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La Cassazione interviene ancora sulla vendita con patto di riscatto

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

La Cassazione interviene ancora sulla vendita con patto di riscatto

Con la sentenza 6144/2016 la Cassazione si sofferma sulla vendita con patto di riscatto e sulla questione della nullità, per l’eccedenza, del patto di restituzione di un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita.

Nel caso di specie, due soggetti avevano stipulato un patto di compravendita e il venditore si era  riservato il diritto di usufrutto fino ad una certa data.

Il contratto prevedeva la possibilità per il venditore di riavere la proprietà dietro restituzione del prezzo, comprensivo di rivalutazione, interessi e spese.

Il patto consentiva inoltre al venditore di mantenere la proprietà dell’appartamento nel caso avesse trovato un finanziamento per l’acquisto del nuovo alloggio.

Con la sentenza in esame la Cassazione illustra dapprima brevemente l’istituto del riscatto convenzionale, ex art. 1500 ss. c.c., che è un patto accessorio di una vendita conclusa sotto condizione risolutiva potestativa, consistente nella manifestazione di volontà del venditore, da cui dipende il venir meno dell’efficacia reale della vendita.

Successivamente, passa ad esaminare l’art. 1502 c.c., che prevede che il riscattante debba rimborsare al compratore il prezzo, le spese e ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita, le spese per le riparazioni necessarie e, nei limiti dell’aumento, quelle che hanno incrementato il valore della cosa, con diritto di ritenzione a favore del compratore fino al rimborso delle spese necessarie e utili, e ciò al fine di evitare l’indebito arricchimento del venditore.

Infine, la Cassazione si sofferma sul secondo comma dell’art. 1500, che sancisce la nullità, per l’eccedenza, del patto di restituzione di un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita.

Ebbene, la sentenza in commento conferma l’orientamento risalente della giurisprudenza, secondo cui la nullità colpisce qualsiasi pattuizione che comporti per il venditore un esborso superiore al prezzo “stipulato”, e in primis la pattuizione relativa al pagamento di interessi sul prezzo stesso.

 

Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-03-2016, n. 6144

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17531/2011 proposto da:

K.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.M., (OMISSIS), P.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato FABIO MASSIMO ORLANDO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIANGIORGIO CASAROTTO, ALBERTO VALENTINI;

– controricorrenti e ric. incidentali –

avverso la sentenza n. 20/2011 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO sezione distaccata di BOLZANO, depositata il 31/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/01/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato CALDERARA Gianluca con delega dell’Avvocato MANZI Luigi, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CASAROTTO Giangiorgio, difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale assorbito il ricorso incidentale condizionato con statuizione delle spese.

 

Svolgimento del processo

 

  1. – E’ impugnata la sentenza della Corte d’appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano, depositata il 31 gennaio 2011 e notificata il 27 aprile 2011, che ha accolto l’appello proposto da B.M. e P.L. avverso la sentenza del Tribunale di Bolzano e nei confronti di K.F..

1.1. – Il Tribunale aveva dichiarato la nullità del contratto di compravendita stipulato tra K.F. e la sig.ra B., in data 21 ottobre 2002, per violazione dell’art. 2744 c.c., ed aveva condannato la convenuta a restituire all’attore l’importo di Euro 383.834,05, con interessi legali, oltre alla rifusione delle spese di lite, in solido con P.L..

  1. – La Corte d’appello, adita dai coniugi B.- P., riformava la decisione per mancanza di elementi di prova che la compravendita con patto di riscatto fosse stata stipulata a scopo di garanzia di sottostante mutuo, e rigettava la domanda subordinata, con cui K. aveva chiesto la declaratoria di nullità della clausola di pattuizione degli interessi sul prezzo del riscatto.
  2. – Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso K.F. sulla base di cinque motivi.

Resistono con controricorso B.M. e P.L., che propongono ricorso incidentale condizionato sulla base di tre motivi.

Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

 

Motivi della decisione

 

  1. – Il ricorso principale è fondato nei termini di seguito precisati.

