Donazione di quota dell’eredità: per le Sezioni Unite è nulla.
Le Sezioni Unite, a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 11545/2014 emessa dalla seconda sezione della Corte di Cassazione, intervengono sull’annosa e controversa questione inerente la validità della donazione di bene altrui.
La vicenda, sottesa all’autorevole pronuncia, riguarda un’articolata e complessa vicenda successoria, nell’ambito della quale è stata effettuata la donazione della nuda proprietà di una quota pari a 5/12 di alcuni beni: la questione sorge in quanto 4/12 erano di proprietà esclusiva del donante, mentre il residuo 1/12 era di provenienza ereditaria, e faceva parte della comunione con gli altri coeredi.
La declaratoria di nullità trovava accoglimento sia in primo grado che in appello a seguito della lettura sistematica degli artt. 769 e 771 c.c..
Il tema della donazione di un bene altrui è stato oggetto di varie oscillazioni giurisprudenziali ripercorse dalle Sezioni Unite nella motivazione della sentenza in commento al fine di rendere più chiaro l’approdo concettuale a cui sono pervenute.
Fermo restando l’unanime orientamento giurisprudenziale di non ritenere valida la donazione di bene altrui, contrariamente a quanto invece affermato dalla prevalente dottrina in materia, le precedenti pronunce si sono divise tra nullità ed inefficacia della donazione.
Secondo un primo granitico orientamento, una lettura estensiva dell’art. 771 c.c. porta a ritenere che la donazione di un bene altrui o, ancora meglio, di una quota indivisa di un bene sia nulla: ciò perché il divieto di donazione dei beni futuri si deve estendere anche a tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante (così Cass. n. 12782/2013; Cass. n. 10356/2009; Cass. n. 11311/1996; Cass. n. 6544/1985; Cass. n. 3315/1979).
In senso parzialmente difforme si pone un secondo, isolato, orientamento che propende per l’inefficacia della suddetta donazione non fornendone alcuna motivazione, ma sostenendo solo che trattasi di titolo idoneo per l’usucapione immobiliare abbreviata in quanto atto inefficace e non nullo (Cass. n. 1596/2001).
Gli Ermellini, contestando tale ultimo orientamento, hanno rigettato il ricorso ribadendo la nullità della donazione in commento, ma arrivano a tale conclusione mediante un percorso metodologico differente rispetto a quanto tradizionalmente affermato dalla stessa Corte.
Essi ritengono che la donazione sia nulla, non per applicazione analogica dell’art. 771 c.c., bensì per mancanza di causa del negozio di donazione. Tale conclusione prende le mosse dalla lettura dell’art. 769 c.c. il quale, nel disciplinare il contratto di donazione, rileva quale elemento costitutivo il c.d. animus donandi, cioè il depauperamento del donante ed io conseguente arricchimento, per spirito di liberalità del donatario.
È evidente che “l’esistenza nel patrimonio del donante del bene che questi intende donare rappresenti elemento costitutivo del contratto”, in mancanza del quale la donazione deve ritenersi nulla.
La Corte, al contempo, fornisce una possibile via d’uscita per evitare la nullità del contratto di donazione: il donante ed il donatario devono, manifestare nel contratto di donazione, di essere consapevoli che si tratta di una donazione di bene altrui e contestualmente il primo deve assumere l’obbligazione a trasferire al secondo il bene del terzo.
In conclusione, ferma restando la nullità della donazione dispositiva, avente ad oggetto il trasferimento di una quota indivisa di un bene, è invece da ritenere valida la donazione obbligatoria di dare, purché l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 c.c.)”.
Cassazione 5068/2016
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.E. adiva il Tribunale di Reggio Calabria con citazione del gennaio 1989 chiedendo che venisse: a) dichiarata aperta la successione di C.P., da devolversi secondo le norme della successione legittima per 1/4 in favore del fratello C.F., per 1/4 in favore di C.N., C.E. e C.C. (in rappresentazione di C.G., fratello di C.P.), per 1/4 in favore della sorella C.V. e per 1/4 In favore dei figli e dei discendenti dell’altra sorella C. G.; b) dichiarata aperta, altresì, la successione di C. F., da devolversi secondo le norme della successione legittima per 1/3 in favore dei figli del fratello C.G., per 1/3 in favore dei figli della sorella premorta C.V. (a lei subentrati per rappresentazione) e per 1/3 in favore dei figli e dei discendenti della sorella premorta C.G. (a lei subentrati per rappresentazione); 3) disposta la formazione delle masse ereditarie comprendendo in esse tutti i beni relitti risultanti dalle dichiarazioni di successione; 4) disposta la divisione dei beni relitti e lo scioglimento della comunione; 5) disposta la divisione per stirpi, attribuendo a ciascuna stirpe beni corrispondenti alle quote di diritto di ciascuna; 6) ordinata la formazione del progetto divisionale e gli adempimenti consequenziali.
