Diritto Amministrativo. Trascrizione del matrimonio omosessuale contratto all’estero.
Con la sentenza n° 228 del 21.05.2015 il T.A.R. Friuli Venezia Giulia – Trieste, sez. I, inserendosi nel solco tracciato dalla Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza n° 138 del 14.04.2010, ha affermato che “un matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per poter procedere alla trascrizione”.
Il caso è quello di una cittadina italiana residente in Belgio ed iscritta all’anagrafe del Comune di Udine che ricorre avverso il decreto del Prefetto di Udine di annullamento della trascrizione nei registri dello stato civile del Comune di Udine del matrimonio contratto all’estero con persona dello stesso sesso.
Con la sentenza in rassegna, il T.A.R. triestino si è espresso su due interessanti questioni afferenti:
- gli effetti in Italia di un matrimonio tra persone delle stesso sesso contratto all’estero;
- le modalità di eliminazione dell’illegittima trascrizione di un matrimonio tra persone delle stesso sesso contratto all’estero.
Per quanto riguarda la questione sub a), il Tribunale richiama la copiosa giurisprudenza, anche europea, che si è formata dopo la citata sentenza n° 138/2010 con la quale la Corte Costituzionale, prendendo le mosse dall’art. 29 Cost. che fa riferimento alla nozione di matrimonio definita dal codice civile quale comunione di persone di sesso diverso, ha affermato che “nell’attuale quadro normativo e costituzionale in Italia non è consentita la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e nemmeno la trascrizione di un analogo matrimonio contratto all’estero”.
Invero, l’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio non può senz’altro avvenire mediante un’operazione ermeneutica della norma citata necessitando, al contrario, di uno specifico intervento parlamentare.
A ciò, inoltre, si aggiunge che la normativa europea non pone alcun vincolo positivo agli Stati membri: basti considerare che l’art. 9 della Carta di Nizza nel prevedere che il diritto di sposarsi ed il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali, omette ogni specifico riferimento alla diversità di sesso.
Per quanto riguarda la questione sub b), invece, il T.A.R. Friuli Venezia Giulia – Trieste, sez. I, dopo un’attenta disamina della normativa speciale dettata dal D.P.R.n° 396/2000 in materia di ordinamento dello stato civile, giunge ad affermare che “agli stessi [agli atti di stato civile] non può trovare applicazione la disciplina generale di cui alla legge 241 del 1990, in particolare quella relativa all’annullamento in autotutela degli atti illegittimi” poiché “la normativa speciale prevista per la tenuta dei registri dello Stato civile prevede un unico mezzo per modificare e correggere un atto di stato civile illegittimo, il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria ex articolo 95 del d.p.r. 396 del 2000”.
Alla stregua di ciò, nonostante la correttezza delle conclusioni del Prefetto che ha ritenuto contra legem la trascrizione del matrimonio della ricorrente con persona dello stesso sesso avvenuto all’estero, il T.A.R. Friuli Venezia Giulia – Trieste, sez. I, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso annullando il provvedimento prefettizio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 457 del 2014, proposto da: -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Di Carlo, Maria Stefania Masini e Alessandro Giadrossi, con domicilio eletto presso l’ultimo, in Trieste, Via S. Caterina da Siena 5;
contro
Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Udine, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;
e con l’intervento di
con l’intervento ad adiuvandum del Comune di Udine, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Sbisa’, Giangiacomo Martinuzzi e Claudia Micelli, con domicilio eletto presso il primo, in Trieste, Via Donota 3;
e per la declaratoria di nullità ovvero in subordine per l’annullamento:
-del decreto del Prefetto della Provincia di Udine dd. 27 ottobre 2014, prot. n. 64234/2014 con il quale il Prefetto ha decretato l’annullamento della trascrizione del matrimonio della ricorrente nei registri dello stato civile del Comune di Udine;
-dell’atto di delega del Prefetto di Udine prot. 64686/2014 dd. 29 ottobre 2014;
-del processo verbale del vice Prefetto aggiunto del 29 ottobre 2014;
-della pregressa nota prefettizia n. 60632 dd. 9 ottobre 2014;
-della nota prot. n. 10863 dd. 7 ottobre 2014 del Ministero dell’Interno;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Udine;
Visto l’atto d’intervento ad adiuvandum del Comune di Udine;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 maggio 2015 il presidente Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
- La ricorrente, cittadina italiana residente in Belgio e iscritta all’anagrafe del comune di Udine, chiede con il presente ricorso la declaratoria di nullità ovvero in subordine l’annullamento:
– del decreto del Prefetto della Provincia di Udine dd. 27 ottobre 2014, prot. n. 64234/2014 con il quale il Prefetto ha decretato l’annullamento della trascrizione del matrimonio della ricorrente nei registri dello stato civile del Comune di Udine;
– dell’atto di delega del Prefetto di Udine prot. 64686/2014 dd. 29 ottobre 2014;
– del processo verbale del vice Prefetto aggiunto del 29 ottobre 2014;
– della pregressa nota prefettizia n. 60632 dd. 9 ottobre 2014;
– infine dell’acclusa nota – circolare prot. n. 10863 dd. 7 ottobre 2014 del Ministero dell’Interno.
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- Fa presente che in data 30 settembre del 2014 il sindaco di Udine aveva iscritto nel registro dei matrimoni presso l’ufficio di stato civile il matrimonio contratto all’estero dalla ricorrente con una persona del medesimo sesso.
Con nota del 7 ottobre 2014, il Ministro dell’interno, ritenendo che tali trascrizioni non siano consentite dal d.p.r. 396 del 2000, ha disposto che i prefetti invitino i sindaci ad annullare tali trascrizioni.
Con una nota del 9 ottobre 2014 non notificata alla ricorrente il prefetto ha invitato il sindaco a procedere a tale cancellazione; il sindaco ha risposto sostenendo l’impossibilità di procedere all’annullamento di una trascrizione in assenza di una pronuncia giurisdizionale.
Infine, con il decreto in questa sede impugnato datato 27 ottobre 2014, il prefetto ha ordinato l’annullamento d’ufficio della trascrizione del matrimonio; successivamente ha nominato un delegato che ha provveduto ad annullare detta trascrizione apponendo nel registro apposita annotazione.
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III. A sostegno del ricorso la ricorrente deduce i seguenti motivi:
- Nullità del decreto prefettizio per difetto assoluto di attribuzione, incompetenza assoluta, ex articolo 21 septies della legge 241 del 1990 ed ex articolo 31 del decreto legislativo 104 del 2010. Violazione dell’articolo 453 del codice civile e dell’articolo 95 del d.p.r. 396 del 2000. Violazione del d.p.r. 396 del 2000, articoli 12, 11, 5, 69 e 100. Violazione del decreto ministeriale 5 aprile 2002.
Premette la ricorrente che non è questa la sede per discutere il tema della correttezza della trascrizione effettuata dal sindaco di Udine, anche alla luce del limite della giurisdizione del giudice amministrativo; oggetto del presente giudizio è unicamente la legittimità dell’atto prefettizio.
Sostiene la ricorrente che non vi sarebbe alcun potere in capo al prefetto di annullare la trascrizione.
Quanto al merito, si tratta di uno status personale della ricorrente che è un diritto personale e intangibile e che l’avvenuta trascrizione crea in capo alla ricorrente il diritto a vedere la trascrizione assoggettata al regime giuridico di cui agli articoli 449 e seguenti del codice civile e al d.p.r. 396 del 2000.
Appare poi infondata la pretesa del prefetto di applicare l’articolo 21 nonies della legge 241 del 1990, perché la trascrizione dell’atto di matrimonio non sarebbe un provvedimento amministrativo, ma un atto pubblico formale con effetto dichiarativo e di certificazione, laddove il decreto prefettizio invece non sarebbe un atto pubblico formale, ma un vero provvedimento amministrativo, come tale sostanzialmente diverso dall’atto che vorrebbe annullare.
Precisa poi la ricorrente come l’ordinamento dello stato civile costituisce un sistema chiuso e tassativo, per cui le registrazioni dello stato civile non possono subire variazioni; ne consegue che l’ufficiale di stato civile ha solo il potere di aggiornare i registri o di correggere gli errori materiali, mentre la rettificazione e la cancellazione è rimessa all’autorità giudiziaria ordinaria.
Infatti, tra le annotazioni possibili nel registro dei matrimoni non è previsto alcun atto di annullamento o di autotutela, ma solo l’annotazione della rettifica giudiziaria.
