Home Approfondimenti Il tertium genus è costituzionalmente riconosciuto? Sollevata questione di legittimità costituzionale circa...

Il tertium genus è costituzionalmente riconosciuto? Sollevata questione di legittimità costituzionale circa il mutamento di sesso senza intervento chirurgico.

5733
0
CONDIVIDI
Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Il tertium genus è costituzionalmente riconosciuto? Sollevata questione di legittimità costituzionale circa il mutamento di sesso senza intervento chirurgico. 

Il Tribunale di Avezzano in composizione collegiale (Presidente Relatore Dott. Eugenio Forgillo, Giudice Dott. A. Dell’Orso, Giudice Dott. F. Lupia), nell’esaminare una domanda di rettificazione di attribuzione di sesso senza intervento chirurgico, con ordinanza del 12.01.2017 emessa nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 1679/2015, solleva questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale dell’art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, come interpretato dalla Corte di Cassazione nella decisione n. 15138/2015 e dalla Corte Costituzionale nelle decisioni n. 221/2015 e n. 161/1985 nella parte in cui, pur escludendo la necessità di interventi chirurgici anche ricostruttivi dei caratteri sessuali primari, prevede la riconducibilità al genere opposto in mancanza di caratteri sessuali primari corrispondenti, pur nominalmente ripudiando il fenomeno del transessualismo, così di fatto prevedendo un adeguamento da parte della società dai contorni incerti rispetto alla maggioranza dei consociati, con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3 Cost..

La questione assume rilevanza poiché, non essendovi altra soluzione costituzionalmente compatibile, l’unica praticabile apparirebbe una pronunzia di costituzionalità che affermi direttamente il riconoscimento del tertium genus o, comunque, il buon diritto del mutato di genere senza cambiamento dei caratteri sessuali primari ad ottenere prestazioni o riconoscimenti dalla società indipendentemente dai caratteri sessuali primari, sol perché la sua scelta è assolutamente prevalente rispetto a tutti gli altri valori coinvolti.

In questa materia negli ultimi anni vi è stata un’evoluzione giurisprudenziale che ha portato alle decisioni della Corte di Cassazione n. 15138/2015 e della Corte Costituzionale n. 221/2015 e n. 161 del 1985. Le quali, però, non risolvono definitivamente la complessa questione. Sino ad un recente passato la gran parte della giurisprudenza, sulla base della constatazione che in biologia si distinguono i caratteri sessuali primari dai secondari, la rettificazione del sesso veniva concessa solo se il richiedente avesse dimostrato l’intervenuta modificazione dei caratteri sessuali “primari” mediante intervento medico-chirurgico di ablazione e ricostruzione degli organi genitali e riproduttivi ovvero la disponibilità ad eseguirli previa autorizzazione del tribunale. La giurisprudenza più recente, invece, si riassume nel seguente principio: «ai fini della rettificazione anagrafica del sesso (nella specie, da maschio a femmina), non è necessario un previo intervento chirurgico demolitivo e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, allorché vi sia stato l’adeguamento dei caratteri sessuali secondari estetico-somatici e ormonali e sia stata accertata (tenuto conto dell’interesse pubblico alla certezza degli stati giuridici) l’irreversibilità, anche psicologica, della scelta di mutamento del sesso da parte dell’istante» (Cass. n.15138/2015).

In particolare, l’interpretazione data dalle giurisdizioni superiori fonda la lettura costituzionalmente orientata sulla massima espressione del diritto all’identità personale in correlazione col diritto alla salute, senza (quasi) occuparsi della rilevanza sociale del mutamento di sesso.

Secondo la sentenza della Cassazione n. 15138/2015, infatti, come evidenzia il Tribunale di Avezzano, il mutamento del sesso è una questione attinente ai diritti fondamentali della persona: se nessuno può essere sottoposto a un intervento chirurgico senza il proprio consenso, allora nessuno può essere costretto a subire un intervento ove esso si riveli non necessario, inutile o dannoso, previo accertamento medico svolto tramite perizia sul diretto interessato.

La decisione della Corte, avallata da ampi riferimenti normativi europei e decisioni autorevoli di altri Stati, fonda il proprio convincimento sulla necessità che il giudice accerti con rigore l’avvenuta modificazione delle caratteristiche sessuali del soggetto, pur senza intervento agli organi primari, in un contesto di profonde modificazioni degli organi sessuali secondari. La Corte, però, non si occupa direttamente né del rapporto con la collettività e neppure approfonditamente su cosa debba intendersi per organi sessuali primari e secondari, perché nel caso da esaminare dette questioni non venivano in rilievo.

La Corte Costituzionale (nella decisione n. 161/1985), solo marginalmente ebbe ad occuparsi della rilevanza “sociale” dell’effetto del cambiamento del sesso (allora dato per scontato susseguente all’operazione chirurgica), argomentando in tal modo: «Non si vede, infatti, quale possa essere il diritto fondamentale della persona che viene offeso quando un soggetto entra in rapporto con il transessuale che abbia vista riconosciuta la propria identità e conquistato ‐ per quanto possibile ‐ uno stato di benessere in cui consiste la salute; bene, quest’ultimo che la Costituzione, come si è ricordato, considera “interesse della collettività».

