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Processo verbale di constatazione, è compito dell’Ufficio di produrlo in giudizio

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Processo verbale di constatazione, è compito dell’Ufficio di produrlo in giudizio.

In presenza di un avviso di accertamento che richiami espressamente elementi di indagine ricavati da verifiche operate dalla Guardia di Finanza ed a fronte delle contestazioni mosse dal contribuente circa l’attendibilità dei relativi esiti, l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’Amministrazione Finanziaria, che avrà il compito di produrre in giudizio il PVC su cui si fonda la pretesa a carico del contribuente (Cass. n. 955 del 2016; cfr. anche Cass. nn. 21509 del 2010, 1946 del 2012)”.

Il contribuente impugnava gli avvisi di accertamento scaturiti dalla predetta verifica fiscale dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, che accoglieva il ricorso.

L’Amministrazione finanziaria proponeva appello avverso la predetta sentenza dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, affermando la legittimità degli avvisi di accertamento, non avendo il contribuente prodotto in giudizio il processo verbale di constatazione più volte richiamato per difendersi nel merito della questione. In appello, il Giudice ribaltava la sentenza di primo grado, rigettando sia l’eccezione accolta dalla Commissione di primo grado, con effetto assorbente di ogni altra questione, di difetto di legittimazione del soggetto che aveva sottoscritto gli avvisi di accertamento (in mancanza di prova di delega e del possesso della qualifica dirigenziale), in quanto solo dedotta ma non provata, sia quella di vizio di motivazione degli atti impugnati, poiché essi avevano posto il contribuente in grado di conoscere il fondamento della pretesa e di esercitare il diritto di difesa;

Nel merito, ha ritenuto che il contribuente aveva sviluppato propri conteggi e formulato varie ipotesi, richiamando più volte i documenti allegati al PVC o il contenuto di alcune pagine del PVC stesso, ma quest’ultimo non risulta allegato agli atti, in quanto non prodotto dal contribuente, per cui il Collegio non era in grado di verificare la correttezza e fondatezza delle osservazioni esposte.

Il contribuente, proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la quale, in accoglimento degli appelli riuniti proposti dall’Ufficio, è stata affermata la legittimità degli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente, esercente attività di produzione di imballaggi in legno, a titolo di IRPEF, IVA ed IRAP in relazione agli anni 2005 e 2006.

Bisogna ricordare che la stessa Amministrazione Finanziaria, nella Circolare n. 10/E del 13 marzo 2006, invitava gli uffici a prestare la massima attenzione affinché gli atti, i fatti e i comportamenti assunti nel processo tributario siano debitamente documentati. Ciò conduce a ritenere plausibile, che all’ipotesi processuale della mancata produzione del p.v.c. fosse applicabile l’art. 210 del c.p.c., norma che consente, “negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’art. 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o ad un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”.

La Corte Suprema, con sentenza del 15 febbraio 2017, n. 3978, ha innanzitutto ribadito, ancora una volta, il principio cardine in tema di distribuzione dell’onere della prova, secondo cui trova applicazione, anche nel processo tributario, l’articolo 2697 cod. civ. con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. In presenza di un avviso di accertamento che espressamente riconduce ad elementi di indagine ricavati dalle verifiche operate dalla Guardia di Finanza ed a fronte delle contestazioni mosse dal contribuente circa l’attendibilità del relativi esiti, “l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’Amministrazione finanziaria e non può prescindere dalla produzione in giudizio del processo verbale di constatazione, non spetta al contribuente produrre in giudizio il processo verbale di constatazione, ancorché questi lo richiami più volte nei propri scritti difensivi per difendersi nel merito della questione”.

In virtù di tali motivazioni, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso introduttivo del contribuente.

 

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2017, n. 3978

 

Ritenuto in fatto

 

  1. G. O. ha proposto ricorso per cassazione (r.g.n. 5109 del 2012) avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento degli appelli riuniti proposti dall’Ufficio, è stata affermata la legittimità degli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente, esercente attività di produzione di imballaggi in legno, a titolo di IRPEF, IVA ed IRAP in relazione agli anni 2005 e 2006.

 

Il giudice d’appello, per quanto qui ancora rileva, in primo luogo ha rigettato sia l’eccezione dell’O. – accolta dal giudice di primo grado, con effetto assorbente di ogni altra questione – di difetto di legittimazione del soggetto che aveva sottoscritto gli avvisi di accertamento (in mancanza di prova di delega e del possesso della qualifica dirigenziale), in quanto solo dedotta ma non provata, sia quella di vizio di motivazione degli atti impugnati, poiché essi avevano posto il contribuente in grado di conoscere il fondamento della pretesa e di esercitare il diritto di difesa; nel merito, ha ritenuto che il contribuente aveva “sviluppato propri conteggi e formulato varie ipotesi su una serie di variabili, richiamando più volte i documenti allegati al p.v.c. (….) o il contenuto di alcune pagine del p.v.c.”, ma quest’ultimo “non risulta agli atti, in quanto non prodotto dal contribuente”, per cui il Collegio non era in grado di verificare la correttezza e fondatezza delle osservazioni esposte.

 

  1. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

 

  1. Con decreto presidenziale n. 20044 del 2012, depositato il 15 novembre 2012, è stata dichiarata, su istanza dell’Agenzia delle entrate, l’estinzione del processo, con compensazione delle spese, a seguito di definizione della lite, ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011 (convertito dalla legge n. 111 del 2011).