- Violazione e falsa interpretazione degli articoli 9 del d.p.r. 396 del 2000 e 54 del decreto legislativo 267 del 2000: non sussiste in capo al prefetto una posizione di sovraordinazione rispetto al sindaco quale ufficiale di stato civile; il ministro ha il potere d’indirizzo e il prefetto un potere di vigilanza, ma il prefetto non può sostituirsi al sindaco e non può esercitare poteri superiori a quelli del sindaco, che non può annullare le trascrizioni. Il potere sostitutivo del prefetto è previsto solo in caso d’inerzia del sindaco.
- Illegittimità dell’ordine di annotazione per violazione dell’articolo 453 del codice civile, degli articoli 69, 11 e 12 del d.p.r. 396 del 2000; violazione del decreto ministeriale 5 aprile 2002.
L’ordine del prefetto di annotare il decreto impugnato è viziato in via derivata dalla nullità del decreto stesso. L’annotazione quale atto tipico e tassativo è da qualificare come atto pubblico formale e non si può ordinare in alcun modo. L’ordinamento, infatti, non contempla la possibilità di annotare un decreto dell’autorità amministrativa, ma solo un provvedimento dell’autorità giurisdizionale.
Nel decreto ministeriale del 5 aprile 2002 non esiste, infatti, alcuna formula che consenta l’annotazione effettuata dal prefetto.
- Violazione del procedimento e degli articoli 7 e 10 della legge 241 del 1990, violazione del diritto di difesa e dell’articolo 24 della Costituzione.
Il decreto dà atto che non è intervenuta alcuna comunicazione di avvio del procedimento, e anzi la nota è stata indirizzata al sindaco e non all’interessata; il procedimento quindi ha violato il diritto alla partecipazione e alla difesa.
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- Si è costituito in giudizio ad adiuvandum il Comune di Udine, giusta deliberazione della Giunta comunale n. 10 del 26 gennaio 2015.
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- L’Avvocatura dello Stato resiste in giudizio premettendo che a suo avviso il Sindaco di Udine ha agito al di fuori dei limiti della sua competenza, eseguendo una trascrizione che la legge non prevede e che le indicazioni governative pochi giorni dopo avrebbero escluso esplicitamente. Il Prefetto di Udine ha posto rimedio a tale atto extra ordinem annullando la trascrizione.
Eccepisce poi che la ricorrente avrebbe dovuto instaurare correttamente il ricorso di fronte al giudice ordinario, per ottenere l’accertamento sul suo diritto ad ottenere la trascrizione del proprio matrimonio.
Inoltre, nemmeno ricorrendo innanzi al tribunale ordinario l’interessata potrebbe ottenere alcun accertamento del suo diritto a trascrivere il matrimonio contratto all’estero, in quanto sulla materia l’unico soggetto competente a pronunciarsi è il legislatore nazionale, secondo la sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 e conformemente all’art. 9 della Carta di Nizza e all’art. 12 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo – CEDU.
Eccepisce poi l’inammissibilità nel rito per difetto assoluto d’interesse ad agire in capo alla ricorrente ex art. 100 c.p.c. e per il contenuto contra legem della domanda.
L’inammissibilità del ricorso si evidenzierebbe – nella tesi della resistente – nella considerazione che l’ordinamento non riconosce al privato cittadino la possibilità di adire il Tribunale Amministrativo per ottenere una decisione teorica sulla legittimità in astratto di un atto, bensì ogni domanda giudiziale deve essere supportata da idoneo e concreto interesse alla tutela di un preciso bene della vita del privato, laddove il ricorso in esame non poggerebbe su alcun interesse giuridicamente tutelato.
Secondo la resistente amministrazione, l’unico interesse che può rinvenirsi è l’interesse a veder confermata la trascrizione, nei registri di stato civile del Comune di Udine, del matrimonio con persona dello stesso sesso contratto all’estero, che appare, oltre che di mero fatto, anche contra legem.
In ogni caso, secondo la resistente, non sarebbe comunque corretto incardinare la presente controversia di fronte al T.A.R., per almeno quattro ordini di motivi.
- Innanzitutto, di fronte ad ogni atto che incida sullo status delle persone così come risultante dai registri di stato civile (trascrizione, rettificazione, cancellazione, correzione e così via), l’unico percorso obbligato e prescritto per dolersene sarebbe il ricorso al tribunale ordinario.
- La giurisdizione del T.A.R. sarebbe carente anche secondo la normativa codicistica.
In particolare, infatti, l’art. 9, comma 2, c.p.c. sancisce che: “il tribunale è altresì esclusivamente competente per le cause in materia di imposte e tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persona e ai diritti onorifici, per la querela di falso, per l’esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile”.
L’art. 8, comma 2, c.p.a. ribadisce che: “restano riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti di capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso”.
Allo stesso modo, l’art. 70, comma 1, c.p.c. annovera tra i procedimenti civili – e non amministrativi – assistiti dalle forme camerali con presenza obbligatoria del Pubblico Ministero anche quelli “riguardanti lo stato e la capacità delle persone”.
Infine, l’art. 7 c.p.a. prevede che: “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi” , ed il successivo art. 133 c.p.a., elencando le materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ove egli può conoscere dei diritti soggettivi, non indica affatto la materia degli status delle persone.
- Del resto – aggiunge l’Avvocatura dello Stato – l’attribuzione in via esclusiva al Tribunale ordinario della cognizione sugli stati delle persone trova la sua ratio nel garantire, attraverso un particolare procedimento – che impone, tra l’altro, la partecipazione del Pubblico Ministero al giudizio (ex art. 70 c.p.c. cit.) – che i diritti personalissimi di ogni cittadino, a cominciare dallo status, siano conosciuti e vagliati di per loro stessi, e non in rapporto con un’Autorità amministrativa – il che accadrebbe, invece, di fronte al T.A.R.
- Infine, l’actio finium regundorum non sarebbe di spettanza del Giudice Amministrativo adito in questa sede, il quale si verrebbe “innaturalmente” a decidere se debba essere il Prefetto o il Giudice ordinario ad attribuire un bene personalissimo della vita al privato cittadino.
In merito, l’Avvocatura dello Stato afferma la piena legittimità dell’atto di annullamento da parte del Prefetto di Udine, espressione definitiva della volontà dell’Amministrazione dello stato civile sulla trascrizione del matrimonio.
Il Sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile.
La circolare – direttiva del Ministro dell’Interno datata 7 ottobre 2014 – non manifestamente criminosa, non illegittima e dunque, vincolante per Sindaci e Prefetti – attribuisce al Prefetto tale specifico potere di vigilanza, intervento e annullamento degli atti di trascrizione ad opera dei sindaci di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso.
Viceversa, l’atto del Sindaco era ed è annullabile proprio perché contrastante con l’ordine contenuto nella circolare.
La resistente amministrazione rammenta poi la natura vincolata del provvedimento, che è stato adottato nell’esercizio del potere-dovere di agire al fine di garantire l’esercizio uniforme a livello nazionale della fondamentale funzione di stato civile, presidiando, per questa via, anche l’esigenza di garanzia della certezza del diritto e dei rapporti giuridici.
Considerata tale natura vincolata, dunque, soccorre l’art. 21 octies della legge n. 241/1990, in quanto la partecipazione dei privati interessati al procedimento non avrebbe potuto incidere sul contenuto dispositivo del provvedimento.
Eccepisce poi l’inammissibilità dell’intervento del Comune di Udine, che non ha alcuna autonoma legittimazione ad agire, essendo un ente locale esponenziale di una comunità di cittadini del tutto estraneo alle funzioni di stato civile.
L’intervento del Comune di Udine andrebbe considerato inammissibile per un duplice profilo:
– in quanto, semmai, sarebbe dovuto intervenire il Sindaco e non il Comune;
– in quanto, comunque, anche il Sindaco sarebbe stato privo della legittimazione ad agire perché organo diretto dello Stato, non potendosi configurare un ricorso proposto da un organo dello Stato contro un altro organo dello Stato davanti ad autorità giudiziaria amministrativa (e non davanti alla Corte costituzionale).
L’amministrazione conclude per l’inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso, essendo il provvedimento impugnato pienamente legittimo.
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- Il Comune di Udine, costituitosi in giudizio ad adiuvandum, con un’apposita memoria depositata il 10 aprile 2015, sostiene il suo interesse a contraddire nel presente giudizio, al fine di accertare la piena legittimità della trascrizione e correlativamente l’illegittimità del decreto del prefetto di Udine impugnato.