1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., e vizio di motivazione, in riferimento alla ritenuta incapacità a testimoniare di G.G. nella qualità di legale rappresentante della sas G.G. &

C..

Premesso che società indicata non era titolare dell’agenzia immobiliare Bauconsulting, come si poteva evincere dalle visure camerali, nè l’agenzia immobiliare nè la società erano parti del contratto di compravendita intervenuto tra K.F. e B.M., e di conseguenza G.G. non era portatore di alcun interesse che potesse legittimarne la partecipazione al giudizio.

  1. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., e vizio di motivazione, in riferimento alla ritenuta incapacità a testimoniare di G.W., collaboratore dell’agenzia immobiliare Bauconsulting. G.W. non era socio della agenzia immobiliare Bauconsulting nè aveva rapporti di parentela con G. G., e in qualità di dipendente dell’agenzia immobiliare non aveva alcun interesse concreto ed attuale che potesse legittimarne la partecipazione al giudizio, e neppure avrebbe potuto essere citato in un eventuale giudizio di responsabilità, non essendo responsabile dell’agenzia.
  2. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 247 e 112 c.p.c., e art. 157 c.p.c., comma 2, nonchè vizio di motivazione.

Il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui i convenuti P.- B. avevano regolarmente eccepito l’incapacità a testimoniare di G.G. e di G. W..

3.1. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondate.

3.1.1. – La Corte d’appello ha affermato sia l’incapacità a testimoniare dei predetti G., sia l’inattendibilità delle dichiarazioni dagli stessi rese, e tale ultima valutazione – che assorbe anche la questione della incapacità e tempestività della relativa eccezione – non è sindacabile in questa sede ove, come nella specie, sorretta da motivazione esaustiva e immune da vizi logici (ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 1554 del 2004).

3.1.2. – La Corte d’appello è pervenuta al giudizio di inattendibilità dopo avere ricostruito la vicenda, sulla base delle risultanze processuali. In particolare, dal rogito in data 21 ottobre 2002, risultava che K. aveva venduto a B. la proprietà dell’appartamento in via Portici a Bolzano, al prezzo di Euro 309.874,14, di cui aveva rilasciato quietanza, riservandosi il diritto di usufrutto fino alla data del 30 aprile 2005; il contratto prevedeva la possibilità per il venditore di riavere la proprietà entro la data del 30 aprile 2005, dietro restituzione del prezzo maggiorato di rivalutazione monetaria ed interessi al 5% annuo, oltre alle spese sostenute dall’acquirente per imposte, tasse ed onorari inerenti il contratto.

Era provato, inoltre, che il venditore aveva incassato l’importo di Euro 167 mila con 4 assegni circolari emessi in pari data del rogito, con prelievo sul conto di P.L.; che nello stesso giorno, P.L. aveva prelevato in contanti la somma di Euro 142.800,00, e K. aveva stipulato un accordo con G. G., in forza del quale gli aveva messo a disposizione un importo di oltre 142 mila Euro, dietro emissione di cambiali con scadenza 30 marzo 2004, per oltre 150 mila Euro.

3.1.3. – Le circostanze indicate dimostravano, secondo la Corte d’appello, che era stata posta in essere un’operazione che coinvolgeva direttamente la società G.G. sas, con la conseguenza che sia il legale rappresentante sia il collaboratore G.W., il quale aveva partecipato alla preparazione e alla gestione dell’operazione immobiliare, come risultava dalla missiva dallo stesso inviata in data 20 giugno 2006 a K. F., non potevano essere considerati testimoni attendibili.

  1. – Con il quarto motivo è dedotto vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo del pagamento dell’intero prezzo della compravendita.

