Nota a Tribunale di Napoli, Sezione II, 23 gennaio 2019, n. 821
Abstract
For the Court of Naples, Bankruptcy proceedings can intervene in the proceedings introduced pursuant to art. 2901 c.c. by the single creditor against the still in bonis bankruptcy, extending the effects of the action to protect the entire mass of creditors.
Keywords
revocatory action, intervention in the trial, bankruptcy
Abstract
Per il Tribunale di Napoli, la curatela fallimentare può intervenire nel giudizio promosso da un creditore contro il fallito ancora in bonis ex art.2901 c.c., estendendo gli effetti dell’azione a tutela dell’intera massa dei creditori.
Parole chiave
azione revocatoria, intervento nel giudizio, fallimento
azione revocatoria ordinaria – fallimento – intervento in giudizio – improcedibilità azione individuale
L’improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria, rilevabile d’ufficio, sussiste nell’ipotesi di sopravvenuto fallimento del debitore ed intervento in giudizio del curatore a tutela degli interessi della massa, che fa venir meno la legittimazione ed anche l’interesse del singolo creditore a stare in giudizio, escludendo il contestuale concorso delle due azioni. In questi casi la legittimazione a proseguire il giudizio spetta esclusivamente al curatore, il quale agisce quale sostituto processuale della massa dei creditori, per cui gli effetti dell’accoglimento della revocatoria sono destinati a prodursi non più ad esclusivo vantaggio del singolo creditore attore, ma in favore di tutti i creditori del fallito.
Tribunale di Napoli, Sezione II civile, 23 gennaio 2019, n. 821
Giudice Dott. ssa Fabiana Ucchiello
(Omissis)
il Banco P. s.c. agiva nel presente giudizio, al fine di sentire dichiarare l’inefficacia nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto istitutivo di trust, stipulato in data 24/11/2011, per notaio A.D.L.R., rep. n. xxxx, raccolta n. xxxx, con il quale la S.G. costituiva il x.&x. Trust, nominando trustee la M.&P.P.T. S.p.A., dotandolo dei beni immobili, così come indicati nell’atto di citazione, ed i cui beneficiari erano i figli G:, G. e G.G.
Si costituivano i convenuti S.G. e la M.&P.P.T. S.p.A., i quali chiedevano il rigetto delle domande attoree.
Con atto di intervento, depositato in data 10/4/2018, si costituiva il fallimento di G.S., chiedendo l’accoglimento della domanda revocatoria proposta dalla banca affinchè degli effetti derivanti dal suo accoglimento ne possa beneficiare l’attivo fallimentare ed, in sede di comparsa conclusionale, chiedeva, altresì, in via autonoma pronunciare la revocatoria dell’atto istitutivo di trust per cui è causa, con dichiarazione di inefficacia nei confronti dell’intervenuta curatela.
La causa veniva istruita documentalmente ed, all’udienza del 18/10/2018, alla presenza del solo difensore del fallimento intervenuto, veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
Deve, in primo luogo, dichiararsi l’improcedibilità della domanda proposta dalla banca attrice. Sul punto, la Suprema Corte ha affermato che “Il fallimento del debitore, pendendo il giudizio di revocatoria ordinaria promossa contro di lui dal creditore ex art. 2901 c.c., permette al curatore sia di subentrare nel relativo processo sia di proporre ex novo la medesima azione, ex art. 66 l. fall.; in entrambi i casi la legittimazione processuale dell’organo concorsuale è comunque esclusiva, non potendo cumularsi a quella del creditore singolare, data la finalità tipica ed essenziale dell’azione revocatoria, cioè consentire il soddisfacimento esecutivo, derivando da tale sbocco inevitabile la perdita di interesse attuale per il creditore. L’azione di quest’ultimo, se esercitata, diviene, dunque, improcedibile” (Cassazione civile sez. un., 17/12/2008, n.29420)
L’improcedibilità dell’azione ordinaria, rilevabile d’ufficio, sussiste, quindi, nell’ipotesi di azione revocatoria ordinaria, di sopravvenuto fallimento del debitore ed intervento in giudizio del curatore a tutela degli interessi della massa che fa venir meno la legittimazione ed anche l’interesse dell’attore a stare in giudizio, escludendo il contestuale concorso delle due azioni. In questi casi la legittimazione a proseguire il giudizio spetta esclusivamente al curatore, il quale agisce quale sostituto processuale della massa dei creditori, per cui gli effetti dell’accoglimento della revocatoria sono destinati a prodursi non più ad esclusivo vantaggio del singolo creditore attore, ma in favore di tutti i creditori del fallito. Dunque, nel caso di concorso tra l’azione intrapresa dal curatore con quella intrapresa dal singolo creditore, e nell’ipotesi del fallimento sopravvenuto quando l’azione revocatoria ordinaria sia stata già introdotta dal creditore singolo e sia tuttora pendente, la Suprema Corte riconosce senz’altro al curatore – oltre alla possibilità di intraprendere ex novo l’azione revocatoria ordinaria – anche la possibilità di proseguire il giudizio intrapreso dal singolo creditore, con un’inevitabile modifica oggettiva dei termini della questione, in quanto la domanda di inopponibilità dell’atto di disposizione, che avrebbe dovuto giovare al singolo creditore, va in realtà a vantaggio di tutti i creditori. Altrimenti si rischierebbe di vanificare, senza un giustificato motivo, quell’esigenza di rapidità ed economicità dei giudizi che trova conferma nel principio costituzionale della ragionevole durata dei processi
