Sospensione del procedimento con messa alla prova: irrilevanza delle aggravanti.
Gli artt. 168 bis e ss. c.p. disciplinano l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova per i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti di cui al comma 2 dell’art. 550 c.p.p.. Tale istituto realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva, condizionata al buon esito del periodo di prova ed è connotato, per un verso, da una accentuata dimensione processuale, che lo colloca tra i procedimenti speciali alternativi al giudizio, e per altro verso, da una natura sostanziale, volta alla risocializzazione del soggetto mediante l’estinzione del reato in caso di esito positivo della prova. La sospensione del procedimento dà luogo ad una fase incidentale in cui si svolge un vero e proprio “esperimento trattamentale” che si fonda su una prognosi di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati.
Ebbene, viene rimessa all’esame delle Sezioni Unite la questione relativa al se nella determinazione del limite edittale fissato dall’art. 168 bis c.p. debba tenersi conto delle circostanze aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. L’ambito operativo di tale istituto è delimitato secondo un duplice criterio: qualitativo, relativo alle figure delittuose ex art. 550 c.2 c.p.p., e quantitativo, quanto ai reati puniti con la sola pena pecuniaria o detentiva (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria) non superiore nel massimo a 4 anni. La mancata puntualizzazione da parte del legislatore in ordine al computo delle aggravanti nella determinazione del limite edittale ha creato contrasti in giurisprudenza: un primo orientamento ritiene che si debba tenere conto delle aggravanti di cui all’art. 63 c.3 c.p. pur in assenza di una espressa previsione normativa, in quanto il legislatore quando ha inteso delimitare lo spazio applicativo di istituti sostanziali e processuali attraverso il criterio quantitativo-edittale lo ha sempre fatto prendendo in considerazione tali circostanze ai fini della determinazione della pena (si pensi agli artt. 4, 278, 379, 550 c.1 c.p.p., nonché agli artt. 157 c.2 e 131 bis c.p.). Inoltre il criterio quantitativo, se non conformato al dettato delle norme citate, si porrebbe in contrasto con il criterio qualitativo attuato mediante il richiamo alle fattispecie delittuose di cui al c.2. dell’art. 550 c.p.p., in cui il legislatore ha ricompreso anche delitti aggravati. Pertanto, il richiamo fatto dal c.2 al c.1 (che richiama a suo volta l’art. 4) sarebbe indicativo della volontà del legislatore di considerare anche le aggravanti ai fini edittali. Il secondo orientamento, condiviso dalle S.U., afferma, invece, che ai fini dell’applicabilità dell’istituto della messa alla prova occorre prescindere dal computo delle aggravanti e ciò per una serie di ragioni: innanzitutto, il riferimento al c.1 contenuto nel c.2 dell’art. 550 c.p.p. non può essere considerato come richiamo ai criteri di determinazione della pena, in quanto si tratta solo della indicazione dei casi in cui il P.M. deve esercitare l’azione penale; e nemmeno può ritenersi che vi sia una coincidenza tra i reati per i quali l’imputato può chiedere la messa alla prova e i reati per cui è attivabile la citazione diretta davanti al giudice monocratico, perché ciò porterebbe ad escludere l’applicabilità di tale istituto ai reati di competenza collegiale, ancorchè puniti con una pena detentiva inferiore nel massimo a 4 anni. In più tra i reati indicati nel c. 2 dell’art. 550 c.p.p. vi sono anche fattispecie aggravate, pertanto sarebbe contraddittorio ritenere che il computo delle aggravanti di cui all’art. 63 c.3 c.p. possa, invece, essere utilizzato, sotto il profilo quantitativo, per escludere determinate ipotesi, connotate da una maggiore gravità, dal rito in questione. La gravità del reato non deve essere considerata al momento dei criteri di ammissibilità astrattamente previsti dal legislatore, in quanto il giudizio effettivo di ammissione resta comunque riservato al giudice, che nell’esercizio della sua discrezionalità deve verificare, ai fini dell’applicabilità della messa alla prova, l’idoneità del programma trattamentale proposto e la prognosi di astensione dalla commissione di futuri reati, sulla base dei parametri di cui all’art. 133 c.p.
In conclusione, le Sezioni Unite affermano il seguente principio di diritto: “ai fini della individuazione dei reati a cui è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168 bis c.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a 4 anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non ammettendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle ad effetto speciale e quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.