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Claims made: la parola alle Sezioni Unite.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Claims made: la parola alle Sezioni Unite.

 

Il contratto di assicurazione per la responsabilità civile a cui viene apposta una clausola claims made (“a richiesta fatta”) si caratterizza per il fatto che la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza, laddove, invece, lo schema loss occurance (“insorgenza del danno”) copre tutte le condotte insorte nel periodo di durata del contratto.

Le clausole claims made possono essere sussunte in due grandi categorie: quelle miste o impure (come nel caso di specie) che prevedono la operatività della copertura assicurativa solo quando il fatto illecito e la richiesta risarcitoria intervengono nel periodo di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia anche alle condotte poste in essere anteriormente (due o tre anni dalla stipula); quelle  cd. pure che, invece, manlevano tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all’assicurato e da questi all’assicurazione nel periodo di efficacia della polizza, a prescindere dalla data di commissione del fatto illecito.

Ciò posto, le Sezioni Unite affrontano una serie di questioni relative alla natura giuridica di tali clausole, nonché alla assicurabilità dei c.d. rischi pregressi, e cioè dei fatti generatori di danno verificatisi prima della conclusione del contratto, ma ignorati dall’assicurato. La Suprema Corte, sconfessando la tesi della nullità di una clausola di tal fatta (così come, invece, ritenuto dal ricorrente, ad onta della mancanza dell’alea richiesta dall’art. 1895 cc), afferma a tal proposito che la claims made con garanzia pregressa afferisce ad un solo elemento del rischio garantito e cioè la condotta colposa posta già in essere, ma ignorata, restando, invece, impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante assicurato. La liceità di tale clausola si rinviene anche sul fronte della natura giuridica: posta la distinzione tra clausole limitative della responsabilità e dell’oggetto, la claims made può essere annoverata tra quelle che attengono all’oggetto del contratto, inerendo infatti al contenuto e ai limiti della garanzia assicurativa, e di conseguenza agli obblighi assunti concretamente dalle parti. Anche nella sua forma mista, peraltro, mira a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo, ponendosi a pieno titolo “nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicurato” ex art. 1905 cc.

Le Sezioni Unite enunciano all’uopo i seguenti principi di diritto: nel contratto di assicurazione la clausola claims made mista non è da considerarsi vessatoria, per cui potrebbe al più essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza, in virtù della deroga che essa pone al regime legale, ovvero per determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e obblighi derivanti dal contratto, qualora si debba applicare la disciplina di cui al dlgs 206/05. La valutazione circa la meritevolezza fatta dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 06-05-2016, n. 9140

PROCEDIMENTO CIVILE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente Sezione –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13729/2012 proposto da:

PROVINCIA RELIGIOSA DI S. PIETRO DELL’ORDINE OSPEDALIERO DI S. GIOVANNI DI DIO FATEBENEFRATELLI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 229, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO MARIA POMPA, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CATTOLICA ASSICURAZIONI COOP. A R.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e difende, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

REALE MUTUA ASSICURAZIONI S.P.A., ZURICH INSURANCE PLC, /PRESUTTO ANDREA/, DUOMO UNI ONE ASSICURAZIONI S.P.A., MMI DANNI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 405/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/16 dal Cons. Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

uditi gli avvocati Giuliano Maria POMPA, Pierfilippo COLETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, statuendosi i principi cui dovrà attenersi il giudice di merito al fine di stabilire se la clausola claims made sia vessatoria.

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 18 dicembre 2008 il Tribunale di Roma accolse la domanda proposta da /Presutto Andrea/ nei confronti della Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli (di seguito anche solo Provincia Religiosa), domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni da lui subiti per effetto della condotta dei medici della struttura che lo avevano curato. E nel condannare l’ente al pagamento della somma liquidata al paziente a titolo di ristoro dei pregiudizi patiti, dichiarò tutte le compagnie assicurative chiamate in causa dalla convenuta tenute a manlevare la responsabile-assicurata nei limiti previsti dalle rispettive polizze.

Propose appello la Società Cattolica di Assicurazioni s.p.a., anche quale delegataria delle coassicuratrici Zurich Insurance PLC (per la quota del 30%) e di Reale Mutua (per la quota del 20%), censurando la ritenuta inoperatività della clausola c.d. claims made – letteralmente “a richiesta fatta” – inserita nella polizza n. 11891, da essa stipulata con la Provincia Religiosa, in quanto derogativa, secondo il giudice di prime cure, del primo comma dell’art. 1917 c.c., e quindi del principio in base al quale la copertura assicurativa si estende a tutti i fatti accaduti durante la vigenza del contratto. Sostenne segnatamente l’esponente che, nell’adottare tale errata soluzione, il decidente non aveva considerato che la pattuizione intitolata “Condizione speciale – Inizio e Termine della Garanzia”, in base alla quale la manleva valeva per le istanze risarcitorie presentate per la prima volta nel periodo di efficacia dell’assicurazione, purchè il fatto che aveva originato la richiesta fosse stato commesso nello stesso periodo o nel triennio precedente alla stipula, era pienamente valida ed efficace, anche in assenza di una specifica sottoscrizione, in quanto volta a delimitare l’oggetto del contratto e non a stabilire una limitazione di responsabilità.

