Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sulla necessità di iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento con il quale si dispone l’archiviazione per particolare tenuità del fatto.
La I Sezione Penale, nel rimettere la questione, in primis ha dato atto che esiste sul punto un contrasto giurisprudenziale, dopodiché ha sottolineato di aderire all’orientamento minoritario secondo il quale è necessario, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett f), d.P.R. n. 313/2002, come modificato dall’art. 4 d.lgs. n. 28/2015, fare menzione nel casellario giudiziale dell’avvenuta archiviazione ex art. 131 bis c.p.
Con sent. n. 38954/2019 le Sezioni Unite si sono pronunciate in merito.
Hanno ricostruito il quadro normativo di riferimento e la sua evoluzione, nel senso che con il d.lgs. n. 28/2015 il legislatore ha introdotto il riferimento ai provvedimenti con i quali viene dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto nel catalogo dei provvedimenti di cui è disposta l’iscrizione nel casellario giudiziale ex art. 3 comma 1 lett. f) d.P.R. cit.
Hanno evidenziato che, sotto il profilo della tecnica normativa, questa modifica è stata effettuata limitandosi ad aggiungere alla disposizione un periodo contenente tale riferimento, «collegato a quello preesistente mediante una virgola e la congiunzione “nonché”».
Il d.lgs. cit. ha modificato anche altre disposizioni del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, d.P.R. n. 313/2002 (d’ora in avanti Testo Unico). In particolare, all’art. 5 comma 2 dopo la lettera d), è stata inserita la lettera d -bis), al fine di estendere la disciplina dell’eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità per particolare tenuità del fatto trascorsi dieci anni dalla loro pronunzia. Nell’art. 24, comma 1, e nell’art. 25, comma, 1, è stata aggiunta invece la lettera f-bis), prevedendo in entrambi i casi la non menzione dei suddetti provvedimenti giudiziari, rispettivamente, nel certificato generale ed in quello penale rilasciati a richiesta dell’interessato. Le due disposizioni menzionate da ultime definiscono peraltro anche il contenuto dei certificati rilasciati, ai sensi dell’art. 25-bis e 28 del Testo Unico, a richiesta, rispettivamente, dei datori di lavoro e delle pubbliche amministrazioni, per come previsto dagli articoli da ultimo richiamati.
Il contrasto giurisprudenziale è insorto soltanto a seguito della sentenza Serra del 2017, prima della quale le Sezioni semplici avevano sempre negato che i provvedimenti di archiviazione per particolare tenuità del fatto potessero essere iscritti nel casellario giudiziale. In particolare, si riteneva che il provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto, presupponendo l’accertamento della responsabilità dell’indagato per il fatto reato contestato ed essendo non definitivo, non avrebbe dovuto essere iscritto, pena la violazione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati dell’indagato. L’iscrizione nel casellario avrebbe, infatti, prodotto un effetto pregiudizievole per l’interessato, il quale non avrebbe avuto la possibilità di impugnare la decisione e rinunciare, così, alla causa di non punibilità.
Con la cit. sent. Serra, Sez. V, n. 40293/2017 si è affrontata la questione soltanto in via incidentale. Nell’esprimersi sulle ipotesi di nullità del provvedimento di archiviazione, infatti, la Corte di Cassazione ha sottolineato che si tratta di un provvedimento non completamente liberatorio, essendo destinato ad essere iscritto nel casellario giudiziale in virtù di quanto disposto dall’art. 4 d. Igs. n. 28 del 2015. È chiaro che tale affermazione deriva da una interpretazione delle norme del Testo Unico completamente contrapposta a quella consolidata delle altre Sezioni semplici della Corte. Da ciò il contrasto.
Nel comporre il contrasto, il Collegio si riporta all’orientamento tracciato dalla sentenza Serra e dalle Sezioni Unite sent. Tushaj 2016, che hanno affrontato la questione, sebbene in maniera meramente incidentale.
Nella specie, osservano che “il tenore testuale della lettera f) dell’art. 3, comma 1, del Testo Unico, per come modificata dal d. Igs. n. 28 del 2015, non è univocamente interpretabile nel senso per cui esclusivamente i provvedimenti definitivi che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. sono destinati all’iscrizione nel casellario. Infatti la locuzione «nonché quelli», che introduce l’ampliamento dell’originario catalogo definito dalla citata disposizione, è certamente riferita ai «provvedimenti giudiziari» menzionati nella prima parte della stessa, ma non anche necessariamente alla loro qualificazione come «definitivi»”.
Non essendo, però, sufficiente il solo dato letterale, il Giudice di legittimità ricorre all’ulteriore criterio ermeneutico della voluntas legis. Nella Relazione ministeriale allo schema del d. lgs. n. 28 del 2015, si afferma espressamente “la necessità di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, ancorché adottato mediante decreto d’archiviazione” ed ancor più specificamente si precisa, ad illustrazione delle modifiche apportate al Testo Unico, che “il requisito della “non abitualità” del comportamento (….) impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tali causa”.
Da ciò se ne inferisce “l’intimo ed irrinunciabile collegamento esistente tra la memorizzazione di tutti i provvedimenti che hanno applicato il nuovo istituto e l’effettiva operatività della condizione di non abitualità del comportamento”.
Inoltre, ai fini della dichiarazione di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., il giudice deve tenere in considerazione – ex comma 3 art. cit. – dei pregressi reati della stessa indole commessi dall’autore. Affinché, dunque, si possa ritenere rispettato il dettato normativo, è necessario consentire al giudice del nuovo reato di conoscere anche i provvedimenti, comunque adottati, che hanno riconosciuto la causa di non punibilità.
Ad ulteriore sostegno di quanto affermato, le Sezioni Unite riportano anche le altre modifiche apportate al Testo Unico dal d.lgs. n. 28/2015. Hanno sostenuto che “la novella è intervenuta anche sulle disposizioni (artt. 24 e 25) che stabiliscono il contenuto dei certificati del casellario, vietando che gli stessi menzionino i «provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale» ed ha esteso agli stessi provvedimenti l’obbligo di eliminazione delle iscrizioni (previsto dall’art. 5 del Testo Unico) trascorsi dieci anni dalla loro pronunzia”. Secondo la Corte, il legislatore, nel menzionare i “provvedimenti giudiziari” e non solo quelli “definitivi”, ha inteso comprendere anche quelli di archiviazione.
A questo punto, la Corte fa un passaggio sulla compatibilità costituzionale e convenzionale della disposizione, negando sia il contrasto con il diritto di difesa (art. 24 Cost), sia quello con il diritto ad un doppio grado di giurisdizione in materia penale (art. 2 del Protocollo n. 7 CEDU).
Sull’art. 24 Cost, si è limitata a richiamare la norma processuale, art. 411 c.p.p., che consente all’indagato di dispiegare le proprie difese dinanzi al giudice investito della questione.
Sulla norma convenzionale, ha affermato che questa configura il diritto di riesame presso una giurisdizione superiore esclusivamente in riferimento alle dichiarazioni di colpevolezza o alle condanne. Esclude, poi, che “la valutazione pregiudiziale sulla sussistenza del fatto e sulla sua attribuibilità all’indagato compiuta in sede di archiviazione costituisca un accertamento assimilabile ad una dichiarazione di colpevolezza nel senso inteso da tale disposizione, avvenendo in una fase anteriore al giudizio”. Né può sostenersi, a detta della Corte, che l’iscrizione in sé comporti un effettivo pregiudizio per l’indagato, avendo questa la sola funzione di “memorizzazione”.
In conclusione, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: “Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione”.