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IL DOLO DIRETTO NEL DELITTO DI CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

IL DOLO DIRETTO NEL DELITTO DI CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO

La seconda sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 18132/16 depositata il 2/05/2016, si è pronunciata in merito alla tematica del concorso esterno in associazione mafiosa.

Preliminarmente va osservato che la configurabilità dell’istituto è ancora oggi molto controversa, nonostante una nota sentenza delle S.U. (5.10.94, Demitry) ha riconosciuto alla fattispecie criminosa un autonomo spazio di rilevanza configurabile in una condotta contributiva, anche mediante un solo intervento dell’agente estraneo al sodalizio, finalizzata a mantenere in vita l’associazione delittuosa.

Nella pronuncia in commento la Corte, esprimendosi in merito alla natura dell’elemento soggettivo costitutivo della fattispecie criminosa, enuncia i principi di diritto, in punto di dolo, che nella fattispecie devono applicarsi.

Innanzitutto precisa che la natura del concorso esterno in associazione mafiosa esclude che per essa possa configurarsi sia il dolo eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell’evento, che il dolo intenzionale, dove l’evento del reato è oggetto di rappresentazione e volizione come conseguenza diretta ed immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito.

Il dolo, nel caso di specie, necessariamente deve essere dolo diretto che si ha quando “la volontà non si dirige verso l’evento tipico e, tuttavia, l’agente si rappresenta come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta un risultato che però non persegue intenzionalmente. Esso si configura tutte le volte in cui l’agente si rappresenta con certezza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e si rende conto che la sua condotta sicuramente la integrerà”. (S.U.38343/2014)

Il dolo diretto, infine, deve avere per oggetto “sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio” (S.U.33748/2005).

Alla luce di tali principi, la Corte, sottolinea come l’elemento psicologico del reato ex art. 110, 416 bis c.p. è accertato ogni qualvolta l’agente, “seppur sprovvisto dell’affectio societatis, e cioè della volontà di far parte dell’associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa, rendendosi conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno nella conservazione e rafforzamento della struttura organizzativa, all’interno della quale i membri effettivi devono poter contare sull’apporto vantaggioso del concorrente esterno.”

Pertanto, nell’accogliere il ricorso presentato dal P.M., rilevata la sussistenza del dolo diretto dell’agente nell’apporre un consapevole contributo alla struttura organizzativa di tipo mafioso, la Corte indica i criteri da seguire in sede di rinvio nella valutazione degli indizi sulla sussistenza del dolo diretto nel delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso.

Il giudice deve tener conto delle massime d’esperienza desumibili sia dai rapporti che in concreto l’imputato abbia intrattenuto con i membri del sodalizio criminoso e dalla conoscenza che egli aveva del ruolo che i suddetti membri ricoprivano nell’associazione, che dalla natura della sua attività, ove, in concreto, abbia favorito i singoli membri o la cosca.

 

 

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2016) 02-05-2016, n. 18132

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamill – Consigliere –

Dott. RAGO Geppi – rel. Consigliere –

Dott. VERGA Giovanna – Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CATANZARO;

contro l’ordinanza del 15/10/2015 del Tribunale del Riesame di Catanzaro;

pronunciata nei confronti di:

T.M., nato il (OMISSIS);

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RAGO G.;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDIA Delia, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;

uditi i difensori, avv.ti CALABRESE Sergio e STAIANO Salvatore, che hanno concluso chiedendo il rigetto/inammissibilità del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

  1. Con ordinanza del 15/10/2015, il Tribunale del Riesame di Catanzaro rigettava l’appello proposto dal Pubblico Ministero contro l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di T.M. indagato per i reati di cui agli artt. 110 – 416 bis c.p. e D.P.R. n. 570 del 1962, art. 86 aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7.
  2. Contro la suddetta ordinanza, il P.M. ha proposto ricorso per cassazione deducendo l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione.

Il ricorrente, in punto di fatto, ha premesso che il tribunale aveva ritenuto sussistente l’elemento materiale del reato di cui all’art. 416 bis c.p.; tuttavia, poi, aveva sostenuto che non era stato provato l’elemento psicologico di agevolare la cosca mafiosa in quanto gli atti compiuti dal T. erano diretti ad agevolare non la cosca mafiosa ma gli interessi privati di alcuni singoli esponenti di essa.

Ad avviso del ricorrente, la conclusione alla quale il tribunale era pervenuto era, innanzitutto, contraddittoria perchè si poneva in insanabile contrasto con quanto da esso stesso scritto in relazione al capo sub 30 dell’imputazione e cioè che “E’ da ravvisare, quindi, la sussistenza dei gravi indizi di responsabilità a carico di T.M. riguardo al delitto di cui all’art. 30) della rubrica. Il reato deve ritenersi aggravato dalla circostanza di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sotto forma di agevolazione della consorteria mafiosa del G.A., giacchè il patto elettorale ha comportato, a seguito e per effetto della elezione di T.M. al Consiglio Regionale, un rafforzamento del prestigio esterno della consorteria, che poteva vantare e, all’occorrenza, sfruttare e avvalersi per il raggiungimento delle sue finalità, la presenza di un soggetto inserito negli organi istituzionali della regione Calabria”.

