PAS: è necessaria una verifica concreta del giudice sulle ragioni dell’allontanamento.
Lo scorso aprile, la Prima Sezione della Cassazione è tornata a pronunciarsi su di un tema abbastanza frequente in materia di affidamento dei figli, in caso di separazione e divorzio. Si tratta della c.d. PAS, la sindrome di alienazione parentale, oggetto di studio soprattutto negli Stati Uniti, come ipotetica e controversa dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe nei figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio conflittuale dei genitori, non adeguatamente mediate. È una sindrome non da tutti riconosciuta come disturbo psico-patologico ma fin dal 1984, anno della sua emersione ad oggi, è oggetto di dibattito sia in ambito giuridico che scientifico.
Nel caso di specie si discuteva in merito alle modalità di affidamento e mantenimento di una figlia minorenne, dopo l’interruzione della convivenza dei genitori. Il Tribunale dei minori di Milano, dopo aver disposto l’affidamento condiviso della minore, collocata presso la madre, con successivo decreto vietava al padre di frequentarla, tenuto conto dell’atteggiamento di rifiuto della bambina. Nella stessa sede disponeva anche un percorso terapeutico per la figlia, finalizzato a farle riprendere i rapporti con il padre.
Tuttavia, in seguito, pur avendo il padre eccepito l’esistenza della PAS nella figlia, determinata dalla campagna denigratoria posta in essere dalla madre nei suoi confronti; il Tribunale confermava il precedente decreto rilevando il disagio della figlia in presenza di alcuni comportamenti del padre, ritenuti invasivi. Giunta la questione dinanzi la Corte d’Appello di Milano veniva confermato l’affido condiviso e, veniva pattuito il contributo di mantenimento.
Il padre, quindi, proponeva ricorso per Cassazione rivendicando, in particolar modo, la violazione del principio di “bigenitorialità”, ovvero del diritto del bambino ad avere un rapporto equilibrato ed armonioso con entrambi i genitori, ai fini dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale. Inoltre censurava un’evidente lacuna giudiziaria, nella ricerca delle ragioni che avevano determinato il rifiuto della figlia, nonché nella mancata attuazione di misure specifiche dirette a ristabilire i contatti con lo stesso.
La Suprema Corte, interrogata sul punto, accoglie le censure del ricorrente, rilevando effettivamente che il decreto sull’interruzione della frequentazione del padre con la figlia, in ragione dell’indisponibilità o avversione manifestata nei suoi confronti, non era sorretto da alcuna indagine sulle reali cause del suo atteggiamento. Inoltre il c.t.u., pur evidenziando il disagio provato dalla figlia, sottolineava anche i rischi che la distanza dalla figura paterna potesse nel tempo arrecare alla ragazza.
In tal senso, la Corte sottolinea come il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve formulare un adeguato giudizio prognostico supportato da elementi concreti desunti dalle rispettive capacità di relazione affettiva, dalla personalità del genitore, dalle consuetudini di vita e dall’ambiente sociale; fermo restando, in ogni caso il rispetto del principio di “bigenitorialità”, da intendersi come presenza comune dei genitori nella vita del figlio. L’importanza di tale principio è testimoniata anche da una recente sentenza della CEDU n. 23707/2013, con la quale si precisa che: a prescindere dai giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche sulla PAS, l’autorità giudiziaria deve sempre impegnarsi a mettere in atto tutte le misure necessarie a mantenere il legame familiare tra padri e figli, attraverso un concreto ed effettivo esercizio di visita nel contesto di una separazione legale tra i genitori.
