L’emergenza provocata dalla pandemia da Covid-19 ha richiesto, come in tutte le ipotesi di avvenimenti eccezionali, l’attivazione di procedure e competenze straordinarie. Si discute, ormai da mesi, dell’adeguatezza di tali procedure e competenze, così come del loro impatto sui diritti fondamentali dell’individuo come garantiti a livello legislativo, costituzionale, sovranazionale. Sono note, ad esempio, le perplessità che ha suscitato in illustri giuristi (Cassese, Cartabia, Baldassarre) l’utilizzazione di un atto amministrativo (il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) per imporre le misure restrittive ritenute necessarie a contenere il contagio. Qualche prima decisione giudiziaria ha anche dato concreta applicazione a tali posizioni critiche (cfr. il provvedimento del giudice di pace di Frosinone del 29 luglio u. s. che ha accolto il ricorso contro una multa per violazione del lockdown affermando l’illegittimità sia della dichiarazione di emergenza sia dei dpcm che limitano la libertà di spostamento: https://www.altalex.com/documents/news/2020/08/05/covid-19-giudice-di-pace-frosinone-annulla-multa-per-violazione-lockdown).
Allo stesso modo abbiamo assistito ad un confronto, talvolta scontro, tra il potere centrale e le istituzioni regionali, e tra queste ultime fra di loro. Non tutti i Presidenti di Regione, infatti, hanno condiviso il modus operandi adottato a livello centrale, taluni auspicando una minore compressione delle attività ordinarie, al fine di non mortificare l’economia, altri, al contrario, premendo per un lockdown ancora più marcato. Nota in particolare è la posizione del Presidente della Regione Campania, che in varie occasioni ha sollecitato misure più restrittive, anche con riferimento alla mobilità tra le Regioni, minacciando la… “chiusura delle frontiere regionali”, iniziativa che però alla fine si è guardato bene dall’adottare, nella consapevolezza dell’illegittimità di una decisione di questo tipo, certamente al di fuori delle sue competenze.
Un capitolo nuovo ed inedito di questa “saga” è costituito dall’ordinanza “contingibile e urgente” n. 33 adottata dal Presidente della Regione siciliana il 22 agosto u.s. (https://gdsit.cdn-immedia.net/2020/08/ordinanza_musumeci.pdf). Con tale atto si ordina, all’art. 1, lo sgombero entro le ore 24 del 24 agosto di “tutti i migranti presenti negli hotspot ed in ogni centro di accoglienza” dell’Isola, “non essendo allo stato possibile garantire la permanenza nell’Isola nel rispetto delle misure sanitarie di prevenzione del contagio”. Queste persone andranno trasferite e ricollocate in altre strutture fuori dal territorio regionale. Nell’art. 2, “al fine di tutelare la salute e la incolumità pubblica, in mancanza di strutture idonee di accoglienza, è fatto divieto di ingresso, transito e sosta nel territorio della Regione siciliana da parte di ogni migrante che raggiunga le coste siciliane con imbarcazioni di grandi e piccole dimensioni, comprese quelle delle ONG”. L’art. 3, infine, dispone l’applicazione delle conseguenze sanzionatorie dalla legge previste ed estende la validità dell’ordinanza fino al 10 settembre 2020.
La parte dispositiva è pertanto limitata a soli tre articoli, ma è preceduta da un’ampia premessa composta da vari “considerando”, dalla quale si evince la ratio dell’iniziativa e soprattutto la base normativa sulla quale il provvedimento poggia. L’incipit è dedicato all’art. 32 Cost., sul diritto alla salute, e, dopo il richiamo allo Statuto regionale, si fa riferimento subito alla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale e alle funzioni attribuite alle regioni per la tutela della salute umana. Come infatti anche affermato immediatamente dal Presidente Musumeci nelle dichiarazioni seguite all’adozione dell’ordinanza, quest’ultima intende far fronte “in mancanza di idonee e concrete misure di prevenzione adottate dal Governo nazionale” ad un’emergenza di ordine sanitario e, sempre secondo le affermazioni del Presidente, agendo nel pieno rispetto ed in applicazione delle norme che attribuiscono alle Regioni competenze “per garantire l’ordine e la pubblica sicurezza quale immediato richiamo dello specifico potere di tutela della ‘salute umana’” (ancora nei considerando). Sembrerebbe quindi che le regole sulla gestione del flusso dei migranti, di esclusiva competenza centrale, non rileverebbero nel caso di specie.
Sono tuttavia molte le ragioni che fanno propendere per l’illegittimità di tale provvedimento, come peraltro da subito rilevato da parte di fonti autorevoli del Ministero dell’Interno.
