza n° 736 del 23.02.2016, il Consiglio di Stato, sez. VI, chiarisce i sempre più contrastati confini delimitativi della giurisdizione di merito del giudice amministrativo, l’unica, lo ricordiamo, che consente a quest’ultimo di sostituirsi all’Amministrazione nell’adozione/determinazione di un provvedimento amministrativo.
Il caso attiene alla mancata esitazione di un’istanza di condono edilizio ex art. 35 L. n° 47/85 ed alla richiesta del ricorrente, mediante proposizione di ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a., di accertare l’avvenuta formazione del silenzio – accoglimento nonché la fondatezza della pretesa azionata.
Ed è proprio su quest’ultimo punto che si assesta il fulcro principale dell’iter logico – giuridico seguito dal giudice di secondo grado.
L’ art. 31, comma 3, c.p.a., prevede la possibilità per il giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi sull’azione avverso il silenzio, di pronunciare, altresì, sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio.
La norma, tuttavia, subordina tale potere a due condizioni tra loro alternative: i) che si tratti di attività vincolata; ii) che non residuino ulteriori margini di discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori di competenza dell’Amministrazione.
Ed è sulla ricorrenza di tali condizioni – soprattutto della seconda che maggiormente si presta ad interpretazione applicativa – che si innestano i prevalenti problemi di delimitazione della giurisdizione di merito del giudice amministrativo.
Ebbene, con la sentenza in esame il Consiglio di Stato, sez. VI, ha precisato che la conoscibilità del giudice del merito della pretesa dedotta in giudizio ricorre nell’ipotesi di:
– manifesta fondatezza allorché venga in questione l’adozione di provvedimenti amministrativi strettamente dovuti o vincolati in relazione ai quali non residui alcun margine di discrezionalità e sempre che non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione;
– manifesta infondatezza sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove il provvedimento conclusivo, esplicito e formale, non potrebbe che essere sfavorevole al soggetto istante.
Sulla scorta di tali presupposti, quindi, ha ritenuto che “l’appellante finisce con invocare un utilizzo inappropriato e per così dire “esorbitante” del rimedio peculiare di cui al citato art. 31, comma 3, c.p.a., incompatibile tra l’altro con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della decisione che deve definire il giudizio medesimo” poiché “la definizione della questione implica una corretta interpretazione e lettura di elaborati (specialmente, a quanto costa, di cartografie) e di prescrizioni di strumenti urbanistici, oltre alla disamina di questioni interpretative di carattere normativo di tutt’altro che pronta e agevole soluzione, in un contesto valutativo non privo di complessità che non solo non appare chiaro e univoco, sotto vari aspetti, ma che […] richiede verifiche, in sede istruttoria amministrativa, non surrogabili nella presente sede processuale”.
- 00736/2016REG.PROV.COLL.
- 07811/2015 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7811 del 2015, proposto da
Gaetanella Persia, rappresentata e difesa dall’avv. Donato Antonucci,
con domicilio eletto presso l’avv. Umberto Segarelli in Roma, Via G. B.
Morgagni, 2/A;
contro
il Comune di Bari, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e
difeso dall’avv. Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso l’avv.
Fabio Caiaffa in Roma, Via Nizza, 53;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia –III
sezione, n. 226 del 2015, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile e
comunque infondato il ricorso ex artt. 31 e 117 del cod. proc. amm.
nella parte diretta a vedere accertata l’avvenuta formazione del silenzio
accoglimento ex art. 35 della l. n. 47 del 1985 sull’istanza di rilascio di
concessione edilizia in sanatoria presentata in data 26 marzo 1986 con
riferimento a un fabbricato avente una superficie complessiva superiore
a 500 mq. sito in Bari, località S. Spirito, Via Caladoria, con richiesta di
condanna del Comune al rilascio della concessione edilizia in sanatoria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
Vista la memoria difensiva dell’appellante;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 4 febbraio 2016 il cons. Marco
Buricelli e udito per la parte appellata l’avv. Toma, su delega dell’avv.
Farnelli; nessuno comparso per l’appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- La ricorrente e odierna appellante ha realizzato in Bari –S. Spirito, via
Caladoria, un manufatto abusivo avente una superficie complessiva
superiore ai 500 mq. , di cui ha chiesto il condono, ai sensi dell’art. 35
della l. n. 47 del 1985, con istanza presentata al Comune il 26 marzo
1986.
Sull’istanza suddetta l’Amministrazione comunale, benché sollecitata in
modo formale nel maggio del 2013, non ha provveduto in maniera
esplicita.
Con ricorso notificato il 2 maggio 2014 e depositato in segreteria il 7
maggio successivo la signora Persia ha proposto dinanzi al Tar di Bari
un ricorso ex artt. 31 e 117 del cod. proc. amm. diretto in via principale
a sentire accertata dal giudice l’avvenuta formazione del silenzio
accoglimento ai sensi dell’art. 35 della l. n. 47 del 1985 sull’istanza di
rilascio della concessione in sanatoria, con la richiesta, al giudice
medesimo, di ordinare al Comune il rilascio del provvedimento formale
di concessione edilizia in sanatoria.
