Attività di prostituzione, riconosciuta e tassata dal Fisco.
La Cassazione ha ancora una volta, precisato che l’attività delle cosiddette “lucciole”, occasionale o abituale, è riconosciuta ai fini dell’imposizione fiscale e tali proventi rientranti nella categoria di redditi diversi, tassabili ai fini Irpef.
Dopo l’orientamento esposto dalla CTP di Savona, in merito alla fiscalità applicabile all’attività di prostituzione, sia essa abituale o saltuaria, è la Corte Suprema di Cassazione, sezione tributaria, a definire tale principio, con la sentenza n. 22413 del 2016, emessa in Roma il 16 Giugno 2016 e depositata in Cancelleria il 4 Novembre 2016.
Tutto nasce a seguito di un accertamento da parte degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, con i verificatori che focalizzavano la verifica fiscale, sui conti correnti della cosiddetta “lucciola”, scoprendo che la stessa negli anni depositava presso più istituti bancari diversi intestati a suo nome svariate somme di euro. La stessa, inoltre, era intestataria di varie auto definite di lusso, di un appartamento di proprietà e di vari contratti di locazione di immobili.
Sui movimenti bancari, l’Agenzia delle Entrate, recuperava a tassazione per gli anni dal 1996 al 2003 ai fini Irpef, importi annuali da € 39.850,00 a € 97.997,00 oltre al reddito di fabbricati.
Contro gli avvisi di accertamento, la proponente sosteneva la non tassabilità dei redditi prodotti da tale attività, in quanto attività di prostituzione da lei esercitata, non riconosciuta dall’ente impositore e quindi non tassabile ai fini delle imposte sulle persone fisiche.
È fondamentale precisare, che tale attività, definita contraria al buon costume, non è proibita in Italia, se non nel caso di attività svolta nell’ambito dello sfruttamento e come favoreggiamento alla prostituzione, esplicitamente repressa secondo l’art 3 della Legge 20 febbraio 1958 n. 75.
La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, accoglieva parzialmente il ricorso, riconoscendo come redditi tassabili ai fini Irpef solo i versamenti in Banca fatti in contanti escludendo invece tutti gli altri contestati dall’agenzia.
In grado di appello, la Ctr di Firenze ha riconosciuto correttamente l’attività esercitata dal Fisco nell’accertamento d’ufficio ai sensi dell’art. 41 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, con riferimento alle annualità per le quali non è stata presentata denuncia dei redditi.
La Suprema Corte di Cassazione, afferma con la pubblicazione della sentenza, senza mezzi termini, che l’attività di prostituzione, anche se esercitata abitualmente, fa sicuramente scattare l’applicazione dell’ imposta sul reddito delle persone fisiche, e apre ad un’altra prospettiva fiscale, ovvero, in riferimento alla abitualità dell’attività di prostituzione, la possibile applicazione per la stessa, di una seconda imposta, molto importante per le casse del Fisco, ovvero l’Imposta sul valore aggiunto (Iva).
In accoglimento di tale teoria, le “lucciole”, riconosciute come contribuenti passivi d’imposta al pari di un qualsiasi esercente di attività di pubblico servizio, dovrebbero quindi emettere regolare fattura o scontrino fiscale, al possibile cliente sia esso abituale o occasionale. Sarà poi compito dell’Agenzia delle entrate chiarire come configurare l’attività di prostituzione, avendo già definito in tale questione i redditi prodotti per tale attività come redditi diversi da tassare, e non solo, ma gli Uffici dell’ente, dovranno anche intervenire per chiarire come deve comportarsi invece il cliente, per richiedere ricevuta fiscale o scontrino per il servizio ricevuto, dando quindi dimostrazione della spesa sostenuta e perché no, inerenza della stessa per poterla detrarre ai fini della formazione del proprio reddito.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5894-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA NAZIONALE 204, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BOZZA VENTURI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMANUELE POMPONI giusta delega in atti;
– controricorrente –
sul ricorso 6241-2010 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA NAZIONALE 204, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BOZZA, rappresentata e difesa dall’avvocato EMANUELE POMPONI giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3/2008 della COMM.TRIB.REG. TOSCANA, depositata il 22/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI;
udito per il ricorrente r.g. n. 5894/10 l’Avvocato BACHETTI che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato POMPONI che ha chiesto il rigetto;
udito per il ricorrente r.g. n. 6241/10 l’Avvocato POMPONI che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita che ha concluso per il n. r.g. 5894/10 l’accoglimento del ricorso, per il n. r.g. 6241/10 il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate eseguiva una verifica nei confronti di B.M., che, pur non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi (tranne che per l’annualità 2003), risultava intestataria di numerose autovetture anche di lusso, acquirente di un appartamento, titolare di vari contratti di locazione immobiliare; inoltre dagli accertamenti bancari eseguiti risultava intestataria di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. Sulla base dei versamenti rilevati dalle indagini bancarie, l’Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento per gli anni di imposta dal 1996 al 2003 con i quali recuperava a tassazione, ai fini Irpef, redditi diversi per importi annuali varianti da Euro 39.850 ad Euro 97.997, oltre al reddito da fabbricati, l’unico denunciato dalla contribuente.