Instauratosi il contraddittorio, si costituivano le germane S.A., S.E. e S.V. (aventi causa di C.V.), le quali aderivano alla domanda di divisione e chiedevano che tra i beni da dividere fossero inclusi anche quelli oggetto della donazione fatta da C.F. al nipote C.N. con atto pubblico del 1987, deducendone la nullità per inesistenza dei beni donati nella sfera giuridica del donante, nonchè che venisse ordinato a C.N. di rendere il conto della gestione degli immobili facenti parte dell’eredità di P. e di C.F..
Si costituiva anche Sc.Vi., che aderiva alla domanda di divisione, nonchè i germani C.N., C.E. e C. C., i quali pur non opponendosi alla divisione, chiedevano che dalla eredità venissero detratti i beni oggetto della donazione per atto notaio Miritello del 1987.
Nel giudizio si costituivano anche i germani M.P. F.M., M.A.S.M. e M. G.R.M., figli di M.P., avente causa di C.G., aderendo alla domanda principale, nonchè M. L. e Z.M.R., in qualità di eredi di M. N., quest’ultima in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore M.C., che ugualmente facevano proprie le domande dell’attrice.
Nel processo interveniva la curatela del fallimenti di M. N. e Z.M.R. che, oltre a costituirsi in qualità di eredi di Ca.Lu., C.N., C.E. e C.C., ribadiva le richieste già formulate.
Con sentenza non definitiva del 30 aprile 2004, il Tribunale adito dichiarava aperta la successione di C.P. e devoluta secondo le norme della successione legittima la sua eredità, nonchè quella di C.F., parimenti devoluta secondo le norme della successione legittima.
Il Tribunale dichiarava, altresì, la nullità dell’atto di donazione per atto notaio Miritello del 1 ottobre1987 e rimetteva la causa sul ruolo con separata ordinanza per il prosieguo.
Avverso la sentenza non definitiva i germani C.N., C. E. e C.C., in proprio e nella qualità di eredi di Ca.Lu., censurando il capo della sentenza con cui era stata dichiarata la nullità dell’atto di donazione del 1987.
Nella resistenza di S.E., S.A., S.E. e S.V., nonchè di M. P.F.M., M.A.S.M. e M.G.R.M., contumaci le restanti parti, la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava il gravame e per l’effetto confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale evidenziava che avendo il defunto C.F. donato al nipote C.N. la nuda proprietà della sua quota (corrispondente ai 5/12 indivisi dell’intero) dei due appartamenti costituenti l’intero secondo piano del fabbricato di vecchia costruzione a sei piani sito in via (OMISSIS), dalla lettura sistematica degli artt. 769 e 771 c.c., doveva ritenersi la nullità dell’atto di donazione, potendo costituire oggetto di donazione solo ed esclusivamente i beni facenti parte del patrimonio del donante al momento in cui veniva compiuto l’atto di liberalità, tali non potendosi ritenere quelli di cui il donante era comproprietario pro indiviso di una quota ideale.
Avverso tale sentenza i C. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito gli S. e l’originaria attrice con separati controricorsi.
Con ordinanza interlocutoria n. 11545 del 2011, emessa all’esito dell’udienza del 13 febbraio 2013, la Seconda Sezione di questa Corte, disattese le eccezioni di inammissibilità formulate dai controricorrenti e ritenuto non fondato il primo motivo di ricorso, ha, in relazione al secondo, al terzo e al quarto motivo di ricorso, rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte per la eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando nella questione oggetto del ricorso una questione di massima di particolare importanza.
Disposta la trattazione del ricorso presso queste Sezioni Unte, in vista dell’udienza del 10 marzo 2015 i ricorrenti e la controricorrente M.E. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE
- Deve preliminarmente essere dichiarata la inammissibilità della costituzione di B.G.C.F., per difetto di procura speciale, essendo la stesa intervenuta in un giudizio iniziato prima del 4 luglio 2009 (Cass. n. 7241 del 2010; Cass. n. 18323 del 2014).
