Il webmaster è responsabile di concorso nel reato di diffamazione per i contenuti offensivi dei commenti pubblicati dagli utenti
Con la sentenza che si segnala ai lettori la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull’annosa questione relativa alla responsabilità del gestore di un sito internet per i commenti offensivi e le contumelie pubblicate da altri utenti all’interno del sito.
In dettaglio, confermando le conclusioni cui era pervenuta la Corte d’Appello di Brescia, i giudici di legittimità hanno ritenuto responsabile di concorso nel reato di diffamazione il legale rappresentante di un una nota società, gerente un sito specializzato in materia calcistica, nella cui community un utente aveva pubblicato un articolo contenente espressioni diffamatorie nei confronti del Presidente della Lega Nazionale Dilettanti della Federazione Italiana Gioco Calcio. Articolo al quale, per giunta, era stato allegato anche un file contenente il certificato penale riguardante la persona offesa.
Pur riconoscendo la circostanza per cui lo scritto incriminato era stato autonomamente caricato sul sito dall’autore del medesimo, la Corte al contempo, valorizza il dato della ricezione di una mail da parte dell’imputato, inviatagli dall’autore dell’articolo, contenente il richiamato certificato penale, quale elemento dirimente per affermare la sussistenza della responsabilità penale in capo al gestore del sito.
Per tale via, il giudizio di responsabilità viene pertanto formulato per l’aspetto “dell’aver l’imputato mantenuto consapevolmente l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria che neppure il ricorrente contesta…allorché ne apprendeva l’esistenza, fino al successivo 14 agosto, allorché veniva eseguito il sequestro preventivo del sito”.
I giudici di legittimità sembrano, dunque, aderire a quell’orientamento, peraltro potenzialmente in conflitto con alcuni recenti arresti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in forza del quale sussiste in capo a chi gestisce un sito internet un obbligo di controllo e conseguente rimozione dei contenuti illeciti in una fase successiva alla loro pubblicazione, stante l’impossibilità, in capo ad essi, di procedervi in via preliminare alla loro pubblicazione. Non potendo, infatti, tale controllo essere effettuato prima della pubblicazione, la giurisprudenza ha creato un obbligo di controllo e rimozione immediatamente successivo in capo al gestore del sito, con conseguente responsabilità penale in capo a questi qualora ometta di procedere tempestivamente alla loro rimozione.
Cassazione Penale, Sez. V, 27 dicembre 2016 (ud. 14 luglio 2016), n. 54946
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Maffeis Marco, nato a Bergamo il 04/12/1958
avverso la sentenza del 24/06/2015 della Corte d’Appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile avv. Mariella Di Martino in sostituzione dell’avv. Mattia Grassani, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso depositando nota spese;
udito il difensore dell’imputato avv. Marco Bonucci, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Bergamo del 10/11/2014, appellata dal pubblico ministero, Marco Maffeis, quale legale rappresentante della Kines s.r.I., gerente il sito internet agenziacalcio.it, veniva ritenuto responsabile del concorso nel reato di diffamazione commesso in Clusone nell’agosto del 2009 in danno di Carlo Tavecchio, presidente della Lega Nazionale Dilettanti del Federazione Italiana Gioco Calcio, pubblicando, sulla community del sito, un commento di Danilo Filippini nel quale lo stesso definiva il Tavecchio «emerito farabutto» e «pregiudicato doc» e ne allegava il certificato penale.
L’imputato ricorrente deduce vizio motivazionale sull’affermazione di responsabilità; la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nel momento in cui, dando atto che il Filippini inseriva autonomamente il commento sul sito senza alcun intervento del gestore, riteneva quest’ultimo responsabile per il solo fatto dell’aver il Maffeis ricevuto tre giorni dopo dal Filippini una missiva di posta elettronica contenente il certificato penale del Tavecchio, omettendo di considerare che in quel periodo l’imputato si trovava in vacanza all’estero e non aveva accesso al sito; non vi sarebbe motivazione sul mancato accoglimento della richiesta del pubblico ministero appellante di nuova assunzione delle prove in sede di appello; la sentenza assolutoria di primo grado sarebbe stata sovvertita omettendo la necessaria critica alle argomentazioni della stessa, ed anzi valutando in senso accusatorio lo stesso documento, costituito dalla comunicazione dell’imputato alla polizia postale in data 14/09/2009 con cui si informava dell’autonomo inserimento del commento da parte del Filippini, utilizzato dal Tribunale per escludere la responsabilità dell’imputato.