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VII. Con memoria di replica depositata il 21 aprile 2015 l’Avvocatura dello Stato, ribadita l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del Comune di Udine, rileva come la questione principale sia la possibilità giuridica di trascrivere i matrimoni contratti all’estero da persone dello stesso sesso. La Corte di cassazione con la sentenza n 2400 del 9 febbraio 2015 ha escluso che sussista tale possibilità giuridica.
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VIII. La ricorrente con memoria di replica depositata il 22 aprile 2015 contesta le eccezioni avversarie relative al difetto di giurisdizione e alla carenza di interesse.
In particolare, rileva come l’atto impugnato sia un provvedimento prefettizio, e come al giudice amministrativo non sia chiesto di pronunciarsi sullo stato matrimoniale ma solo sull’incompetenza del prefetto.
Nemmeno l’azione ex art 95 del dPR 396 del 2000 sarebbe un’azione di stato ma una tipica azione di accertamento; infatti, non è dalla trascrizione del matrimonio che sorge lo status ma dalla celebrazione del matrimonio stesso. L’accertamento dell’illegittimità del decreto prefettizio non ha quindi alcuna incidenza sullo status della ricorrente.
Osserva poi la ricorrente come l’art 31 comma 4 del c.p.a. prevede l’azione di accertamento della nullità ed è proprio questo il petitum principale del ricorso, prima ancora dell’annullamento del decreto prefettizio.
Ribadisce infine le proprie restanti argomentazioni concludendo in conformità.
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- In data 22 aprile 2015 l’avvocatura comunale con apposita memoria replica all’eccezione proposta dall’Avvocatura dello stato d’inammissibilità dell’intervento in causa del Comune di Udine.
L’interesse comunale è “indiretto e mediato” e volto ad accertare l’illegittimità dell’atto prefettizio e ad accertare la “piena legittimità dell’azione posta in essere dal Sindaco ancorché nella veste di Ufficiale di Governo”.
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- Nel corso della pubblica udienza del 13 maggio 2015, parte ricorrente ha osservato che a suo avviso la trascrizione del matrimonio non può essere considerata un atto amministrativo ma sarebbe equiparabile a un atto notarile, dovendo solo accertare e prendere atto di un fatto esterno, non sindacabile se non davanti al giudice civile.
L’Avvocatura dello Stato ha ribadito che, in assenza di una legge che regolamenti la materia, non si può consentire che i sindaci, che agiscono come ufficiali di governo, operino contra legem provocando in tal modo una disparità di trattamento tra cittadini.
Il rappresentante del Comune di Udine spiega che l’interesse ad adiuvandum deriva dalla domanda di accertamento della legittimità dell’operato dell’apparato comunale.
Infine la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1.0. Oggetto del presente ricorso è in via principale il decreto del prefetto di Udine del 27 ottobre 2014 che ha disposto l’annullamento della trascrizione del matrimonio della ricorrente nei registri di stato civile del Comune di Udine, nonché gli atti connessi, tra cui l’atto di delega del 29 ottobre 2014, il processo verbale del viceprefetto aggiunto del 29 ottobre 2014, la nota prefettizia del 9 ottobre 2014 e la direttiva – circolare del Ministero dell’interno del 7 ottobre del 2014.
1.1. La ricorrente, a pagina cinque del ricorso introduttivo, afferma chiaramente che non è suo intendimento discutere della correttezza o meno della trascrizione effettuata dal sindaco di Udine, anche alla luce dell’articolo 8 comma secondo del codice del processo amministrativo. L’oggetto del ricorso quindi viene delimitato dalla parte ricorrente al citato provvedimento di annullamento emanato dal prefetto e agli atti connessi, di cui si chiede in primis l’accertamento della nullità e in subordine l’annullamento.
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2.0. Ciò premesso in relazione all’oggetto del ricorso, è necessario esaminare le numerose e articolate eccezioni sollevate dall’avvocatura dello Stato, sia di difetto di giurisdizione, sia di carenza d’interesse in capo alla ricorrente.
Ritiene questo collegio che sussista la giurisdizione del tribunale amministrativo, conformemente a quanto deciso in analoghi ricorsi dal Tar Lazio – Roma – Sezione Prima Ter – nelle sentenze n. 3900, 3907, 3911, 3912 e 5924 del 2015.
Innanzitutto, la giurisdizione deriva proprio dall’oggetto del ricorso, un provvedimento amministrativo posto in essere dal Prefetto di Udine. Invero l’articolo 7 del Codice del processo amministrativo fa espresso riferimento al primo comma a controversie ove si faccia questione di interessi legittimi nell’esercizio di un potere amministrativo, riguardante atti riconducibili all’esercizio di tale potere posti in essere da pubbliche amministrazioni.
2.1. Il fatto che il contenuto del provvedimento prefettizio gravato sia l’ordine di annullamento di una trascrizione effettuata dal sindaco nel registro degli atti di matrimonio non sposta la giurisdizione, sia in quanto l’ordine è pacificamente un atto amministrativo, sia in quanto la legittimità o meno della trascrizione viene esaminata unicamente in via incidentale, al solo fine di valutare la legittimità o meno dell’ordine prefettizio gravato.
2.2. La questione di giurisdizione viene sollevata anche sotto altro aspetto da parte della resistente amministrazione, la quale rileva che la trascrizione nel registro di stato civile di un matrimonio intervenuto all’estero costituirebbe una questione di status, e come tale, ai sensi del citato articolo 8, comma secondo, del c.p.a., di spettanza in via esclusiva all’autorità giudiziaria ordinaria.
Su questo punto osserva il collegio da un lato come oggetto del presente ricorso non sia lo status della ricorrente, ma un atto amministrativo prefettizio, e d’altro lato come l’esistenza o meno di uno status matrimoniale e la sua trascrivibilità costituisce appunto l’oggetto del provvedimento prefettizio o meglio il suo presupposto, e quindi non si può dare per definito a priori quanto costituisce oggetto di esame diretto o indiretto nella presente controversia.
In altri termini, l’avvocatura dello Stato nella sua eccezione dà per accertato quanto invece deve essere valutato in corso di giudizio, cioè nella disanima di merito della causa.
2.3. Infatti, quanto allo status matrimoniale, esso, come si vedrà meglio in prosieguo, attualmente non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento tra persone del medesimo sesso, e questo non solo nella fattispecie in esame ma in linea generale. Ne consegue che, non sussistendo alcuno status riconosciuto o riconoscibile, nel caso non si applica l’articolo 8, comma secondo, del codice.
2.4. Il collegio deve poi esaminare l’ulteriore eccezione di carenza d’interesse, sollevata sempre dall’avvocatura dello Stato, in quanto nessun beneficio verrebbe alla ricorrente dall’eventuale accoglimento del suo ricorso se non un riconoscimento di uno status matrimoniale esulante dalla giurisdizione del giudice amministrativo. Invero, la resistente amministrazione osserva come il bene della vita cui aspira la ricorrente sia la trascrizione nei registri di stato civile italiani del suo matrimonio contratto all’estero, bene della vita che si sostanzierebbe in uno status matrimoniale che esula dalla giurisdizione di questo tribunale. In sostanza, l’impugnazione del provvedimento prefettizio sarebbe un modo surrettizio per vedersi riconoscere uno status nel nostro ordinamento.
Anche tale prospettazione – ad avviso questo collegio – non può essere condivisa, sia per le motivazioni sopra illustrate relative alla natura dell’atto gravato, sia per la ragione che una trascrizione esistente nei registri del Comune di Udine, comunque presenta un apprezzabile interesse per una cittadina italiana che si vedrebbe in qualche modo certificato e registrato un matrimonio contratto all’estero, dando allo stesso una qualche stabilità e pubblicità, indipendentemente dagli effetti strettamente giuridici di tale trascrizione (allo stato della legislazione italiana inesistenti).
In altri termini, sussiste un evidente interesse dell’instante a vedersi mantenuta la trascrizione nel registro comunale dei matrimoni, se non altro per le palesi implicazioni etiche soggettive, evidenziate a pagina 6 del ricorso introduttivo e nella nota a pagina 4 della memoria di replica.
2.5. L’interessata sottolinea poi in ricorso il suo interesse a vedere la trascrizione assoggettata al regime giuridico previsto dagli articoli 449 e seguenti del codice civile e dal d.p.r. 396 del 2000, e anche tale interesse merita una qualche tutela, considerata la particolare pregnanza del menzionato regime giuridico, pur non risultando sufficiente da solo a sorreggere la legittimazione e l’interesse a ricorrere.