Sempre la Corte Costituzionale (sent. 221/2015), poi, asserisce che “Il trattamento medico-chirurgico sarebbe, infatti, necessario solo nel caso in cui occorra assicurare al soggetto transessuale uno stabile equilibrio psicofisico, ossia laddove la discrepanza tra il sesso anatomico e la psicosessualità determini un atteggiamento conflittuale di rifiuto dei propri organi sessuali. Viceversa, laddove non sussista tale conflittualità, l’intervento chirurgico non sarebbe necessario”.

Secondo la Corte Costituzionale in questa prospettiva va letto anche il riferimento, contenuto nell’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, alla eventualità («Quando risulta necessario») del trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali; in tale disposizione, infatti – secondo la Corte – lo stesso legislatore ribadisce, a distanza di quasi trenta anni dall’introduzione della legge n. 164 del 1982, di volere lasciare all’apprezzamento del giudice, nell’ambito del procedimento di autorizzazione all’intervento chirurgico, l’effettiva necessità dello stesso, in relazione alle specificità del caso concreto. Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute.

A seguito dei suddetti autorevoli interventi, però, la giurisprudenza di merito sembra aver interpretato in modo largheggiante gli interventi suddetti, come analizzato dal Tribunale di Avezzano, trovandosi imbrigliata in una questione di non poco conto, da un lato non potendo costringere il richiedente ad un qualsiasi tipo d’intervento chirurgico per non violare il dictum del giudice delle leggi, dall’altra messa nella pericolosa prospettiva di finire per far rientrare dalla finestra ciò che la Cassazione aveva testualmente escluso, e cioè che si potesse dare ingresso all’identità del tertium genus, di fatto così conclamata valorizzando il solo dato psicologico dell’istante.

Il collegio giudicante individua, poi, le criticità delle decisioni della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale evidenziate nel corpo dell’ordinanza, suddividendole in mancata attenzione verso l’aspetto relazionale, limiti oggettivi delle conclusioni dell’interpretazione evolutiva, rilevanza sociale e rilevanza sociale specifica.

Quindi, dopo aver analizzato approfonditamente tutti quanti gli aspetti, sulla base degli esiti degli accertamenti svolti, i giudici, nel caso oggetto della decisione, ritengono che le “conclusioni non solo non esprimono un definitivo irreversibile cambiamento di genere, legittimando, se ammesse il pieno riconoscimento del transgender che proprio la Cassazione ha escluso come tertium genus, per quanto comporterebbe, quale implicita conclusione, un’analisi solo delle caratteristiche psichiche del soggetto agente, restando molto sfumate le identità sessuali secondarie di cui pur si dovrebbe tener conto”.

Se così fosse, conclude il Tribunale di Avezzano, non vi sarebbe nessuna persistente ragione per mantenere la separazione uomini/donne riscontrabile in tante attività della vita quotidiana, dovendosi, per gli stessi principi d’uguaglianza e rispetto dell’individualità, assecondare qualsiasi richiesta di frequentazione di reparto opposto quante volte il soggetto dichiari di trovarsi meglio altrove. A ben vedere, attraverso opzioni tautologiche di scarso rilievo scientifico, si finirebbe per dare piena legittimazione al transessualismo pur negato dalla Corte di Cassazione nelle sue forme “ibride”.

Il rischio, quindi, sarebbe quello di creare diseguaglianze, per così dire, al contrario, laddove, potrebbe risultare violato: l’art. 2 cost., nella parte in cui la valorizzazione dei diritti del singolo non collimerebbe con i doveri inderogabili di solidarietà sociale, cui lo stesso deve pur attenersi; l’art. 3, primo comma, cost., se inteso nel senso che il diritto del transgender ad ottenere pieno riconoscimento del genere diverso da quello di nascita è prevalente su quello della gran parte dei consociati a conservare il pieno duopolio uomo / donna; l’art. 3, secondo comma, cost., se inteso nel senso che il pieno riconoscimento alla mutazione di sesso implichi che la società debba adeguarsi alla sua estrinsecazione anche verso minori, lavoratori, istituzioni imponendo loro comunque un mutamento dei tradizionali valori comunemente accettati, tesi a superare la rigida dicotomia tra uomo e donna, con conseguenti adeguamenti tali da imporre, alternativamente, o la valorizzazione del solo dato cartolare conseguente ovvero, il dispiegamento di risorse umane ed economiche per superare la transizione e, quindi, attrezzare percorsi strutturali e metodologie per il trattamento conseguente.

Pertanto il Tribunale di Avezzano, qualora il contesto normativo dovesse interpretarsi nella più favorevole misura della valorizzazione dell’interesse individuale, ritiene che la questione di costituzionalità appare rilevante e non manifestamente infondata in quanto dirimente nel caso in esame, poiché, se, invero, il corpus normativo dovesse interpretarsi nel senso proposto dal ricorrente ed in qualche misura avallato da alcuni passi delle decisioni indicate, evidentemente dovrebbe porsi il problema della comparazione con gli altri valori di pari rilievo evidenziati.