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Gli interessi moratori, l’usura e la clausola di salvaguardia nei contratti bancari

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Con la recente sentenza del 17/10/2019 n. 26286, la Corte di Cassazione è nuovamente tornata ad affrontare la rilevanza degli interessi moratori ai fini dell’usura, nonché la valenza e la portata della clausola contrattuale c.d. “di salvaguardia”, di frequente apposizione nei contratti bancari.

La decisione in commento è stata assunta all’esito del procedimento proposto dal mutuatario nei confronti della Banca che aveva contro di lui intrapreso una procedura esecutiva per il mancato adempimento dell’obbligazione di restituzione dell’importo elargito a titolo di mutuo fondiario. Il debitore, proposta opposizione ex art. 615 c.p.c., introduceva giudizio di merito con cui chiedeva l’accertamento dell’applicazione, nei suoi confronti, di tassi di interessi usurai e la restituzione dell’indebito.

Il Tribunale rigettava le domande attoree, rilevando l’inammissibilità del cumulo di interessi corrispettivi e moratori rilevati dal debitore, data la natura alternativa degli stessi ed evidenziava che, in ogni caso, la presenza in contratto della c.d. “clausola di salvaguardia” avrebbe escluso in radice il superamento del tasso soglia di cui alla L. 108/96.

L’attore proponeva ricorso in appello avverso la decisione innanzi alla Corte di Appello di Milano, la quale dichiarava inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e, successivamente, promuoveva ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo grado a norma dell’art. 348 ter cpc.

Invero la sentenza di cui si discute, pur avendo ad oggetto un unico motivo di ricorso, è giunta ad affermare ben quattro principi di diritto, con i quali la Corte ha sostanzialmente ribadito la rilevanza degli interessi moratori ai fini del rispetto della normativa antiusura di cui alla L. 108/96, nonché l’insufficienza della semplice apposizione in contratto della c.d. “clausola di salvaguardia” al fine di escludere l’usurarietà della clausola degli interessi convenuti e di quelli praticati.

In particolare, con il primo principio di diritto, la Corte ha enunciato testualmente che: “Nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi e antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi, pertanto, non si possono fra loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di punti percentuale, è al valore complessivo risultante da tale somma, non ai soli punti percentuali aggiuntivi, che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati”.

Invero la S.C. è giunta a tale affermazione soffermandosi prima sulla nozione di “cumulo degli interessi” e concludendo poi che, in effetti, detta fattispecie rappresenta, nella realtà fenomenica, un falso problema. In particolare la S.C., al fine di affermare la sottoposizione degli interessi moratori alla normativa antiusura e di negare la possibilità che interessi moratori e corrispettivi possano essere corrisposti contestualmente, ha sottolineato che sono essenzialmente due le ipotesi in cui si parla impropriamente di “cumulo degli interessi”.

Il primo caso è quello in cui la determinazione del tasso di interesse di mora è contrattualmente prevista sommando all’interesse corrispettivo uno spread, ossia un incremento percentuale. In tal caso, chiarisce la Corte, la sommatoria dei due interessi rappresenta una semplice modalità di determinazione del tasso di mora, frequentemente utilizzata nei contratti bancari.

Tale determinazione, però, chiarisce la S.C., non comporta in alcun modo una contemporanea debenza di interessi moratori e corrispettivi. Conseguentemente, il rilievo dell’usura in riferimento ai tassi moratori dovrà essere effettuato avuto riguardo al tasso di mora concretamente e complessivamente applicato in conformità alla determinazione pattuita in contratto e considerando la misura dell’interesse moratorio nel suo complesso, e non i semplici punti percentuali aggiuntivi rispetto al tasso corrispettivo convenuto.

Il secondo caso, in cui erroneamente di suole parlare di “cumulo”, attiene all’ipotesi in cui il rapporto con il cliente debitore risulti “incagliato”, ossia allorquando il debitore manifesta delle oggettive difficoltà a far fronte alle obbligazioni assunte, senza tuttavia trovarsi una situazione di irrimediabile inadempienza, che giustificherebbe la risoluzione del rapporto ed il passaggio dello stesso “a sofferenza”. Sul punto, la S.C. ha chiarito che in costanza di rapporto, come ad esempio avviene nella fase di incaglio, a seguito della costituzione in mora del debitore inadempiente, l’interesse dovuto dal cliente sarà solo ed esclusivamente quello moratorio, che si sostituisce interamente a quello corrispettivo, essendo inutilmente decorso il termine per l’adempimento. A norma dell’art. 1224 c.c. infatti “Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno”.

Anche in tal caso, quindi, come correttamente rilevato dalla S.C., giammai può ipotizzarsi un cumulo tra le due tipologie di interessi atteso che, a seguito della costituzione in mora, sono dovuti solo gli interessi moratori, siano essi nella misura legale o pattuita convenzionalmente, e ciò ancorché il rapporto sia ancora persistente.

