La responsabilità del Comune per l’omessa apposizione di segnaletica su strada in caso di sinistro stradale.
Con ricorso per Cassazione, i ricorrenti, congiunti dell’autista deceduto in un incidente stradale, lamentavano, tra i motivi di doglianza, nullità della sentenza gravata poiché carente nella motivazione della ritenuta insussistenza di responsabilità del Comune per la mancata apposizione di segnaletica, orizzontale e verticale, prevista a seguito di ordinanza istitutiva dell’obbligo di arresto, proprio nel punto in cui il proprio congiunto aveva perso la vita a seguito di uno scontro con altro veicolo.
Il Supremo Collegio ha ritenuto infondato il motivo.
La Corte territoriale ha non solo preso in considerazione la questione ma ha anche fatto buon governo della propria discrezionalità decisionale. Si è ritenuto, infatti, che la Pubblica Amministrazione abbia ampio potere nella scelta dei luoghi ove apporre la segnaletica stradale, il cui limite si ravvisa solo in caso di ipotesi di insidie e trabocchetti; in tali circostanze, questa è tenuta a segnalare appropriatamente la situazione di pericolo. Tale, tuttavia, non è da ritenersi il caso di specie, in quanto non è stato dimostrato il nesso di causalità tra la mancanza della segnaletica e il sinistro stradale, non potendosi affermare che gli utenti della strada non avrebbero potuto regolare la propria condotta di guida conformemente alla situazione di pericolo esistente, non essendo in grado di discernere tempestivamente il segnale o il cartello valido. Non ricorrendo una situazione di contrasto tra le condizioni di transabilità e quelle apparenti, non percepibili dall’utente della strada con l’uso della normale diligenza.
Corte di
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI
Dott. LINA RUBINO – Consigliere –
Dott. ANTONIETTA SCRIMA – Consigliere –
Dott. GABRIELE POSITANO – Rel. Consigliere –
Dott. MARCO DELL’UTRI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 22332-2014 proposto da:
DI FRANCESCO GABRIELE, DI GIUSTINO FRANCESCA, DI FRANCESCO GIANMARCO, tutti in proprio e nella qualità di eredi del Sig. TIZIANO DI FRANCESCO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SAN MARTINO DELLA BATTAGLIA 15, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO BOLOGNA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO MARANELLA giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
ZURITEL SPA , in persona del Procuratore Speciale e Legale Rappresentante pro tempore Dott. FABIO CASAGRANDE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GELLI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;
COMUNE ROMA CAPITALE , elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 8, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI FRANCESCO BIASIOTTI MOGLIAZZA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RODOLFO MURRA giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controrícorrenti –
nonché contro
CALANDRIELLO GIUSEPPE;
– intimato-
avverso la sentenza n. 539/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2016 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;
udito l’Avvocato STEFANO MARANELLA;
udito l’Avvocato DANIELA GAMBARDELLA per delega;
udito l’Avvocato PILADE PERROTTI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per Rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 24 ottobre 2007, il Tribunale di Roma, affermava la responsabilità concorrente e paritaria di Giuseppe Calandriello, conducente dell’autovettura Honda Civic ) e Di Francesco Tiziano, successivamente deceduto, conducente del motociclo Yamaha, in relazione all’incidente stradale verificatosi il 22 marzo 2003, alle ore 12:10, in Roma.
Nell’occasione il motociclo era entrato in collisione con l’autovettura in corrispondenza della intersezione tra via Trionfale, sulla quale viaggiava il primo e vicolo del Quarticciolo Trionfale, da cui proveniva l’autovettura. Il primo giudice escludeva l’incidenza causale della mancanza di segnaletica stradale orizzontale e verticale, in ordine al sinistro in oggetto, che determinerebbe, secondo la tesi degli attori, la responsabilità del Comune di Roma. Conseguentemente il Tribunale disponeva il risarcimento dei danni in favore dei congiunti del deceduto, nella misura del 50%.
Avverso tale sentenza proponevano appello Gabriele e Gianmarco Di Francesco e Francesca Di Giustina, rispettivamente padre, fratello e madre di Tiziano.
Con sentenza pubblicata il 28 gennaio 2014 la Corte di Appello di Roma rigettava ogni azione compensando le spese.
Avverso la sentenza della Corte di merito Gabriele e Gianmarco Di Francesco e Francesca Di Giustina propongono ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Resistono con controricorso il Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco e la compagnia di assicurazioni Zuritel S.p.A.
I ricorrenti e il Comune di Roma Capitale depositano memoria.
Motivi della decisione
Con i motivi di ricorso si denuncia:
con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’articolo 145 secondo e sesto comma del Codice della Strada, in relazione all’articolo 360 n. 3 del codice di rito, per avere la Corte di Appello riconosciuto al conducente Calandriello il diritto di precedenza.
L’articolo 145 del Codice della Strada prevede l’obbligo di dare precedenza a chi proviene da destra ad eccezione dei casi in cui i conducenti provengano da “luoghi non soggetti al pubblico passaggio”, poiché in questo caso gli stessi hanno l’obbligo di dare la precedenza ai sensi del sesto comma di tale articolo.