Con la sentenza ora impugnata, depositata il 16 dicembre 2011, la Corte d’appello di Roma ha rigettato la domanda di manleva della Provincia nei confronti della Cattolica e delle coassicuratrici.

In motivazione la Curia capitolina, affermata la piena validità della clausola, ne ha altresì escluso il carattere vessatorio rilevando che la stessa, lungi dal rappresentare una limitazione della responsabilità della società assicuratrice, estende la copertura ai fatti dannosi verificatisi prima della stipula del contratto.

Il ricorso della Provincia Religiosa avverso detta decisione è articolato su tre motivi.

Si sono difese con controricorso la Società Cattolica Assicurazioni Coop. a r.l. e Zurich Insurance PLC. A seguito di istanza dell’impugnante, il Primo Presidente, ritenuto che la controversia presentava una questione di massima di particolare importanza, ne ha disposto l’assegnazione alle sezioni unite.

Fissata l’udienza di discussione, entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

  1. Va anzitutto sgombrato il campo dall’eccezione, sollevata in limine dalla Società Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l. e dalla Zurich Insurance PLC, di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza. Sostengono invero le resistenti che l’impugnazione violerebbe il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, posto che non sarebbe riportato il testo del contratto nè ne sarebbe indicata l’esatta allocazione nel fascicolo processuale.

Il rilievo non ha pregio.

La preliminare verifica evocata dalle società assicuratrici è destinata ad avere esito positivo a condizione che il ricorso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto nonchè di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle argomentazioni con le quali il decidente ha giustificato la scelta decisoria adottata.

Nello specifico, il nodo problematico sul quale è stato sollecitato l’intervento nomofilattico delle sezioni unite, attiene alla validità di una clausola il cui contenuto è assolutamente pacifico tra le parti ed è comunque stato trascritto in ricorso, di talchè non avrebbe senso sanzionare con l’inammissibilità l’omissione delle indicazioni necessarie alla facile reperibilità del testo dell’intero contratto, considerato che nessun ausilio esso apporterebbe alla soluzione delle questioni poste dalla proposta impugnazione. E’ sufficiente all’uopo considerare che le deduzioni hinc et inde svolte a sostegno delle rispettive tesi difensive, omettono qualsivoglia riferimento a pattuizioni diverse da quella racchiusa nella clausola in contestazione, volta a circoscrivere, nei sensi che di qui a poco si andranno a precisare, l’obbligo della garante di manlevare la garantita.

2.1. Per le stesse ragioni, e specularmente, l’eccezione di giudicato esterno sollevata da entrambe le parti, nelle memorie ex art. 378 c.p.c., e nel corso della discussione orale, in relazione a sentenze definitive che, con riferimento alla polizza n. (OMISSIS) oggetto del presente giudizio, avrebbero pronunciato sulla validità della contestata condizione, non può sortire l’effetto di precludere la decisione di questa Corte sul merito della proposta impugnazione.

Mette conto in proposito ricordare che, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con i criteri redazionali desumibili dal disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6. E tanto per la dirimente considerazione che l’interpretazione del giudicato esterno, pur essendo assimilabile a quella degli elementi normativi astratti, in ragione della sua natura di norma regolatrice del caso concreto, va comunque effettuata sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, di talchè la relativa deduzione soggiace all’onere della compiuta indicazione di tutti gli elementi necessari al compimento del sollecitato scrutinio (cfr. Cass. civ. 10 dicembre 2015, n. 24952).

2.2. Venendo al caso di specie, le contrapposte deduzioni delle parti in ordine all’esistenza di sentenze passate in giudicato che, con esiti niente affatto coincidenti, si sarebbero pronunciate sulle questioni oggetto del presente giudizio, non sono accompagnate dalla indicazione degli elementi indispensabili alla verifica della fondatezza dell’eccezione, nei sensi testè esplicitati.

Ne deriva che l’eccezione di giudicato esterno va disattesa.

3.1. Passando quindi all’esame della proposta impugnazione, con il primo motivo, la Provincia Religiosa, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, contesta la negativa valutazione della natura vessatoria della clausola.