In virtù di tale principio costituzionale, la Suprema Corte richiama la necessità di privilegiare soluzioni che evitino l’inutile dispersione di attività processuale, e puntualizza che, qualora il curatore subentri al creditore singolo nell’azione revocatoria ordinaria, assume in sua vece la posizione dell’attore, restando l’interesse del singolo creditore assorbito da quello della massa dei creditori. Quindi, una volta che sia avvenuto il subentro del curatore nella medesima azione revocatoria già proposta dal singolo creditore, trattandosi di un’unica azione, non si può ammettere che le due legittimazioni possano coesistere. E il maggior ostacolo ad ammettere la possibile coesistenza delle due azioni si rinviene nella finalità stessa dell’azione revocatoria ordinaria, che è quella di consentire il soddisfacimento esecutivo del creditore sul bene del quale il debitore si era spogliato. E anche la modalità di soddisfazione delle ragioni del terzo contraente – sottolinea la Corte – mutano per effetto del sopravvenuto fallimento, in quanto esse non possono più essere disciplinate in termini di postergazione, ex art. 2902, 2° co., c.c., ma seguono la regola del concorso.
Nel caso in esame, l’intervento del fallimento non comporta alcun mutamento né del petitum né della causa petendi, e, dunque, tenuto conto della domanda proposta dalla banca, devono ritenersi sussistenti i presupposti per la dichiarazione di inefficacia, ex art. 2901 c.c., dell’atto dispositivo del trust, stipulato in data 24/11/2011. In via preliminare, devono rigettarsi le eccezioni sollevate dalle parti convenute costituite per carenza dei relativi presupposti. In ordine al difetto di giurisdizione, si rileva che l’art. 32 dell’atto istitutivo del trust per cui è causa, invero, prevede che le controversie relative alla validità o agli effetti del trust sono sottoposte alla magistratura italiana.
Passando al merito, deve, in diritto, innanzitutto rilevarsi che le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria consistono nell’esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria e il debitore disponente, nell’effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell’atto traslativo, e nella ricorrenza, in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori (cfr., ex multiis, Cass. civ. sentenza n. 27718 del 16 dicembre 2005). Nel caso di specie, le risultanze istruttorie in atti depongono nel senso della piena fondatezza della domanda. In particolare, deve ritenersi sussistente il rapporto di credito a favore della Banca P. s. c. e contro G.S. poiché lo stesso risulta accertato dai decreti ingiuntivi n. xxx/2013 e n. xxx/2013 depositati dalla parte attrice.
Non rileva che si tratti di crediti litigiosi, ovvero sub iudice, in quanto non ancora oggetto di accertamento definitivo in sede giudiziale. Sul punto, giova osservare che, secondo la giurisprudenza della S.C., dalla quale il Tribunale non ritiene di doversi discostare, (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. un., sentenza n. 9440 del 18 maggio 2004), “poichè anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore, il giudizio promosso con l’indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 cod. proc. civ. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico – giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito“. Peraltro, occorre sottolineare che, successivamente, la Suprema Corte ha chiarito ulteriormente quanto affermato in tale pronuncia, sostenendo che “la pregiudizialità che rende necessaria la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., essendo soltanto quella che può dar luogo ad un contrasto tra giudicati, non è ravvisabile nei rapporti tra la domanda di accertamento del credito e l’azione di simulazione, nullità o revocatoria proposta dal creditore nei confronti dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale posto in essere dal debitore” (Cass. civ. sentenza n. 19492 del 6 ottobre 2005): in estrema sintesi, ciò che impone l’obbligo di sospendere il giudizio è una “pregiudizialità necessaria”, che nel caso in esame non si ravvisa perché non ricorre il rischio di un eventuale conflitto di giudicati (il mancato riconoscimento del credito, infatti, comporterebbe solo l’impossibilità di agire esecutivamente).