Il ricorrente, poi, ha sostenuto che “una volta ritenuta pacifica la circostanza secondo cui G.A. fosse un elemento apicale dell’organizzazione di ‘ndrangheta in questione, anche il solo fine di favorire il capo di una cosca non può non integrare la volontà e quindi il fine di favorire l’intera organizzazione”, tanto più che, all’interno della stessa organizzazione, come si desumeva da alcune intercettazioni era ben noto che il T. fosse un soggetto a disposizione della cosca.

 

Motivi della decisione

 

  1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.
  2. I CAPI D’INCOLPAZIONE. In punto di fatto, è opportuno riportare i capi d’incolpazione in quanto in essi sono i riportati i fatti che sono stati ritenuti pacificamente commessi dal T..

All’indagato, sono stati contestati i seguenti reati:

capo sub 29): “i delitti p. e p. dagli artt. 110 e 416 bis c.p., per aver – nella sua veste di Assessore Regionale all’Agricoltura e Forestazione presso la (OMISSIS) – mettendosi a disposizione della cosca e ponendo in essere una serie di condotte materiali e procedimentali amministrative a favore dell’associazione di cui al capo 1) e in particolare a favore dell’articolazione imprenditoriale della cosca medesima e segnatamente dell’imprenditore di riferimento della cosca – G.S. – e della società da quest’ultimo amministrata denominata “LA FUNGAIA”, oltre che a favore dell’esponente apicale della cosca G.A., concorso nell’associazione di ‘ndrangheta di cui al capo richiamato, e in particolare con le seguenti condotte materiali:

  1. Il T. disponeva l’inserimento e la destinazione di G.A. all’interno del Dipartimento Agricoltura e Forestazione della (OMISSIS), con sede a Cosenza (nonchè della stessa Gu.Ro., consorte di G.A., all’interno della segreteria di D.A., capogruppo UDC in Consiglio Regionale) (par. B1);
  2. Il T. indebitamente esercitava pressioni nei confronti di B.F., responsabile amministrativo del Dipartimento Regionale sopra indicato, affinchè non attivasse la procedura di estromissione di G.A. dai compiti e dal ruolo di cui al punto n. 1) che precede, nonostante l’assenza pressochè assoluta di prestazioni lavorative a favore della (OMISSIS) (par.

B1);

  1. Il T. si attivava per far conseguire all’impresa boschiva “LA FUNGAIA”, tramite tecnici e funzionari del settore, e segnatamente tramite Ta.Fr., A.I. e M.A.M., quest’ultimi funzionari e tecnici (OMISSIS), autorizzazioni per lo sfruttamento di aree boschive ricadenti nella sfera di competenza del predetto Ente Regionale ed ubicate nei comuni di (OMISSIS) e (OMISSIS), anche facendosi da tramite per conto di G.A. e di soggetti (persone fisiche e giuridiche) con lui contigui nei confronti dei funzionari e dirigenti regionali sopra indicati, sollecitandoli ad adottare provvedimenti o azioni a favore di G. e dei soggetti a lui vicini (par. B2);
  2. Il T. si attivava, facendosi da tramite per conto di G.A. e soggetti (persone fisiche e giuridiche) con lui contigui, nei confronti di Go.Ar., responsabile del Dipartimento Regionale Agricoltura e Forestazione – area settentrionale, al fine di ricevere le adeguate delucidazioni in relazione all’illecito contestato all’impresa boschiva “LA FUNGAIA” per un taglio indiscriminato nell’area boschiva di località “(OMISSIS)” di (OMISSIS), in modo tale da adottare le necessarie strategie atte a preservare la posizione amministrativa della citata impresa boschiva. (par. B3);
  3. Il T. si attivava, tramite O.G. – dirigente regionale del Dipartimento Agricoltura e Forestazione della (OMISSIS) e presidente della Commissione per la formazione dell’albo Regionale Imprese boschive – affinchè non venisse irrogata la sanzione amministrativa di competenza regionale della sospensione per un anno dall’albo Regionale Imprese boschive, a favore dell’impresa boschiva “LA FUNGAIA”, a seguito ad un illecito consistito nel taglio indiscriminato dell’area boschiva di “(OMISSIS)” da parte della impresa medesima (par. B3).fv;
  4. Il T. si attivava, su sollecitazione diretta di G.S., titolare di fatto dell’impresa boschiva “LA FUNGAIA”, a seguito di un primo incontro con quest’ultimo, promuovendo e partecipando ad un incontro tra i rappresentanti della predetta impresa boschiva e dirigenti e funzionari della Regione Calabria, tra cui il già citato Go.Ar., al fine di valutare la concessione di un’autorizzazione regionale per lo sfruttamento di area boschiva ubicata nel comune di (OMISSIS), in seguito ad una richiesta presentata in tal senso dalla “FUNGAIA” e rigettata dal Dipartimento Regionale Agricoltura e Forestazione della (OMISSIS) (par. B3); Fatti commessi nella Provincia di (OMISSIS) tra l’anno (OMISSIS)”;

capo 30): G.A., T.M. “del reato p. e p. dal D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 86 e L. n. 203 del 1991, art. 7 per avere T.M., in qualità di candidato a Consigliere Regionale alle elezioni amministrative dell’anno 2010 al Consiglio Regionale della Calabria, promesso e successivamente realizzato, una volta eletto, condotte a favore dell’associazione di cui al capo 1) (tra la quali quelle di cui al capo d’imputazione n. 29 che precede) e in particolare a favore dell’articolazione imprenditoriale della cosca medesima e segnatamente dell’imprenditore di riferimento della cosca – G.S. – e della società da quest’ultimo amministrata denominata “LA FUNGAIA”, oltre che a favore dell’esponente apicale della cosca G. A., quale corrispettivo dell’impegno elettorale profuso dall’esponente apicale della cosca, G.A. oltre che dall’altro sodale C.A.. Con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in quanto G.A. si procacciava i voti a favore del T.M., al fine di favorire e agevolare le articolazioni imprenditoriali della cosca nei termini sopra descritti. Fatti commessi in (OMISSIS) e provincia nell’ (OMISSIS)”.