Va innanzitutto ricordato che l’art. 32 Cost. afferma che “La Repubblica tutela la salute…”, e quindi, sebbene la materia sia oggetto di legislazione concorrente, parliamo di un diritto riconosciuto come fondamentale e quindi innanzitutto oggetto di garanzia da parte dello Stato centrale, il quale, come è noto, determina i cosiddetti “livelli essenziali di assistenza” (117.2 Cost.) curando l’esigenza di assicurare unitarietà in materia di salute e sanità. Insomma l’esigenza primaria è l’esistenza di misure uniformi sul territorio nazionale al fine di garantire il diritto costituzionale alla salute. Tale principio ha reso in più occasioni irricevibili da parte della Corte costituzionale le contestazioni mosse da alcune regioni all’azione legislativa centralizzata, ancor più giustificata ora, in un contesto emergenziale.
Ma il motivo principale per il quale, a nostro avviso, l’ordinanza va senz’altro disattesa ed eventualmente impugnata (come già preannunciato dal Ministro dell’Interno), è che, malgrado le affermazioni del Presidente Musumeci, essa viene di fatto ad incidere sulle competenze esclusive (ai sensi dell’art. 117) dello Stato in materia di immigrazione. D’altra parte nei considerando si fa esplicito riferimento a due provvedimenti statali, entrambi peraltro discutibili e discussi, in tema di contenimento delle migrazioni via mare. Il primo è l’art. 1 del decreto-legge n. 53 del 14 giugno 2019 (cd. decreto sicurezza bis), con il quale si dispone che il Ministro dell’Interno “può limitare e vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine o sicurezza pubblica”. L’altra previsione normativa richiamata in materia di migrazioni è il decreto del Ministro per le infrastrutture e dei trasporti, n. 150 del 7 aprile 2020, secondo cui “per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus Covid-19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione del Place of Safety (‘luogo sicuro’), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana”.
In altra sede, alla quale rinviamo, ci siamo soffermati sulla prima previsione per sottolinearne i motivi di illegittimità (cfr. G. Cataldi, “Il ‘decreto sicurezza bis’ alla prova degli impegni internazionali dello Stato in materia di diritto del mare. Alcune osservazioni”, I diritti dell’uomo. Cronache e battaglie, 2019 p. 439 ss.). Non a caso, nel momento in cui scriviamo, pendono vari ricorsi davanti alla Corte costituzionale e, in sede politica, se ne discute la modifica. Per quanto riguarda il decreto del 2020, esso pretende di incidere mediante un atto amministrativo su di una Convenzione internazionale, sospendendone in parte l’applicazione, resa esecutiva in Italia con legge ordinaria, e senza peraltro nessuna comunicazione, a quanto ci consta, agli altri Stati contraenti e all’Organizzazione Marittima Internazionale, che svolge le funzioni di Segretariato (per maggiori ragguagli cfr. F. Munari, http://www.sidiblog.org/2020/04/16/il-decreto-interministeriale-per-gestire-lemergenza-covid-19-nellambito-degli-obblighi-dellitalia-ai-sensi-della-convenzione-sar-linsostenibile-intermitte/). Ma al di là di queste considerazioni, resta il fatto, incontrovertibile, che la gestione dei flussi migratori è e resta di piena ed esclusiva competenza delle autorità statali, e pertanto le istituzioni di una Regione, anche a Statuto speciale, non possono ordinare il trasferimento in altre regioni dei migranti presenti sul territorio né, a maggior ragione, possono vietarne l’ingresso, il transito e la sosta nel territorio.
Il Presidente Musumeci, anche in alcuni dei considerando dell’ordinanza, denuncia, con un grido di allarme certamente condivisibile, l’inadeguatezza e il sovraffollamento dei Centri per l’immigrazione, sul suo territorio come altrove, confermando l’opinione di quanti sottolineano da tempo la necessità di una riforma del sistema di accoglienza. È vero che in tali situazioni è difficile garantire il distanziamento e dunque la salute degli stessi migranti, ed è vero che gli hotspot non possono nemmeno contare su di una regolamentazione giuridica adeguata. Il problema c’è, dunque, e quindi l’iniziativa del Presidente della Regione siciliana può essere vista come una provocazione al Governo italiano e alle istituzioni dell’Unione europea, sempre più latitanti. Tuttavia al coronavirus, tra i tanti mali che porta, non credo sia il caso di attribuire anche un ruolo nella triste vicenda dei migranti via mare.