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Il consenso alla diffusione della propria immagine è un negozio autonomo sempre revocabile.

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La Corte di Cassazione, sezione I civile, ha di recente affrontato il tema del diritto d’immagine e del consenso dell’interessato alla divulgazione della stessa.

Nel caso di specie la società SZ S.p.A. aveva utilizzato l’immagine dell’attrice V. per fini pubblicitari, senza però che ne sussistesse il consenso. Nel caso l’attrice aveva stipulato un contratto con la società RP per la divulgazione delle fotografie e dei ritratti che la raffiguravano; tale contratto permetteva, inoltre, alla società RP di cedere l’immagine anche a terzi, in questo caso la società SZ S.p.A.

Successivamente, la stessa V. aveva revocato il proprio consenso alla diffusione della propria immagine, recedendo dal contratto suindicato. La Suprema Corte, nell’affrontare la questione, ha sottolineato come, a norma dell’art. 10 c.c., nonché degli art. 96 e 97 della L. 663/1941 sul diritto d’autore, la divulgazione dell’immagine, senza il consenso dell’interessato, sia lecita solo se rispondente alle esigenze di pubblica informazione e non anche, come nel caso di specie, per fini pubblicitari, richiamando anche quanto affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, con riferimento all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU, 6.4.2010, n. 184/06, Saaristo e altri c. Finlandia; CEDU, 21.2.2002, n. 42409/98, Scȕssel c. Austria).

In relazione al consenso, la prima sezione ha poi osservato come esso costituisca un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto all’immagine in se, in quanto personalissimo ed inalienabile e che quindi non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l’esercizio di tale diritto. Tale consenso, pertanto, sebbene possa essere inserito in un contratto, resta tuttavia distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene, risultando, perciò, sempre revocabile, a prescindere dal termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e, quindi, non suscettibile di valutazione in termini economici del diritto in discussione.

Secondo la Corte quindi, nel caso in oggetto, il contratto autorizzativo doveva ritenersi del tutto privo di effetti, vista la prevalenza della revoca del negozio unilaterale di concessione del diritto all’utilizzo dell’immagine rispetto al vincolo contrattuale. Infine, veniva ribadito quanto previsto dall’art. 110 della L. 633/194 e cioè che “la trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere approvata per iscritto”, con la conseguenza che l’atto autorizzativo alla diffusione dell’immagine dell’attrice V., essendo intervenuto nei confronti della sola società RP e non anche nei confronti della SZ S.p.A., non poteva legittimare quest’ultima all’utilizzazione del ritratto e delle fotografie della V., essendo la stessa SZ S.p.A. terza rispetto a tale pattuizione, che costituiva, quindi, per detta società, nient’altro che una res inter alios acta, della quale la medesima non poteva in alcun modo giovarsi (art, 1372, co. 2, c.c.).

Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-01-2016, n. 1748

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15887/2014 proposto da:

V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NEMORENSE 15, presso l’avvocato RICCIO ANGELO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SEGAFREDO ZANETTI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. VESALIO, 22, presso l’avvocato ARNAUD FRANCESCO (STUDIO LEGALE IRTI), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MONICA MONTEFUSCO, BIANCA MARIA GIACO’, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 508/2013 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 27/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato RICCIO ANGELO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

uditi, per la controricorrente, gli Avvocati ARNAUD FRANCESCO e MONTEFUSCO MONICA che hanno chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

  1. Con atto di citazione notificato il 30.5.2008, V.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, la Segafredo Zanetti s.p.a., chiedendo accertarsi che detta società aveva utilizzato, ed utilizzava, l’immagine dell’attrice, senza o contro il consenso della medesima. La V. chiedeva, quindi, condannarsi la convenuta al risarcimento dei danni subiti, oltre alla rimozione ed alla distruzione di tutti i ritratti e le fotografie illecitamente utilizzati, ed alla pubblicazione dell’emananda sentenza su uno o più giornali a diffusione nazionale e locale.