La S.C. ha, in secondo luogo, confutato la tesi secondo cui l’esclusione degli interessi moratori dal calcolo dell’usura sarebbe giustificata dalla circostanza che il TEGM, individuato trimestralmente per ciascuna tipologia di contratto e costituente la base di calcolo del “Tasso Soglia” cui rapportare il calcolo d’usura, sarebbe rilevato con riferimento ai soli interessi corrispettivi. Infatti, su tale eccezione, la S.C. ha elaborato il secondo principio di diritto contenuto nella sentenza in commento, in base al quale: “Nei rapporti bancari, anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, si configura la cosiddetta usura c.d. “oggettiva” che determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815 c.c., comma 2. Non è di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio), che costituisce la base sulla quale determinare il “tasso soglia”. Infatti, poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo), è possibile individuare il “tasso soglia di mora” del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4. Tuttavia, resta fermo che, dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato – senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la “parte” corrispettiva da quella moratoria -, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, il “tasso soglia di mora” deve essere sommato al “tasso soglia” ordinario (analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto)”.

Con tale assunto la S.C. ha, quindi, sostanzialmente riconosciuto l’individuazione specifica di un “tasso soglia moratorio”, corrispondente alla maggiorazione media in caso di mora ed identificabile nel TEGM maggiorato di 2,1 punti percentuali, che funge da parametro cui rapportare la verifica dell’usurarietà del tasso moratorio in concreto convenuto ed applicato.

Altro argomento di interesse affrontato dalla S.C. nella sentenza in commento attiene alla duplicazione degli strumenti di tutela in caso di usurarietà degli interessi moratori, attesa la già citata affinità funzionale degli stessi con la clausola penale. La S.C. ha, infatti, avuto modo di precisare che l’interesse moratorio, al pari della clausola penale, rappresenta uno strumento di predeterminazione e forfettizzazione del danno risarcibile derivante in caso di inadempimento, il che esclude – ex art. 1383 c.c. ed ex art. 1224 c.c. – che, per la sua debenza, occorra la prova del danno patito.

Ebbene, a detta affermazione consegue che, di fronte alla sproporzione dell’interesse moratorio, siano esperibili entrambi gli strumenti di cui agli artt. 1815 c.c. e 1384 c.c., sebbene essi si fondano su presupposti diversi e producano effetti opposti.

Sul punto la S.C. ha, quindi, enunciato il terzo principio di diritto, secondo cui: “Per gli interessi convenzionali di mora, che hanno natura di clausola penale in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento, trovano contemporanea applicazione l’art. 1815 c.c., comma 2, che prevede la nullità della pattuizione che oltrepassi il “tasso soglia” che determina la presunzione assoluta di usurarietà, ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, e l’art. 1384 c.c., secondo cui il giudice può ridurre ad equità la penale il cui ammontare sia manifestamente eccessivo. Sono infatti diversi i presupposti e gli effetti, giacché nel secondo caso la valutazione di usurarietà è rimessa all’apprezzamento del giudice (che solo in via indiretta ed eventuale può prendere a parametro di riferimento il T.E.G.M.) e, comunque, l’obbligazione di corrispondere gli interessi permane, sia pur nella minor misura ritenuta equa”.

In ultimo la S.C. si è pronunciata sulla portata e sulla rilevanza della c.d. “clausola di salvaguardia”, frequentemente apposta nei contratti bancari, al fine di escludere in radice la natura usuraia della pattuizione degli interessi convenuti. La S.C. ha rifiutato di riconoscere a suddetta clausola una natura che si potrebbe ardire a definire “costitutiva escludente” dell’usurarietà della pattuizione degli interessi, riconoscendo alla stessa, piuttosto, la funzione di contrattualizzate un divieto sancito dalla legge. In particolare, la S.C. ha chiarito che suddetta clausola opera in favore della banca e non del cliente in quanto, la sua semplice apposizione in contratto tende a voler evitare che la clausola degli interessi convenuta possa cadere sotto la scure dalla nullità sanzionatoria di cui all’art. 1815 c.c. Tuttavia, la S.C. ha precisato che la c.d. clausola di salvaguardia, lungi dall’escludere la possibile natura usuraia della pattuizione (che va verificata caso per caso), determina, piuttosto, l’assunzione di una specifica obbligazione da parte della banca creditrice, avente ad oggetto l’obbligo di assicurare che, durante tutta la durata del rapporto, non vengano mai applicati interessi superanti il tasso soglia. Tale assunzione comporta, altresì, uno specifico onere probatorio in capo alla banca, atteso che, in caso di eccepito inadempimento, sarà la stessa a dover fornire la prova liberatoria dell’adempimento ovvero l’inadempimento per fatto non imputabile.

Alla luce delle considerazioni svolte, la S.C. ha enunciato il quarto ed ultimo principio di diritto, in base al quale “In tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola “di salvaguardia”, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. “tasso soglia” antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto”.