Cass. Civile n.6919 del 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4340/2015 proposto da:
O.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso l’avvocato MASSIMO LAURO, che rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO PIAZZA, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
F.L.;
– intimata –
Nonchè da:
F.L., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dal se medesima;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
O.M.;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositato il 17/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato F. L. che si riporta per l’accoglimento del proprio ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo, rigetto del primo e secondo motivo del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
La causa ha ad oggetto le modalità di affidamento e mantenimento di S., figlia minorenne (nata nel 2000) di F.L. e O.M., dopo l’interruzione della convivenza dei genitori nel (OMISSIS), quando la F. lasciò la residenza comune portando con sè la figlia. Il Tribunale per i minori di Milano, con decreto del 27 marzo 2006, dispose l’affidamento condiviso della minore ad entrambi i genitori, collocata presso la madre, con incarico ai Servizi sociali di monitorare la situazione; con successivo decreto del 18 novembre 2008, tenuto conto dell’atteggiamento della figlia di rifiuto del padre, vietò a quest’ultimo di frequentarla, prescrisse alla ragazza un percorso psicoterapeutico (rimettendone la definizione in concreto alla madre), finalizzato a fare riprendere i rapporti con il padre e a consentire ad entrambi i genitori di rivolgersi ai servizi psico-sociali per un sostegno allo svolgimento dei compiti genitoriali; con decreto 10 dicembre 2011, rispondendo negativamente alle istanze con le quali l’ O. aveva dedotto l’esistenza di una “sindrome di alienazione genitoriale” (PAS) determinata dalla campagna di denigrazione posta in essere dalla F. nei suoi confronti, il Tribunale ha confermato il precedente decreto, dando conto del disagio manifestato dalla ragazza nei confronti del padre, a causa di taluni comportamenti percepiti come invasivi della propria sfera individuale intima, e ha respinto le istanze del padre di nuovi accertamenti peritali.
Avverso questo decreto l’ O. ha proposto reclamo, invocando nuove indagini peritali che facessero luce sulle ragioni dell’ostilità manifestata dalla figlia nei suoi confronti e favorissero la ripresa dei rapporti padre-figlia; la F. ha chiesto l’attribuzione di un contributo per il mantenimento della ragazza e il pagamento delle spese straordinarie.
La Corte d’appello di Milano, Sez. Minorenni, con decreto del 17 dicembre 2013, ha confermato l’affido condiviso della figlia ai due genitori, fissando la residenza presso la madre; con riguardo al contributo di mantenimento, a carico dell’ O., lo ha determinato in Euro 800,00 mensili, rivalutabili, oltre alla metà delle spese straordinarie e di quelle concordate e documentate; ha confermato nel resto il decreto impugnato; ha compensato le spese del secondo grado per la metà, ponendole nel resto a carico di O.. Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui si è opposta la F., la quale ha presentato un ricorso incidentale affidato a un motivo.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale l’ O. ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c.(sostituito dall’art. 337 ter c.c.), nonchè vizio di motivazione per omesso esame di fatti decisivi concernenti la condotta della F. rispetto al suo rapporto con la figlia. In particolare, egli ha dedotto la violazione del principio della bigenitorialità, cioè del diritto del bambino di avere un rapporto equilibrato ed armonioso con entrambi i genitori e, quindi, anche con il padre, ai fini dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale. La Corte milanese avrebbe omesso del tutto di considerare che la F. aveva ostacolato in ogni modo il suo rapporto con la ragazza e non era mai intervenuta efficacemente quando manifestava atteggiamenti ostili verso il padre; che gli incontri con la figlia erano molto rari e solo alla presenza di una baby sitter o di un’educatrice dei servizi sociali; che l’attuale convivenza della ragazza con la madre costituiva un insuperabile impedimento al suo riavvicinamento alla ragazza; che questa situazione determinava la lesione del diritto alla vita familiare tutelata dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 8); che era stato omesso l’espletamento di indagini specifiche volte ad individuare l’esistenza di una PAS (Parental Alienation Syndrome), ciò rivelando una ingiustificata posizione ideologica e negazionista che, in definitiva, aveva l’effetto di precludere la tutela dei suoi diritti di padre e dei diritti della figlia; che le accuse rivolte dalla F. nei suoi confronti, di comportamenti inadeguati verso la figlia, erano totalmente infondate e mai provate, nemmeno a livello indiziario. I giudici di merito non avrebbero indagato sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia, nè attuato misure specifiche e dirette a ristabilire i contatti con il padre; gli interventi anche terapeutici posti in essere erano gravemente inadeguati e dannosi per lo stato psicofisico della minore.
