Moglie infedele: prova più dura
La prima sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto dalla donna, alla quale sia in primo grado che in appello era stata addebitata la separazione.
Quest’ultima lamentava che la Corte di Appello avesse omesso la dimostrazione, ai fini dell’addebito della separazione, circa la sussistenza del nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi coniugale.
A giudizio degli ermellini, l’infedeltà seppur determina una diretta violazione di uno dei doveri scaturenti dal matrimonio tale da inficiare l’affectio familiae, non opera quale presunzione assoluta della rottura del rapporto coniugale, in quanto spetta all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale: sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse. In una parola, in una crisi del rapporto matrimoniale già in atto.
Viceversa, laddove, la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza dovesse ricadere su chi abbia subito l’altrui infedeltà, si risolverebbe nella probatio diabolica che in realtà il matrimonio era sempre stato felice fino alla vigilia dell’adulterio (o dell’omissione di assistenza, o dell’interruzione della coabitazione).
Cassazione Civile n. 10823 del 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FORTE Fabrizio – Presidente –
Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22851-2013 proposto da:
B.G., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 29, presso l’avvocato MARINA MILLI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MORGIA, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
T.R., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso l’avvocato ANTONIO VOLTAGGIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISABETTA FRACCALANZA, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1235/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2016 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;
uditi, per il controricorrente, gli Avvocati VOLTAGGIO e FRACCALANZA che si riportano;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 21 giugno 2010 la sig.ra B. G. conveniva dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa il proprio coniuge, sig. T.R., per ottenere la separazione personale, con assegnazione a sè della casa coniugale, affidamento condiviso del figlio minore G., con collocamento prevalente presso di sè, ed un contributo per il mantenimento dei due figli non inferiore ad Euro 1.000,00, oltre al versamento del 50% delle spese straordinarie.
Costituitosi ritualmente, il sig. T. aderiva alla domanda di separazione, ma con addebito alla moglie, assegnazione a sè della casa coniugale, affidamento condiviso del figlio minore ed attribuzione di un contributo per il mantenimento, proprio e dei figli, a carico della B., non inferiore ad Euro 2.000,00, oltre al 50% delle spese straordinarie.
Con sentenza 16 ottobre 2012, il Tribunale di Bassano del Grappa dichiarava la separazione personale con addebito alla moglie, affido condiviso del figlio minore G., con residenza presso la madre ed ampia facoltà di visita del padre, nonchè assegnazione della casa coniugale alla moglie, mantenimento dei figli a suo carico e contributo al mantenimento, a favore del sig. T., di Euro 250,00 mensili.
Il successivo gravame della sig.ra B. era respinto dalla Corte d’Appello di Venezia, con sentenza 18 marzo 2013, che accoglieva, invece, l’appello incidentale del T., maggiorando l’assegno di mantenimento ad Euro 400,00, a carico della B., che condannava alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Motivava:
che doveva ritenersi provata la relazione extraconiugale della sig.ra B. sulla base degli elementi istruttori raccolti, ed in particolare di una relazione investigativa che, benchè successiva alla richiesta di separazione, confermava una situazione pregressa conforme alle deposizioni testimoniali; che l’onere della prova dell’inefficacia causale dell’infedeltà sulla sopravvenuta intollerabilità della convivenza gravava sull’autrice della violazione del relativo dovere coniugale e non era stato, nella specie, assolto;
che la disparità di reddito e patrimonio giustificava la maggiorazione dell’assegno di mantenimento.
Avverso la sentenza, notificata il 24 giugno 2013, la sig.ra B. proponeva ricorso per Cassazione, articolato in due motivi, e notificato il 7 ottobre 2013.
Deduceva:
la violazione dell’art. 143 c.c. e art. 151 c.c., comma 2, circa l’addebito della separazione, senza la prova del nesso di causalità tra infedeltà e crisi coniugale;
la violazione dell’art. 116 c.p.c., nel dare ampio spazio alla relazione investigativa ed alle deduzioni testimoniali.
Resisteva con controricorso il sig. T..
All’udienza del 13 aprile 2016 il Procuratore Generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Il primo motivo è infondato.
La Corte territoriale non ha omesso di prendere in considerazione la possibile rilevanza causale dell’infedeltà coniugale accertata, ma ha solo distribuito tra le parti l’onere della prova principale del fatto integrativo della predetta violazione dei doveri coniugali e della contrapposta prova liberatoria della irrilevanza eziologica dell’infedeltà, in ipotesi verificatasi in costanza di aperta crisi matrimoniale.
Ritiene questo Collegio che tale riparto sia corretto, pur in presenza di precedenti arresti di legittimità non sempre univoci “in parte qua”.
L’infedeltà- così come il diniego di assistenza, o il venir meno della coabitazione- viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi (art. 143 c.c., comma 2): così da infirmare, alla radice, l’affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una relazione ordinaria causale, la separazione. E’ quindi la premessa, secondo l’id quod plerunque accidit, dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi (art. 151 c.c., comma 1).
Non per questo, tuttavia tale regolarità causale assurge a presunzione assoluta.
L’evento dissolutivo può rivelarsi già “prima facie”- e cioè, sulla base della stessa prospettazione della parte- non riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla condotta antidoverosa di un coniuge: come ad esempio, nell’ipotesi di un isolato e remoto episodio d’infedeltà (ma anche di mancata assistenza, o allontanamento dalla casa coniugale), da ritenere presuntivamente superato, nel prosieguo, da un periodo di convivenza.
Va da sè, infatti, che occorre l’elemento della prossimità (“post hoc, ergo propter hoc”): la presunzione opera quando la richiesta di separazione personale segua, senza cesura temporale, all’accertata violazione del dovere coniugale.
Diversamente, nel caso- infrequente, ma non eccezionale- di accettazione reciproca di un allentamento degli obblighi previsti dalla norma (come nel regime- secondo la definizione invalsa nell’uso- dei “separati in casa”), si prospetta un fatto secondario, accidentale e atipico, che contrasta l’applicabilità della regola generale di causalità: onde, il relativo onere probatorio incumbit ei qui dicit.
Spetterà quindi all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale:
sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse. In una parola, in una crisi del rapporto matrimoniale già in atto (Cass., sez. 1, 14 febbraio 2012, n. 2059).
Tale riparto dell’onere probatorio oltre a palesarsi rispettoso del canone legale (art. 2697 c.c.) è altresì aderente al principio empirico della vicinanza della prova; laddove, riversare la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza su chi abbia subito l’altrui infedeltà si risolverebbe nella probatio diabolica che in realtà il matrimonio era sempre stato felice fino alla vigilia dell’adulterio (o dell’omissione di assistenza, o dell’interruzione della coabitazione).
Alla luce di tali principi, la motivazione della corte territoriale appare immune da mende, in punto di diritto.
Il secondo motivo è inammissibile, risolvendosi in una difforme interpretazione delle risultanze istruttorie, avente natura di merito, che non può trovare ingresso in questa sede.
Il ricorso dev’essere dunque respinto, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa, del numero e delle complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio liquidate in Euro 7.500,00, di cui 7.200,00 per compenso, oltre alla spese forfetarie e gli accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – T.U. SPESE DI GIUSTIZIA), art. 13 (Importi), comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Legge di stabilità 2013).
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2016