Ricorre, poi, il requisito del danno, arrecato dall’atto di disposizione alle ragioni di credito dell’attore. In proposito, giova premettere che è principio consolidato quello per cui il pregiudizio richiesto dall’art. 2901 c.c. non deve necessariamente consistere in un danno concreto ed effettivo, essendo invece sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto dispositivo, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del credito o da comprometterne la fruttuosità (cfr., in questi termini, Cass. civ. n. 15310/07, 2971/99, 7262/00).
Nel caso di specie, la sussistenza del requisito del quale si discorre è ampiamente comprovata dall’assenza di prova della proprietà, in capo alla debitrice fallita, di altri beni immobili utilmente aggredibili, da parte del creditore, ed è, quindi, indubbio ed incontestabile che la costituzione di un trust avente ad oggetto beni immobili costituisca un evidente rischio per i creditori. D’altronde, il pregiudizio (eventus damni), al quale fa riferimento l’art. 2901 c.c., va oltre il concetto di danno, per comprendere anche quello di semplice pericolo di danno (Cass. 02.04.2004, n. 6511; Cass. 15.06.1995, n. 6777).
La Suprema Corte ha evidenziato invero che interesse del creditore non è soltanto la conservazione della garanzia patrimoniale costituita dai beni del debitore, ma anche il mantenimento di uno stato di maggiore fruttuosità ed agevolezza dell’azione esecutiva susseguente all’utile esperimento della revocatoria, sicché il pregiudizio (eventus damni) può essere costituito finanche da una variazione (sia quantitativa, che qualitativa) del patrimonio del debitore, purché tale variazione comporti appunto una maggiore difficoltà od incertezza nella esazione coattiva del credito, oppure ne comprometta la fruttuosità (Cfr. Cass. Civ. 04.07.2006, n. 15265; Cass. Civ. 29.10.1999, n. 12144; Cass. Civ. 08.07.1998, n. 6676; Cass. Civ. 06.05.1998, n. 4578).
Relativamente al requisito soggettivo, giova, poi, anzitutto, rilevare che, nella specie, l’atto dispositivo posto in essere sia successivo al sorgere dei crediti. Invero, alla data dell’atto istitutivo del trust per cui è causa, 24/11/2011, già sussisteva il credito della banca attrice, in quanto lo stesso risulta fondato su contratti di conto corrente ed apertura di credito, nonché atti di fideiussione tutti stipulati anteriormente al novembre 2011. Sul punto, occorre considerare che, secondo un costante indirizzo interpretativo, il requisito dell’anteriorità del credito rispetto all’atto impugnato deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorge, e non in base al momento – eventualmente successivo – del suo accertamento giudiziale (cfr. Cass. 23 novembre 1985 n. 5624). Inoltre, in tema di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore, come nel caso di specie è la S., l’acquisto della qualità di debitore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito. Pertanto, prestata la fideiussione a garanzia di un credito preesistente, l’atto istitutivo del trust successivamente compiuto dal fideiussore è soggetto all’azione revocatoria in presenza soltanto del requisito soggettivo della scientia damni, cioè della consapevolezza, da parte del medesimo, di arrecare pregiudizio al creditore, e – trattandosi di atto non oneroso – senza che risulti neppure la consapevolezza del terzo; d’altra parte, la verifica dell’eventus damni deve essere compiuta con riferimento esclusivamente alla consistenza patrimoniale e alla solvibilità del fideiussore e non a quella del debitore garantito (cfr. Cass. Civ. n. 22465/06). L’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità. Pertanto, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse ad un’apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore (nella specie, la costituzione in trust degli unici beni immobili di sua proprietà) successivi all’apertura di credito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901 n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni”) e al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento; l’insorgenza del credito va infatti apprezzata con riferimento al momento dell’accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell’effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione (cfr. Cass. Civ. n. 25556/09). Peraltro, quanto al requisito soggettivo, giova precisare che in tema di revocatoria ordinaria, ai fini della configurabilità del “consilium fraudis” per gli atti di disposizione a titolo gratuito compiuti dal debitore successivamente al sorgere del credito – quali sono la donazione, il negozio costitutivo di un fondo patrimoniale e l’atto di conferimento di beni in trust -, non è necessaria l’intenzione di nuocere ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore stesso (e non anche del terzo beneficiario), del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni (cfr. Cass. Civ. n. 17867/07)