Il motivo in esame, contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, è ammissibile, essendo impugnato exart. 111 Cost., un provvedimento, avente i caratteri della decisorietà e definitività, che non verte in tema di limitazione della potestà genitoriale (inizialmente limitata e poi reintegrata in capo ai genitori con successivo decreto 18 novembre 2008), ma sulle modalità dell’affidamento di un figlio minore di genitori separati (v. Cass. n. 7041/2013). Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato il principio secondo cui il decreto della Corte d’appello, contenente i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., poichè già nel vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 – che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, poichè risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, avendo un’efficacia assimilabile rebus sic stantibus a quella del giudicato (v. Cass. n. 6132/2015, n. 11218/2013).
Il motivo è fondato nei seguenti termini.
L’impugnata decisione ha confermato il regime di affidamento condiviso con il contestato collocamento della figlia minore presso la madre, sulla base delle seguenti proposizioni: ” S. è una ragazzina a rischio evolutivo, nel senso che il suo rifiuto del padre può precluderle relazioni mature e soddisfacenti e che lo stesso rapporto con la madre è contraddistinto da ambivalenza e aggressività”; il c.t.u. si era dichiarato contrario alla possibilità di incontri con il padre a breve, poichè si era verificato che la ragazza aveva avuto una crisi di panico alcuni giorni prima di uno di questi incontri; l’eziopatogenesi del suo atteggiamento era da rinvenire “nella relazione non particolarmente coinvolgente… (…) – definita (dal c.t.u.) turistica – della coppia”, il che farebbe “implicitamente” escludere la configurabilità della sindrome di alienazione genitoriale (PAS) imputata dal ricorrente alla F.; la Corte ha sospeso la terapia psicologica praticata dalla ragazza, secondo l’indicazione del c.t.u. che ne aveva contraddittoriamente evidenziato il bisogno “tassativo” e l’aveva consigliata anche ai genitori.
E’ una motivazione non solo insufficiente, ma perplessa o apparente, quindi censurabile anche alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, come interpretato dalle Sezioni Unite (v. sent. n. 8053 e 8054/2014).
La Corte d’appello ha disposto l’interruzione della frequentazione del padre con la figlia in ragione della indisponibilità o avversione manifestata nei suoi confronti dalla ragazza, senza una approfondita indagine sulle reali cause del suo atteggiamento e seguendo l’indicazione finale del c.t.u., sebbene questi avesse evidenziato anche i rischi che la distanza dalla figura paterna potesse nel tempo arrecare alla ragazza e, soprattutto, le analoghe criticità dei rapporti della ragazza con la madre, caratterizzati da “ambivalenza e aggressività”, e tra gli stessi genitori. La decisione di escludere, in sostanza, il padre dalla vita della figlia appare come il risultato di una acritica adesione alle conclusioni finali del c.t.u., piuttosto che essere determinata da suoi non precisati comportamenti riprovevoli (cui la stessa Corte mostra di non attribuire rilievo, non soffermandosi su di essi e sulle relative fonti di prova, tenuto conto delle specifiche contestazioni mosse al riguardo dal ricorrente), con l’effetto di trascurare le specifiche censure avanzate e trascritte nel ricorso per cassazione (è noto che il giudice può aderire alle conclusioni del c.t.u., senza essere tenuto a una specifica motivazione, salvo che non formino oggetto di specifiche censure, v. Cass. n. 1149/2011).
In particolare, il c.t.u. nominato in primo grado aveva rilevato che “la madre limita di fatto la relazione tra padre e figlia attraverso un controllo continuo su ogni atto direttamente o tramite persone di sua fiducia.