In subordine la signora Persia ha chiesto al Tar di accertare l’obbligo
dell’Amministrazione comunale di provvedere in modo formale e
conclusivo sulla domanda di condono.
In data 24 settembre 2014 il Comune ha adottato una “nota di riavvio
del procedimento di condono edilizio”, in atti, evidenziando in
particolare che l’immobile abusivo è stato realizzato in data 1° ottobre
1983, come da dichiarazione sostitutiva di atto notorio della signora
Persia, e pertanto in vigenza del regime di tutela introdotto dall’art. 51,
lett. f), della l. reg. n. 56 del 1980, il quale vietava qualsiasi opera di
edificazione entro la fascia dei 300 metri dal demanio marittimo, e che
l’immobile ricade entro detta fascia, all’interno della quale vige il regime
di tutela, salvaguardia e valorizzazione introdotto dal PUTT per il
Paesaggio, con conseguente non accoglibilità per silenzio assenso della
istanza di condono poiché l’area sulla quale sorge il manufatto si trova
in zona assoggettata a vincolo paesaggistico introdotto dal PUTT –
Paesaggio. In ogni caso –ha soggiunto il Comune-, per la giurisprudenza
il rilascio della concessione in sanatoria per abusi realizzati su aree
soggette a vincolo presuppone il parere favorevole dell’autorità preposta
alla tutela del vincolo stesso.
- Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso esclusivamente nella
parte in cui è stata richiesta l’adozione di un provvedimento conclusivo,
esplicito e formale, sull’istanza di sanatoria del 1986, e ha assegnato al
Comune 30 giorni per provvedere, nominando commissario ad acta, per
l’ipotesi di inesecuzione dell’ordine, il Prefetto di Bari, con facoltà di sub
delega a un funzionario di sua scelta, affinchè provveda nel termine
ulteriore di 30 giorni.
Il Tar ha invece giudicato inammissibile il chiesto rimedio
giurisdizionale rivolto a sentire accertata l’avvenuta formazione del
silenzio accoglimento sull’istanza, soggiungendo che comunque nel
merito andava esclusa la formazione del silenzio accoglimento ex art. 35
cit. in assenza di argomentazioni tese a confutare l’affermazione
ricavabile dalla nota del Comune del 24 settembre 2014 secondo la
quale l’accoglimento dell’istanza era precluso dal fatto che l’area sulla
quale sorge il fabbricato ricade in zona assoggettata a vincolo
paesaggistico introdotto dal PUTT –Paesaggio. La sentenza ha
soggiunto che i rilievi esposti dalla ricorrente in memoria non potevano
ritenersi esaustivi, “richiedendo l’approfondimento proprio della fase
istruttoria amministrativa”.
- L’appello è diretto in sostanza a rilevare l’erroneità della nota
comunale del 24 settembre 2014 e ad affermare l’inesistenza di elementi
ostativi al condono, ossia al rilascio della concessione in sanatoria e al
riconoscimento del bene della vita preteso dalla signora Persia.
Ad avviso di quest’ultima non residuano, in capo al Comune, margini di
esercizio della discrezionalità, e neppure risultano necessari ulteriori
adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dalla P. A. .
Dagli atti risultano richieste comunali (v. note del POS Paesaggio e
Ambiente del 9 giugno 2015 e del 21 settembre 2015) d’integrazione
della documentazione, alle quali l’appellante ha risposto ritenendo la
pratica completa, e non necessario l’invio di documentazione ulteriore.
Sotto un altro profilo si lamenta il fatto che il Tar avrebbe perlomeno
potuto dare indicazioni, anche ex art. 117, comma 4, del cod. proc.
amm. , sulle questioni relative alla esatta adozione dell’atto da emanare,
richiamando ad esempio la necessità di tenere presente la
documentazione acquisita in giudizio (tra cui le norme tecniche e la
cartografia degli strumenti urbanistici), oltre al citato art. 51 della l. reg.
- 56/1980, elementi da utilizzare quali parametri di riferimento ai fini
dell’adozione del provvedimento richiesto dalla ricorrente.
Il Comune si è costituito per resistere.
Con memoria depositata in segreteria il 27 gennaio 2016 l’appellante ha
insistito sul fatto che nel caso in esame deve applicazione il silenzio –
assenso, con conseguente declaratoria dell’obbligo del Comune di
adottare un provvedimento esplicito favorevole previo accertamento
della spettanza all’appellante del bene della vita perseguito.
- L’appello è infondato e va respinto.
La sentenza, nel complesso, resiste alle critiche che le sono state
indirizzate e va quindi confermata, con le precisazioni e le integrazioni
motivazionali che seguiranno.