- – Come già rilevato, il primo motivo di impugnazione è stato già disatteso dalla Seconda Sezione.
2.1. – Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono vizio di motivazione sul rilievo che, non essendo stato acquisito il fascicolo di primo grado ed avendo la Corte d’appello esaminato l’atto di donazione solo per la parte riportata nell’atto di appello, il convincimento del giudice di appello sarebbe il frutto di una presunzione non vera, essendo il tenore della donazione molto più esteso rispetto ai brani esaminati in sede di gravarne. Prosegue parte ricorrente che la lettura integrale dell’atto di liberalità avrebbe consentito di rilevare che l’oggetto della donazione era costituito, in parte, da un diritto proprio di C.F., e cioè della quota di comproprietà degli immobili di cui C. F. era titolare in modo esclusivo, per avere ciascuno dei fratelli C.F., C.P. e C.G. la piena disponibilità di una quota pari ad 1/3 degli immobili di cui al rogito; per altra parte, dalla quota di 1/3 a lui pervenuta dalla eredità del fratello C.P.: circostanza, questa, di cui non vi era alcun cenno nella sentenza impugnata. La Corte d’appello avrebbe quindi errato nell’accomunare i due cespiti in una indistinta “quota ereditaria”.
2.2. – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 769 e 771 c.c., in combinato disposto con l’art. 1103 c.c., oltre alla illegittimità della sentenza impugnata per difetto di motivazione ed errata valutazione dei presupposti di fatto, per non avere i giudici di merito riconosciuto che C.F. poteva validamente donare al nipote la quota di proprietà di cui era esclusivo titolare con riferimento all’immobile di via (OMISSIS), essendo tale bene nella sua piena disponibilità, potendo essere le argomentazioni del Tribunale riferite semmai alla residua quota di 1/12 pervenuta al donante per successione ereditaria dal fratello C.P.. A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se il divieto di cui all’art. 771 c.c., può essere legittimamente esteso anche ai beni di cui il donante è titolare in comunione ordinarla con i propri fratelli”.
2.3. – Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione ed erronea applicazione degli artt. 771 e 769 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1103 e 757 c.c., nonchè carenza assoluta di motivazione, per avere ritenuto i giudici di merito “beni altrui”, fino al momento della divisione, anche i beni in comproprietà ordinaria, in aperto contrasto con i principi che regolano l’istituto della comproprietà e dell’art. 1103 c.c., che sancisce il principio della piena disponibilità dei beni in comproprietà nei limiti della quota di titolarità del disponente. Ad avviso dei ricorrenti eguali considerazioni varrebbero anche per la c.d. quota ereditaria. Quanto alla conclusione del giudice di appello circa l’irrilevanza della qualificazione della fattispecie quale condizione sospensiva, i ricorrenti rilevano che la divisione dei beni ereditari, seppure avvenga dopo il decesso di uno dei coeredi, non cancella i diritti nascenti sui beni ereditari.
A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se l’art. 771 c.c., può essere legittimamente interpretato equiparando a tutti gli effetti la categoria dei “beni futuri” con quella dei “beni altrui”.
- – La Seconda Sezione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11545 del 2014 ha innanzi tutto ricordato come, nonostante l’art. 769 c.c., abbia assoggettato la donazione al principio consensualistico, sia risultato prevalente In giurisprudenza, in via di interpretazione analogica dell’art. 771 c.c., la tesi della nullità della donazione di bene altrui, assumendosi il carattere della necessaria immediatezza dell’arricchimento altrui e, dunque, dell’altrettanto necessaria appartenenza del diritto al patrimonio del donante al momento del contratto (sono in proposito richiamate Cass. 23 maggio 2013, n. 12782; Cass. 5 maggio 2009, n. 10356; Cass. 18 dicembre 1996, n. 1131; Cass. 20 dicembre 1985, n. 6544). La Seconda Sezione ha, per contro, ricordato, da un lato, le critiche di parte della dottrina, fondate sullo stesso testo dell’art. 769 c.c., il quale contempla l’arricchimento della parte donataria operato “assumendo verso la stessa un’obbligazione”; e, dall’altro, Cass. 5 febbraio 2001, n. 1596, che ha considerato la donazione di cosa altrui non nulla, ma semplicemente inefficace, con conseguente sua idoneità a valere quale titolo per l’usucapione immobiliare abbreviata. La Seconda Sezione ha quindi aggiunto che la soluzione della questione posta è evidentemente correlata alla ratio dell’art. 771 c.c..