Rileva segnatamente l’esponente che la stessa, non integrando l’oggetto del contratto, ma piuttosto limitando la responsabilità della compagnia assicuratrice, ovvero prevedendo decadenze, limitazioni alla facoltà di proporre eccezioni e restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, facoltà di sospendere l’esecuzione, richiedeva una specifica sottoscrizione, nella specie mancante. Aggiunge che, mentre la previsione pattizia non infirma la tipicità dello schema negoziale, l’estensione della garanzia a sinistri occorsi in periodi precedenti alla vigenza della polizza è ben possibile anche in contratti conformati sul modello boss occurrence. In ogni caso – evidenzia – l’art. 1341 c.c., è norma che riguarda tutti i contratti, tipici o atipici che siano.

3.2. Con il secondo mezzo l’impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1341, 2964 e 2965 c.c., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Sostiene che la condizione apposta al contratto sarebbe nulla, ex art. 2965 c.c., per l’eccessiva difficoltà che ne deriverebbe all’esercizio del diritto alla manleva dell’assicurato, questione sulla quale la Corte di merito non si era affatto pronunciata, benchè la stessa fosse stata tempestivamente sollevata sin dal primo grado del giudizio.

3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1337, 1358, 1366, 1374 e 1375 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Sostiene l’esponente che la clausola in contestazione sarebbe nulla per contrarietà ai principi di correttezza e buona fede, poichè essa, intitolata inizio e termine della garanzia, non contiene alcun richiamo espresso alla circostanza che viene assicurato non già il fatto foriero di danno, ma la richiesta di danno che, insieme al fatto, deve intervenire nel corso di vigenza temporale della polizza.

  1. Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate.

Va premesso, per una più agevole comprensione delle ragioni della scelta operata in dispositivo, che il contratto di assicurazione per responsabilità civile con clausola claims made (a richiesta fatta) si caratterizza per il fatto che la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza (o anche in un delimitato arco temporale successivo, ove sia pattuita la c.d. sunset dose), laddove, secondo lo schema denominato “loss occurrence”, o “insorgenza del danno”, sul quale è conformato il modello delineato nell’art. 1917 c.c., la copertura opera in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di durata del contratto.

Senza addentrarsi nella “storia” della formula e del contesto giurisprudenziale ed economico in cui essa ebbe a germogliare, in quanto esorbitante rispetto ai fini della presente esposizione, mette conto nondimeno rilevare, per una migliore comprensione degli interessi in gioco, che la sua introduzione, circoscrivendo l’operatività della assicurazione a soli sinistri per i quali nella vigenza del contratto il danneggiato richieda all’assicurato il risarcimento del danno subito, e il danneggiato assicurato ne dia comunicazione alla propria compagnia perchè provveda a tenerlo indenne, consente alla società di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte alle relative obbligazioni, con quel che ne consegue, tra l’altro, in punto di facilitazione nel calcolo del premio da esigere.

  1. Malgrado la variegata tipologia di clausole claims made offerte dalla prassi commerciale, esse, schematizzando al massimo, appaiono sussumibili in due grandi categorie: a) clausole c.d. miste o impure, che prevedono l’operatività della copertura assicurativa solo quando tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia, in taluni casi, come quello dedotto in giudizio, alle condotte poste in essere anteriormente (in genere due o tre anni dalla stipula del contratto); b) clausole c.d. pure, destinate alla manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all’assicurato e da questi all’assicurazione nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito.

6.1. Tanto premesso e precisato, ragioni di ordine logico consigliano di partire dall’esame delle censure con le quali l’impugnante contesta in radice la validità della clausola claims made, segnatamente esposte nel secondo e del terzo motivo di ricorso.

Orbene, in relazione ai particolari profili di nullità ivi evocati, le critiche sono destituite di fondamento, ancorchè la problematica della liceità dei patti in essa racchiusi non possa esaurirsi nella loro confutazione e necessiti di alcune, significative precisazioni.

Anzitutto non è condivisibile l’assunto secondo cui il decidente non avrebbe risposto alla deduzione di nullità della clausola per contrarietà al disposto dell’art. 2965 c.c..

La Corte territoriale ha invero scrutinato la validità del patto, espressamente negando, ancorchè con motivazione estremamente sintetica, che lo stesso integrasse violazione di alcuna norma imperativa. Il che significa che la prospettazione dell’appellata non è sfuggita al vaglio critico del giudicante.

6.2. Deve in ogni caso escludersi che la limitazione della copertura assicurativa alle “richieste di risarcimento presentate all’Assicurato, per la prima volta, durante il periodo di efficacia dell’assicurazione”, in relazione a fatti commessi nel medesimo lasso temporale o anche in epoca antecedente, ma comunque non prima di tre anni dalla data del suo perfezionamento, integri una decadenza convenzionale, soggetta ai limiti inderogabilmente fissati nella norma codicistica di cui si assume la violazione.