 

4.1. Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 391 -bis cod. proc. civ. (r.g.n. 6623 del 2013), l’Agenzia delle Entrate ha chiesto la revocazione per errore di fatto del predetto decreto, in quanto riferito all’intero processo anziché alla sola annualità 2005, cui si riferiva l’istanza di condono.

 

Il contribuente ha resistito con controricorso.

 

4.2. Con ordinanza n. 18290 del 2013, depositata il 30 luglio 2013, questa Corte, riunito il ricorso n. 6623/13 al ricorso n. 5109/12, ha confermato il decreto n. 20042/12 “limitatamente al contenzioso relativo all’anno 2006”, lo ha revocato nel resto e ha rinviato la causa a nuovo ruolo per l’ulteriore esame.

 

4.3. A seguito di istanza di correzione di errore materiale proposta dall’Agenzia delle Entrate, questa Corte, con ordinanza n. 12740 del 2014, depositata il 5 giugno 2014, ha disposto la sostituzione, nel dispositivo dell’ordinanza n. 18290/13, dell’indicazione dell’anno 2006, errata, con quella, corretta, dell’anno 2005.

 

Considerato in diritto

 

  1. I ricorsi sono già stati riuniti con la citata ordinanza n. 18290 del 2013.

 

  1. In relazione al ricorso n. 6623 del 2013, deve essere dichiarata, in base al decreto presidenziale n. 20044 del 2012, come successivamente emendato, l’estinzione del processo limitatamente all’anno d’imposta 2005, con compensazione delle spese.

 

3.1. Va, quindi, esaminato il ricorso n. 5109 del 2012, nella parte concernente l’anno 2006.

 

3.2. Con il primo motivo, denunciando, fra l’altro, la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 7 della legge n. 212 del 2000 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, il ricorrente censura la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della violazione del giudicato interno, in relazione alla questione concernente l’esistenza della delega, e la spettanza del relativo onere probatorio, in capo al soggetto – diverso dal capo dell’ufficio – che ha sottoscritto l’avviso di accertamento.

 

Premesso che l’eccezione di giudicato interno è inammissibile per difetto di specificità, non avendo il ricorrente riportato il contenuto del ricorso in appello dell’ufficio, il motivo è infondato nei sensi di seguito esposti.

 

È esatto che, in caso di contestazione, l’onere della prova dell’esistenza della delega del capo dell’ufficio in favore del sottoscrittore (impiegato della carriera direttiva) dell’atto impositivo spetta all’Amministrazione (Cass. nn. 17044 del 2013, 18758 del 2014, 22800 del 2015, 9736 e 12781 del 2016), ma detta prova non deve necessariamente essere fornita sin dal primo grado, poiché si tratta di provvedimento che non attiene alla legittimazione processuale, avendo l’avviso d’accertamento natura sostanziale (Cass. nn. 17044 del 2013 e 12781 del 2016 citt.): e nella fattispecie è pacifico che la delega è stata prodotta nel giudizio di primo grado, sia pure non al momento della costituzione in giudizio dell’Ufficio, bensì all’udienza di discussione.

 

3.3. Per ragioni di priorità logico-giuridica va ora esaminato il sesto motivo (connesso al primo), relativo alla eccepita carenza di prova del possesso della qualifica dirigenziale in capo al sottoscrittore dell’avviso.

 

Il motivo è infondato, poiché per “impiegato della carriera direttiva” deve intendersi, secondo la classificazione prevista dal c.c.n.l. del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, un funzionario di terza area, del quale non è richiesta la qualifica di dirigente (Cass. nn. 22800 e 22810 del 2015).

 

3.4. Con il secondo motivo, è denunciata la violazione dell’art. 2697 cod. civ. per avere il giudice d’appello invertito l’onere della prova, là dove, nell’esaminare le censure attinenti al merito della pretesa tributaria, le ha rigettate sulla base del rilievo della mancata produzione in giudizio, da parte del contribuente, del processo verbale di constatazione, così da non consentire di valutarne la fondatezza.

 

Il motivo è fondato.

 

E’ stato di recente ribadito il principio in virtù del quale anche nel processo tributario vale la regola generale in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 cod. civ. e, pertanto, in applicazione della stessa, l’amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa: in presenza, quindi, di un avviso di accertamento che richiami espressamente elementi di indagine ricavati da verifiche operate dalla Guardia di finanza ed a fronte delle contestazioni mosse dal contribuente circa l’attendibilità dei relativi esiti, l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’amministrazione finanziaria e non può prescindere dalla produzione in giudizio del processo verbale di constatazione (Cass. n. 955 del 2016; cfr. anche Cass. nn. 21509 del 2010, 1946 del 2012).

 

3.5. Resta assorbita ogni altra censura.

 

3.6. In conclusione, quanto all’anno d’imposta 2006, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettati il primo e il sesto, assorbiti i restanti; la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

 

3.6. Mentre le spese dei gradi di merito vanno compensate in considerazione dell’epoca in cui si è consolidata la citata giurisprudenza, quelle del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara estinto il processo in relazione all’anno d’imposta 2005 e compensa le spese.

 

Accoglie, in relazione all’anno d’imposta 2006, il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e il sesto, assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

 

Compensa le spese dei gradi di merito e condanna la controricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in €. 5000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.