Nella specie, la questione non riguarderebbe la donazione dei quattro dodicesimi di cui il donante era titolare inter vivos, dovendosi in parte qua la liberalità Intendere come di cosa propria, in quanto relativa alla quota del partecipante in comunione ordinaria, alienata ai sensi e nei limiti dell’art. 1103 c.c.. La questione si porrebbe, piuttosto, quanto all’ulteriore dodicesimo del bene di provenienza ereditaria, e per il quale il donante intendeva trasferire il proprio diritto di coerede, ricadente, tuttavia, sulla quota ex art. 727 c.c., e non (ancora) su quel determinato Immobile compreso nell’asse.
3.1. – In conclusione, la Seconda Sezione ha rimesso all’esame di queste Sezioni Unite la seguente questione: “Se la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 c.c., poichè il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad oggetto i beni altrui, oppure sia valida ancorchè inefficace, e se tale disciplina trovi applicazione, o no, nel caso di donazione di quota di proprietà pro indiviso”.
- – Come riferito, sulla questione se la donazione di cosa altrui sia nulla o no, la giurisprudenza di questa Corte si è reiteratamente espressa, nel senso della nullità.
4.1. – Secondo Cass. n. 3315 del 1979, “la convenzione che contenga una promessa di attribuzione dei propri beni a titolo gratuito configura un contratto preliminare di donazione che è nullo, in quanto con esso si viene a costituire a carico del promittente un vincolo giuridico a donare, il quale si pone in contrasto con il principio secondo cui nella donazione l’arricchimento del beneficiario deve avvenire per spirito di liberalità, in virtù cioè di un atto di autodeterminazione del donante, assolutamente libero nella sua formazione”. La successiva Cass. n. 6544 del 1985, ha affermato che la donazione di beni altrui non genera a carico del donante alcun obbligo poichè, giusta la consolidata interpretazione dell’art. 771 cod. civ., dal sancito divieto di donare beni futuri deriva che è invalida anche la donazione nella parte in cui ha per oggetto una cosa altrui; a differenza di quanto avviene, ad esempio, nella vendita di cosa altrui, che obbliga il non dominus alienante a procurare l’acquisto al compratore. Tale decisione ha quindi affermato che “ai fini dell’usucapione abbreviata a norma dell’art. 1159 cod. civ. non costituisce titolo astrattamente idoneo al trasferimento la donazione di un bene altrui, attesa l’invalidità a norma dell’art. 771 c.c., di tale negozio”.
Sempre nell’ambito della nullità si colloca Cass. n. 11311 del 1996, così massimata: “l’atto con il quale una pubblica amministrazione, a mezzo di contratto stipulato da un pubblico funzionario, si obblighi a cedere gratuitamente al demanio dello Stato un’area di sua proprietà, nonchè un’altra area che si impegni ad espropriare, costituisce una donazione nulla, sia perchè, pur avendo la pubblica amministrazione la capacità di donare, non è ammissibile la figura del contratto preliminare di donazione, sia perchè l’atto non può essere stipulato da un funzionario della pubblica amministrazione (possibilità limitata dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, ai soli contratti a titolo oneroso), sia perchè l’art. 771 c.c., vieta la donazione di beni futuri, ossia dell’area che non rientra nel patrimonio dell’amministrazione “donante” ma che la stessa si impegna ad espropriare”.
Particolarmente significativa è poi Cass. n. 10356 del 2009, secondo cui “la donazione dispositiva di un bene altrui, benchè non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 c.c., poichè il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante; tale donazione, tuttavia, è idonea ai fini dell’usucapione decennale prevista dall’art. 1159 c.c., poichè il requisito, richiesto da questa norma, dell’esistenza di un titolo che legittimi l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, deve essere inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere suscettibile in astratto, e non in concreto, di determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare”.
Da ultimo, Cass. n. 12782 del 2013 si è espressa in senso conforme alla decisione da ultimo richiamata.
4.2. – In senso difforme si rinviene Cass. n. 1596 del 2001, che ha affermato il principio per cui “la donazione di beni altrui non può essere ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 c.c., ma è semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c., in quanto il requisito, richiesto dalla predetta disposizione codicistica, della esistenza di un titolo che sia idoneo a far acquistare la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, va inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere idoneo in astratto, e non in concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare”.
