(Bi)genitorialità e ordine pubblico internazionale: la famiglia non è solo quella fondata su un legame genetico.
L’ordinanza della Corte di Appello di Trento dello scorso 23 febbraio è destinata a fornire un contributo fondamentale nella storia del diritto internazionale privato di famiglia: per la prima volta un giudice di merito applica ad una coppia di due padri i principi enunciati dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 19599/2016, in tema di trascrizione dell’atto di nascita straniero recante l’indicazione di due genitori dello stesso sesso.
Con la pronuncia in esame, infatti, in applicazione delle coordinate ermeneutiche tracciate dai giudici di legittimità, è stato disposto il riconoscimento di efficacia giuridica al provvedimento straniero che stabiliva la sussistenza di un legame genitoriale tra due minori nati grazie alla gestazione per altri, nel quadro di un progetto di genitorialità condivisa in una coppia omosessuale, ed il loro padre non genetico.
In particolare, nell’iter motivazionale seguito dalla Corte si ripercorrono le principali argomentazioni già sostenute con riguardo al giudizio di compatibilità tra il provvedimento straniero e l’ordine pubblico, da intendersi ormai in senso ampio come <<ordine pubblico internazionale>> e la cui nozione ha fatto registrare un progressivo e condivisibile allentamento del livello di guardia tradizionalmente opposto dall’ordinamento nazionale all’ingresso di norme, istituti giuridici e valori estranei.
I principi di ordine pubblico, si è affermato, possono essere ricercati solo nei principi fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione, i quali costituiscono essi soltanto il parametro normativo alla luce del quale potrebbe ravvisarsi un contrasto della legge straniera richiamata rispetto all’ordine pubblico internazionale; contrasto non ravvisabile, invece, quando semplicemente la norma straniera sia contenutisticamente difforme da una o più disposizioni del diritto nazionale con le quali il Legislatore abbia esercitato la propria discrezionalità in una specifica materia e che rappresentano solo una delle plurime manifestazioni attraverso le quali quella discrezionalità potrebbe esercitarsi in un dato contesto storico.
Per tali ragioni, il giudice nel verificare la compatibilità di un atto straniero con l’ordine pubblico è tenuto a verificare, non già che esso preveda una disciplina conforme o difforme rispetto a quella contemplata dall’ordinamento nazionale nella materia interessata, ma se esso contrasti con i diritti fondamentali dell’individuo desumibili dalla Carta Costituzionale, dai Trattati fondativi, dalla Carta di Nizza e dalla CEDU.
Nell’affrontare la questione della compatibilità dell’atto di nascita con l’ordine pubblico, inoltre, assume rilevanza fondamentale la tutela dell’interesse superiore del minore, sotto il profilo della sua identità personale e sociale e, in generale, del diritto delle persone di autodeterminarsi e formare una famiglia, valori già presenti nella Carta Costituzionale e la cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali che concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale. Se l’interesse dei minori consiste nel diritto a conservare lo status filiationis nei confronti di entrambi i padri, come riconosciuto dall’atto di nascita estero di cui si chiede la trascrizione, il suo mancato riconoscimento, non solo cagionerebbe loro un grave pregiudizio, ma li priverebbe di un fondamentale elemento della loro identità familiare, così come acquisita e riconosciuta nello stato estero in cui l’atto di nascita si è formato.
Inoltre, se è innegabile che la L. n. 40/2004 ex art. 5 accorda la possibilità di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita solo alle coppie eterosessuali, comminando sanzioni amministrative quando siffatte pratiche siano eseguite tra soggetti dello stesso sesso e sanzioni penali contro chi realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni; che la L. n. 76/2016 nel regolamentare le unioni civili ha escluso la applicabilità delle norme di cui alla L. 184/1983, salvo quanto previsto in materia di adozione in casi particolari; che la normativa vigente non consente il ricorso alla maternità surrogata; ciò non basta ad escludere l’efficacia giuridica nel nostro ordinamento dell’atto che riconosce come genitori entrambi i padri, attesa l’assoluta indifferenza delle tecniche di procreazione cui si sia fatto ricorso all’estero, rispetto al diritto del minore al riconoscimento dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori che lo abbiano portato al mondo, nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa.
Diversamente opinando dovrebbe ritenersi che la disciplina positiva in tema di procreazione medicalmente assistita sia espressione di principi fondamentali costituzionalmente obbligati, ma così non è, la stessa rappresentando solo il punto di equilibrio individuato a livello di legislazione ordinaria tra i diversi interessi fondamentali coinvolti nella materia de qua.
La Corte, quindi, sulla base delle argomentazioni suesposte disconosce la pretesa esclusività del paradigma genetico e biologico nella costituzione dello status filiationis: infatti, l’insussistenza di un legame genetico tra i minori e il padre non è di ostacolo al riconoscimento di efficacia giuridica al provvedimento straniero. Ciò in quanto nel nostro ordinamento non vi è un modello di genitorialità esclusivamente fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato; all’opposto deve essere considerata l’importanza assunta a livello normativo dal concetto di responsabilità genitoriale che si manifesta nella consapevole decisione di allevare ed accudire il nato; la favorevole considerazione da parte dell’ordinamento al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli anche indipendentemente dal dato genetico, con la regolamentazione dell’istituto dell’adozione; la possibile assenza di relazione biologica con uno dei genitori (nella specie il padre) per i figli nati da tecniche di fecondazione eterologa consentite.
Sul punto i giudici di merito richiamano la recente pronuncia della Corte EDU Paradiso e Campanelli c. Italia del 24.1.2017 per evidenziare come nel caso de quo i giudici di Strasburgo siano addivenuti ad un pronunciamento di segno negativo sulla base di una pluralità di elementi (e dunque, non solo il mero rilievo dell’assenza di un legame biologico, ma anche e soprattutto la breve durata della relazione familiare di fatto in quel caso stabilitasi tra il bambino e i genitori intenzionali, nonché la precarietà dei legami dal punto di vista giuridico), sicchè neanche quel decisum sarebbe di ostacolo al riconoscimento del legame tra i minori ed il loro padre non genetico.
Conclusivamente, non è possibile sostenere l’esistenza di un principio costituzionale fondamentale idoneo ad impedire l’ingresso in Italia dell’atto di nascita in ragione di una asserita preclusione ontologica per le coppie formate da persone dello stesso sesso, unite da uno stabile legame affettivo, di accogliere, di allevare e anche di generare figli.
La nozione di vita familiare dev’essere ormai declinata in concreto in relazione ai rapporti che si instaurano nell’ambito della comunità familiare, che, nell’equilibrio tra gli interessi coinvolti, in primis quello del minore, devono essere tutelati. Quella nozione, come significativamente statuito nella sentenza della Corte di Cassazione richiamata all’inizio e dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 162/14 , neppure presuppone necessariamente la discendenza biologica dei figli, la quale non è più considerata requisito essenziale della filiazione. La radice della meritevolezza di tutela del vincolo familiare consiste nella fondamentale e generale libertà degli individui di autodeterminarsi e formare una famiglia, a condizioni non discriminatorie, e non in elementi di carattere meramente biologico.