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È appellabile la “Forza Maggiore” solo nel caso di assoluta impossibilità ad adempiere l’obbligazione tributaria

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

È appellabile la “Forza Maggiore” solo nel caso di assoluta impossibilità ad adempiere l’obbligazione tributaria.

Con la sentenza n. 47250 del 10.11.2016, la Corte di Cassazione sezione penale, conferma l’orientamento restrittivo, secondo cui per il mancato versamento dell’Iva la “crisi di liquidità” non esclude il reato.

La mera difficoltà nell’adempimento dell’obbligazione tributaria non integra forza maggiore, la quale invece si concretizza solo ed esclusivamente in caso di assoluta impossibilità a porre in essere il comportamento omesso, affermando che:

-il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore, in quanto non esclude la suitas della condotta;

-la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità;

-non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dal mancato pagamento delle singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità;

-l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.

Secondo gli Ermellini, il reato di omesso versamento IVA è punibile a titolo di dolo generico, e per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e la volontà di non versare all’Erario quanto dovuto, e la prova del dolo sta nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto sotto la soglia di punibilità nel termine lungo previsto. Infatti, se il debito verso il Fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle singole operazioni imponibili, ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già dal consumatore finale, acquirente del bene o del servizio, l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. La colpevolezza non può essere esclusa a seguito della generica deduzione da parte del contribuente della crisi economica dell’impresa che non rechi indicazioni specifiche e concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all’adempimento.

La pronuncia trae origine dalla sentenza del 14.5.2015, con cui la Corte di Appello di Campobasso confermava la sentenza del Tribunale di Campobasso che aveva dichiarato l’imprenditore responsabile dei reati di cui all’art. 81 cpv. c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, 10-ter – perchè nella qualità di titolare e legale rappresentante della omonima ditta ometteva di versare, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto condannando lo stesso alla pena di un anno e due mesi di reclusione con le conseguenti pene accessorie.

Avverso tale sentenza il contribuente, proponeva ricorso per cassazione articolando un solo motivo, deducendo che la omissione contestata non era dovuta dalla mancanza di volontà di adempiere ai propri doveri con il fisco, ma perché impossibilitato a farlo per causa di forza maggiore dovuta alle condizioni di precarietà in cui era costretto a vivere e al fatto che non aveva mai incassato le esorbitanti somme sulle quale versare l’IVA, definendosi in fine un semplice “prestanome” della società che rappresentava.

I Giudici con la Sentenza in esame, ritengono infondato tale motivazione, specificando che ogni volta che il soggetto d’imposta effettua operazioni imponibili riscuote già a monte l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. Non esclude la colpevolezza la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta organizzativa.

L’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 estende evidentemente questa esigenza di organizzazione su scala annuale. “Non può, pertanto, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta organizzativa.

I Giudici poi precisano, che è necessario che siano assolti precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Ma invece, è necessario che “non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili” (Corte di Cassazione, Sezione III, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sezione III, n. 15416 del 08/01/2014;  Sezione III, n. 43599 del 09/09/2015).

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.N., nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 14/05/2015 della Corte di Appello di Campobasso;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DI STASI Antonella;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa FILIPPI Paola che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. Con sentenza del 14.5.2015, la Corte di Appello di Campobasso confermava la sentenza del 17.10.2014 del Tribunale di Campobasso che aveva dichiarato D.N. responsabile dei reati di cui all’art. 81 cpv. c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, 10-ter– perchè nella qualità di titolare e legale rappresentante della omonima ditta ometteva di versare, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto relativamente ai periodi di imposta (omissis), (omissis) e (omissis) – e lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione con le conseguenti pene accessorie.
  2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.N., per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico complesso motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Il ricorrente deduce che, pur non disconoscendo di aver posto in essere la condotta omissiva contestata, ciò era avvenuto non per mancanza di volontà di adempiere ai propri doveri con il fisco ma perchè impossibilitato a farlo per causa di forza maggiore dovuta non solo alle condizioni di precarietà in cui era costretto a vivere ma anche e soprattutto perchè non aveva mai incassato le esorbitanti somme sulle quale versare l’IVA per essere un semplice “prestanome”. Argomenta, quindi, che risulta evidente l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato.

Aggiunge che la crisi di liquidità configura una sorta di forza maggiore che interrompe il nesso psichico e che, nella specie, si è trattato proprio di una “evasione di sopravvivenza”.

Deduce, poi, che l’affermazione di responsabilità è stata fondata nei due gradi di giudizio su una istruttoria monca, sulle sole dichiarazioni dei testi di accusa ed in assenza di prove documentali.

Deduce, infine, la violazione del diritto di difesa, in quanto la Corte di appello disattendeva una istanza di rinvio per legittimo impedimento corredata e giustificata da apposita documentazione.

Chiede, pertanto, assoluzione perchè il fatto non sussiste, per carenza dell’elemento psicologico o con altra formula ampia.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
  2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Con la sentenza n. 37424/2013 le Sezioni Unite hanno ribadito che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico.

Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e la prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere “saldato o almeno contenuto” sotto la soglia di punibilità nel termine lungo previsto. Con l’effetto che se il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle singole operazioni imponibili, ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter estende evidentemente questa esigenza di organizzazione su scala annuale.

Non può, pertanto, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del (omissis)) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta organizzativa (per l’esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sè considerate v., in riferimento alla parallela norma dell’art. 10-bis, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale).

Questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.

Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055, Sez.3, n. 43599 del 09/09/2015, dep. 29/10/2015, Rv. 265262).

Poichè la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, tanto da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).

Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).

Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perchè non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dal mancato pagamento delle singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Rv. 263128).

Nel caso in esame, la deduzione riguardante la crisi economica è generica e in fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche nè concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all’adempimento ovvero a ricondurre la causa esclusiva dell’inadempimento a condotte tenute prima del secondo semestre del (omissis).

  1. Il secondo motivo è inammissibile; ne va, infatti, rilevata la aspecificità ai sensi degli artt. 591 e 581 c.p.p..

Il ricorrente si limita a censurare genericamente la sentenza resa dal giudice di secondo grado, allegando che la Corte territoriale non avrebbe valutato il compendio probatorio, le cui risultanze escluderebbero la sua responsabilità, e senza indicare alcun elemento di concretezza al riguardo.

Il vizio risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio, senza l’indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla capacità dimostrativa delle prove raccolte.

Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.

Il perimetro della giurisdizione di legittimità è, infatti, limitato alla rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa.

  1. Il terzo motivo è inammissibile.

Il ricorrente lamenta il mancato accoglimento di istanza di rinvio per legittimo impedimento e la violazione del diritto di difesa per essere stata la sentenza emessa in assenza dell’imputato e del difensore, senza nulla specificare in ordine al contenuto e fondamento della istanza e della correlata documentazione nonchè ai termini del diniego della stessa.

Esso, quindi, si caratterizza per assoluta genericità, integra la violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati, tra gli altri, “I motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), determina, per l’appunto, l’inammissibilità dell’impugnazione stessa (cfr. Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, rv. 242129; Sez. 6, 21.12.2000, n. 8596, rv. 219087).

Inoltre, la deduzione contrasta con il contenuto della sentenza impugnata, nella quale si dà atto, invece, della presenza all’udienza di discussione del gravame del difensore dell’imputato che rassegnava le conclusioni chiedendo l’accoglimento dell’appello.

  1. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
  2. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura ritenuta equa indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016.