4.3. – A ben vedere, il contrasto tra i due orientamenti giurisprudenziali non coinvolge il profilo della efficacia dell’atto a costituire titolo idoneo per l’usucapione abbreviata, ma, appunto, la ascrivibilità della donazione di cosa altrui nell’area della invalidità, e segnatamente della nullità, ovvero in quella della inefficacia.
- Il Collegio ritiene che alla questione debba essere data risposta nel senso che la donazione di cosa altrui o anche solo parzialmente altrui è nulla, non per applicazione in via analogica della nullità prevista dall’art. 771 c.c., per la donazione di beni futuri, ma per mancanza della causa del negozio di donazione.
5.1. – Deve innanzi tutto rilevarsi che la sentenza n. 1596 del 2001 evoca la categoria della inefficacia, che presuppone la validità dell’atto, e si limita ad affermare la non operatività della nullità in applicazione analogica dell’art. 771 c.c., comma 1, in considerazione di una pretesa natura eccezionale della causa di nullità derivante dall’avere la donazione ad oggetto beni futuri, ma non verifica la compatibilità della donazione di cosa altrui con la funzione e con la causa del contratto di donazione. La soluzione prospettata appare, quindi, non condivisibile, vuoi perchè attribuisce al divieto di cui alla citata disposizione la natura di disposizione eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica; vuoi e soprattutto perchè non considera la causa del contratto di donazione.
Al contrario, una piana lettura dell’art. 769 c.c., dovrebbe indurre a ritenere che l’appartenenza del bene oggetto di donazione al donante costituisca elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del quale la causa tipica del contratto stesso non può realizzarsi. Recita, infatti, la citata disposizione: “La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione”.
Elementi costitutivi della donazione sono, quindi, l’arricchimento del terzo con correlativo depauperamento del donante e lo spirito di liberalità, il c.d. animus donandi, che connota il depauperamento del donante e l’arricchimento del donatario e che, nella giurisprudenza di questa Corte, va ravvisato “nella consapevolezza dell’uno di attribuire all’altro un vantaggio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale” (Cass. n. 8018 del 2012; Cass. n. 12325 del 1998; Cass. n. 1411 del 1997; Cass. n. 3621 del 1980).
Appare evidente che, in disparte il caso della donazione effettuata mediante assunzione di una obbligazione, nella quale oggetto dell’obbligazione del donante sia il trasferimento al donatario di un bene della cui appartenenza ad un terzo le parti siano consapevoli, l’esistenza nel patrimonio del donante del bene che questi intende donare rappresenti elemento costitutivo del contratto; e la consustanzialità di tale appartenenza alla donazione è delineata in modo chiaro ed efficace dalla citata disposizione attraverso il riferimento all’oggetto della disposizione, individuato in un diritto del donante (“un suo diritto”). La non ricorrenza di tale situazione – certamente nel caso in cui nè il donante nè il donatario ne siano consapevoli, nel qual caso potrebbe aversi un’efficacia obbligatoria della donazione – comporta la non riconducibilità della donazione di cosa altrui allo schema negoziale della donazione, di cui all’art. 769 c.c.. In altri termini, prima ancora che per la possibile riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri, di cui all’art. 771 c.c., comma 1, la altruità del bene incide sulla possibilità stessa di ricondurre il trasferimento di un bene non appartenente al donante nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità di realizzare la causa del contratto (incremento del patrimonio altrui, con depauperamento del proprio).
5.2. – La mancanza, nel codice del 1942, di una espressa previsione di nullità della donazione di cosa altrui, dunque, non può di per sè valere a ricondurre la fattispecie nella categoria del negozio inefficace. Invero, come si è notato in dottrina, il fatto stesso che il legislatore del codice civile abbia autonomamente disciplinato sia la compravendita di cosa futura che quella di cosa altrui, mentre nulla abbia stabilito per la donazione a non domino, dovrebbe suggerire all’interprete di collegare il divieto di liberalità aventi ad oggetto cose d’altri alla struttura e funzione del contratto di donazione, piuttosto che ad un esplicito divieto di legge. Pertanto, posto che l’art. 1325 c.c., individua tra i requisiti del contratto “la causa”; che, ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 2, la mancanza di uno dei requisiti indicati dal’art. 1325 c.c., produce la nullità del contratto; e che l’altruità del bene non consente di ritenere integrata la causa del contratto di donazione, deve concludersi che la donazione di un bene altrui è nulla.