2.6. Va infine aggiunto che è idoneo a fondare l’interesse e la legittimazione a ricorrere non solo l’interesse materiale ma anche l’interesse puramente morale (C d S, n. 386, n. 1626 e n. 2043 del 2015), che nella peculiare controversia in esame si deve ritenere sussistente in capo alla ricorrente, coinvolta in una vicenda personale di evidente rilievo relazionale e affettivo.
2.7. Sempre nell’ambito delle eccezioni preliminari, la resistente amministrazione, eccependo sotto altro profilo il difetto di giurisdizione, osserva che l’actio finium regundorum, non sarebbe di spettanza del Giudice Amministrativo adito, il quale si verrebbe “innaturalmente” a trovare nella situazione di decidere se debba essere il Prefetto o il Giudice ordinario ad attribuire un bene personalissimo della vita al privato cittadino.
L’eccezione non risulta fondata.
Invero, in questa sede, spetta al Giudice amministrativo non già una sorta di actio finium regundorum, che compete alla Corte costituzionale ovvero sotto altri profili alla Corte di Cassazione, ma più semplicemente un giudizio sulla legittimità di un atto amministrativo prefettizio, da verificare alla luce della norma attributiva del potere esercitato. Anzi, come si esaminerà in seguito, la presente pronuncia si basa in parte proprio sulle sentenze della Corte costituzionale in materia e sul riparto costituzionale dei poteri.
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3.0. Sempre in via preliminare, va esaminata la questione dell’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum del Comune di Udine, eccepita dall’Avvocatura dello Stato.
Innanzitutto va osservato come intervenga il Comune in quanto tale e non il sindaco come ufficiale di governo.
3.1. In generale, l’intervento consentito nel processo amministrativo è quello di tipo adesivo dipendente, fatto valere dai soggetti titolari di un interesse giuridicamente rilevante, ma riflesso rispetto a quello azionato in via di principalità dal ricorrente, e non direttamente coinvolto dall’atto da quest’ultimo impugnato. In particolare, l’intervento ad adiuvandum è ammissibile solo se finalizzato alla difesa di un interesse derivato o dipendente da quello della parte principale, atteso che il fine che persegue colui che lo propone è sostenere le ragioni del ricorrente, in quanto titolare di un interesse di fatto dipendente da quello azionato in via principale o ad esso accessorio ovvero di quello sotteso al mantenimento dei provvedimenti impugnati, che gli consente di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dall’accoglimento o dal rigetto del ricorso (Consiglio di Stato sez V n 1687 del 2015; TAR Puglia Lecce n 677 del 2015; TAR Molise, n 49 del 2014).
3.2. Nel caso in esame, non si vede come il Comune, ente locale esponenziale di una comunità di cittadini, possa avere un interesse rilevante e differenziato dal punto di vista giuridico alla presente controversia, che riguarda un atto prefettizio che dispone la cancellazione di una trascrizione effettuata dal sindaco quale ufficiale di stato civile e non quale esponente della comunità.
L’interesse del Comune in quanto tale può essere di tipo ideologico, politico o di altro genere, ma non certo giuridicamente apprezzabile in sede di giudizio amministrativo di legittimità e tale da giustificare un intervento ad adiuvandum (e nemmeno in ipotesi un intervento ad opponendum).
3.3. La difesa comunale, nella memoria di replica depositata il 22 aprile 2015, afferma che l’interesse comunale è “indiretto e mediato” e volto ad accertare l’illegittimità dell’atto prefettizio e ad accertare altresì la “piena legittimità dell’azione posta in essere dal Sindaco ancorché nella veste di Ufficiale di Governo”.
Nel corso della discussione in pubblica udienza, il rappresentante del Comune ha poi evidenziato che vi sarebbe un interesse dell’”apparato” comunale a vedersi confermata la legittimità del proprio operato.
3.4. Le argomentazioni comunali risultano giuridicamente deboli, perché si limitano a richiamare la definizione manualistica di intervento e ad enunciare un mero interesse ad accertare l’illegittimità dell’atto prefettizio e correlativamente la legittimità dell’azione del Sindaco, interesse che non si comprende come si rapporti con il Comune inteso come collettività.
3.5. Ancor meno rilevante risulta l’ipotizzato interesse dell’apparato comunale, sia per la ragione che tale apparato è costituito dal sindaco quale ufficiale di governo e dai dipendenti dallo stesso delegati, sia perché operando in materia di stato civile tale apparato agisce come organo delegato e decentrato del Ministero dell’interno, sia perché si tratterebbe pur sempre di un mero interesse all’accertamento della legalità, sia perché tale presunto interesse è emerso unicamente in pubblica udienza e non nelle memorie comunali, sia infine perché quello che comunque rileva è la mancanza di un interesse del Comune quale ente esponenziale di una comunità.
Infatti, il mero accertamento dell’illegittimità o della legittimità di atti o comportamenti non basta a sostanziare un interesse ad adiuvandum o ad opponendum di un ente esponenziale.
3.6. In sostanza, il Comune di Udine non è riuscito minimamente a spiegare e ancor meno a dimostrare un reale interesse al ricorso tale da giustificare un suo intervento in causa.
3.7. Ovviamente l’esito del presente ricorso, conforme a quello auspicato dal Comune, non muta i termini della questione, in quanto l’interesse a intervenire va valutato a priori e non può dipendere dal contenuto della decisione.
Ne consegue la necessaria estromissione del Comune di Udine dal presente giudizio.
3.8. Questo collegio peraltro, in relazione alla somma stanziata dal Comune per il suo intervento in giudizio (pari ad euro 1.459,12) e posta a carico del bilancio comunale e quindi del contribuente, come risultante dalla deliberazione della Giunta comunale n. 10 del 26 gennaio 2015, depositata in atti, ritiene suo dovere disporre la trasmissione degli atti della presente causa alla Procura regionale della Corte dei Conti, per un suo eventuale intervento.
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4.0. Risolte le questioni preliminari, il presente giudizio va esaminato nel merito.
Come già sopra enunciato, la questione della trascrizione di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso, pur non essendo oggetto diretto del presente ricorso, va esaminata in via incidentale.
Infatti, è necessario, ai fini di verificare la legittimità o meno del provvedimento del prefetto che ha disposto, sulla base delle disposizioni ministeriali, la cancellazione della trascrizione, provvedimento motivato proprio con l’illegittimità di detta trascrizione, esaminare incidenter tantum la possibilità giuridica della trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da un cittadino italiano con una persona del medesimo sesso.
4.1. In altri termini, nella presente controversia, se risulta decisivo l’esame della censura d’incompetenza del prefetto, comunque non si può prescindere dalla valutazione della legittimità o meno della trascrizione di cui detto prefetto ha disposto la cancellazione, innanzi tutto per la ragione che la competenza prefettizia si atteggia diversamente a seconda della legittimità o meno di detta trascrizione.
Inoltre, diversa è evidentemente la situazione giuridica di un atto viziato solo perché emesso da un’autorità incompetente ovvero viziato altresì per un suo contenuto contra legem. Tale disamina del resto ha formato oggetto anche di approfondimenti da parte del Tar Lazio – Roma, Sezione Prima Ter, nella sentenza n. 3912 del 2015, invocata a sostegno da parte ricorrente.
4.2. Sul punto si rileva come la stessa ricorrente a pagina 3 della memoria di replica depositata il 22 aprile 2015 sottolinea che la trascrizione operata dal Sindaco di Udine è stata effettuata “correttamente”. Aggiunge poi, nella nota a pagina 4, che l’ordinamento consente la trascrizione di matrimoni contratti all’estero indipendentemente dalla loro capacità di spiegare effetti in Italia, rendendo l’atto trascritto conoscibile con certezza; in tal modo è la stessa instante a configurare un suo interesse alla trascrizione prescindendo dai suoi effetti, interesse che va esaminato sia pure incidentalmente nella presente controversia.
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5.0. La questione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso è stata risolta dalla Corte costituzionale con la fondamentale sentenza n. 138 del 2010, la quale afferma che nell’attuale quadro normativo e costituzionale in Italia non è consentita la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e nemmeno la trascrizione di un analogo matrimonio contratto all’estero.
La pronuncia prende le mosse dall’art. 2 Cost. il quale dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità: in tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
5.1. La Consulta esclude, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale – possa essere realizzata soltanto attraverso un’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, per cui spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni da garantire con il controllo di ragionevolezza.
5.2. La citata sentenza, infatti, afferma che l’articolo 29 della Costituzione fa riferimento alla nozione di matrimonio definita dal codice civile quale comunione di persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può allo stato essere superato con un’operazione ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.