  1. LA MOTIVAZIONE DEL TRIBUNALE. 3.1. Il Tribunale ha ritenuto l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sotto il profilo dell’elemento psicologico, a carico dell’indagato, in ordine all’art. 416 bis c.p., adducendo la seguente motivazione: “gli interventi richiesti e ottenuti da T. M. si sono rivelati funzionali a interessi personali ed egoistici dei singoli beneficiari e non si sono posti, con la consapevolezza e la volontà di interagire, sinergicamente, con le condotte degli associati, in funzione del potenziamento, consolidamento mantenimento in vita del sodalizio mafioso.

L’accertata (e ammessa) conoscenza della caratura criminale di P. G., come pure i rapporti di frequentazione di quest’ultimo con G.A. (conversazione del 21 settembre 2012 RIT n. (OMISSIS), progr. (OMISSIS); conversazione 12 ottobre 2012, RIT n. (OMISSIS), progr. n. (OMISSIS); conversazione del 9 ottobre 2019, RIT n. (OMISSIS), progr. n. (OMISSIS)) non si sono concretizzate in condotte di T.M. funzionali, con la consapevolezza dell’efficacia causale della propria attività di sostegno, al potenziamento, consolidamento o mantenimento in vita del sodalizio mafioso. In altre parole, non è rinvenibile la dimostrazione che il T. avesse la consapevolezza che la condotta tenuta successivamente alla elezione al Consiglio regionale e alla nomina di Assessore all’Agricoltura, che ha visto come beneficiario il G.A. e la società “La Fungaia” allo stesso riconducibile, potesse apportare un contributo, e abbia di fatto effettivamente inciso, sulla capacità operativa dell’organizzazione criminale” (pag. 7-8 ordinanza impugnata).

Quindi, in sintesi, il Tribunale, pur riconoscendo che l’indagato aveva commesso condotte oggettivamente riconducibili nel paradigma dell’elemento materiale del reato di cui al combinato disposto degli artt. 110-416 bis c.p., ha ritenuto l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sotto il profilo della mancanza di prova del dolo del suddetto reato, perchè “gli interventi richiesti e ottenuti da T.M. si sono rivelati funzionali a interessi personali ed egoistici dei singoli beneficiari e non si sono posti, con la consapevolezza e la volontà di interagire, sinergicamente, con le condotte degli associati, in funzione del potenziamento, consolidamento mantenimento in vita del sodalizio mafioso”.