L’atteggiamento (…) trova una ragione nella particolare caratteristica di personalità strutturata secondo schemi rigidi”; lo stesso Tribunale, nel decreto del 28 marzo 2007, aveva dato atto che “la madre sta arrecando gravi e irreparabili danni alla minore, inducendole paure e sospetti nei confronti della figura paterna” e le aveva prescritto “di non ostacolare i rapporti tra la minore e il padre, dovendosi in caso contrario valutare un diverso collocamento della minore”. Inoltre, il rilievo critico evidenziato dal ricorrente, di avere rimesso alla F. la definizione in concreto del percorso terapeutico della minore, ha trovato parziale conferma nella stessa decisione Impugnata, la quale ha richiamato il giudizio definito “sarcastico” del c.t.u. nei confronti della terapeuta scelta dalla F..
Questa Corte ha avuto occasione di osservare che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonchè della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (v. Cass. n. 18817/2015).
Non può esservi dubbio che tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai fini dell’affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, rilevi la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio, che si individuano anche nella capacità di preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore.
Non compete a questa Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche e, nella specie, della controversa PAS, ma è certo che i giudici di merito non hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia e sono venuti meno all’obbligo di verificare, in concreto, l’esistenza dei denunciati comportamenti volti all’allontanamento fisico e morale del figlio minore dall’altro genitore. Il giudice di merito, a tal fine, può utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l’ascolto del minore) e anche le presunzioni (desumendo eventualmente elementi anche dalla presenza, laddove esistente, di un legame simbiotico e patologico tra il figlio e uno dei genitori).
Tali comportamenti, qualora accertati, pregiudicherebbero il diritto del figlio alla bigenitorialità e, soprattutto, alla sua crescita equilibrata e serena.
L’importanza di tale diritto è testimoniata dalla sentenza della Cedu 9 gennaio 2013, n. 25704, L. c. Rep. Italiana, che ha affermato la violazione dell’art. 8 della convenzione da parte dello Stato italiano, in un caso in cui le autorità giudiziarie, a fronte degli ostacoli opposti dalla madre affidataria, ma anche dalla stessa figlia minorenne, a che il padre esercitasse effettivamente e con continuità il diritto di visita, non si erano impegnate a mettere in atto tutte le misure necessarie a mantenere il legame familiare tra padre e figlia minore, attraverso un concreto ed effettivo esercizio del diritto di visita nel contesto di una separazione legale tra i genitori. In particolare, quelle autorità si erano limitate reiteratamente e con formule stereotipate a confermare i propri provvedimenti, nonchè a prescrivere l’intervento dei servizi sociali, cui erano richieste di volta in volta informazioni e delegata una generica funzione di controllo, così determinandosi il consolidamento di una situazione di fatto pregiudizievole per il padre, mentre avrebbero dovuto rapidamente adottare misure specifiche per il ripristino della collaborazione tra i genitori e dei rapporti tra il padre e la figlia, anche avvalendosi della mediazione dei servizi sociali. In caso di separazione personale conflittuale tra coniugi, l’affidamento del figlio minorenne implica un diritto effettivo e concreto di visita del genitore presso il quale il minore non sia collocato. L’assenza di collaborazione tra i genitori in conflitto e, talora, l’atteggiamento ostile (da dimostrare nel caso concreto) del genitore collocatario nei confronti dell’altro genitore) che impedisca di fatto al minore di frequentarlo, comporta una grave violazione del diritto del figlio al rispetto della vita familiare e non dispensa le autorità nazionali dall’obbligo di ricercare ogni mezzo efficace al fine di garantire il diritto del minore di frequentare adeguatamente e tempestivamente entrambi i genitori.
Si deve enunciare il seguente principio: in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.
In conclusione, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un nuovo esame. Gli altri motivi del ricorso principale e incidentale, sulla quantificazione dell’assegno e sul governo delle spese, sono assorbiti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi e il ricorso incidentale; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, Sez. Minorenni, in diversa composizione, anche per le spese.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2016