Indipendentemente dalla soluzione da dare alla questione, di carattere
pregiudiziale, risolta dal giudice di primo grado nel senso della
inammissibilità, di per sé, del rimedio giurisdizionale diretto
all’accertamento dell’avvenuta formazione del silenzio –accoglimento ex
art. 35 della l. n. 47/1985 sulla domanda di concessione in sanatoria, il
collegio ritiene in ogni caso che nella specie non vi siano i presupposti
stabiliti dall’art. 31, comma 3, affinché il giudice possa adottare una
pronuncia in via diretta –segnatamente, una pronuncia pienamente
favorevole alla parte ricorrente- sulla fondatezza della pretesa dedotta
dall’appellante nel senso della spettanza, alla signora Persia, del bene
della vita richiesto, ossia della concessione edilizia in sanatoria.
A questo riguardo, va rammentato in via preliminare che, per
giurisprudenza consolidata, nei giudizi sul silenzio, in base a quanto
dispone l’art. 31 del c.p.a. il giudice amministrativo, almeno di regola,
non può andare oltre la declaratoria d’illegittimità dell’inerzia e l’ordine
di provvedere in modo esplicito e formale, restandogli precluso, almeno
in linea di principio, il potere di accertare in via diretta la fondatezza
della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi così
all’Amministrazione rimasta inerte.
Le disposizioni di cui all’art. 31 e 34, comma 1, lett. b), del c.p.a. , ove
interpretate diversamente, attribuirebbero in modo indiscriminato una
giurisdizione di merito al giudice amministrativo, di cui egli non è
titolare in questa materia.
Tuttavia, nell’ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere
dell’accoglibilità dell’istanza, sul piano sostanziale, ex art. 31, comma 3
del c. p. a. :
- a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza della pretesa dedotta in giudizio,
allorché venga in questione l’adozione di provvedimenti amministrativi
strettamente dovuti o vincolati, in relazione ai quali non residui alcun
margine di discrezionalità e sempre che non siano necessari
adempimenti istruttori che debbano essere compiuti
dall’Amministrazione;
- b) nell’ipotesi in cui l’istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti
del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere
laddove il provvedimento conclusivo, esplicito e formale, non potrebbe
che essere sfavorevole al soggetto istante.
Ciò posto, nel caso qui in esame la definizione delle questioni
prospettate dall’appellante ai punti 1. e 1.1. dell’atto d’appello e nella
memoria difensiva dell’8 gennaio 2016 (con la quale, peraltro, questo
giudice d’appello viene ragguagliato su carteggi tra la signora Persia e il
Comune sopravvenuti dopo la sentenza impugnata) implica e
presuppone una corretta lettura e interpretazione di elaborati
(specialmente, a quanto consta, di cartografie) e di prescrizioni di
strumenti urbanistici, oltre alla disamina di questioni interpretative di
carattere normativo di tutt’altro che pronta e agevole soluzione, in un
contesto valutativo non privo di complessità che non solo non appare
chiaro e univoco, sotto vari aspetti, ma che –come nella sentenza
impugnata non si è mancato di osservare in maniera condivisibilerichiede
verifiche, in sede istruttoria amministrativa, non surrogabili
nella presente sede processuale: sicché l’appellante finisce con l’invocare
un utilizzo inappropriato, e per così dire, “esorbitante”, del rimedio
peculiare di cui al citato art. 31, comma 3, del c. p. a. , incompatibile tra
l’altro con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della
decisione che deve definire il giudizio medesimo.
Se dunque –come ha correttamente concluso il Tar- non vi sono le
condizioni per poter emettere una pronuncia sulla fondatezza della
pretesa sostanziale rivolta a dichiarare il Comune obbligato a rilasciare la
concessione edilizia in sanatoria, pure, appare utile precisare che nel
prosieguo dell’azione amministrativa il Comune di Bari dovrà tenere
presente la documentazione acquisita in giudizio, tra cui le norme
tecniche e la cartografia di PRG, da utilizzare quale elementi di
valutazione nell’adozione del provvedimento conclusivo ed esplicito
sulla domanda di sanatoria.
Provvedimento finale che dovrà essere adottato dal Comune di Bari
entro 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente
sentenza ovvero dalla notificazione della stessa, se avvenuta
anteriormente, ferma la designazione, quale commissario ad acta, per
l’ipotesi di mancata esecuzione dell’ordine predetto, del Prefetto di Bari,
con facoltà di sub delega come specificato dal Tar e termine per
provvedere entro i 30 giorni successivi, a decorrere cioè dallo scadere
del termine assegnato al Comune.
Considerate le particolarità della vicenda trattata sussistono tuttavia
ragioni eccezionali per compensare integralmente tra le parti le spese e
gli onorari del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Spese del grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 febbraio 2016 con
l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
Francesco Mele, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)