Al fine di stabilire se l’area è o meno soggetta al pubblico passaggio l’elemento decisivo è costituito dalla esistenza, anche di fatto, di un transito abituale di un numero indeterminato di persone esplicanti una facoltà corrispondente all’uso della via pubblica. Nel caso di specie, secondo il ricorrente, il vicolo del Quarticciolo Trionfale, quale piccola strada a traffico limitato che consente solo l’accesso alle abitazioni private e a un opificio industriale, non avrebbe le caratteristiche dell’area soggetta a pubblico passaggio, con conseguente errata applicazione del secondo comma dell’articolo 145 del Codice della Strada.
Il motivo è inammissibile poiché ha ad oggetto una questione non sottoposta al giudice di appello. La problematica relativa alla natura del vicolo (che, peraltro, rappresenta una tipica questione di fatto poiché si chiede alla Corte di legittimità verificare se la strada in oggetto è utilizzata abitualmente, Liti singuli, cioè soltanto dai pochi utenti, che si trovano nella posizione qualificata abitando o lavorando nel piccolo nucleo urbano e non uti cives, sulla base di valutazioni esclusivamente in fatto) costituisce questione non affrontata nei motivi di appello.
E’ noto il principio secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Sez. 3, Sentenza n.2140 del 31/01/2006, Rv. 588057).
Secondo motivo: il ricorrente deduce l’omesso esame della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero nel procedimento penale, nella parte in cui questa afferma che via Trionfale e “suddivisa da una doppia striscia continua di mezzeria” e nullità della sentenza, ai sensi dell’articolo 360 n.6, per violazione degli artt. 115, 132 e 156 del codice di rito.
In particolare, la Corte non avrebbe adeguatamente valutato la circostanza, riferita dalla consulente tecnico secondo cui la doppia striscia continua di mezzeria esisteva, anche se “praticamente invisibile al momento del sinistro”.
Conseguentemente, il giudice di merito ha omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio poiché, in presenza della linea di mezzeria continua, il conducente dell’autovettura Honda avrebbe dovuto necessariamente svoltare a destra e non a sinistra, così come effettivamente si è verificato.
Il motivo è infondato, lamentando il ricorrente la mancanza di motivazione riguardo un fatto decisivo per il giudizio e cioè la presenza della linea di mezzeria continua.
Tale profilo non sussiste poiché la Corte territoriale ha specificamente preso in esame (pagina 5 della sentenza) la questione rilevando, con motivazione puntuale e aderente agli atti processuali, che contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, via Trionfale non recava la doppia linea di mezzeria continua e ciò sulla base di due argomentazioni: innanzitutto richiamando il contenuto del verbale dei vigili urbani, secondo cui la strada Trionfale era priva di segnaletica orizzontale ad eccezione della linea di margine destro, con direzione fuori città. In secondo luogo, tale elemento risulta con evidenza dalle foto allegate al verbale. In sostanza, la Corte ha replicato puntualmente al motivo di appello oggi riproposto esprimendo una motivata valutazione in ordine alla visibilità o meno della doppia linea di mezzeria.
Inoltre, la Corte, a pagina 6, prende specificamente in esame le considerazioni espresse dal consulente tecnico del Pubblico Ministero sulla dinamica del sinistro e sull’incidenza della condotta tenuta al conducente dell’autovettura e supera tale prospettazione con argomentazioni assolutamente ragionevoli.
Per il resto la censura si traduce in una nuova valutazione della congruità della motivazione, che non è consentita in questa sede.
Terzo motivo: violazione o falsa applicazione degli art. 140, 145 e 154 del Codice della Strada in relazione all’articolo 360 n. 3.
La Corte territoriale ha focalizzato l’attenzione sul dato oggettivo dell’ampia visuale che aveva il motociclista, senza valutare adeguatamente l’altrettanto ampia visuale del conducente dell’autovettura il quale avrebbe dovuto usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti, avendo posto in essere una manovra molto pericolosa, tesa ad attraversare perpendicolarmente via Trionfale.
La censura è infondata poiché le norme e gli elementi fattuali indicati in ricorso sono stati presi in considerazione dalla Corte d’Appello.
La Corte territoriale nel rigettare il primo motivo di appello ha specificamente esaminato le questioni riproposte davanti a questa Corte, evidenziando che al conducente della autovettura era certamente imputabile una condotta colposa, consistita nell’aver impegnato l’area dell’incrocio senza usare la massima prudenza prescritta proprio dall’articolo 145 del Codice della Strada, tenendo conto che si accingeva a svoltare in via Trionfale, caratterizzata da intensità di traffico. Con ciò ha valorizzato la mancata adeguata ispezione della parte sinistra della strada e l’omessa verifica della concreta possibilità di affrontare il crocevia con ragionevole sicurezza. Tale condotta ha giustificato il riconoscimento della pari responsabilità dei due protagonisti del sinistro.