3.2. In ordine al capo sub 30), il Tribunale ha, scritto:

“relativamente al reato di cui al capo 30), illecito patto elettorale di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 86, ritiene il collegio che le considerazioni innanzi esposte, quanto all’appoggio elettorale ricevuto da T.M. per l’elezione al Consiglio regionale nel 2010 da parte di G.A., come pure da altri esponenti la consorteria mafiosa operante in (OMISSIS) e zone limitrofe, conducono, conformate a quanto affermato dal primo giudice, a ravvisare l’integrazione della fattispecie criminosa in esame. Vengono in rilievo, anzitutto, le dichiarazioni rese da T.M. e G.A., circa l’apporto elettorale prestato da quest’ultimo in favore del primo, come pure il contenuto della conversazione intercorsa tra il C. e il D., ove si fa espresso riferimento all’appoggio elettorale in favore del T., appoggio connesso al rapporto di amicizia dei due conversanti con il G.A.. Il contributo elettorale fornito da G.A. a sostegno della candidatura al Consiglio regionale di T.M. non potrebbe essere semplicisticamente ricondotto alla militanza di entrambi nel medesimo partito politico, poichè il T., già prima della campagna elettorale, risultava avere piena consapevolezza, o comunque ne aveva conoscenza, dei rapporti tra il G. e P.G., e, quindi, della gravitazione dello stesso G. nel contesto della criminalità organizzata di (OMISSIS). E’ da ritenere, quindi, che l’appoggio elettorale di G.A. in favore di T.M. sia conseguente alla stipulazione di uno specifico accordo, che prevedeva, in cambio dell’intervento nell’attività di procacciamento di voti, il conseguimento di favori in caso di esito favorevole della campagna elettorale. L’accordo elettorale non potrebbe ritenersi insussistente argomentando dalla sostanziale coincidenza dei voti conseguiti da T. nelle elezioni ragionali del 2005 e in quelle successive del 2010, poichè occorre avere riguardo ai fattori che ne potevano condizionare l’esito nelle seconde, quali la presenza di candidati dello stesso o di altri partiti sui quali potevano concentrarsi parte dei voti prima confluiti sul candidato T.M., di talchè l’accordo rispondeva alla esigenza di assicurarsi il maggiore sostengo possibile degli elettori. L’accordo, per come precedentemente esposto, non è rimasto solamente sulla carta ma ha ricevuto esecuzione, mediante il conferimento di incarico nella (OMISSIS) a G.A. come pure mediante numerosi interventi di T.M. riguardo ad affidamenti di lavori alla società “La Fungaia” e ad evitare la sospensione della stessa società dall’albo regionale. La derivazione dei benefici ottenuti da G.A. per effetto dell’intervento di T. M. dal patto elettorale intercorso tra gli stessi emerge dal contenuto della conversazione tra G.A. e F. G. in data 19 novembre 2011 (RIT (OMISSIS) progr. N. (OMISSIS)), ove, nella discussione inerente le assunzioni di P. L., C. e D.. G.A. così affermava “non mi rompesse i ciglioni a far lavorare a questi, non è che ci ho preso l’impegno… io ho preso l’impegno di dirlo a M. lo comando io a M. se c’è la possibilità io gliel’ho detto a M. e glielo dico d nuovo lo tengo io il comando… il posto di lavoro così andando come cazzo sia gliela devo trovare… ancora non gliela detto a M. perchè è stato fuori ma gliela devo dire che glielo ha mandato a dire P.P. se la frega lui se gliela vuole trovare gliela trova nel momento che esce…”. Si tratta, quelle riportate, di affermazioni che, per un profilo, si pongono come di supporto alla effettiva instaurazione di un patto elettorale tra il T. e G.A., e, per altro profilo, significative della manifestazione di disponibilità di T. alle pretese del G., anche se riguardanti soggetti diversi. E’ da ravvisare, quindi, la sussistenza dei gravi indizi di responsabilità a carico di T.M. riguardo al delitto di cui all’art. 30) della rubrica. Il reato deve ritenersi aggravato dalla circostanza di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sotto forma di agevolazione della consorteria mafiosa del G. A., giacchè il patto elettorale ha comportato, a seguito e per effetto della elezione di T.M. al Consiglio Regionale, un rafforzamento del prestigio esterno della consorteria, che poteva vantare e, all’occorrenza, sfruttare e avvalersi per il raggiungimento delle sue finalità, la presenza di un soggetto inserito negli organi istituzionali della (OMISSIS)”.

Quindi, il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza relativamente al suddetto reato che la configurabilità della L. n. 203 del 1991, art. 7: la misura cautelare non è stata applicata “per insussistenza del requisito della pena edittale”: cfr pag. 1 dell’ordinanza impugnata in cui il Tribunale precisa che il giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di misure cautelari per il suddetto motivo (in effetti, la pena edittale, compreso l’aumento massimo previsto per la L. n. 203 del 1991, art. 7, resta al di sotto della pena dei cinque anni ex art. 280 c.p.p., comma 2): sul punto, il Pubblico Ministero non ha proposto ricorso.

  1. L’ACCERTAMENTO DEL DOLO. Alla stregua di quanto si è illustrato supra, l’unica questione che pone il presente procedimento consiste nello stabilire se la motivazione addotta dal tribunale, in ordine alla configurabilità dell’art. 416 bis c.p., sia corretta sotto il profilo della logica e/o dell’applicazione della legge.

Prima di entrare nella valutazione vera e propria della motivazione addotta dal tribunale, è opportuno precisare, in via generale, quali siano i principi di diritto, in punto di dolo, che, nella fattispecie, devono applicarsi.

4.1. IL PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO. Il dolo costituisce un fatto interiore del quale non è possibile alcuna constatazione empirica: quindi, tradizionalmente, la prova è desunta attraverso un processo di natura induttiva che si basa sull’analisi e la valutazione di indizi (cd. indicatori del dolo:

modalità della condotta; comportamento dell’agente; la direzione dell’azione) dai quali il giudice inferisce la sussistenza o meno di una determinata realtà psicologica: SSUU 38343/2014 Rv. 261105 (51 ss); Cass. 16465/2011 Rv. 250007; Cass. 4912/1989 Rv. 180979.

Peraltro, al fine di evitare un’eccessiva oggettivizzazione della prova, sia la giurisprudenza che la dottrina ritengono necessario, per determinare se l’agente abbia voluto e previsto l’effetto della propria condotta, ricorrere alle cd. “massime di esperienza” ossia, per usare le parole di un illustre penalista, “illazioni universalmente acquisite”: il che comporta procedere, sulla base delle comuni regole di esperienza, ad un estensione analogica, dell’id quod plerumque accidit, al caso concreto (Cass. 16465/2011 city, sempre che non risultino acquisiti (o allegati) elementi fattuali che smentiscano le suddette massime d’esperienze e in base ai quali si possa ragionevolmente affermare che, in quel determinato caso, la condotta dell’agente, sotto il profilo dell’elemento psicologico, è stata sorretta da diversi ed eccezionali criteri.