1.1. La causa veniva definita con la pronuncia n. 508/2013, con la quale la domanda attorea veniva rigettata con compensazione delle spese di lite.

1.2. Il Tribunale riteneva, infatti, che l’uso delle immagini della V., effettuato dalla Segafredo Zanetti s.p.a. in Italia e all’estero, non fosse abusivo, per avere la medesima acconsentito espressamente alla divulgazione delle fotografie e dei ritratti con il contratto stipulato, in data 5.6.2000, con la società austriaca Rock & Partner, la quale – secondo il giudice di primo grado – avrebbe avuto, altresì, “la possibilità di cedere l’immagine anche a terzi”. La domanda di risarcimento danni sarebbe stata, dipoi, infondata – a giudizio del Tribunale – per difetto di prova del pregiudizio subito da parte dell’attrice.

  1. Avverso decisione di prime cure proponeva, quindi, appello la V., che veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello di Bologna, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., con ordinanza n. 1922/2014, depositata l’1.4.2014.
  2. Tale ordinanza e la sentenza di primo grado sono state, pertanto, entrambe impugnate con ricorso per cassazione da V.M. nei confronti della Segafredo Zanetti s.p.a., affidato a cinque motivi.
  3. La società resistente ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

  1. In via pregiudiziale, deve dichiararsi inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione proposto da V.M. nei confronti dell’ordinanza n. 1922/2014, resa dalla Corte di Appello di Bologna, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.. La ricorrente non muove, invero, censura alcuna in relazione a tale provvedimento, essendo i motivi di ricorso tutti incentrati sulla decisione n. 508/2013, con la quale il Tribunale di Bologna ha rigettato la domanda proposta in giudizio dalla V..
  2. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo, secondo e quinto motivo dei ricorso proposto avverso la decisione di prime cure – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – V.M. denuncia la violazione degli artt. 2 e 117 Cost., art. 8 CEDU, artt. 10, 1372, 1373, 1418, 2043, 2059 e 2697 c.c., e L. n. 633 del 1941, art. 110, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.1. Si duole la ricorrente del fatto che il Tribunale – avverso la cui sentenza ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, essendo stato l’appello dichiarato inammissibile ex art. 348 bis c.p.c. – abbia erroneamente ritenuto che l’uso delle immagini della ricorrente, effettuato dalla Segafredo Zanetti s.p.a. in Italia ed all’estero, non fosse abusivo, per avere la medesima acconsentito espressamente alla divulgazione delle fotografie e dei ritratti che la raffiguravano con il contratto stipulato, in data 5.6.2000, con la società austriaca Rock &

Partner, la quale – stando all’impugnata sentenza – avrebbe avuto, altresì, “la possibilità di cedere l’immagine anche a terzi”.

Senonchè, rileva la V. che, in data 13.11.2007, la medesima aveva revocato il proprio consenso alla diffusione della propria immagine, recedendo dal contratto suindicato – stipulato, peraltro, senza l’indicazione di un termine di scadenza -, e diffidando la predetta società austriaca e la Segafredo Zanetti s.p.a. – la quale aveva intanto diffuso a scopo pubblicitario, pur senza averne titolo, le foto ed i ritratti della V. – a non utilizzare in alcun modo l’immagine dell’odierna ricorrente.

2.2. D’altro canto, la società resistente – la quale avrebbe continuato, nonostante la diffida, a diffondere le foto ed i ritratti della V. – non avrebbe, ad avviso della istante, in alcun modo dimostrato di essersi resa cessionaria dei diritti di utilizzazione dell’immagine della V., per averli acquistati dalla Rock &

Partner, o per avere altrimenti titolo ad avvalersene. La condotta posta in essere dalla Segafredo Zanetti s.p.a. integrerebbe, pertanto, un illecito, con conseguente diritto della ricorrente al risarcimento dei danni subiti.