In assunto del ricorrente la Corte d’appello non aveva considerato che il prezzo indicato nel contratto di compravendita non era stato determinato in base al valore dell’immobile, essendo invece la risultante del mutuo concesso da P. a K. per l’importo di Euro 167 mila, maggiorato del credito che P. vantava nei confronti di G.G. e delle società a questi riconducibili. Per contro, la ricostruzione dei movimenti di danaro ipotizzata dalla Corte d’appello era del tutto illogica, e del resto la stessa Corte aveva rilevato che era “poco chiara e oscura” la ragione per cui K. aveva messo a disposizione della società G. una consistente parte del ricavato della vendita, in contanti. La motivazione della sentenza risultava pertanto insufficiente e contraddittoria sul punto decisivo del pagamento dell’intero prezzo della compravendita, mentre la tesi del ricorrente trovava conferma nelle dichiarazioni dei testi G.G. e W., riportate in ricorso.

4.1. – La doglianza è infondata.

4.1.1. – Tutte le circostanze indicate dal ricorrente, a sostegno della tesi secondo cui il contratto di compravendita garantiva la restituzione di un prestito, sono state esaminate dalla Corte d’appello che – con motivazione esaustiva e immune da vizi logici – le ha considerate prive di concludenza in assenza del supporto probatorio delle testimonianze ritenute inattendibili.

In particolare, nella direzione invocata dal ricorrente non era sufficiente il collegamento tra il contratto di compravendita e l’accordo privato sottoscritto in pari data da K. e G., che non coinvolgeva i coniugi P.- B., mentre gli altri elementi che caratterizzavano il contratto trovavano spiegazioni plausibili nelle circostanze del caso concreto: il patto di riscatto consentiva a K. di mantenere la proprietà dell’appartamento nel caso avesse trovato un finanziamento per l’acquisto del nuovo alloggio, così come la riserva di usufrutto gli permetteva di utilizzare l’appartamento fintanto che non avesse ottenuto la disponibilità di un nuovo alloggio.

La Corte territoriale ha poi rilevato che non era stato allegato nè provato che il prezzo di vendita, pari ad Euro 309.874,14, fosse inferiore al valore di mercato dell’immobile, e neppure poteva ritenersi che l’importo corrisposto dall’acquirente fosse soltanto quello portato dai 4 assegni circolari, pari ad Euro 167 mila, giacchè il venditore aveva rilasciato quietanza a saldo, e non esisteva una contro-dichiarazione scritta.

  1. – Con il quinto motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1500 c.c., e vizio di motivazione.

Si contesta il rigetto della domanda subordinata con cui il venditore K. aveva chiesto la declaratoria di nullità della clausola n. 2 del contratto di compravendita e la restituzione del sovrapprezzo corrisposto per riscattare l’immobile.

La Corte d’appello ha ritenuto giustificata la maggiorazione ivi prevista, sul rilievo che nella specie non vi era stato il trasferimento effettivo dell’immobile, stante la riserva di usufrutto a favore del venditore, e che pertanto gli interessi al tasso del 5% annuo avevano natura compensativa del godimento che il venditore si era riservato sul bene.

Diversamente, il ricorrente assume che la previsione della riserva di usufrutto aveva determinato il trasferimento della nuda proprietà dell’immobile, e questa era l’oggetto del riscatto, con la conseguenza che non era giustificata la previsione di un compenso a favore dell’acquirente. In ogni caso, l’art. 1500 c.c., trova applicazione in qualsiasi ipotesi di riscatto, a prescindere dal fatto che oggetto del trasferimento sia la nuda proprietà o la proprietà piena.

5.1. – La doglianza è fondata.

5.1.1. – Il riscatto convenzionale è patto accessorio di una vendita conclusa sotto condizione risolutiva potestativa, nel cui contesto la condizione consiste nella manifestazione di volontà del venditore, assunta come fatto condizionante, dalla quale dipende il venire meno dell’efficacia reale della vendita (da ultimo, Cass., sez. 5^, sentenza n. 24252 del 2011).

Il legislatore ha disciplinato dettagliatamente la retroattività che consegue all’esercizio del riscatto, prevedendo – all’art. 1502 c.c. – che il riscattante è tenuto a rimborsare al compratore “il prezzo, le spese e ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita, le spese per le riparazioni necessarie e, nei limiti dell’aumento, quelle che hanno aumentato il valore della cosa”, con diritto di ritenzione a favore del compratore fino al rimborso delle spese necessarie e utili.