Il ricorso alle massime d’esperienza, consente di evitare due pericoli:

quello di valutare gli indizi con un approccio meccanicamente aprioristico e, quindi, di incappare nel cd. dolus in re ipsa di medievale retaggio; quello di evitare decisioni arbitrarie e non controllabili, con un recupero, pertanto, anche sotto questo versante, del principio di legalità. Infatti, ricorrere al dolus in re ipsa, comporta, sotto il profilo motivazionale, affermare la colpevolezza dell’agente in base alla regola del post hoc ergo propter hoc, ossia una delle più grossolane fallacie di ragionamento che consente di dare per dimostrato proprio il quid demonstrandum, ignorando, così, ogni ipotesi alternativamente valida sulla quale il giudice è tenuto a motivare sia in fase cautelare (art. 292 c.p.p., comma 2 ter) che in fase di cognizione ex art. 546 c.p.p., lett. e).

4.2. LA NATURA DEL DOLO DEL REATO DI CUI ALL’ART. 416 BIS C.P..

Descritto (sommariamente) il procedimento di accertamento del dolo in via generale, è opportuno, ora, chiarire la natura del dolo del reato di cui all’art. 416 bis c.p..

La natura del concorso esterno in associazione per delinquere, esclude, innanzitutto, che per esso possa configurarsi il dolo eventuale inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell’evento, ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati intenzionalmente perseguiti: SS.UU. 33748/2005 Rv. 231672.

Ma, non è ammissibile neppure il “dolo intenzionale” che si verifica in quei casi in cui “la rappresentazione del verificarsi del fatto di reato rientra nella serie di scopi in vista dei quali il soggetto si determina alla condotta e l’agente persegue, appunto, intenzionalmente quale scopo finalistico della propria azione od omissione un risultato certo, probabile o solo possibile; quando cioè ha di mira proprio la realizzazione della condotta criminosa (reati di azione) ovvero la causazione dell’evento (reati di evento)” (SS.UU. 38343/2014 cit.): si è, infatti, condivisibilmente osservato, che il suddetto dolo attiene a figure di reato come l’abuso di ufficio ove il legislatore, facendo ricorso all’avverbio “intenzionalmente” ha espresso la necessità che l’evento del reato sia oggetto di rappresentazione e volizione come conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito: Cass. 15727/2012 Rv. 252330 (in motivazione).

Il dolo del concorrente esterno nel delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, è, dunque, il dolo diretto che si ha “quando la volontà non si dirige verso l’evento tipico e tuttavia l’agente si rappresenta come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta un risultato che però non persegue intenzionalmente. Esso si configura tutte le volte in cui l’agente si rappresenta con certezza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e si rende conto che la sua condotta sicuramente la integrerà. Rientra in questa forma di dolo anche il caso in cui l’evento lesivo rappresenta una conseguenza accessoria necessariamente o assai probabilmente connessa alla realizzazione volontaria del fatto principale. Questa figura di dolo è caratterizzata dal ruolo dominante della rappresentazione. In altri termini, il dolo diretto si configura quando l’agente ha compiuto volontariamente una certa azione, rappresentandosene con certezza o con alta probabilità lo sbocco in un fatto di reato, ma la rappresentazione non esercita efficacia determinante sulla volizione della condotta”: SS.UU. 38343/2014 cit.; SS.UU. 22327/2002 Rv.

224181; Cass. 15727/2012 cit. che, proprio in relazione al reato di cui all’art. 416 bis, ha ribadito e precisato che il dolo che caratterizza il suddetto reato è il dolo diretto “nel senso che lo stesso può non aver rappresentato l’obiettivo unico o primario della condotta dell’imputato, ma questi deve averlo previsto, accettato e perseguito come risultato non solo possibile o probabile, bensì certo o comunque altamente probabile della medesima condotta”.

Il dolo diretto, infine, deve avere per oggetto “sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio”: SS.UU. 33748/2005 cit.; Cass. 34979/2012 Rv. 253657 “in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della sussistenza del dolo occorre che l’agente, pur sprovvisto dell'”affectio societatis” e cioè della volontà di fare parte dell’associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa, rendendosi conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, all’interno della quale i membri effettivi devono poter contare sull’apporto vantaggioso del concorrente esterno”.

  1. LE MASSIME D’ESPERIENZA. Innumerevoli processi contro la criminalità organizzata, celebratesi nel corso degli ultimi decenni, nonchè approfonditi studi sociologici, consentono di affermare la sussistenza delle seguenti massime d’esperienza:
  2. a) la criminalità organizzata ha, per fine ultimo, tramite il controllo del territorio su cui opera, l’accaparramento delle principali risorse economiche del medesimo, fine che ottiene distruggendo (con metodi illegali) la concorrenza e monopolizzando, di conseguenza, tutte le attività più redditizie;
  3. b) la criminalità organizzata, al fine di raggiungere il suddetto scopo, tende ad infiltrarsi nei gangli vitali della società e, in particolare, in quelli della pubblica amministrazione tramite il controllo dei pubblici amministratori che fa eleggere e dei quali, poi, ne dispone per i suoi scopi;
  4. c) la criminalità organizzata non regala nulla: di ogni “beneficio” di cui, apparentemente, gratifica il terzo ad essa estraneo, prima o poi, ne chiede il “conto”. La più evidente, usuale e notoria forma di questo “do ut des” è costituita dal voto di scambio: elezione in cambio di futuri favori che, in un modo o nell’altro, servano a consolidare il controllo del territorio;
  5. d) il favore (illegittimo) concesso al singolo sodale costituisce un favore fatto alla cosca alla quale questi appartiene, perchè serve ad implementarne (direttamente o indirettamente) la potenza economica, il “prestigio” nei confronti della collettività in cui opera e, quindi, in ultima analisi, il controllo, in senso lato, del territorio, con conseguente perdita di fiducia dei cittadini nei confronti dell’autorità statale: di conseguenza, il favore fatto al singolo sodale può essere considerato tale, solo ed esclusivamente se è di natura strettamente personale e cioè non abbia nulla a che vedere con gli interessi della cosca.
  6. I FATTI ADDEBITATI ALL’INDAGATO. Dalla stessa ordinanza impugnata risulta che:

non vi è alcun rapporto di parentela o stretta amicizia fra il T. e G.A., G.S. e P. G. (ossia personaggi tutti indagati per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.);

i rapporti fra il T. ed il G.A. (ritenuto facente parte della cosca ” R.- L.” con posizione apicale) iniziano con il pactum sceleris fra i medesimi stipulato in occasione delle elezioni regionali del (OMISSIS): voti in cambio dell’elezione, così come contestato nel capo d’incolpazione sub 30 (supra p. 1), patto che, come scrive lo stesso Tribunale (pag. 9 ordinanza impugnata) “non è rimasto solamente sulla carta ma ha ricevuto esecuzione, mediante il conferimento di incarico nella (OMISSIS) a G.A. come pure mediante numerosi interventi di T.M. riguardo ad affidamenti di lavori alla società “La Fungaia” e ad evitare la sospensione della stessa società dall’albo regionale”;

il T. sapeva perfettamente con chi aveva a che fare e cioè conosceva la caratura criminale del P. e i “rapporti di frequentazione di quest’ultimo con G.A.” (pag. 7 dell’ordinanza impugnata): a pag. 6 dell’ordinanza, è riportata un’intercettazione in cui il T., parlando del P., afferma: “comunque, ora è un mammasantissima Ora comanda… tutta la gerarchia mafiosa degli ultimi anni…. Il capo del mandamento….

Vedrai come si comporterà… comincerà a chiedere i soldi in giro… può darsi che lo fanno….”;

– il T., era considerato, dai vari personaggi della cosca, come un “uomo a disposizione” al quale ci si poteva rivolgere tranquillamente per ottenere favori illeciti: cfr. l’assunzione di Bo. e D’., a seguito delle pressioni del G. (pag. 7 ordinanza); cfr. il colloquio intercettato fra P.G. e Be.Lu., nel corso del quale, il primo invitava il secondo ad andare a parlare con il T. per ottenere un posto di lavoro per il figlio (pag. 5 ss dell’ordinanza);

cfr. le conversazioni intercettate riportate dal Pubblico Ministero nel ricorso (pag. 13) in cui il G.A., colloquiando con alcuni suoi sodali, riferendosi al T., così si esprimeva:

“non ci rompesse i coglioni per far lavorare questi (….) io gliel’ho detto a M. ( T.) e glielo dico di nuovo (….) lo tengo io il comando”; cfr anche il colloquio intercettato fra C. e D. (indagati ex art. 416 bis c.p.) riportato a pag. 6 dell’ordinanza, che dà l’esatta misura, anche per il modo in cui parlavano del T., della considerazione (infima) che di lui avevano;

– il T., appena eletto Consigliere regionale e nominato Assessore all’Agricoltura e Forestazione della (OMISSIS), inserì, prima, G.A. e la moglie di costui all’interno del suddetto Dipartimento (cfr. capo sub 29 nn. 1, 2), poi, si adoperò, sistematicamente, per favorire la società “La Fungaia” che faceva capo, di fatto, al G.A. (cfr capo sub 29, n. 3, 4, 5, 6).

  1. I VIZI DI LEGITTIMITA’ DELL’ORDINANZA. Alla stregua dei principi di diritto enunciati (supra pp. 4-5) e dei fatti così come ricostruiti dallo stesso tribunale (supra p. 6), la motivazione addotta (supra p. 3) deve ritenersi affetta dai seguenti vizi:
  2. a) il Tribunale, ha omesso una valutazione unitaria e complessiva di tutta la vicenda, che va vista e valutata nel suo complesso, dalla stipula del pactum sceleris fino al compimento di tutti gli atti compiuti dal T. dopo l’elezione. E’ gravemente erronea e contraria al consolidato orientamento di questa Corte, procedere al frazionamento della prova, come ha fatto il tribunale che si è limitato a prendere in esame i singoli indizi e, uno per uno, ora per un motivo, ora per un altro, li ha ritenuti espressione di fatti episodici rientranti in favori personali o spreco di denaro pubblico;
  3. b) la motivazione è affetta da una gravissima contraddizione nella parte in cui, da una parte, afferma, categoricamente, che fra il T. ed il G. era stato stipulato un patto elettorale, “aggravato dalla circostanza di cui alla n. 203 del 1991, art. 7, sotto forma di agevolazione della consorteria mafiosa del G.A., giacchè il patto elettorale ha comportato, a seguito e per effetto della elezione di T.M. al Consiglio Regionale, un rafforzamento del. prestigio esterno della consorteria, che poteva vantare e, all’occorrenza, sfruttare e avvalersi per il raggiungimento delle sue finalità, la presenza di un soggetto inserito negli organi istituzionali della Regione Calabria”, e, dall’altra, afferma che quei favori erano stati concessi a “titolo personale”: secondo uno dei fondamentali principi della logica (quello di non contraddizione), non può essere che una cosa (A) sia (A) e non sia una certa cosa (non A) allo stesso tempo e nella medesima circostanza.