E invero l’istituto richiamato, implicando la perdita di un diritto per mancato esercizio dello stesso entro il periodo di tempo stabilito, va inequivocabilmente riferito a già esistenti situazioni soggettive attive nonchè a condotte imposte, in vista del conseguimento di determinati risultati, a uno dei soggetti del rapporto nell’ambito del quale la decadenza è stata prevista. Invece la condizione racchiusa nella clausola in contestazione consente o preclude l’operatività della garanzia in dipendenza dell’iniziativa di un terzo estraneo al contratto, iniziativa che peraltro incide non sulla sorte di un già insorto diritto all’indennizzo, quanto piuttosto sulla nascita del diritto stesso.

Ne deriva che non v’è spazio per una verifica di compatibilità della clausola con il disposto dell’art. 2965 c.c..

7.1. Pure infondata è la deduzione di nullità per asserito contrasto della previsione pattizia con le regole di comportamento da osservarsi nel corso della formazione del contratto e nello svolgimento del rapporto obbligatorio. Non è qui in discussione che i reiterati richiami del codice alla correttezza come regola alla quale il debitore e il creditore devono improntare il proprio comportamento (art. 1175 c.c.), alla buona fede come criterio informatore della interpretazione e della esecuzione del contratto (artt. 1366 e 1375 c.c.), e all’equità, quale parametro delle soluzioni da adottare in relazione a vicende non contemplate dalle parti (art. 1374 c.c.), facciano della correttezza (o buona fede in senso oggettivo) un metro di comportamento per i soggetti del rapporto, e un binario guida per la sintesi valutativa del giudice, il cui contenuto non è a priori determinato; nè che il generale principio etico-giuridico di buona fede nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri doveri, insieme alla nozione di abuso del diritto, che ne è l’interfaccia, giochino un ruolo fondamentale e in funzione integrativa dell’obbligazione assunta dal debitore, e quale limite all’esercizio delle corrispondenti pretese;

nè, ancora, che, attraverso le richiamate norme, possa venire più esattamente individuato, e per così dire arricchito, il contenuto del singolo rapporto obbligatorio, con l’estrapolazione di obblighi collaterali (di protezione, di cooperazione, di informazione), che, in relazione al concreto evolversi della vicenda negoziale, vadano, in definitiva a individuare la regula iuris effettivamente applicabile e a salvaguardare la funzione obbiettiva e lo spirito del regolamento di interessi che le parti abbiano inteso raggiungere.

7.2. Ciò che tuttavia rileva, ai fini del rigetto delle proposte censure, è che, in disparte quanto appresso si dirà (al n. 17.), in ordine al giudizio di meritevolezza di regolamenti negoziali oggettivamente non equi e gravemente sbilanciati, la violazione di regole di comportamento ispirate a quel dovere di solidarietà che, sin dalla fase delle trattative, richiama “nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”, secondo l’icastica enunciazione della Relazione ministeriale al codice civile, in nessun caso potrebbe avere forza ablativa di un vincolo convenzionalmente assunto, essendo al più destinato a trovare ristoro sul piano risarcitorio (confr. Cass. civ. 10 novembre 2010, n. 22819; Cass. civ. 22 gennaio 2009, n. 1618; Cass. civ. sez. un. 25 novembre 2008, n. 28056).

7.3. Ora, con specifico riguardo alle censure svolte nel terzo motivo, ciò di cui l’impugnante Provincia Religiosa si duole è che l’inserimento della clausola sia avvenuta in maniera asseritamente subdola, posto che la sua denominazione “inizio e termine della garanzia” avrebbe fuorviato il consenso dell’aderente, affatto inconsapevole di un contenuto che stravolge lo schema codicistico del contratto assicurativo, ispirato alla formula loss occurence: da tanto inferendo non già l’esistenza di ipotesi di annullabilità per errore o dolo o di variamente modulati diritti risarcitori dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore, ma la nullità radicale e assoluta della clausola sub specie di illiceità che vitiatur sed non vitiat, con conseguente attivazione del meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1419 c.c., comma 2, implicitamente, ma inequivocabilmente evocato.

E tuttavia, si ripete, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, al quale si intende dare continuità, che, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di precetti inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, non già l’inosservanza di norme, quand’anche imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, inosservanza che può costituire solo fonte di responsabilità per danni (cfr. Cass. civ. 10 aprile 2014, n. 8462;

Cass. civ. 19 dicembre 2007, n. 26724).

Ne deriva che le censure poste nel primo e nel secondo motivo di ricorso non colgono nel segno.

8.1. L’ampiezza dello scrutinio nomofilattico sollecitato e le peculiarità proprie della fattispecie dedotta in giudizio, inducono queste sezioni unite a esaminare un ulteriore, possibile profilo di invalidità della clausola in contestazione, per vero assai dibattuto, soprattutto in dottrina e nella giurisprudenza di merito.