2.3. Premesso quanto precede, va osservato che, a norma dell’art. 10 c.c., nonchè della L. n. 633 del 1941, artt. 96 e 97, sul diritto d’autore, la divulgazione dell’immagine, senza il consenso dell’interessato – il quale può, come ogni altra forma di consenso, essere condizionato da limiti soggettivi (in relazione ai soggetti in favore dei quali è prestato) od oggettivi (in riferimento alle modalità di divulgazione) – è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione (sia pure intesa in senso lato), non anche, pertanto, ove sia rivolta – come nel caso di specie – a fini pubblicitari (cfr. Cass. 1503/1993; 5175/1997;

8838/2007; 21995/2008).

2.4. In tal senso si è espressa, peraltro, anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) la quale, con riferimento all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ha osservato che la nozione di “vita privata” – enunciata nella norma succitata – è una nozione ampia, non soggetta a una definizione esaustiva, che comprende l’integrità fisica e morale della persona e può, quindi, includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo, come il nome o elementi che si riferiscono al diritto all’immagine. Tale nozione ricomprende, dunque, tutte le informazioni personali che un individuo può legittimamente aspettarsi non vengano pubblicate senza il suo consenso (CEDU, 6.4.2010, n. 184/06, Saaristo e altri c. Finlandia). La pubblicazione di una o più foto, pertanto, in quanto invade la vita privata di una determinata persona, anche se si tratta di un soggetto pubblico, non può essere effettuata senza il consenso della persona medesima (cfr. CEDU, 21.2.2002, n. 42409/98, Schussel c. Austria; CEDU, 24.6.2004, n. 59320/00, Von Hannover c. Germania; CEDU, 19.9.2013, n. 8772/10, Von Hannover c. Germania).

2.5. Ebbene, va osservato, al riguardo, che il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine, che in quanto tale non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l’esercizio di tale diritto. Il consenso in parola, pertanto, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, resta tuttavia distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene, con la conseguenza che esso è sempre revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e, quindi, non suscettibile di valutazione in termini economici rivestita dal diritto in discussione (Cass. 3014/2004).

2.6. Da tali premesse di principio discende che deve ritenersi errata, nel caso concreto, la decisione del Tribunale, laddove ha ritenuto che la divulgazione delle immagini della V. fosse da reputarsi lecita, stante il consenso manifestato dalla medesima con il contratto del 5.6.2000. Per intanto, va difatti rilevato che – essendo stato detto consenso alla diffusione della propria immagine revocato dalla V. in data 13.11.2007 – il contratto autorizzativo in questione è da ritenersi del tutto privo di effetti, stante la rilevata prevalenza che, rispetto al vincolo contrattuale, assume la revoca del negozio unilaterale di concessione del diritto all’utilizzo dell’immagine altrui. Nè coglie nel segno l’ulteriore assunto del giudice di merito, laddove ha aggiunto che, in ogni caso, dopo il 13.1.2007, l’utilizzo delle fotografie in questione, da parte della Segafredo Zanetti s.p.a. sarebbe avvenuta “per un periodo temporale limitato”, avendo la società provveduto a rimuovere le immagini della V. subito dopo l’introduzione del giudizio di primo grado. La stessa sentenza del Tribunale di Bologna evidenzia, infatti, che la società convenuta aveva effettivamente rimosso le foto esposte nel (OMISSIS) e nell’aeroporto (OMISSIS), ma che a tanto non aveva ancora provveduto – ancorchè si fosse impegnata a farlo – “anche con riguardo alle foto esposte negli aeroporti e Caffè internazionali”.

2.7. A quanto precede va, dipoi, soggiunto che, ai sensi dell’art. 110 della l. n. 633 del 1941, “la trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto”, al fine di dirimere i conflitti tra pretesi titolari del medesimo diritto di sfruttamento delle immagini (Cass. 10957/2010).