In sostanza, secondo la Consulta, spetta al legislatore e solo al legislatore regolamentare la questione delle unioni tra soggetti dello stesso sesso, anche perché tale regolamentazione può risultare omogenea ma anche differenziata rispetto a quella dei matrimoni tra persone di sesso diverso.
5.3. Le successive pronunce della Consulta hanno ribadito le argomentazioni testé enunciate; in particolare, nella sentenza n 170 dell’11 giugno 2014 la Corte costituzionale ha riaffermato che la nozione costituzionale attuale del matrimonio va intesa come unione di persone di sesso diverso (punti 5.1 e 5.2 del Considerato in diritto).
5.4. Sul punto rileva poi la sentenza della Corte di Cassazione n 4184 del 2012 che ha affermato la non trascrivibilità delle unioni omosessuali, che dipende non già dalla loro inesistenza o invalidità ma dalla loro “inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”.
5.5. Sempre la Corte di Cassazione con la pronuncia n 2400 del 9 febbraio 2015 ha sostanzialmente ribadito sia la non trascrivibilità dei matrimoni tra omosessuali contratti all’estero sia l’impossibilità giuridica delle pubblicazioni in Italia di un matrimonio omosessuale, richiamando a sostegno la precedente giurisprudenza civile, costituzionale ed europea. In tale sentenza poi si evidenzia, con un rilievo condiviso da questo Collegio, che dopo la sentenza della Corte costituzionale n 138 del 2010 non vi sono stati mutamenti nella giurisprudenza europea e costituzionale tali da portare a diverse conclusioni.
5.6. Per onestà intellettuale vanno citate alcune pronunce favorevoli alla possibilità di trascrivere atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso, tra cui il decreto del Tribunale di Reggio Emilia n. 1302 del 2 febbraio 2011 nonché la pronuncia del Tribunale di Grosseto del 3 – 9 aprile 2014, poi annullata in sede di reclamo dalla Corte d’Appello di Firenze in data 19 settembre 2014.
5.7. Oltre alla citata sentenza n. 138 della Corte costituzionale rilevano anche le normative e la giurisprudenza europee.
Invero, l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo stabilisce che uomini e donne hanno diritto di sposarsi e fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto, facendo quindi riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio fondato sulla diversità di sesso e rinviando alla legislazione dei singoli Stati la disciplina per l’esercizio del diritto.
L’articolo 9 della Carta di Nizza, che riguarda i diritti fondamentali dei cittadini dell’unione europea, stabilisce che il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali, omettendo quindi ogni riferimento alla diversità di sesso.
5.8. La Corte europea dei diritti dell’uomo con una pronuncia del 24 giugno 2010 (caso Schalk e Kopf contro Austria), in una vicenda analoga a quella oggetto della presente controversia, ha affermato che il rifiuto di un ufficiale di stato civile di celebrare un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la CEDU, osservando che è rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato la decisione di consentire o meno il matrimonio omosessuale e quindi la decisione conseguente sulla trascrivibilità dello stesso.
Del tutto analoghe le considerazioni della medesima corte europea nel procedimento “Gas e Dubois contro Francia” e in quello “H. contro Finlandia” del 13 novembre 2012.
5.9. In conclusione sul punto, allo stato la normativa europea non pone alcun vincolo agli Stati membri di consentire o meno il matrimonio omosessuale.
In concreto, nell’ambito dell’Europa, le discipline normative dei vari Stati differiscono alquanto tra di loro e sono in continua evoluzione, risultando alquanto variegate e cangianti. In alcuni Paesi, come Olanda, Belgio e Spagna è stato rimosso tout court il divieto di sposare una persona dello stesso sesso; altri Paesi prevedono un istituto riservato alle unioni omosessuali (ci si riferisce a titolo di esempio alle Lebenspartnerschaft tedesche e alle registered partnership inglesi) con disciplina analoga a quella del matrimonio, o al quale è stata semplicemente estesa la disciplina matrimoniale, con l’esclusione, talvolta, delle disposizioni inerenti la potestà sui figli e l’adozione.
Fra i Paesi che ancora non hanno introdotto il matrimonio o forme di tutela paramatrimoniali, molti comunque prevedono forme di registrazione pubblica delle famiglie comprese quelle omosessuali.
Altri Stati europei, come l’Italia, ad oggi non consentono o riconoscono dal punto di vista giuridico il matrimonio o altra tipologia di unione tra persone dello stesso sesso.
*****
6.0. Conviene prendere in esame la disciplina normativa che riguarda la celebrazione e la trascrizione dei matrimoni celebrati in Italia e all’estero.
Viene in rilievo l’articolo 27, comma primo, della legge n. 218 del 1995, riguardante la riforma del diritto internazionale privato, che stabilisce che la capacità matrimoniale e le condizioni per contrarre matrimoni sono regolati dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio.
A sua volta l’articolo 115 del codice civile afferma che il cittadino resta soggetto alle disposizioni contenute nel codice stesso anche quando contrae matrimonio in paese straniero.
6.1. Emerge quindi che l’ufficiale di stato civile italiano ai fini della trascrizione di un matrimonio contratto all’estero ha il potere e il dovere di verificare se sussistono i requisiti necessari per celebrare il matrimonio che possa avere effetti rilevanti, requisiti previsti dalla normativa italiana.
6.2. Non si tratta quindi, come affermato da parte ricorrente nel corso della discussione in pubblica udienza, di una mera attività notarile (tra l’altro, nemmeno un notaio può registrare un atto radicalmente nullo), ma di un atto pubblico amministrativo che deve necessariamente verificare la sussistenza dei requisiti per poter procedere alla trascrizione di un matrimonio contratto all’estero. Altrimenti opinando, sarebbe in ipotesi possibile la trascrizione di un matrimonio poligamo o contratto in regime di poliandria, consentiti in alcuni ordinamenti stranieri.
6.3. Orbene, come affermato dalla sopra citata sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, la diversità di sesso costituisce un requisito sostanziale affinché il matrimonio possa produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano, come risulta anche dagli articoli numero 107, 108, 143 e 143 bis del codice civile nonché dall’articolo 64 del d.p.r. 396 del 2000.
6.4. In sostanza, allo stato dell’attuale normativa italiana, un matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per poter procedere alla sua trascrizione.
6.5. Ne discende che la trascrizione disposta dal sindaco di Udine e poi annullata con il provvedimento prefettizio in questa sede impugnato era contraria alla legge.
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7.0. A questo punto va richiamato il fondamentale principio di legalità, secondo cui tutti gli atti formati dalla pubblica amministrazione, ivi compresa la trascrizione di un matrimonio celebrato all’estero, devono risultare conformi alla legge. Ove non lo siano essi, sulla base dei noti principi, tra cui rileva l’articolo 97 della Costituzione, devono essere rimossi dall’ordinamento o su istanza del privato ovvero su iniziativa della stessa amministrazione in via di autotutela.
7.1. La legge 241 del 1990, normativa di principio in materia di procedimento amministrativo, pone dei limiti all’esercizio di autotutela della pubblica amministrazione nella rimozione di un atto amministrativo illegittimo, ma si tratta a ben vedere di un’eccezione alla regola generale, e, infatti, essa viene limitata ad alcune ipotesi in cui l’annullamento di un atto illegittimo violerebbe le consolidate aspettative dei cittadini ovvero non sarebbe più conforme all’interesse pubblico, anche in considerazione del lasso di tempo trascorso dall’emanazione dell’atto illegittimo stesso.
7.2. Ne consegue che, ad avviso di questo collegio, la normativa specifica sull’annullamento in autotutela prevista dalla citata legge 241 del 1990 conferma la regola generale e il principio dell’ordinamento che ogni atto amministrativo deve risultare conforme alla legge e ove non lo sia deve essere rimosso dal mondo giuridico.
Tale principio peraltro deve ritenersi sussistente anche a livello europeo, in quanto discende direttamente dal principio di legalità.
7.3. Di conseguenza, la questione giuridica cardine all’esame di questo collegio si può riformulare, nel senso che risulta necessario verificare se il provvedimento prefettizio in questa sede impugnato è idoneo o meno a eliminare dall’ordinamento un atto non consentito e quindi illegittimo, quale la trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due soggetti del medesimo sesso.
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8.0. Va osservato come la trascrizione nel registro dell’atto di matrimonio va intesa quale atto avente natura amministrativa, avente effetti dichiarativi e di certificazione, sia pure – come si esaminerà meglio in seguito – soggetto a una disciplina del tutto peculiare.
