Quando possono considerarsi nulli gli accordi in sede di separazione?
“Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico -patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale dell’assegno divorzile, previsto a tutela del coniuge più debole”.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione civile, sez. I, con sentenza n. 2224 del 30/01/2017, confermando – con la detta statuizione – l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità.
Secondo gli Ermellini gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico – patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall’art. 160 cod. civ.. Pertanto, di tali accordi non può tenersi conto, non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge, economicamente più debole, al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione – specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio – potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione degli effetti civili del matrimonio.
Gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento all’assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo.
Consegue che la disposizione dell’art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 – a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico – non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati “secundum ius”, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio.
La motivazione di tale orientamento risiede nell’influenza esercitata dal collegamento del concetto di “status” all’ordine pubblicistico e quindi alla sua indisponibilità. Questo concetto ha sempre costituito il fondamento della convinzione che un accordo economico prima del divorzio potesse indurre un coniuge ad accettare vantaggi patrimoniali, con ciò costituendo la sua accettazione il corrispettivo per un consenso preventivo, da cui deriverebbe l’illiceità della causa.
Non si può nascondere come parte della Giurisprudenza di legittimità, avallata da attenta dottrina, si sia talvolta orientata al recupero dell’autonomia privata nell’ambito dei rapporti familiari, approdando ad un’apertura nei confronti dei cd. “patti prematrimoniali”. Considerando il tema dei rapporti tra coniugi nella sola fase fisiologica della loro unione, è necessario rilevare come il principio della autonomia privata emerga in numerosi settori connessi al diritto di famiglia; a titolo esemplificativo, si pensi ai trusts o agli accordi di separazione consensuale e alle convenzioni ex art. 162 codice civile.
Sull’onda di questa parte della giurisprudenza di legittimità meno oltranzista, supportata anche da pressanti istanze sociali, è stata presentata una proposta di legge (n. 2669/2015) in materia di accordi prematrimoniali destinata a modificare la connotazione strettamente pubblicistica degli istituti legati al matrimonio. La proposta di legge, proprio attraverso una valorizzazione dell’istituto giuridico della convenzione (art. 162 codice civile), mira al riconoscimento in capo ai coniugi di un’ampia autonomia negoziale, attraverso l’introduzione di un articolo 162-bis, che disciplini non solo i futuri rapporti patrimoniali e personali, ma anche quelli successori, facendo venir meno, per l’effetto, anche il divieto dei patti successori.
In questo quadro, de iure condendo, in attesa di assistere all’evoluzione normativa in argomento, ad un primo esame non si può negare come una maggiore autonomia nell’ambito dei rapporti familiari – s’intende limitatamente agli aspetti patrimoniali – permetterebbe ai coniugi di regolamentare i propri interessi nel modo più rispondente alle rispettive volontà, adeguando in maniera più duttile e meno dispendiosa la regolamentazione degli aspetti economici e patrimoniali allo svilupparsi del rapporto. Tuttavia, attesa la commistione di interessi anche non disponibili nella delicata materia interessanti anche aspetti superindividuali, certamente la maggiore autonomia deve essere controbilanciata da un rafforzamento di tutela in grado di garantire la libertà e l’autenticità della manifestazione di volontà dei coniugi, nonché un giusto bilanciamento delle rispettive posizioni, tenendo sempre presente la diversa natura (assistenziale) che riveste l’assegno divorzile rispetto a quello di mantenimento della fase della separazione.