E’ vero, come ha sostenuto la difesa nel corso dell’odierna discussione, che la motivazione suddetta si riferisce all’art. 7 contestato in relazione al D.P.R. n. 570 del 1962, art. 86 e che la suddetta aggravante non implica che l’agente faccia parte dell’associazione criminale.

Tuttavia, la difesa non considera la concreta situazione processuale che vede il T. indagato anche per l’art. 416 bis c.p.: il che implica che la suddetta motivazione non può non refluire, quanto meno sotto il profilo di elemento indiziario dell’elemento psicologico, anche sulla configurabilità dell’art. 416 bis c.p. tanto più ove si tenga presente che, nel caso di specie, è lo stesso tribunale che non dubita che l’indagato si sia reso responsabile di fatti rientranti nella struttura materiale del reato associativo: sul punto si richiama Cass. 53675/2014 riv 261620 secondo la quale “In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trova in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo della associazione criminale, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi; ne consegue che è da considerare “intraneus” – e non semplice “concorrente esterno” – il soggetto che, consapevolmente, accetti i voti dell’associazione mafiosa e che, una volta eletto a cariche pubbliche, diventi il punto di riferimento della cosca mettendosi a disposizione, in modo stabile e continuativo, di tutti gli affiliati della consorteria, alla quale rende conto del proprio operato”;

  1. c) il Tribunale, quando afferma che i favori fatti al G., erano di natura personale, non si è misurato con la massima d’esperienza indicata supra p. 5 d), tanto più ove si consideri che, almeno stando alla stessa motivazione, nessun elemento fattuale, sembra metterla in discussione. In particolare, il Tribunale, quando afferma che non vi sarebbe la prova “della consapevolezza di T.M. della inerenza dell’impresa “La Fungaia” all’attività della consorteria, e non già del titolare formale ovvero, comunque, dei soggetti suoi interlocutori ( G. A. e G.S.)” (pag. 7, punto sub d) non considera: 1) che il T. era perfettamente a conoscenza della caratura criminale del G.A.; 2) costui, dal posto che gli era stato conferito, effettuava pressioni continue e di ogni genere a favore della suddetta società (sul punto, quindi, il Tribunale avrebbe dovuto misurarsi con la massima d’esperienza indicata supra p. 4 c); 3) una banale massima d’esperienza, indica che solo chi abbia un forte interesse ad ottenere un determinato risultato, si spende, in modo anche illecito, pur di conseguirlo;
  2. d) il Tribunale, quando afferma (pag. 5) che l’appoggio elettorale che il G. gli offrì, non poteva essere posto “in correlazione con la finalità di apportare vantaggi, economici e/o di prestigio, alla consorteria di appartenenza del G.A. (…) poichè T.M. aveva un suo bacino elettorale, frutto verosimilmente anche dell’azione politica del genitore T.G., conseguendo risultati sostanzialmente omogenei nel 2005 e nel 2010” cade, innanzitutto, nella contraddizione già rilevata al precedente punto b), e, in secondo luogo, adduce un argomento che prova troppo perchè, per giungere a quella conclusione, il tribunale avrebbe dovuto prima spiegare – se davvero l’apporto elettorale del G. fosse stato ritenuto sostanzialmente irrilevante – perchè fu accettato e perchè, appena eletto, il T. ottemperò al pactum sceleris diventando una mera pedina del G. che, impunemente, poteva permettersi il lusso di affermare “lo tengo io il comando”;
  3. e) il Tribunale, quando afferma che le richieste da parte del clan mafioso di ottenere posti di lavori, evocano “un’esigenza spiccatamente personale ed egoistica del P., come tale estranea alla finalità della consorteria mafiosa” (pag. 5,6, sub lett. b, c) non spiega, da una parte, quale altro normale cittadino possa permettersi il lusso, senza alcun filtro, di ottenere un colloquio con un Assessore ad una Regione, e “pretendere” “posti di lavori” al di fuori e contro ogni regola e, dall’altra, non considera la massima d’esperienza indicata supra p. 5 c).
  4. I PRINCIPI DI DIRITTO DA APPLICARSI IN SEDE DI RINVIO. Per le ragioni supra illustrate, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata. In sede di rinvio, il tribunale, nel rivalutare gli indizi (colmando le lacune motivazionali ed eliminando la contraddittorietà evidenziata) si atterrà ai principi di diritto di seguito indicati.

8.1. METODO DI VALUTAZIONE. Il procedimento logico di valutazione degli indizi deve articolarsi in due distinti momenti.

Il primo dev’essere diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza.

Il secondo momento del giudizio indiziario dev’essere costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che “nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, talchè il limite della valenza di ognuno risulta superato sicchè l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, e l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto… che – giova ricordare – non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice” (Cass., Sez. Un. 4 febbraio 1992, n. 6682, rv. 191231).

Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12 luglio 2005, n. 33748, rv. 231678).