Infatti, contrariamente a quanto si assume in ricorso e sostenuto in pubblica udienza, si possono considerare quali atti amministrativi gli atti giuridici di diritto pubblico compiuti da soggetti incardinati nella pubblica amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa. Tra tali atti, che si possono concretizzare in accertamenti derivanti dalla constatazione obiettiva di fatti o situazioni, rientrano anche i certificati che integrano dichiarazioni di conoscenza di qualità personali o della titolarità di status, capacità o diritti.
In sostanza, il fatto che la trascrizione abbia natura certificativa non implica che essa non possa essere considerata quale provvedimento amministrativo (in senso conforme, TAR Lazio Roma n 3912 del 2015).
8.1. Tuttavia, quanto testé evidenziato in relazione agli atti di trascrizione non comporta che agli stessi sia applicabile la disciplina generale prevista per gli atti amministrativi, e in particolare quella di cui alla legge 241 del 1990, in quanto, come si dimostrerà in seguito, la materia è compiutamente disciplinata dalla normativa speciale e in particolare dal d.p.r. 396 del 2000, che riguarda l’ordinamento dello stato civile. In tale senso le sentenze del TAR Lazio Roma n. 3900, 3907, 3911, 3912 e 5924 del 2015, le quali tra l’altro hanno ritenuto la giurisdizione del TAR.
8.2. Vale quindi anche in tale materia la nota regola secondo cui la legge speciale deroga alla legge generale, anche se successiva.
*****
9.0. A questo punto, necessita effettuare un breve excursus della normativa relativa alla tenuta dei registri di stato civile, per verificarne sia la specialità sia la completezza.
La disciplina dello stato civile e in specie l’art. 453 cc prevede che:
“Nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall’autorità giudiziaria“.
9.1. Risulta opportuno riprodurre poi, per la sua decisiva rilevanza nella presente controversia, l’articolo 95 del d.p.r. 396 del 3 novembre 2000, recante il Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127, che prevede, per la modifica degli atti di stato civile, compresa la cancellazione di un atto indebitamente registrato, il ricorso al tribunale ordinario.
Esso così recita:
- Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l’adempimento.
- Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1.
- omissis
9.2. L’articolo 100, in maniera conforme, prevede poi che siano i tribunali a disporre eventuali correzioni di atti ricevuti da autorità straniere e trascritti in Italia oltre che a provvedere alla cancellazione di quelli indebitamente trascritti.
9.3. Altri articoli del dpr 396 del 2000 rilevano nella presente materia.
L’art. 5, comma 1, lettera a), prevede che:
“L’ufficiale dello stato civile, nel dare attuazione ai principi generali sul servizio dello stato civile di cui agli articoli da 449 a 453 del codice civile e nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, espleta i seguenti compiti:
- a) forma, archivia, conserva e aggiorna tutti gli atti concernenti lo stato civile“.
L’articolo 11 comma terzo afferma che:
“L’ufficiale dello stato civile non può enunciare, negli atti di cui è richiesto, dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle che sono stabilite o permesse per ciascun atto“.
Rileva poi l’art 12, comma primo, secondo cui:
“Gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule e le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno“.
Importante infine il dettato dell’articolo 12, comma sesto, che afferma che:
“Gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell’ufficiale dello stato civile competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni“.
L’art. 69 lettera i) disciplina le annotazioni negli atti di matrimonio, tra cui i provvedimenti di rettificazione.
L’art. 98 del d.p.r. n. 396/2000 prevede che:
“L’ufficiale dello stato civile, d’ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al prefetto, al procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto nonché agli interessati.”.
Il successivo art. 102 comma primo precisa poi che:
“Le annotazioni disposte per legge od ordinate dall’autorità giudiziaria si eseguono per l’atto al quale si riferiscono, registrato negli archivi di cui all’articolo 10, direttamente e senza altra formalità dall’ufficiale dello stato civile di ufficio o su istanza di parte“.
L’art. 109, del D.P.R. n. 396/2000, specifica che:
“I tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia, ed a provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti“.
9.4. Rileva poi D.M. 5 aprile 2002, il quale, nel prescrivere le formule tassative di annotazione all’Allegato A) formula n. 190, stabilisce quanto segue:
“Annotazione di provvedimento di rettificazione (artt. 49, 69 e 81 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). Con provvedimento del Tribunale di … n. …in data … l’atto di cui sopra è stato cosi rettificato (inserire specificamente le rettificazioni così come sono state disposte) ...”.
9.5. In sostanza, l’ufficiale di stato civile ha solo il potere di aggiornare i registri e di correggere gli eventuali errori materiali.
Come visto, l’articolo 98 poi prevede che l’ufficiale di stato civile possa correggere solo gli errori materiali, implicando in tal modo che gli altri tipi di errori, quelli cioè sostanziali possono essere corretti solo con l’intervento dell’autorità giudiziaria ordinaria.
In definitiva, le disposizioni citate non prevedono competenze o poteri di annullamento o di autotutela aventi ad oggetto la trascrizione di matrimoni, ma solo la possibilità di disporre l’annotazione di rettificazioni operate dall’Autorità giudiziaria.
9.6. Non si rinvengono altre previsioni contenute nel citato articolo 69 che dispongano l’annotazione di qualche diverso provvedimento del genere di quello prefettizio qui impugnato, ovvero formule di cui al DM 5 aprile 2002 che si riferiscano ad atti adottati dall’Autorità amministrativa.
Quindi, una trascrizione nel Registro degli atti di matrimonio può essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria e non anche adottando un provvedimento amministrativo da parte dell’Amministrazione centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che, effettivamente, il Ministro dell’Interno vanta sul Sindaco in tema di stato civile.
9.7. Dal tenore dell’insieme delle disposizioni menzionate si ricava con certezza che il sistema dello stato civile prevede puntuali possibilità d’intervento sui registri dello stato civile, tra cui non è compresa quella posta in essere dal Prefetto di Udine.
In sostanza, dalle norme richiamate si evince che un intervento, quale quello posto in essere nel caso di specie, compete solo all’Autorità giudiziaria ordinaria.
*****
10.0. La soluzione della principale questione giuridica non muta ove si ponga attenzione alla posizione del Sindaco quale ufficiale di governo.
Invero, per quanto riguarda le trascrizioni dei matrimoni formati all’estero, il sindaco agisce quale ufficiale di stato civile, su delega del governo e sulla base dell’articolo 14 del Testo unico sugli enti locali – decreto legislativo 267 del 2000; invero l’articolo 54 del medesimo testo unico elenca tra le attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale la tenuta dei registri di Stato civile.
In queste attribuzioni il sindaco è tenuto a sottostare alla vigilanza del ministro dell’interno e quindi all’organo periferico di tale ministero, id est la prefettura, che pertanto esercitano un potere di sovraordinazione nei suoi confronti (si veda sul punto Corte d’Appello di Firenze sez. I CIV del 19 settembre 2014).
10.1. L’inserimento peraltro del sindaco quale ufficiale di governo nell’ambito di una struttura gerarchica, se implica il suo dovere di sottostare alle indicazioni del ministro (ivi comprese quelle contenute in circolari che non siano palesemente contra legem), non attribuisce a quest’ultimo alcun potere di sostituzione del sindaco qualora questi ponga in essere un atto illegittimo.
L’art. 9 del d.p.r. n. 396/2000, infatti, conferisce al Ministro dell’Interno il potere di “indirizzo” ed al prefetto il potere di “vigilanza” sugli uffici di stato civile. Tale potere trova specificazione nel medesimo decreto presidenziale ove si indicano quali sono gli atti dei quali si deve dare comunicazione al prefetto prevedendo, all’articolo 104, le verificazioni che egli deve compiere presso gli uffici di stato civile che, ex articolo 105, si concludono con la redazione di un verbale e non con la modifica delle risultanze dei registri di stato civile o con l’adozione di provvedimenti destinati a tal fine.
In sostanza, anche esaminata sotto questo profilo, la normativa di riferimento non prevede un potere di annullamento o d’intervento diretto dell’Amministrazione dell’interno sugli atti dello stato civile.
10.2. Né un potere del genere può evincersi dall’art. 54, commi 3 ed 11, del TUEL, posto che tali disposizioni prevedono il potere del Prefetto di sostituirsi al Sindaco in caso d’inerzia di quest’ultimo nel sovrintendere agli uffici di stato civile.
