La perdita della capacità lavorativa futura del minore è autonomamente risarcibile in presenza di un’invalidità permanente di non lieve entità.
Il Supremo Collegio viene quest’oggi interpellato, per risolvere un interessante caso di responsabilità extracontrattuale ai danni di un minore che vede lesa, in modo abbastanza rilevante, la sua futura capacità lavorativa.
Il minore in questione, vittima di un sinistro stradale, agiva in primo grado per sentir dichiarare, a suo favore il risarcimento dei danni derivante dall’incidente, da parte del responsabile e dell’assicurazione di riferimento. Il Tribunale interpellato, in parziale accoglimento della domanda attorea nel quantum, condannava in solido il responsabile e la società assicuratrice ad una cospicua somma, risultante da distinti importi liquidati per danno da invalidità temporanea pari al 30%; divisa tra danno biologico e danno morale. In seguito, tale sentenza veniva appellata dalla vittima con la prospettazione di varie censure e, in particolare, per il mancato riconoscimento del danno da lesione della capacità lavorativa.
La Corte d’Appello, riprendendo in toto quanto chiarito in primo grado, rigettava la censura inerente l’autonoma pretesa risarcitoria da perdita della capacità lavorativa futura sulla base di alcune considerazioni. Secondo la Corte, il minore coinvolto nell’incidente, allora studente di ragioneria, non aveva dato sufficienti prove che l’interruzione degli studi era stata causata dall’incidente; né che completandoli avrebbe esercitato l’attività di ragioniere o altra equivalente. E, per tali ragioni, anche in appello, la lesione della capacità lavorativa era stata ricondotta all’interno del danno non patrimoniale. Questa situazione ha portato l’odierno ricorso per Cassazione.
La Cassazione si dimostra da subito di tutt’altro avviso rispetto alla Corte d’Appello, rilevando un “error in iure” nella motivazione. Secondo gli Ermellini, la Corte avrebbe potuto al massimo dedurre la mancata dimostrazione della possibilità di realizzare la chance di fare il ragioniere(capacità lavorativa specifica); ciò tuttavia, lasciava impregiudicata la questione dell’esistenza di un danno alla “capacità lavorativa generica”. Tale danno erra stato del resto accertato dallo stesso CTU che l’aveva quantificato in “qualche difficoltà” a stare in piedi, per i lavori che richiedono un apporto fisico, e “in minimi risvolti negativi” per “sporadiche emicranie”, per i lavori intellettuali.
La questione invece, secondo la Corte andava affrontata secondo il seguente principio di diritto: “Nel caso di lesioni sofferte da un minore, al momento del sinistro ancora studente, e che abbiano determinato un’invalidità permanente pari al 30% e, dunque, di non lieve entità, il giudice di merito, investito della domanda di riconoscimento del conseguente danno patrimoniale futuro per perdita di capacità lavorativa generica, non compie un corretto procedimento di sussunzione della fattispecie, allorquando ritenga di procedere alla liquidazione di tale danno all’interno del danno non patrimoniale, essendo tale possibilità limitata – e sempre salvo dimostrazione di una perdita di chance lavorativa futura specifica nonostante la lievità della lesione – soltanto al caso di lesioni personali di lieve entità e pertanto limitatamente all’ipotesi in cui la loro concreta incidenza sulla futura capacità lavorativa rimanga oscura”.
La sentenza impugnata è, pertanto, cassata in quanto ha svolto un erroneo procedimento di sussunzione e, dunque, ha falsamente applicato l’art. 1223 c.c. ai fini della liquidazione del danno patrimoniale; sarà ora il giudice del rinvio a procedere alla liquidazione autonoma del danno patrimoniale derivato dalla lesione della futura capacità lavorativa generica.
Scarica la sentenzaCass. III Civile n. 5880:2016