2.7.1. Orbene, con riferimento al caso di specie, va rilevato che il menzionato contratto del 5.6.2000 non è affatto intercorso tra la V. e la Segafredo Zanetti s.p.a., bensì tra la prima e la società austriaca Rock & Partner. Sicchè è del tutto evidente che l’atto autorizzativo alla diffusione dell’immagine della ricorrente, quand’anche – in via di mera ipotesi – fosse da considerarsi ancora valido ed efficace, non potrebbe comunque legittimare l’utilizzazione del ritratto e delle fotografie della V. da parte della Segafredo Zanetti s.p.a., essendo quest’ultima terza rispetto a tale pattuizione, costituente per detta società niente altro che una res inter alios acta, della quale la medesima non può, pertanto, in alcun modo giovarsi, atteso il disposto dell’art. 1372 c.c., comma 2.

2.7.2. Nè l’odierna resistente ha in alcun modo dimostrato di essere divenuta titolare del diritto di utilizzazione dell’immagine della V., per intervenuta cessione di tale diritto in suo favore.

Dalla stessa impugnata sentenza si evince, infatti, che la società convenuta non ha esibito i pretesi contratti di cessione dei diritti di utilizzazione delle immagini della V. – ai fini della prova della trasmissione di tali diritti che, come dianzi detto, va data per iscritto L. n. 633 del 1941, ex art. 110, – neppure a seguito dell’ordine di esibizione emesso dal Tribunale ai sensi dell’art. 210 c.p.c..

2.8. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, le censure in esame devono essere accolte.

  1. Con il terzo motivo di ricorso, V.M. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.1. La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia, da parte del Tribunale, sulla domanda di rimozione o distruzione dei ritratti e delle fotografie pubblicate, nonchè di pubblicazione della sentenza di condanna mediante iscrizione per estratto su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale.

3.2. Il motivo è infondato.

3.2.1. Non è configurabile, infatti, il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perchè indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico – giuridico, decisa e disattesa dai giudicante (Cass. 19131/2004; 17580/2014).

3.2.2. Ebbene, nel caso concreto, il Tribunale ha implicitamente rigettato le domande accessorie in questione, avendo disatteso la domanda principale della V., sul presupposto – sebbene erroneo – della non abusività della diffusione delle sue fotografie. Per cui la denunciata omissione di pronuncia non può essere ritenuta sussistente.

3.3. Il mezzo va, di conseguenza, rigettato.

  1. L’accoglimento del primo, secondo e quinto motivo di ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Bologna in diversa composizione, per nuovo esame della controversia. A tal fine, il giudice di rinvio si atterrà ai seguenti principi di diritto: “a norma dell’art. 10 c.c., nonchè della L. n. 633 del 1941, artt. 96 e 97, sul diritto d’autore, la divulgazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione, non anche, pertanto, ove sia rivolta a fini pubblicitari; il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine, ma soltanto l’esercizio di tale diritto e, pertanto, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, tale consenso resta distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene, con la conseguenza che esso è sempre revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione; la trasmissione del diritto all’utilizzazione dell’immagine altrui va provata per iscritto, ai sensi della L. n. 633 del 1941, art. 110“.
  2. L’accoglimento delle suddette censure determina l’assorbimento del quarto motivo, con il quale la V. si duole del mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni subiti, per mancata prova degli stessi. La liquidazione di tali danni va demandata, invero, al Tribunale di Bologna in sede di rinvio, il quale provvederà in merito tenendo conto di quanto affermato da questa Corte circa la possibilità per la parte lesa di far valere, in ordine ai danni patrimoniali (conformemente ad un principio recepito dalla L. n. 633 del 1941, art. 128, novellato dal D.Lgs. n. 140 del 2006, applicabile alla specie “ratione temporis”), il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa. La stessa norma prevede, peraltro, anche il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali. (Cass. 12433/2008; 11353/2010).
  3. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione;

dichiara inammissibile il ricorso proposto avverso l’ordinanza n. 1922/2014 della Corte di Appello di Bologna; accoglie il primo, secondo, e quinto motivo del ricorso proposto avverso la sentenza n. 508/2013 del Tribunale di Bologna, rigettato il terzo ed assorbito il quarto; cassa l’impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Bologna in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2016