Molteplici e trasversali sono le problematiche giuridiche sollecitate dall’emergenza epidemiologica da covid-19: tra le tante, il tema della violenza domestica acuito dalla coabitazione forzata di nuclei familiari già tesi, la questione delle rivolte dei detenuti e del c.d. sovraffollamento carcerario, l’annosa questione del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni con il rischio annesso di un cd. diritto alluvionale o ancora della responsabilità penale dell’operatore sanitario per il reato di epidemia colposa nonché il serio rischio del prevalere della criminalità organizzata nell’economia legale, questo solo per citarne alcune.
Tra le tante riflessioni suscitate dalla pandemia dei giorni nostri, un interessante approfondimento merita la vexata quaestio del tema del bilanciamento tra le libertà personali e la tutela della salute. Difatti, oggi assistiamo ad una pregnante compressione della libertà di circolazione, dell’iniziativa economica e del diritto alla riservatezza di cui agli artt. 13, 15, 16 e 41 Cost.
Fino a pochi mesi tutto ciò poteva sembrare surreale, poi pian piano è come se ci fosse stata una presa d’atto generalizzata da parte di tutti i consociati con la conseguente esigenza di tutelare se stessi e gli altri. A tal uopo, nient’affatto peregrina risulta la seguente domanda: fino a che punto può spingersi il Legislatore al fine di tutelare il diritto alla salute?
La prima considerazione da cui muovere è quella per cui nel nostro ordinamento giuridico non esiste lo “stato di emergenza” bensì solo lo “stato di guerra”: tale scelta è stata dettata dall’esigenza di evitare di ripetere gli errori del passato in quanto con lo Statuto albertino si era utilizzato proprio l’escamotage dello stato di emergenza per svuotare di senso e significato la Carta costituzionale. Pertanto, il nostro attuale assetto normativo prevede solo lo strumento del decreto-legge quale provvedimento da emanare in caso di necessità ed urgenza. Viceversa, lo strumento del D.P.C.M. risale alla Legge n. 225/1992 sulla Protezione civile che ha cercato di apprestare una tutela alle ipotesi eccezionali, come le calamità naturali (in particolare, è stato il caso del terremoto in Abruzzo).
Ciò posto e ragionando alla luce dei principi ispiratori della nostra architettura normativa, non può mancarsi di constatare come le misure di contenimento attualmente in atto nel nostro Paese vadano ad incidere, tra le altre, in modo significativo sul diritto alla riservatezza. Invero, tale questione è oggi molto avvertita dai cittadini che temono di essere monitorati e geolocalizzati con l’attivazione della cd. app Immuni in grado di tracciare gli spostamenti (e, per tal via, i contagi).
La tutela della privacy, che rinviene il suo fondamento nell’art. 2 Cost. e soprattutto -quale diritto di derivazione europea- nella Carta di Nizza e nel G.d.p.r., può essere sì compressa ma non già soppressa. Difatti, è possibile che, in casi emergenziali, la riservatezza dei consociati venga, in un certo modo, “sacrificata” per tutelare il prioritario diritto alla salute ma a talune condizioni e purché sia osservato il principio di proporzionalità. In altri termini, occorre che la compressione sia sempre giustificata dalla tutela di un diritto prevalente, che sia osservato il precetto di gradualità e che a ciò vengano affiancate determinate misure. In particolare, è fondamentale che vi sia il rigoroso rispetto di talune condizioni: in primis è necessario che, a monte, venga fatto un contemperamento ragionato con altre libertà personali dei soggetti interessati per stabilire, anche per il tramite di un comitato tecnico-scientifico, l’efficacia e la durata di tali applicazioni. Altresì, è indispensabile che tale limitazione della riservatezza avvenga con norme di rango primario e che queste contemplino il diritto all’informazione dell’individuo (questi deve sempre sapere chi gestisce e chi può visionare i suoi dati personali, per quali fini essi vengano utilizzati, a che condizioni, per quanto tempo etc.) nonché deve essere sempre prevista la possibilità per il privato di fare ricorso alle Autorità competenti. Altro dato importante è che vi sia una disciplina uniforme e centralizzata per evitare una cd. “geo-partizione dei diritti fondamentali”, che comporterebbe una disparità di trattamento ed una incertezza diffusa.
In proposito, tra i penalisti si discute nel senso di ragionare, mutatis mutandis, sulla falsariga dei presupposti della causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. Altresì è interessante notare come -a differenza della giurisprudenza costituzionale del 2013 sul caso Ilva (Corte cost. n. 85/2013), ove si affermava una cd. integrazione reciproca dei diritti nel senso di escludere la prevalenza del diritto alla salute sulle altre libertà- oggi si assiste ad un rinnovato principio di diritto che prospetta un ragionevole bilanciamento tra le libertà fondamentali. Tuttavia, come già ricordato, non senza limiti e non senza il rispetto delle predette condizioni.
Va da sé che il momento storico, del tutto eccezionale, che stiamo vivendo non contempla certezze bensì solo osservazioni su cui giova indugiare. Ad ogni modo, l’auspicio è che tale situazione emergenziale possa costituire occasione propizia per una ricostruzione dei grandi ideali che hanno ispirato i nostri padri costituzionalisti e che tale pausa, seppur coatta, rappresenti il modo per riscoprirsi come comunità sociale. Ciò per comprendere appieno che il diritto di ciascuno si esaurisce laddove inizia quello dell’altro, sulle basi della coesione e della solidarietà.