5.3. – Con riferimento alla donazione deve quindi affermarsi che se il bene si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto, la donazione, in quanto dispositiva, è valida ed efficace; se, invece, la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purchè l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 c.c.). Se, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, nè potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui.
5.4. – La sanzione di nullità si applica normalmente alla donazione di beni che il donante ritenga, per errore, propri, perchè la mancata conoscenza dell’altruità determina l’impossibilità assoluta di realizzazione del programma negoziale, e, quindi, la carenza della causa donativa. La donazione di bene non appartenente al donante è quindi affetta da una causa di nullità autonoma e indipendente rispetto a quella prevista dall’art. 771 c.c., ai sensi del combinato disposto dell’art. 769 c.c. (il donante deve disporre “di un suo diritto”) e dell’art. 1325 c.c., e art. 1418 c.c., comma 2. In sostanza, avendo l’animus donandi rilievo causale, esso deve essere precisamente delineato nell’atto pubblico; in difetto, la causa della donazione sarebbe frustrata non già dall’altruità del diritto in sè, quanto dal fatto che il donante non assuma l’obbligazione di procurare l’acquisto del bene dal terzo.
5.5. – Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per il caso in cui, come nella specie, oggetto della donazione sia un bene solo in parte altrui, perchè appartenente pro indiviso a più comproprietari per quote differenti e donato per la sua quota da uno dei coeredi. Non è, Infatti, dato comprendere quale effettiva differenza corra tra i “beni altrui” e quelli “eventualmente altrui”, trattandosi, nell’uno e nell’altro caso, di beni non presenti, nella loro oggettività, nel patrimonio del donante al momento dell’atto, l’unico rilevante al fine di valutarne la conformità all’ordinamento.
In sostanza, la posizione del coerede che dona uno dei beni compresi nella comunione (ovviamente, nel caso in cui la comunione abbia ad oggetto una pluralità di beni) non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia altro donante che disponga di un diritto che, al momento dell’atto, non può ritenersi incluso nel suo patrimonio.
Nè una distinzione può desumersi dall’art. 757 c.c., in base al quale ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione anche se per acquisto all’incanto e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli atri beni ereditari. Invero, proprio la detta previsione impedisce di consentire che il coerede possa disporre, non della sua quota di partecipazione alla comunione ereditaria, ma di una quota del singolo bene compreso nella massa destinata ad essere divisa, prima che la divisione venga operata e il bene entri a far parte del suo patrimonio.
- – In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto: “La donazione di un bene altrui, benchè non espressamente vietata, deve ritenersi nulla per difetto di causa, a meno che nell’atto si affermi espressamente che il donante sia consapevole dell’attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio. Ne consegue che la donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante”.
- In applicazione di tale principio, il ricorso deve essere quindi rigettato. Non possono essere infatti condivise le deduzioni dei ricorrenti in ordine alla circostanza che l’atto di donazione riguardava non solo una quota ereditarla del bene specificamente oggetto di donazione, ma anche una quota della quale il donante era già titolare per averla acquistata per atto inter vivos. Invero, posto che è indiscutibile che l’atto di donazione aveva ad oggetto la quota di un dodicesimo dei beni immobili indicati nell’atto stesso rientrante nella comunione ereditaria, deve ritenersi che non sia possibile operare la prospettata distinzione tra la donazione dei quattro dodicesimi riferibili al donante e del restante dodicesimo, comportando l’esistenza di tale quota la attrazione dei beni menzionati nella disciplina della comunione ereditaria. Ne consegue che la nullità dell’atto di donazione per la parte relativa alla quota ereditaria comporta la nullità dell’intero atto, ai sensi dell’art. 1419 c.c., non risultando che nei precedenti gradi di giudizio sia emersa la volontà del donatario di affermare la validità della donazione per la quota spettante al donante. D’altra parte, non può non rilevarsi che l’inclusione, anche se solo in parte, degli immobili oggetto di donazione nella comunione ereditaria comportava la astratta possibilità della loro assegnazione, in sede di divisione, a soggetto diverso dal donante; con ciò dimostrandosi ulteriormente la sostanziale inscindibilità della volontà negoziale manifestatasi con l’atto di donazione dichiarato nullo dal Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza confermata dalla Corte d’appello. 8. – In conclusione, il ricorso va rigettato. In considerazione della complessità della questione e dei diversi orientamenti giurisprudenziali, che hanno reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite, le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 10 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2016