Nel caso di specie, la prova della scientia damni, in capo alla disponente, è chiaramente desumibile dal rilievo per cui la costituzione del trust ha interessato tutto il patrimonio immobiliare, del quale era titolare la convenuta S., poi fallita. Tanto, quindi, induce a ritenere sussistente, in capo ad essa, la piena consapevolezza di pregiudicare le ragioni creditorie dell’istante. Del resto, a fronte di tale specifica allegazione, operata dall’attrice, la convenuta non ha in alcun modo dedotto o provato la disponibilità, in capo alla stessa, di beni ulteriori, rispetto a quelli oggetto del menzionato atto dispositivo, idonei a garantire le ragioni di credito dell’odierna istante. Pertanto, sussistendone tutti i presupposti, in accoglimento della domanda del fallimento di G. S., deve essere dichiarata l’inefficacia, nei confronti del fallimento di G. S., dell’atto istitutivo di trust, stipulato in data 24/11/2011, per notaio A.D.R.R., rep. n. xxxx, raccolta n. xxxx. Infine, rileva il Tribunale che, in ragione dell’esito dell’azione avviata dalla banca attrice e della particolarità e novità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per disporre, rispetto a detta azione l’integrale compensazione delle spese di lite
Le spese processuali (omissis) P.Q.M. (omissis)
Nota a sentenza
Sommario
Premessa – 1. Azione revocatoria ex art.2901 c.c. nei confronti del trust immobiliare – 2. Intervento della curatela fallimentare nel procedimento – 3. La decisione
Premessa
Il Tribunale di Napoli ha affrontato l’azione revocatoria ex art.2901 c.c. di un trust immobiliare, introdotta da un istituto di credito nei confronti di un imprenditore, trovandosi a dover decidere sulla vicenda in seguito al fallimento del debitore ed all’intervento in giudizio della curatela fallimentare a tutela dell’intera massa dei creditori. Il Tribunale in sentenza ha ritenuto improcedibile l’azione del singolo creditore, accogliendo le conclusioni rassegnate dalla curatela fallimentare intervenuta in giudizio, di fatto assorbendo l’azione esperita dal creditore individuale in quella esperita dalla curatela fallimentare con l’intervento.
- Azione revocatoria ex art.2901 c.c. nei confronti del trust immobiliare
L’azione revocatoria ordinaria mira all’inefficacia nei confronti di un terzo del negozio giuridico concluso tra due o più parti. Pertanto, con l’accoglimento dell’azione, il Giudice interessato della controversia rende, di fatto, inopponibile alla parte vincitrice del giudizio il contratto stipulato in consilium fraudis.
Tale sorta di azione mira a tutelare il creditore nei confronti del debitore che abbia deciso di spogliarsi dei propri beni al fine di rendersi ‘inattaccabile’, con il chiaro intento di non adempiere alle proprie obbligazioni. La scientia damni da parte del debitore, oltre alla consapevolezza di compiere un atto in frode ai creditori, sono i presupposti fondamentali al fine di esperire un’azione che non mira alla restituzione del bene, bensì a rendere nei confronti del creditore frodato inefficace l’atto dispositivo.
Il credito per il quale si può ottenere tutela con l’azione revocatoria, seppure debba chiaramente essere dotato dei requisiti di astratta ed ipotetica sussistenza precedentemente all’inizio del giudizio. non deve essere certo, liquido ed esigibile al momento dell’instaurazione del giudizio ex art.2901 c.c., visto che, anche una mera potenzialità creditoria trova tutela nell’ammissibilità dell’azione. Sull’argomento è intervenuta a SSUU la Corte di Cassazione che ha evidenziato come anche il credito cd ‘litigioso’ possa essere tutelato mediante l’esperimento dell’azione revocatoria, tanto da non necessitare neppure di sospensione il giudizio di accertamento del predetto credito che avrà un iter completamente autonomo rispetto a quello sui presupposti della revocabilità di un negozio giuridico stipulato in consilium fraudis[1]. Non di rado, proprio in materia fallimentare, si assiste alla proposizione contemporanea dell’azione di responsabilità ex art.146 lf nei confronti degli amministratori e di separata azione revocatoria, nei confronti dei medesimi, che mira all’inefficacia nei confronti del fallimento degli atti dispositivi del trasferimento di beni immobili personali di coloro i quali potrebbero essere stati gli artefici di comportamenti fraudolenti o irresponsabili.