Merita evidenziare, sul piano fattuale: a) che il sinistro, e cioè l’omessa diagnosi dei cui effetti pregiudizievoli P.A. ha chiesto di essere ristorato, si è verificato nell’agosto 1993; b) che l’arco temporale di vigenza della polizza dedotta in giudizio andava dal 21 febbraio 1996 al 31 dicembre 1997, con effetto retroattivo al triennio precedente; c) che la copertura assicurativa era in ogni caso limitata alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato durante il periodo di operatività dell’assicurazione, e quindi entro il 31 dicembre 1997; d) che nella fattispecie la domanda del paziente venne avanzata nel giugno 2001.

E allora, considerato che il sinistro di cui la chiamante ha chiesto di essere indennizzata si è verificato in epoca antecedente alla stipula del contratto, risulta ineludibile il confronto con la vexata quaestio della validità dell’assicurazione del rischio pregresso. Si ricorda all’uopo che l’assicurabilità di fatti generatori di danno verificatisi prima della conclusione del contratto, ma ignorati dall’assicurato, è stata ed è fortemente osteggiata da coloro che ravvisano nella clausola claims made così strutturata una sostanziale mancanza dell’alea richiesta, a pena di nullità, dall’art. 1895 c.c.. E invero – si sostiene – posto che il rischio dedotto in contratto deve essere futuro e incerto, giammai il c.d.

rischio putativo potrebbe trovare copertura.

  1. Da tale opinione le Sezioni unite ritengono tuttavia di dovere dissentire, così confermando l’orientamento già espresso da questa Corte negli arresti n. 7273 del 22 marzo 2013, e n. 3622 del 17 febbraio 2014.

Affatto convincente appare in proposito il rilievo che l’estensione della copertura alle responsabilità dell’assicurato scaturenti da fatti commessi prima della stipula del contratto non fa venir meno l’alea e, con essa, la validità del contratto, se al momento del raggiungimento del consenso le parti (e, in specie, l’assicurato) ne ignoravano l’esistenza, potendosi, in caso contrario, opporre la responsabilità del contraente ex artt. 1892 e 1893 c.c., per le dichiarazioni inesatte o reticenti. A ciò aggiungasi che, come innanzi evidenziato, il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza, si concretizza progressivamente, perchè esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento: ne deriva che la clausola claims made con garanzia pregressa è lecita perchè afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato.

Non a caso, del resto, il rischio putativo è espressamente riconosciuto nel nostro ordinamento dall’art. 514 c.n., con disposizione che non v’è motivo di ritenere eccezionale.

  1. L’affermato carattere grandangolare del giudizio di nullità (cfr. Cass. civ. sez. un. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243), impone a questo punto di farsi carico degli ulteriori rilievi – disseminati qua e là, nel corpo delle complesse e articolate argomentazioni formulate dalla ricorrente a illustrazione della sua linea difensiva – volti a evidenziare la consustanziale e invincibile contrarietà della clausola con la struttura propria del contratto di assicurazione, posto che essa, legando la copertura dei sinistri alla condizione che ne venga chiesto il ristoro entro un certo periodo di tempo, decorso il quale cessa ogni obbligo di manleva per la compagnia, stravolgerebbe, a danno dell’assicurato, la struttura tipica del contratto, quale delineato nell’art. 1917 c.c., che, conformata, come si è detto, sul modello c.d. loss occurrence, assicura la copertura di tutti i sinistri occorsi nel periodo di tempo di vigenza della polizza. Secondo tale prospettiva, che ha trovato riscontro in talune pronunce della giurisprudenza di merito e adesioni in dottrina, la clausola sarebbe nulla perchè vanificherebbe la causa del contratto di assicurazione, individuata, con specifico riferimento all’assicurazione sulla responsabilità professionale, nel trasferimento, dall’agente all’assicuratore, del rischio derivante dall’esercizio dell’attività, questa e non la richiesta risarcitoria essendo oggetto dell’obbligo di manleva.
  2. Sul piano strettamente dogmatico la tesi dell’intagibilità del modello codicistico si scontra contro il chiaro dato testuale costituito dall’art. 1932 c.c., che tra le norme inderogabili non menziona l’art. 1917 c.c., comma 1. Il che, in via di principio, consente alle parti di modulare, nella maniera ritenuta più acconcia, l’obbligo del garante di tenere indenne il garantito “di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”, deve pagare a un terzo.

Si tratta piuttosto di stabilire fino a che punto i paciscenti possano spingersi nella riconosciuta loro facoltà di variare il contenuto del contratto e quale sia il limite oltre il quale la manipolazione dello schema tipico sia in concreto idonea ad avvelenarne la causa. Non a caso, al riguardo, la tesi della nullità viene declinata nella ben più scivolosa chiave della immeritevolezza di tutela dell’assicurazione con clausola claims made, segnatamente di quella mista, in ragione della significativa delimitazione dei rischi risarcibili, del pericolo di mancanza di copertura in caso di mutamento dell’assicuratore e delle conseguenti, possibili ripercussioni negative sulla concorrenza tra le imprese e sulla libertà contrattuale.