Il ricorrente chiede altresì sospensione dell’esecuzione della condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile tenuto conto delle considerazioni che precedono e della liquidazione del danno nella misura arbitraria di C 60.000 in assenza di elementi certi sullo stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato. La motivazione della sentenza impugnata, sull’affermazione di responsabilità dell’imputato, era coerente e rispettosa, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, dell’onere di adeguata critica dell’impostazione assolutoria della decisione di primo grado.
La Corte territoriale concordava sulla conclusione, posta alla base di quella decisione, per la quale l’articolo incriminato era stato autonomamente caricato sul sito da Danilo Filippini; ma osservava che il Tribunale, come in effetti emerge dalla lettura della sentenza appellata, non aveva valutato l’ulteriore elemento costituito dalla ricezione, sulla casella di posta elettronica dell’imputato, di una missiva con la quale lo stesso Filippini il 01/08/2009 trasmetteva al Maffeis il certificato penale del Tavecchio.
Il giudizio di responsabilità veniva pertanto formulato per l’aspetto, del tutto inesplorato in primo grado, dell’aver l’imputato mantenuto consapevolmente l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria che neppure il ricorrente contesta, dalla data appena indicata, allorché ne apprendeva l’esistenza, fino al successivo 14 agosto, allorché veniva eseguito il sequestro preventivo del sito; osservando inoltre la Corte d’Appello che l’invio della descritta missiva di posta elettronica smentiva la versione dell’imputato di aver saputo della presenza dell’articolo nel sito solo in conseguenza di detto sequestro, e che d’altra parte la conoscenza di quella presenza da parte dell’imputato, prima del sequestro, era confermata dalla pubblicazione di un articolo a firma dello stesso Maffeis intitolato «chiedere se Tavecchio è stato eletto legalmente è diffamazione», nel quale, allegando dei collegamenti al certificato penale del Tavecchio e rispondendo ad un comunicato della Federazione Italiana Gioco Calcio del 14/08/2008, si asseriva che dopo la pubblicazione dell’articolo del Filippini era dovere del sito fornire un’informazione priva di censure sulla sollevata questione dell’ineleggibilità del Tavecchio, in conformità peraltro ai contenuti di una compagna decisamente critica condotta dal sito nei confronti di quest’ultimo.
Per il resto il ricorso, oltre ad attingere profili di merito non valutabili in questa sede, è generico con riguardo alla decisività della dedotta circostanza del trovarsi l’imputato in ferie all’estero nel momento in cui sulla sua casella di posta elettronica perveniva la missiva di cui sopra; non esplicitando il ricorrente, nel mero riferimento ad una conseguente impossibilità per l’imputato di accedere personalmente al sito, se tale circostanza avesse impedito allo stesso anche di visionare la corrispondenza elettronica e prendere conoscenza del contenuto della missiva, e in caso negativo quale ragione non avesse consentito al Maffeis di assumere comunque le iniziative necessarie per evitare che la condotta diffamatoria si protraesse. La doglianza relativa alla mancata riassunzione delle prove nel giudizio di appello è infine manifestamente infondata, essendo l’affermazione di responsabilità, per quanto detto, giustificata non da una rivalutazione delle prove dichiarative, ma dalla valorizzazione di un dato documentale non considerato rilevante in primo grado.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che avuto riguardo alla contenuta dimensione dell’impegno processuale si liquidano in C 2.000 oltre accessori di legge. Non vi è di conseguenza luogo a provvedere sull’istanza di sospensione della condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
- Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida in C 2.000 oltre accessori di legge.
Così deciso il 14/07/2016.