Il rifiuto della Corte d’Appello di Napoli di dare esecuzione ad un mandato di arresto europeo – La disapplicazione della normativa nazionale
Come la giurisprudenza costituzionale e quella sovranazionale della CGUE insegnano, il giudice di merito allorquando accerti un contrasto tra una normativa interna e una disposizione comunitaria, insanabile in via interpretativa, altro non può che disapplicare quella nazionale. Resta fermo, comunque, il potere di sollevare una questione di legittimità costituzionale se la norma europea contrasta con i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale.
Nello specifico, l’ottava sezione penale della Corte d’Appello di Napoli, con sentenza emessa il 23.02.2017 ha analizzato rilevanti aspetti critici della disciplina del mandato di arresto europeo ed in particolar modo ha riscontrato la necessità di disapplicare due normative interne, quali l’art. 18 lettera p) della L. 69/05 espressamente intitolata “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri” e l’art. 13 lettera n) del d. lgs. 161/2010, contenente le disposizioni essenziali per conformare il diritto interno alla Decisione Quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione all’interno dell’ Unione europea.
La massima deducibile, in estrema sintesi, consente di mettere in luce come l’art. 4 della Decisione Quadro del 2002, al paragrafo 7, inquadra in termini di “potere” la decisione del giudice di merito di diniego di consegna del soggetto condannato, i cui motivi ostativi all’accoglimento della richiesta sono poi ripresi all’art. 18 lettera p) della legge italiana 69/05. Tra questi, in particolare, viene enuncleata l’ipotesi in cui, come nel caso di specie, secondo la legge dello stato d’esecuzione, il reato sia commesso in parte nel suo territorio e pertanto vi sarebbe il potere (secondo la normativa comunitaria) / il dovere (in applicazione della disciplina nazionale) di rifiutarsi di dare esecuzione al mandato di arresto europeo. La norma eurounitaria prevede quindi una facoltà, contrariamente a quella interna che qualifica in termini di obbligatorietà il rigetto da parte della Corte in presenza di tale presupposto. A ben vedere, però, la prima norma osta di fatto all’attuazione della seconda, in quanto direttamente applicabile agli stati membri. A riprova di ciò si evidenzia come la L. 69/05 è norma di conformazione del diritto nazionale alla disciplina comunitaria suddetta, a suffragio, quindi, dell’efficacia diretta della disposizione europea. Stante l’insanabilità del contrasto e, in concreto, l’assenza di un valido presupposto che consenta l’azionabilità della cd. teoria dei contro limiti e la ricorribilità dinanzi alla Corte Costituzionale, non risulta altra strada percorribile se non quella della disapplicazione della disciplina nostrana.
La Corte d’Appello di Napoli ha, infatti, rifiutato la consegna di un cittadino italiano avanzata attraverso MAE dalle competenti autorità dello Stato della Romania. Ha disposto che l’esecuzione della sentenza penale definitiva straniera che condanna l’imputato alla pena di anni 4 di reclusione venga eseguita in Italia, conformemente al proprio diritto interno, giacché parte della condotta criminosa è stata tenuta sul territorio nazionale.
Sulla base di una sostanziale simmetria logico procedimentale la Corte è giunta alle medesime conclusioni e alla consequenziale disapplicazione anche dell’art. 13 lettera n) del d. lgs. 161/2010 con il quale si dispone il dovere di rifiuto della Corte d’Appello del riconoscimento di una sentenza di condanna straniera in quei casi in cui il reato sia, secondo la legge interna, commesso in tutto o in parte nel territorio dello stato di esecuzione, diversamente dalla determinazione in senso contrario statuita nell’art. 9 lettera l) della decisione quadro 2008/909, che si esprime anche qui in termini di semplice potere e non di dovere.