  1. In realtà, al fondo della manifesta insofferenza per una condizione contrattuale che appare pensata a tutto vantaggio del contraente forte, c’è la percezione che essa snaturi l’essenza stessa del contratto di assicurazione per responsabilità civile, legando l’obbligo di manleva a una barriera temporale che potrebbe scattare assai prima della cessazione del rischio che ha indotto l’assicurato a stipularlo, considerato che l’eventualità di un’aggressione del suo patrimonio persiste almeno fino alla maturazione dei termini di prescrizione.

Peraltro una risposta soddisfacente e conclusiva a siffatto genere di dubbi non può prescindere da una più approfondita esegesi della natura della contestata clausola, operazione che, in quanto indispensabile alla identificazione del relativo regime giuridico, deve necessariamente confrontarsi anche con le critiche svolte nel primo motivo di ricorso.

  1. Si tratta invero di stabilire se essa vada qualificata come limitativa della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., ovvero dell’oggetto del contratto, tenendo conto che, in linea generale, per clausole limitative della responsabilità si intendono quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito (Cass. civ. 7 agosto 2014, n. 17783; Cass. civ. 7 aprile 2010, n. 8235; Cass. civ. 10 novembre 2009, n. 23741). In siffatta prospettiva si predica che si ha delimitazione dell’oggetto quando la clausola negoziale ha lo scopo di stabilire gli obblighi concretamente assunti dalle parti, laddove è delimitativa della responsabilità quella che ha l’effetto di escludere una responsabilità che, rientrando, in tesi,nell’oggetto, sarebbe altrimenti insorta.
  2. Orbene, funzionale al divisato obbiettivo esegetico è anzitutto la considerazione che il fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione di cui parla l’art. 1917 c.c., non può essere identificato con la richiesta di risarcimento: non par dubbio infatti che il lemma – inserito all’interno di un contesto normativo in cui sono espressamente esclusi dall’area della risarcibilità i danni derivati dai fatti dolosi (art. 1917, comma 1, ultimo periodo); in cui sono imposti all’assicurato, con decorrenza dalla data del sinistro, significativi oneri informativi (art. 1913 cod. civ.); e in cui, infine, è espressamente sancito e disciplinato l’obbligo di salvataggio (art. 1914 c.c.) – si riferisce inequivocabilmente alla vicenda storica di cui l’assicurato deve rispondere (cfr. Cass. civ. 15 marzo 2005, n. 5624).

Il che, se vale a far tracimare i contratti assicurativi con clausola claims made pura fuori della fattispecie ipotetica delineata nell’art. 1917 cod. civ., non è invece sufficiente a suffragare l’assunto secondo cui anche la clausola claims made mista inciderebbe sulla tipologia stessa del rischio garantito nel senso che questo non sarebbe più la responsabilità tout court, ma la responsabilità reclamata. L’affermazione che, si ripete, è certamente sostenibile con riferimento ai contratti assicurativi con clausola claims made pura, non resiste, con riguardo alle altre, al dirimente rilievo che, nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, il sinistro delle cui conseguenze patrimoniali l’assicurato intende traslare il rischio sul garante, è collegato non solo alla condotta dell’assicurato danneggiante, ma altresì alla richiesta risarcitoria avanzata dal danneggiato, essendo fin troppo ovvio che ove al comportamento lesivo non faccia seguito alcuna domanda di ristoro, nessun diritto all’indennizzo – e specularmente nessun obbligo di manleva insorgeranno a favore e a carico dei soggetti del rapporto assicurativo.

  1. Se tutto questo è vero, il discostamento dal modello codicistico introdotto dalla clausola clamis made impura, che è quella che qui interessa, mirando a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo, rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, si inscrive a pieno titolo nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali, a norma dell’art. 1905 c.c., l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicurato. E poichè non è seriamente predicabile che l’assicurazione della responsabilità civile sia ontologicamente incompatibile con tale disposizione, il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità.
  2. Infine, e conclusivamente, nessuna consistenza hanno gli altri profili di vessatorietà evocati dalla Provincia Religiosa, a sol considerare che la pretesa, pattizia imposizione di decadenze è resistita dai medesimi rilievi svolti a proposito dell’eccepita nullità della clausola per contrarietà al disposto dell’art. 2965 c.c.; che la deduzione di un’incisione della libertà contrattuale del contraente non predisponente costituisce al più un inconveniente pratico che, in quanto effetto riflesso delle condizioni della stipula, è semmai passibile di valutazione in sede di scrutinio sulla meritevolezza della tutela, di cui appresso si dirà; che inesistente, infine, è la prospettata limitazione alla facoltà dell’assicurato di opporre eccezioni.