Quarto motivo: violazione o falsa applicazione dell’articolo 106 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada, in relazione all’articolo 2043 del codice civile e conseguente nullità della sentenza per inadeguatezza della motivazione, nella parte in cui la Corte ha escluso la responsabilità del Comune di Roma Capitale per non avere apposto la segnaletica orizzontale e verticale su via Trionfale.
In particolare, la mancata apposizione della segnaletica da parte del Comune di Roma configurerebbe una diretta responsabilità in ordine al sinistro per cui è causa. Una volta emessa l’ordinanza istitutiva dell’obbligo di arresto (segnale di Stop) su vicolo del Quarticciolo, il successivo comportamento inerte dell’amministrazione costituisce condotta colposa. Inoltre, ove fosse stata collocata tempestivamente la segnaletica, il sinistro non si sarebbe verificato. Al contrario la mancata apposizione della segnaletica ha creato una situazione di contrasto tra le condizioni di transitabilità reali e quelle apparenti, non percepibili dal Di Francesco con l’uso della normale diligenza.
Ricorre, secondo i ricorrenti, l’ipotesi di vizio di motivazione, per violazione dell’articolo 132 n. 4 c.p.c. mancando la motivazione in ordine un punto decisivo della controversia.
Il motivo è infondato poiché la questione è stata specificamente presa in esame dalla Corte territoriale, rilevando che la pubblica amministrazione ha un ampio potere discrezionale nella scelta dei luoghi dove apporre i segnali di pericolo, che trova un limite soltanto nel caso in cui si verifichi un’ipotesi di insidia o trabocchetto, caratterizzata dalla non visibilità del pericolo.
Fattispecie certamente non ricorrente, secondo la Corte di merito, nel caso di specie, in considerazione della conformazione dei luoghi, delle modalità di tempo del sinistro e della presenza dell’intersezione che poteva essere ben apprezzata dal motociclista.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che, nel caso in cui il conducente che sarebbe stato favorito dalla segnaletica che si assume mancante “ritenga di aver diritto alla precedenza, non si verifica una situazione di insidia, in quanto la circolazione stradale può avvenire senza inconvenienti anche in mancanza del segnale, essendo sufficienti e idonee a regolarla le norme del codice della strada, e non è, perciò, possibile affermare su questa base la responsabilità della detta amministrazione per i danni conseguenti alla collisione” (Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 13/02/2002, Rv. 552239).
Nel caso di specie non è dimostrato il nesso di causalità tra la mancanza della segnaletica orizzontale o verticale e il sinistro stradale, non potendosi affermare che gli utenti della strada non avrebbero potuto regolare la propria condotta di gea conformemente alla situazione di pericolo esistente, non essendo in grado di discernere tempestivamente il segnale o il cartello valido. Non ricorrendo una situazione di contrasto tra le condizioni di transitabilità e quelle apparenti, non percepibili dall’utente della strada con l’uso della normale diligenza (Cass.Sez. 3, 22 ottobre 2013 n. 23919) il motivo non può trovare accoglimento.
Quinto motivo: i ricorrenti deducono la violazione e l’erronea applicazione degli articoli 2043 e 2059 del codice civile, nonché dell’articolo 32 della Costituzione per non avere la Corte di appello riconosciuto ai ricorrenti il risarcimento per il danno morale e biologico trasmissibile iure successionis ed omesso esame della relazione clinico patologica dell’ospedale San Filippo Neri.
Il motivo è infondato per avere la Corte affrontato espressamente la questione, modificando la motivazione adottata dal primo giudice e richiamando gli insegnamenti espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 26972 del 2008, che consentono il risarcimento del danno morale soltanto in favore della vittima che sia rimasta lucida durante l’agonia consapevole dell’attesa della fine.
In tale senso questa Corte ha puntualizzato che la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, “è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni” (Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13/06/2014, Rv. 631439), mentre, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in ragione nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Sez. U, Sentenza n. 15350 del 22/07/2015, Rv. 635985).
Sotto tale profilo è inammissibile la censura con la quale viene prospettato il diverso danno, da perdita della vita, non richiesto in precedenza, che costituisce un profilo del tutto nuovo che non può essere prospettato per la prima volta in Cassazione.
Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.
La Zuritel S.p.A. pur avendo resistito con atto denominato “controricorso e ricorso incidentale” in realtà si è limitata a contestare la fondatezza dei motivi di ricorso, senza impugnare autonomamente la sentenza di merito. In particolare, con riferimento al quinto motivo di ricorso, la Compagnia si è limitata a dedurre la novità della questione sottoposta alla Corte di legittimità, rifiutando il contraddittorio.
La natura e la complessità della controversia consentono la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
La compensazione delle spese non inibisce l’operatività del D.P.R. n. 115 del 2002, che, all’ art. 13, comma l quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. l, comma 17 dispone: “quando l’impugnazione, anche incidentale, e’ respinta integralmente o e’ dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis.
Il giudice da’ atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
PQM
Rigetta il ricorso;
compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti;
ai sensi dell’art. 13, comma l quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma ibis dello stesso articolo 13.
Così deciso il 18/11/2016