Al riguardo, va rilevato, da una parte, che il potere sostitutivo può essere esercitato solo “nel caso di inerzia del Sindaco” (e non, come nel caso di specie, nell’ipotesi in cui il Sindaco abbia esercitato – ancorché illegittimamente – le funzioni) e, dall’altro, che il Prefetto sostituendosi al Sindaco (come detto, solo in caso di inerzia) non potrebbe esercitare poteri maggiori di quelli vantati da questo ultimo, il quale non può annullare le trascrizioni, sicché atti del genere non può assumerli neanche il Prefetto.
Tale facoltà risulta inibita, dovendo il Sindaco (e, quindi, anche l’Amministrazione centrale) ricorrere al giudice in casi del genere, fatta salva l’ipotesi della rettifica di meri errori materiali ex art. 98, del ripetuto d.p.r. n. 396/2000. Solo questo (e non altri) costituisce oggetto di un potere d’intervento successivo permesso all’Ufficiale dello stato civile.
10.3. Ciò conferma che spetta solo all’Autorità giudiziaria ordinaria disporre la cancellazione di un atto indebitamente registrato nel Registro degli atti di matrimonio, posto che le registrazioni dello stato civile non possono subire variazioni se non nei limitati casi descritti e normativamente previsti in modo espresso. L’ufficiale di stato civile ha solo il potere di aggiornare i registri e di correggere gli errori materiali, laddove ogni rettificazione o cancellazione è attribuita alla competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria.
Fra le annotazioni possibili nel registro dei matrimoni non è previsto alcun atto di annullamento o di autotutela ma, solo, l’annotazione della rettificazione giudiziaria.
10.4. Del resto, se fosse configurabile un potere di sovraordinazione del Prefetto rispetto al Sindaco (quale quello descritto dall’Amministrazione resistente), esercitabile attraverso un potere di annullamento da parte dell’autorità amministrativa centrale (omettendo di applicare il citato articolo 95 del D.P.R. n. 396/2000), tale potere non sarebbe configurabile solo in capo al Ministero dell’Interno ma anche in capo all’Ufficiale di stato civile. Il Sindaco non vanterebbe solo il potere di aggiornamento ex art. 5 e correzione di errori materiali ex art. 98, ma un vero e proprio potere di revisione degli atti di stato civile.
Tuttavia, l’esistenza di tale potere e la possibilità di adottare i relativi provvedimenti conseguenti dovrebbe trovare espressione e previsione nella disciplina dello stato civile ed, invece, non si fa menzione di tutto ciò né all’art. 69 del D.P.R. 396/2000, che disciplina le annotazioni, né nel D.M. 5 aprile 2002, che contiene le formule tassative delle annotazioni stesse.
Inoltre, se tale potere esistesse non ci sarebbe bisogno di prevedere espressamente ed in maniera puntuale, all’art. 98, il potere per l’Ufficiale di stato civile di procedere alle correzioni di errore materiale.
10.5. Infine, se il Titolo XI del d.p.r. n. 396/2000 non fosse destinato a disciplinare anche le iniziative dell’autorità amministrativa, ma solo quelle dei terzi, non si spiegherebbe perché nel medesimo titolo sono disciplinate le ipotesi di “rettificazione” e “cancellazione” all’art. 95 e le ipotesi di “correzione di errore materiale” all’art. 98, rimettendosi le prime alla decisione dell’autorità giudiziaria e solo le seconde all’autorità amministrativa.
*****
11.0. Tali conclusioni non mutano neanche prendendo in considerazione ed applicando la disciplina generale sul procedimento amministrativo contenuta nella legge n. 241 del 1990, la quale, all’articolo 21-nonies stabilisce che “Il provvedimento amministrativo illegittimo … può essere annullato d’ufficio, …, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.”.
In sostanza, in base al principio della riserva di legge dettato in materia (cfr. art. 97. co. 3, Cost.), affinché un organo amministrativo possa annullare d’ufficio un provvedimento adottato da un altro organo, occorre una espressa previsione di legge.
Nel caso di specie, come detto, manca una norma di rango primario che, espressamente, conferisca all’Amministrazione centrale il potere di adottare, in casi del genere, un atto di annullamento d’ufficio.
11.1. Da quanto fin qui enunciato sulla disciplina speciale prevista per gli atti di stato civile, emerge come agli stessi non possa trovare applicazione la disciplina generale di cui alla legge 241 del 1990, in particolare quella relativa all’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, in quanto l’eliminazione degli atti di stato civile illegittimi può avvenire solo con la particolare procedura sopra indicata che prevede l’intervento del giudice ordinario.
In altri termini, l’ordinamento prevede per questi particolari atti la possibilità e il dovere di ricondurre gli atti illegittimi al dettato della legge, ma ciò non può avvenire ad opera del medesimo soggetto che ha formato l’atto ovvero di un suo superiore gerarchico, ma deve avvenire con l’intervento del giudice ordinario.
11.2. Se risulta quindi corretta l’affermazione dell’amministrazione che la trascrizione di un matrimonio di una coppia omosessuale avvenuto all’estero si pone contro la legge, tuttavia per porre rimedio a tale illegittimità non è consentito l’intervento della stessa autorità che ha posto in essere l’atto illegittimo né dell’autorità gerarchicamente sovraordinata.
11.3. Va infine aggiunto come il sistema non contempla lacune, in quanto il riportato articolo 95 del d.p.r. 396 del 2000 prevede la possibilità di intervento e modifica degli atti di stato civile non solo su impulso del privato ma anche espressamente – al secondo comma – su impulso del procuratore della Repubblica, soggetto preposto alla tutela del pubblico interesse, il quale pertanto quindi può e deve agire anche per la tutela della legalità violata e quindi per espungere un atto non conforme a legge.
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12.0. In conclusione, questo collegio ribadisce che la normativa speciale prevista per la tenuta dei registri di Stato civile prevede un unico mezzo per modificare e correggere un atto di stato civile illegittimo, il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria ex articolo 95 del d.p.r. 396 del 2000.
Non può quindi applicarsi la regola generale prevista dalla legge 241 del 1990 e nemmeno il principio gerarchico secondo cui il superiore può avocare a sé ovvero sostituirsi all’inferiore nel compimento di un determinato atto.
12.1. In sostanza, la normativa speciale in materia di trascrizione di matrimoni contratti all’estero risulta esaustiva e compiuta al suo interno, per cui non vi è alcuna necessità né di ricorrere alle norme generali sul provvedimento amministrativo né ad alcun tipo di applicazione analogica o estensiva.
12.2. In questo quadro, la circolare del ministro dell’interno del 7 ottobre 2014 risulta legittima nella parte in cui ribadisce la non trascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, in quanto non prevista dall’ordinamento italiano (si vedano sul punto le sentenze del TAR per il Lazio, Roma, sezione Prima Ter, n. 3912 e n. 5924 del 2015).
12.3. La stessa circolare risulta invece illegittima nella parte in cui prevede un intervento sostitutivo diretto del prefetto sui registri di Stato civile, in quanto tale intervento è escluso dalla specifica normativa sopra indicata; detta circolare peraltro risulta già annullata in parte qua dalla sentenza del TAR per il Lazio – Roma n. 3912 del 2015.
12.4. In altri termini, nel caso in esame, non era nel potere del ministro e quindi nemmeno del prefetto intervenire in annullamento di un atto illegittimo di stato civile posto in essere dal sindaco quale ufficiale di governo, proprio perché l’ordinamento speciale prevede un’altra modalità d’intervento per espungere detto atto.
12.5. Su tale specifica questione, l’avvocatura dello Stato a pagina 10 della sua memoria depositata il 1 aprile 2015, afferma che le norme del d.p.r. 396 del 2000 nonché l’articolo 453 del codice civile si riferiscono agli atti di stato civile adottati in una situazione di “normalità e regolarità”, ma non qualora il sindaco si discosti dalle indicazioni governative ponendo in essere un “atto di disobbedienza civile”, in sostanza un atto “abnorme”.
Tale eccezionale situazione consentirebbe – sempre ad avviso della resistente amministrazione – un intervento straordinario da parte del prefetto nell’esercizio dei poteri di vigilanza; tale intervento peraltro risulterebbe conforme alla circolare emanata dal ministro.
12.6. Il suggestivo ragionamento della resistente amministrazione non può essere condiviso.
Infatti, al di là della colorita qualificazione dell’atto di trascrizione emanato dal sindaco quale ufficiale di governo, si tratta semplicemente di un atto contrario alla legge. Orbene, per rimuovere tale atto l’ordinamento ha previsto una speciale procedura, particolarmente garantista in quanto adottata dall’autorità giudiziaria ordinaria ai sensi dell’articolo 95 del citato d.p.r. 396 del 2000 con l’intervento del pubblico ministero.