8.2. L’ACCERTAMENTO DEL DOLO. “Ai fini della sussistenza del dolo diretto del delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso occorre che l’agente, pur sprovvisto dell’affectio societatis” e cioè della volontà di fare parte dell’associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa, rendendosi conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, all’interno della quale i membri effettivi devono poter contare sull’apporto vantaggioso del concorrente esterno. A tal fine è sufficiente che l’agente abbia previsto, accettato e perseguito il suddetto risultato non solo come possibile o probabile, bensì certo o comunque altamente probabile della propria condotta.

Nella valutazione degli indizi sulla sussistenza del dolo, si deve tener conto anche delle massime d’esperienza desumibili, ad es.: a) dai rapporti che, in concreto, l’indagato abbia intrattenuto con i membri del sodalizio criminoso a fini elettorali; b) dalla conoscenza che egli aveva del ruolo che i suddetti membri ricoprivano nell’ambito della cosca; c) dalla natura (sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo) della sua attività ove, in concreto, abbia favorito i singoli sodali o la cosca”.

  1. LE ESIGENZE CAUTELARI. Va, infine, osservato che, a pag. 10 dell’ordinanza impugnata, il Tribunale prende in esame le esigenze cautelari e ne afferma l’insussistenza “in relazione a tutte le ipotesi prefigurate dall’art. 274 c.p.p.“: si tratta di una motivazione del tutto superflua della quale non se ne comprende la ragione, posto che un tale accertamento è dovuto solo se sia accertata la sussistenza dei gravi indizi: la qual cosa, relativamente all’unico reato, l’art. 416 bis c.p., per il quale avrebbe potuto essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere, è stata esclusa dallo stesso Tribunale.

Pertanto, il Tribunale, ove, all’esito del nuovo esame, dovesse ritenere la sussistenza dei gravi indizi anche in relazione all’elemento psicologico del reato, dovrà nuovamente motivare sulle esigenze cautelari, tenendo presente sia il disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, sia il principio di diritto enunciato reiteratamente da questa Corte secondo il quale “in tema di misure cautelati nei confronti di soggetti indagati di partecipazione ad associazione mafiosa, in assenza di elementi da cui risulti l’avvenuto recesso volontario dal sodalizio, la valutazione prognostica sfavorevole prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, non è vinta dal fatto che l’incolpato abbia dismesso l’ufficio o la funzione nell’esercizio dei quali ha realizzato la condotta criminosa, in considerazione delle accertate capacità relazionali che egli, ricoprendo le precedenti cariche (nella fattispecie prima di consigliere provinciale e poi di sindaco), aveva intrecciato nel mondo della politica e dell’amministrazione pubblica”: Cass. 53675/2014 Rv. 261621; Cass. 38119/2015 Rv. 264727.

  1. LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE. Nel corso della discussione, la difesa ha, infine, sollevato la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 110 – 416 bis c.p. (concorso esterno), sia perchè la pena non sarebbe prevista dalla legge, sia perchè, comunque, al concorrente esterno – nonostante il diverso e minore apporto alla consorteria criminale – è applicata la stessa pena prevista per i concorrenti interni.

Sul punto va osservato che questa Corte ha già dichiarato:

“manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 110 e 416-bis c.p., sollevata per asserito contrasto con l’art. 25 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 7 della Convenzione EDU, per violazione del principio di legalità, nella parte in cui le due disposizioni di legge ordinarie attribuiscono rilevanza penale alla fattispecie di “concorso esterno” in associazioni di tipo mafioso, poichè quest’ultima non costituisce un istituto di creazione giurisprudenziale, bensì conseguenza della generale funzione incriminatrice dell’art. 110 c.p., e la sua configurabilità trova una conferma testuale nella disposizione di cui all’art. 418 c.p., comma 1″: Cass. 34147/2015 Rv. 264624.

Pertanto – posto che il concorso esterno deriva dalla generale funzione incriminatrice dell’art. 110 c.p. – è del tutto consequenziale ritenere che la pena non è affatto indeterminata (come sostiene la difesa), essendo quella prevista dall’art. 416 bis c.p., salva, ovviamente, l’applicazione delle norme generali (ad es.

artt. 62 bis – 132-133 c.p.) che consentono al giudice di comminare una pena adeguata alla concreta condotta tenuta dall’agente.

In conclusione, deve ritenersi “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 110 e 416 bis c.p., sollevata per asserito contrasto con l’art. 25 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 7 della Convenzione EDU, per violazione del principio di legalità, nella parte in cui le due disposizioni di legge ordinarie attribuiscono rilevanza penale alla fattispecie di “concorso esterno” in associazioni di tipo mafioso, poichè quest’ultima non costituisce un istituto di creazione giurisprudenziale, bensì conseguenza della generale funzione incriminatrice dell’art. 110 c.p., e la sua configurabilità trova una conferma testuale nella disposizione di cui all’art. 418 c.p., comma 1.

Di conseguenza, non è neppure ipotizzabile la violazione del principio di determinatezza e di ragionevolezza della pena, in quanto, per il concorrente esterno, sotto il primo profilo, la pena è quella prevista dall’art. 416 bis c.p., e, sotto il secondo profilo, il giudice, applicando norme generali (attenuanti nonchè artt. 132-133 c.p.), può comminare una pena adeguata al concreto disvalore della condotta tenuta dall’agente”.

 

P.Q.M.

 

ANNULLA l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro (sezione per il riesame delle misure coercitive) per nuovo esame disponendo l’integrale trasmissione degli atti allo stesso Tribunale.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2016