La ratio della norma è di evitare l’indebito arricchimento del venditore – il quale ha diritto di acquisire la cosa per lo stesso prezzo per il quale era stata venduta, ai sensi dell’art. 1500 c.c., – nonostante l’incremento di valore apportato dal compratore, e di impedire, per converso, che il venditore medesimo debba sostenere un onere in difetto di sostanziale correlativo incremento del suo patrimonio, per fatto del compratore, sicuramente lecito ma posto in essere in una consapevole situazione aleatoria.

5.1.2. – La norma cardine dell’istituto del riscatto convenzionale è quella contenuta nell’art. 1500 c.c..

Al primo comma, è previsto che il venditore riscatta il bene restituendo il prezzo e i rimborsi stabiliti dalle norme che seguono, e al secondo comma è sancita la nullità, per l’eccedenza, del patto di restituzione di un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita.

Si deve ritenere, richiamando anche la risalente ma non superata giurisprudenza di questa Corte, che la nullità colpisca qualsiasi pattuizione che comporti per il venditore un esborso superiore al prezzo “stipulato”, e in primis la pattuizione relativa al pagamento di interessi sul prezzo stesso (Cass., sez. 3^, sentenza n. 1113 del 1972). La pattuizione di interessi sul prezzo non può ritenersi consentita neppure a titolo compensativo di utilità che il venditore abbia potuto trarre in ragione di particolari accordi – come nella specie avvenuto, con la previsione della riserva di usufrutto – poichè tali utilità, e i simmetrici oneri per la controparte, in quanto esulano dalla specifica disciplina dei rimborsi ex art. 1502 c.c., devono essere “scontati” nel prezzo che le parti hanno fissato nel contratto, in considerazione del concreto atteggiarsi del rapporto contrattuale e dell’aleatorietà che connota la previsione del riscatto. Si deve cioè ipotizzare, secondo un criterio di ragionevolezza, che alla maggiore utilità per il venditore, collegata per esempio alla riserva di usufrutto, corrisponderà un prezzo di vendita inferiore a quello che sarebbe stato fissato se l’immobile fosse passato subito nella disponibilità del compratore.

  1. – L’accoglimento del ricorso principale impone l’esame del ricorso incidentale condizionato, che consta di tre motivi.

6.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., e si contesta l’omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale con cui si ribadiva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva di P.L., sul rilievo che nessuna domanda era stata formulata dall’attore K. nei confronti di P..

6.2. – Con il secondo e con il terzo motivo è dedotta violazione dell’art. 91 c.p.c., e vizio di motivazione, e si contesta la compensazione delle spese processuali, pronunciata anche in riferimento alla posizione di P.L., che risultava carente di legittimazione passiva.

6.3. – La doglianza prospettata con il primo motivo è infondata.

6.3.1. – La Corte d’appello ha ricostruito la vicenda processuale dando atto che K.F. aveva proposto domanda di accertamento della nullità del contratto di compravendita nei confronti dei coniugi P.- B., assumendo il diretto coinvolgimento di P.L. nella complessa operazione di finanziamento a garanzia della quale sarebbe stato stipulato il contratto che vedeva come parte acquirente soltanto la sig.ra B.. La Corte d’appello ha recepito tale ricostruzione – pur avendola ritenuta carente sotto il profilo probatorio – e pertanto ha chiaramente, seppur implicitamente, rigettato l’eccezione di carenza di legittimazione passiva.

6.3.2. – Le doglianze concernenti la regolamentazione delle spese processuali rimangono assorbite nell’accoglimento del quinto motivo del ricorso principale, per effetto del quale la sentenza d’appello è cassata con rinvio, al giudice indicato in dispositivo, che provvederà ad applicare il principio di diritto secondo cui, “nella vendita con patto di riscatto, la nullità prevista dall’art. 1500 c.c., comma 2, colpisce – per l’eccedenza – qualsiasi pattuizione che comporti per il venditore un esborso superiore al prezzo stipulato”.

Lo stesso giudice provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale, rigettati i primi quattro motivi e il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2016