Il negozio giuridico impugnato pertanto, nel caso di accoglimento dell’azione revocatoria, diviene inefficace nei confronti del soggetto che ha ottenuto ragione in giudizio nei cui confronti, pertanto, gli effetti del contratto non saranno opponibili.
Nella fattispecie del trust immobiliare, la particolarità è dettata dalle caratteristiche dell’istituto che, nel nostro ordinamento, trova una disciplina relativamente recente e sulla ‘falsa riga’ del fondo patrimoniale[2]. Senza ulteriormente dilungarsi in aspetti che non riguardano la sentenza in commento, ad ogni modo, la giurisprudenza di legittimità e di merito, ha sancito, nel corso degli anni, definitivamente la revocabilità del trust, laddove, il conferimento dei beni immobili ad un terzo – che nella fattispecie avviene a titolo gratuito, seppure non configurandosi una donazione vista la futura plausibile retrocessione dei beni conferiti – venga effettuato successivamente all’insorgere di posizioni debitorie in capo al disponente, quando detta trasposizione renda il convenuto debitore inattaccabile dai creditori, che non avrebbero altri beni sui quali poter trovare soddisfazione[3].
In tal caso l’azione del creditore è soggetta ad un termine prescrizionale di cinque anni che decorreranno dall’atto dispositivo dei beni.
- Intervento della curatela fallimentare nel procedimento ex art. 2901 c.c. Legittimazione e posizione processuale del fallimento
Nella vicenda che ci occupa, l’istituto bancario aveva agito in revocatoria del trust immobiliare, istituito su richiesta di un soggetto che, dopo la concessione di credito da parte della banca, era rimasto inadempiente al finanziamento chirografaro. Il debitore aveva conferito in trust i propri beni immobili, rimanendo di fatto, privo di beni attaccabili dai creditori: a quel punto, l’istituto bancario, nel rispetto dei termini di prescrizione dell’azione, agiva in giudizio ex art. 2901 c.c., al fine di rendere nei suoi confronti inefficace il conferimento dei beni in trust.
Nelle more del procedimento giudiziario, il debitore veniva assoggettato a procedura concorsuale, tanto che la curatela fallimentare, in seguito ad un’analisi dei contenziosi in corso e dello squilibrio tra attivo (insussistente o comunque insufficiente rispetto al passivo accertato) e passivo fallimentare, decideva di intervenire nel procedimento instaurato dall’istituto bancario.
L’intervento, inizialmente definito dal Tribunale come adesivo [4]alle prospettazioni dell’istituto bancario si rivelava, proceduralmente, giustificato da ragioni proprie avanzate dalla curatela che, quindi, interveniva, in virtù del potere di sostituzione processuale del curatore rispetto ai creditori insinuati, quale soggetto in litisconsorzio volontario con parte attrice. Di qui la definizione che si ritiene di dover fornire di intervento litisconsortile volontario.
Lo stesso Tribunale, in sentenza, ha chiarito come, per quanto la curatela sia intervenuta in adesione alle prospettazioni di parte attrice e contro i convenuti, nella fase conclusionale la stessa abbia evidenziato delle autonome ragioni di intervento, estendendone quindi la portata[5].
- La decisione
La sentenza resa dal Tribunale di Napoli affronta sinteticamente e contemporaneamente con dovizie di particolari, il delicato tema dell’intervento della curatela fallimentare in un giudizio introdotto ex art.2901 c.c. da un creditore dell’imprenditore quando quest’ultimo era ancora in bonis.
Il Tribunale chiarisce come, processualmente, l’azione introdotta da parte del singolo creditore nei confronti del debitore, in seguito al fallimento e successivo intervento del curatore in quel giudizio contro il debitore (fallito), divenga improcedibile perché assorbita nella più ampia azione a tutela dell’intera massa dei creditori.
Il tribunale ritiene ammissibile l’intervento della curatela a tutela dell’intera massa dei creditori in considerazione del rapporto di sostituzione processuale ex lege che opera nel caso di apertura della procedura concorsuale. Su quale tipologia di intervento esso rappresenti, poi, si può affermare che, per quanto processualmente sia vicino alla tipologia dell’adesivo alle prospettazioni attoree, in realtà l’intervento spiegato sia qualificabile come litisconsortile, dal momento che per quanto il fallimento sposi completamente le prospettazioni attoree contro il trustee e contro il fallito, in realtà, ne estende gli effetti a beneficio dell’intera massa dei creditori.