Ne deriva che correttamente il giudice di merito ha escluso sia le ragioni di nullità fatte valere dall’esponente che il carattere vessatorio della clausola.

  1. Ritenuta inoperante la tutela, del resto meramente formale, assicurata dall’art. 1341 c.c., e conseguentemente infondate le critiche svolte nel primo mezzo, si tratta ora di considerare i possibili esiti di uno scrutinio di validità condotto sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga al regime legale contrattualmente stabilita, riprendendo il discorso dal punto in cui lo si è lasciato (al n. 12.). Peraltro, se è approdo pacifico della teoria generale del contratto la possibilità di estendere il sindacato al singolo patto atipico, inserito in un contratto tipico, è di intuitiva evidenza che qualsivoglia indagine sulla meritevolezza deve necessariamente essere condotta in concreto, con riferimento, cioè, alla fattispecie negoziale di volta in volta sottoposta alla valutazione dell’interprete. E invero i dubbi avanzati da questa Corte allorchè, interrogandosi in un obiter dictum sulla validità dell’esclusione dalla copertura assicurativa di un sinistro realizzato nel pieno vigore del contratto, in quanto la domanda risarcitoria era stata per la prima volta proposta dopo la scadenza della polizza, ebbe a ipotizzare problemi di validità della clausola, considerato che, in casi siffatti, verrebbe a mancare, “in danno dell’assicurato, il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo” (cfr. Cass. civ. 17 febbraio 2014, n. 3622), non appaiono passibili di risposte univoche, in disparte il loro indiscutibile impatto emotivo. E’ sufficiente al riguardo considerare che la prospettazione dell’immeritevolezza è, in via di principio, infondata con riferimento alle clausole c.d.

pure, che, non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano del tutto la rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito, mentre l’esito dello scrutinio sembra assai più problematico con riferimento alle clausole c.d. impure, a partire da quella, particolarmente penalizzante, che limita la copertura alla sola ipotesi che, durante il tempo dell’assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento. Quanto poi alle clausole che estendono la garanzia al rischio pregresso, l’apprezzamento non potrà non farsi carico del rilievo che, in casi siffatti, il sinallagma contrattuale, che nell’ultimo periodo di vita del rapporto è destinato a funzionare in maniera assai ridotta, quanto alla copertura delle condotte realizzate nel relativo arco temporale, continuerà nondimeno a operare con riferimento alle richieste risarcitorie avanzate a fronte di comportamenti dell’assicurato antecedenti alla stipula, di talchè l’eventualità, paventata nell’arresto n. 3622 del 2014, di una mancanza di corrispettività tra pagamento del premio e diritto all’indennizzo, non è poi così scontata. Peraltro è evidente che della copertura del rischio pregresso nulla potrà farsene l’esordiente, il quale non ha alcun interesse ad assicurare inesistenti sue condotte precedenti alla stipula, di talchè anche tale circostanza entrerà, se del caso, nella griglia valutativa della meritevolezza.

  1. Non è poi superfluo aggiungere che, laddove risulti applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, l’indagine dovrà necessariamente confrontarsi con la possibilità di intercettare, a carico del consumatore, quel “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” presidiato dalla nullità di protezione, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 36. E ancorchè la pacifica limitazione della tutela offerta dalla menzionata fonte alle sole persone fisiche che concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata – dovendosi per contro considerare professionista il soggetto che stipuli il contratto nell’esercizio di una siffatta attività o per uno scopo a questa connesso (cfr. Cass. civ. Cass. civ. 12 marzo 2014, n. 5705; Cass. civ. 23 settembre 2013, n. 21763) – escluda la possibilità che essa risulti applicabile ai contratti di assicurazione della responsabilità professionale e marchi comunque di assoluta residualità l’ipotesi di una sua rilevanza in parte qua, va nondimeno sottolineata la maggiore incisività del relativo scrutinio.

Questo, in quanto volto ad assicurare protezione al contraente debole, non potrà invero che attestarsi su una soglia di incisione dell’elemento causale più bassa rispetto a quella necessaria per il positivo riscontro dell’immeritevolezza, affidato ai principi generali dell’ordinamento.