Contro gli avvisi di accertamento B.M. proponeva ricorso, sostenendo la non tassabilità dei redditi accertati in quanto provento dell’attività di prostituzione da lei esercitata.
La Commissione tributaria provinciale di Firenze con sentenza n.146 del 2006 accoglieva parzialmente il ricorso: riconosceva rilevanza reddituale ai proventi dell’attività di meretricio, ma riteneva che essi fossero soltanto quelli risultanti dai versamenti sui conti correnti effettuati in contanti, escludendo quelli effettuati mediante versamento di assegni.
B.M. proponeva appello e l’Agenzia delle Entrate si costituiva proponendo appello incidentale. Con sentenza n.3 del 22.1.2009 la Commissione tributaria regionale di Firenze rigettava l’appello principale della contribuente, confermando che il reddito da meretricio non costituisce reddito esente o non imponibile e neppure provento da attività illecita, ma rientra tra i redditi diversi, tassabili a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6 e art. 67, lett. l), derivanti da lavoro autonomo non esercitato abitualmente ovvero dalla assunzione di obblighi di fare o permettere; accoglieva parzialmente l’appello incidentale dell’Ufficio, qualificando come reddito tassabile, provento dell’attività di prostituzione, anche una parte dei versamenti in assegni tra i quali quelli emessi da tale S.S.; riteneva “giustificati”, poichè non connessi con l’attività di prostituzione, i restanti versamenti in assegni, con particolare riguardo agli assegni emessi dalla società F.lli R., valorizzando la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dall’amministratore unico della società, il quale riferiva di avere consegnato gli assegni ricevuti in pagamento dai clienti a B.M. perchè li depositasse sul proprio conto correnti, restituendogli l’equivalente in contanti; riteneva valide le giustificazioni fornite da B. con riferimento agli assegni emessi con traenza B., Comune di Firenze e Sai assicurazioni.
Avverso la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32 e 41 e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo ai versamenti di assegni ritenuti giustificati ed in particolare degli assegni emessi dalla ditta f.lli R. e degli assegni con traenza B., Comune di Firenze e Sai Assicurazione; 2) violazione del D.L. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 nella parte in cui ha ammesso la prova costituita dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà rilasciata dall’amministratore unico della F.lli R., in violazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, ed ha conferito a tale atto valenza di prova piena anzichè di prova indiziaria; 3) vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione nella parte in cui ha ritenuto giustificati i versamenti di assegni provenienti dalla ditta F.lli R., nonostante dagli accertamenti riportati nel processo verbale di constatazione non risultasse alcuna restituzione delle somme ricevute.
La contribuente resiste con controricorso.
Contro la medesima sentenza anche B.M. propone ricorso per i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione di una norma di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; 2) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con riguardo alla indicazione della norma per la quale si è proceduto all’accertamento e conseguentemente al metodo applicato; 3) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui ha ricompreso i proventi della prostituzione una volta nell’attività di impresa, una volta nell’attività di lavoro autonomo; ha ritenuto occasionale l’attività di prostituzione svolta dalla contribuente e poi ha definito la stessa quale prostituta “di lusso” con clienti abituali; 4) violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Motivi della decisione
A norma dell’art. 335 c.p.c., si procede preliminarmente alla riunione dei ricorsi contro la medesima sentenza, separatamente proposti dall’Agenzia delle Entrate e dalla contribuente.
A). Il ricorso della Agenzia delle Entrate (n.5894/2010), da qualificarsi ricorso principale in quanto notificato per primo, deve essere accolto nei termini di seguito indicati.
1. Il primo motivo è inammissibile per inidoneità del quesito. La ricorrente deduce il vizio di violazione di legge previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento agli articoli di legge indicati nella enunciazione del motivo, mentre nel quesito di diritto formula censure attinenti al diverso vizio di carenza di motivazione con riguardo alla genericità ed aspecificità delle giustificazioni fornite dalla contribuente. Deve pertanto applicarsi la regola secondo cui costituisce causa di inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., l’erronea sussunzione del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità nell’una o nell’altra delle fattispecie previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 21099 del 16/09/2013, Rv. 628624; Sez. 3, Sentenza n. 21165 del 17/09/2013, Rv. 628690).
2. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente, sono fondati. In materia di utilizzabilità delle prove dichiarative nel processo tributario, questa Corte ha stabilito che, fermo restando il divieto di assunzione della prova testimoniale sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, anche al contribuente deve essere riconosciuta la facoltà di avvalersi di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale; tuttavia esse non possono costituire prova piena dei fatti affermati, ma hanno il valore probatorio più limitato “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione”, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18 del 2000. (Sez. 5, Sentenza n. 11785 del 14/05/2010, Rv. 612990; Sez. 5, Sentenza n. 8369 del 05/04/2013, Rv. 626308).
La sentenza impugnata si è discostata da tale regola di valutazione probatoria, omettendo di indicare quali siano gli ulteriori elementi idonei a conferire valenza di prova alle dichiarazioni extraprocessuali rese dall’amministratore della srl F.lli R. circa la causale dei versamenti effettuati sui conti della contribuente B., estranea alla società. Sussiste il vizio di carenza di motivazione nella parte in cui il giudice di appello recepisce acriticamente le dichiarazioni in oggetto, omettendo qualunque vaglio di attendibilità delle affermazioni dell’amministratore della società laddove riconduce la cospicua movimentazione di denaro effettuata su conto intestato a soggetto estraneo alla società ( B.M.) a meri rapporti di “gentilezza e disponibilità”, e ad una non meglio precisata “impossibilità di negoziare presso il sistema bancario gli assegni ricevuti dalla clientela”; il giudice di appello omette di rispondere alle controdeduzioni svolte dall’Ufficio nell’appello incidentale in ordine alla assenza, nelle movimentazioni bancarie esaminate, di ogni traccia contabile della asserita retrocessione delle somme in contanti da parte di B. in favore della società F.lli R..
In accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso della Agenzia delle Entrate, la sentenza deve essere cassata, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
B) Il ricorso incidentale della contribuente è infondato.
1. Il primo motivo è inammissibile, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., per inidoneità del quesito. La ricorrente deduce il vizio di violazione di legge senza specificare, nella enunciazione del motivo o nella formulazione del quesito, quale sia la norma o le norme di legge che assume violate dalla sentenza impugnata. Il quesito contiene una interrogazione astratta circa la natura reddituale o meno dei proventi dell’attività di prostituzione, che prescinde da qualunque collegamento con le concrete argomentazioni svolte sul punto nella sentenza impugnata. Il quesito è ulteriormente inammissibile perchè irrilevante, nella parte in cui pone l’interrogativo circa la qualificazione dei proventi dell’attività di prostituzione quale “reddito di impresa”, atteso che la sentenza impugnata, nella fattispecie concretamente esaminata, ha ricondotto i proventi della prostituzione esercitata dalla contribuente alla categoria dei “redditi diversi”, assimilabili al reddito da lavoro autonomo. (sulla inammissibilità di quesiti di diritto di carattere generale ed astratto, Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008, Rv. 605378).
2. Il secondo motivo è infondato. Il giudice di appello ha correttamente rilevato che l’Ufficio ha proceduto all’accertamento d’ufficio ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 con riferimento alle annualità per le quali non è stata presentata denuncia dei redditi; con riferimento all’annualità per la quale è stata presentata dichiarazione, ha proceduto a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 riguardante la rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, che espressamente richiama le metodologie previste dall’art. 39 stesso D.P.R., tra le quali “l’utilizzo dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32” (nella specie accertamenti bancari).
3.11 terzo motivo è inammissibile poichè non attiene ad un punto decisivo della controversia. Il giudice di appello non ha qualificato i proventi dell’esercizio dell’attività di prostituzione quale “redditi di impresa”, ma li ha qualificati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 6 e art. 67, lett. l) quali “redditi diversi derivanti dall’attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare”. La pretesa contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui afferma che la contribuente svolgeva attività di prostituzione in forma occasionale pur avendo clienti abituali, è comunque circostanza irrilevante: l’esercizio della attività di prostituzione, occasionale o abituale che sia, genera comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi in ogni caso di proventi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1 lett. f); il requisito della abitualità è rilevante ai diversi fini dell’assoggettamento dei proventi dell’attività di prostituzione anche alle imposta indirette (Iva) a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 5, secondo cui costituisce esercizio di arti o professioni, soggette all’Iva, l’esercizio per professione abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo (in tal senso Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 13/05/2011, Rv. 618085).
4. Il quarto motivo è inammissibile per inidoneità del quesito formulato a norma dell’art. 366 bis c.p.c.: nella prima parte non viene censurata la sentenza ma si pone un interrogativo sulle corrette modalità di motivazione degli atti impositivi; la seconda parte contiene un quesito circa la qualificazione dei proventi derivanti dall’attività di prostituzione svolta con abitualità, non pertinente al caso in esame posto che il giudice di merito ha ritenuto che la contribuente svolgesse attività di prostituzione in forma non abituale.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale della Agenzia delle Entrate ed accoglie il secondo ed il terzo; cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione. Rigetta il ricorso incidentale della contribuente.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016