Il fallimento con l’intervento in giudizio, associandosi a richieste già inoltrate al giudice dal creditore attore, evita anche di poter incorrere nella prescrizione del diritto, di fatto sfruttando il procedimento già pendente e l’azione tempestivamente instaurata dall’istituto di credito che, come chiarito dal Tribunale, viene assorbita in quella della curatela. A ben vedere i convenuti in giudizio non hanno formulato alcuna eccezione di prescrizione nei confronti del fallimento dopo l’intervento in giudizio, quindi, il giudice non ha dovuto affrontare la problematica; in ogni caso sarebbe interessante comprendere il giudice di merito come si sarebbe posto innanzi a siffatta eventuale eccezione, laddove sicuramente l’azione dell’attore in giudizio era stata introdotta prima del maturare di qualsiasi termine prescrizione, mentre l’azione assorbente oggetto dell’intervento della curatela veniva instaurata ben oltre il quinquennio dalla istituzione del trust revocato.
Superato l’aspetto tecnico procedurale relativo all’ammissibilità dell’intervento ai fini della prosecuzione del giudizio a beneficio dell’intera massa dei creditori della procedura, il tribunale conferma l’orientamento maggioritario della Suprema Corte che reputa revocabile il trust, atto per propria natura gratuito, disponendone l’inefficacia. La consapevolezza di arrecare un danno ai creditori e la distrazione totale del proprio patrimonio immobiliare messa in atto dal debitore, poi fallito, comportano l’inefficacia dell’atto dispositivo ed un recupero dei beni immobili e dei loro frutti all’attivo fallimentare.
[1] (Cass. Civ., SS.UU., sentenza n. 9440 del 18 maggio 2004). Sull’argomento in ultimo cfr Cass. Civ. n. 5618/2018: “Anche il ‘credito eventuale’, nella veste di ‘credito litigioso’, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita l’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria contro l’atto di disposizione compiuto dal debitore” ed ancora Cass. Civ. n. 11755/2018. Si veda, in proposito, anche la recentissima pronuncia della giurisprudenza di merito, secondo la quale “Ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria non è richiesto che il credito sia liquido ed esigibile in quanto l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata del credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguenza irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità del creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore”
[2] legge 16 ottobre 1989 n. 364, che ratifica la Convenzione dell’Aja del 1985. La Convenzione (art. 2) definisce il trust come «i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico»
[3] Cass. civ. Sez. III, 19/04/2018, n. 9637 che cita ‘Il conferimento di beni in Trust è da considerarsi atto a titolo gratuito ai fini dell’azione revocatoria in quanto è un negozio idoneo a costituire un patrimonio separato finalizzato ad uno scopo per il quale non è previsto alcun corrispettivo. Di conseguenza esso è soggetto all’azione revocatoria’ FONTI Notariato, 2018, 4, 473 ed ancora Cass. civ. Sez. III Sent., 03/08/2017, n. 19376 ‘L’istituzione di trust familiare (nella specie, per fare fronte alle esigenze di vita e di studio della prole) non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura – ai fini della revocatoria ordinaria – un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti’).
[4]Cassazione civile sentenza n.5621/2017 del 7/3/2017 definisce l’intervento del terzo creditore nell’azione revocatoria già pendente come un intervento adesivo autonomo.
[5] Sull’argomento è molto puntuale la descrizione delle tipologie di intervento processuale volontario fornita da Tribunale di Roma sentenza n.21610/2016 che cita “ (omissis) Può esservi, poi, l’intervento cd. litisconsortile o adesivo autonomo, che trova, anch’esso, previsione nel disposto del primo comma dell’art. 105 c.p.c., laddove tale norma prevede che il terzo possa intervenire non già nei confronti di tutte le parti originarie ma solo di alcune di queste, sempre per far valere un proprio diritto connesso, per l’oggetto o per il titolo, con quello dedotto nel giudizio già pendente. Con tale tipo di intervento il terzo propone, in sostanza, una domanda nei confronti di una o più – ma non tutte – le parti originarie, che va ad affiancarsi a quella già proposta dall’attore o spiegata dal convenuto in via riconvenzionale, e che avrebbe potuto essere formulata con queste ultime, in cumulo originario, in forza delle suindicate ragioni di connessione”.