  1. Va poi da sè che l’esegesi, ove non approdi a risultati appaganti sulla base di dati propri della clausola, che risultino in sè di fulminante evidenza in un senso o nell’altro, non può prescindere dalla considerazione, da un lato, dell’esistenza di un contesto caratterizzato dalla spiccata asimmetria delle parti e nel quale il contraente non predisponente, ancorchè in tesi qualificabile come “professionista”, è, in realtà, il più delle volte sguarnito di esaustive informazioni in ordine ai complessi meccanismi giuridici che governano il sistema della responsabilità civile; dall’altro, di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresi altri profili della disciplina pattizia, quali, ad esempio, l’entità del premio pagato dall’assicurato, così in definitiva risolvendosi in un giudizio di stretto merito che, se adeguatamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità.
  2. Quanto poi agli effetti della valutazione di immeritevolezza, essi, in via di principio – esorbitando dall’area della mera scorrettezza comportamentale presidiata, per quanto innanzi detto (al n. 7.2), dalla sola tutela risarcitoria – non possono non avere carattere reale, con l’applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, e cioè della formula loss occurence. E tanto sull’abbrivio degli spunti esegetici offerti dall’art. 1419 c.c., comma 2, nonchè del principio, ormai assurto a diritto vivente, secondo cui il precetto dettato dall’art. 2 Cost., “che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa” (Corte cost.
  3. 77 del 2014 e n. 248 del 2013), consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (cfr. Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106; Cass. sez. un. 13 settembre 2005, n. 18128).
  4. Prima di chiudere, verificando la ricaduta degli esposti criteri sulla fattispecie dedotta in giudizio, non possono queste sezioni unite ignorare la delicata questione della compatibilità della clausola claims made con l’introduzione, in taluni settori, dell’obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa all’esercizio della propria attività. Mette conto in proposito ricordare: a) che il D.L. n. 138 del 2011, art. 3, comma 5, convertito con legge n. 148 dello stesso anno, nell’elencare i principi ai quali devono ispirarsi le riforme degli ordinamenti professionali da approvarsi nel termine di un anno dall’entrata in vigore del decreto, ha previsto alla lett. e), l’obbligo per tutti di stipulare “idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale”, nonchè di rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata e il relativo massimale; b) che il successivo D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, nel ribadire siffatto obbligo – la cui violazione costituisce peraltro illecito disciplinare – e nel precisare che la stipula dei contratti possa avvenire “anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”, ha prorogato di un anno dall’entrata in vigore della norma, e dunque fino al 15 agosto 2013, l’obbligo di assicurazione; c) che con specifico riferimento agli esercenti le professioni sanitarie il D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con la L. 8 novembre 2012, n. 189, ha poi demandato a un decreto del Presidente della Repubblica la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi e uniformi per l’idoneità dei relativi contratti, mentre il D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. decreto fare), convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, ha allungato al 13 agosto 2014 l’obbligo degli stessi di munirsi di assicurazione di responsabilità civile.
  5. Ciò posto, e rilevato che è stata da più parti segnalata l’incongruenza della previsione di un obbligo per il professionista di assicurarsi, non accompagnata da un corrispondente obbligo a contrarre in capo alle società assicuratrici, quel che in questa sede rileva è che il giudizio di idoneità della polizza difficilmente potrà avere esito positivo in presenza di una clausola claims made, la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura. E’ peraltro di palmare evidenza che qui non sono più in gioco soltanto i rapporti tra società e assicurato, ma anche e soprattutto quelli tra professionista e terzo, essendo stato quel dovere previsto nel preminente interesse del danneggiato, esposto al pericolo che gli effetti della colpevole e dannosa attività della controparte restino, per incapienza del patrimonio della stessa, definitivamente a suo carico. E di tanto dovrà necessariamente tenersi conto al momento della stipula delle “convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”, nonchè in sede di redazione del decreto presidenziale chiamato a stabilire, per gli esercenti le professioni sanitarie, le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l’idoneità dei relativi contratti.
  6. Tornando al caso dedotto in giudizio, si tratta a questo punto di verificare, alla stregua degli stimoli critici contenuti in ricorso e alla luce dei criteri innanzi esposti in ordine al controllo, immanente nella funzione giudiziaria, della compatibilità del regolamento di interessi in concreto realizzato dalle parti con i principi generali dell’ordinamento (cfr. Cass. civ. sez. un. nn. 26242 e 26243 del 2014; Cass. civ. 19 giugno 2009, n. 14343), la meritevolezza della clausola claims made inserita nella polizza n. 118921 stipulata dalla Provincia Religiosa con Cattolica Assicurazioni s.p.a..

A giudizio della Corte dirimente appare sul punto il rilievo che la Curia capitolina ha segnatamente valorizzato, ancorchè al fine di escludere la vessatorietà della clausola, la condizione di favore per l’assicurato rappresentata dall’allargamento della garanzia ai fatti dannosi verificatisi prima della conclusione del contratto. Il che dimostra, in maniera inequivocabile, che il giudice di merito ha condotto lo scrutinio anche e soprattutto in chiave di meritevolezza della disciplina pattizia che era chiamato ad applicare.

Il positivo apprezzamento della sua sussistenza, nella assoluta assenza di deduzioni volte ad evidenziarne l’irragionevolezza e l’arbitrarietà, è, per quanto innanzi detto, incensurabile in sede di legittimità.

  1. Tirando le fila del discorso vanno enunciati i seguenti principi di diritto: nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola clams made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.

Il ricorso deve in definitiva essere rigettato.

La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2016