In questo quadro, non solo non era necessario ma nemmeno consentito dalla norma ricorrere a una procedura straordinaria, in quanto la rimozione dell’atto illegittimo si può ottenere attivando, da parte del ministro ovvero del prefetto, l’intervento del tribunale e del Procuratore della Repubblica.
12.7. Le apprezzabili esigenze di certezza del diritto e di uniformità nella tenuta dei registri dello stato civile sull’intero territorio nazionale, cui fa riferimento la difesa erariale e ribadite nella discussione in pubblica udienza, si possono ottenere da un lato ove gli ufficiali di stato civile, sindaci inclusi, si attengano rigorosamente alla legge e d’altro lato – ove ciò non avvenga – tramite il tempestivo e doveroso intervento dei tribunali civili attivati dalla Procura della Repubblica, eventualmente su sollecitazione dei Prefetti.
12.8. Per completezza si osserva che quanto sopra evidenziato induce a disattendere e a considerare superata la censura sub. 4 in ricorso, avente ad oggetto l’asserita violazione delle norme procedimentali di cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990.
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13.0. In uno Stato di diritto, se è doveroso rimuovere gli atti pubblici illegittimi, bisogna utilizzare esclusivamente le procedure previste, che nel caso risultano compiutamente disciplinate in ogni aspetto, ivi compresa la tutela del pubblico interesse.
In sostanza, lo strumento adottato nel caso in esame, cioè l’intervento sostitutivo prefettizio, non appare legittimo.
13.1. Spetta invero al Procuratore della Repubblica o di sua iniziativa ovvero su segnalazione del ministro o del prefetto, attivare il Tribunale a intervenire a norma di legge per rimuovere un atto di trascrizione palesemente illegittimo, cioè, come recita il citato art. 95, per disporre “la cancellazione di un atto indebitamente registrato”.
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14.0. L’illegittimità dell’atto prefettizio gravato comporta il suo annullamento in questa sede.
Non si può invece accogliere la richiesta di accertamento della nullità formulata in ricorso.
Invero, in riferimento agli atti amministrativi, l’essenza del vizio della nullità risiede nell’inconfigurabilità della fattispecie concreta rispetto a quella astratta, accertabile con pronuncia giudiziale meramente dichiarativa. Consistendo la nullità in una patologia di maggiore gravità rispetto a quella che dà luogo ad un vizio di legittimità annullabile, essa richiede una sua agevole conoscibilità in concreto, attraverso un mero riscontro estrinseco del deficit dell’atto rispetto al suo paradigma legale. Tale agevole conoscibilità non si riscontra nel caso in esame, come dimostra altresì lo svolgimento della presente controversia.
14.1. Inoltre, la nullità del provvedimento amministrativo per difetto assoluto di attribuzione, prevista dall’art. 21-septies, l. 7 agosto 1990, n. 241, va circoscritta ai soli casi d’incompetenza assoluta o di c.d. carenza di potere in astratto, ossia al caso in cui manchi del tutto una norma che attribuisca all’Amministrazione il potere in fatto esercitato (C d S, sez. IV, 13 gennaio 2015 n 52; C d S, sez, V, 27 maggio 2014 n 2713).
14.2. Nel caso in esame, a fronte di un atto prefettizio assunto su disposizione del Ministro dell’interno e recante l’annullamento di un atto del Sindaco quale ufficiale di Governo, organo gerarchicamente sottoordinato rispetto al Ministro stesso, non si può affermare che ci si trova in presenza di un’eclatante incompetenza assoluta, e quindi di un atto nullo, ma di un atto illegittimo e quindi annullabile.
14.3. A tale proposito, non va dimenticato, ai fini di valutare la possibilità di dichiarare la nullità invece che l’annullamento, che l’art. 9 del d.p.r. n. 396/2000, conferisce al Ministro dell’Interno il potere di “indirizzo” ed al prefetto il potere di “vigilanza” sugli uffici di stato civile. Inoltre l’art. 54, commi 3 ed 11, del TUEL, prevede il potere del Prefetto di sostituirsi al Sindaco in caso d’inerzia di quest’ultimo nel sovrintendere agli uffici di stato civile.
14.4. In sostanza, la normativa esistente, anche se come sopra evidenziato applicata non correttamente da parte del Ministro dell’interno e del Prefetto, è tale da configurare un uso errato del potere e non già un’assenza di tale potere.
Sulla stessa linea, sia pure implicitamente, anche il Tar Lazio – Roma Sezione Prima Ter nella citata sentenza n. 3912 del 2015.
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15.0. Per completezza si osserva come, nella richiesta di archiviazione n. 8614/14 datata 25 novembre 2014, emessa a seguito di una denuncia riguardante la medesima vicenda oggi in discussione, e depositata in causa dalla parte ricorrente il 10 aprile 2015, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine, a pagina quattro, ultimo paragrafo, afferma di sentire “il dovere di esaminare, proprio ai sensi dell’art. 75 ord. Giudiziario e dell’art 95 comma 2 sopra citato, l’intera materia, per cui l’intero incarto merita adesso di trovare adeguata e più consona delibazione in sede di cd “volontaria giurisdizione”.”.
15.1. In tale condivisibile ottica giuridica, questo Tribunale amministrativo considera suo dovere disporre l’invio degli atti della presente controversia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine competente, perché valuti l’eventuale esercizio dei suoi poteri abrogativi di un atto di trascrizione chiaramente contrario a legge.
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16.0. A questo punto, va ad avviso di questo collegio sottolineato un elemento cardine nella presente causa: nel quadro costituzionale della divisione dei poteri, spetta unicamente al Parlamento sovrano decidere con legge il riconoscimento nel nostro ordinamento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nonché il livello di tale riconoscimento.
16.1. Non spetta invece né al sindaco, né all’autorità giudiziaria ordinaria o amministrativa e – allo stato – nemmeno alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia europea o alla Corte europea dei diritti dell’uomo, procedere in via surrettizia o suppletiva a tale riconoscimento, perché ciò costituirebbe un evidente vulnus al sistema democratico nel suo insieme.
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17.0. Riassumendo i passaggi giuridici salienti della presente controversia, questo collegio evidenzia che in discussione è direttamente la legittimità di un atto amministrativo prefettizio che ha rimosso una trascrizione di un matrimonio contratto all’estero; solo indirettamente viene in esame la legittimità di tale trascrizione, conosciuta da questo tribunale in via incidentale.
17.1. La trascrizione di un matrimonio contratto all’estero tra due persone dello stesso sesso non è consentita allo stato dalla legislazione italiana, come indicato chiaramente dalla Corte costituzionale nella pronuncia n 138 del 2010.
17.2. La trascrizione effettuata dal sindaco di Udine quale ufficiale di governo risulta quindi illegittima perché esulante dai suoi poteri e doveri, contraria alla legge e contrastante con le direttive del suo superiore gerarchico, il Ministro dell’Interno, e in ultima analisi poco rispettosa – ancorché inconsapevolmente – del riparto tra i poteri dello Stato definito dalla Costituzione repubblicana.
17.3. La doverosa rimozione peraltro di tale illegittima trascrizione non può avvenire con l’intervento del Prefetto, che non ha alcun potere a riguardo, ma solamente ad opera dell’autorità giudiziaria ordinaria ex articolo 95 del d.p.r. 396 del 2000, in sede di volontaria giurisdizione, con l’intervento del pubblico ministero, cui spetta la tutela dell’interesse pubblico al rispetto della legalità in materia di stato civile.
17.4. Spetta invece al Ministro dell’interno e al Prefetto il potere – dovere di sollecitare l’intervento della competente Procura della Repubblica.
17.5. Il provvedimento prefettizio in questa sede impugnato va quindi annullato in quanto adottato al di fuori dei poteri previsti dalla legge, fermo restando che la trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due soggetti del medesimo sesso non è conforme al nostro attuale ordinamento e quindi che essa deve essere rimossa con l’intervento del giudice ordinario.
17.6. Per quanto fin qui evidenziato, il ricorso merita accoglimento nei limiti su indicati, con conseguente annullamento dell’atto prefettizio del 27 ottobre 2014 con cui è stato decretato l’annullamento della trascrizione del matrimonio della ricorrente nonché degli atti connessi e collegati citati in premessa.
17.7. In particolare, vanno annullati gli atti conseguenti e collegati a detto atto prefettizio, cioè l’atto di delega del prefetto del 29 ottobre 2014 e il processo verbale del 29 ottobre 2014, mentre gli atti precedenti, la nota prefettizia del 9 ottobre 2014 e la direttiva ministeriale del 7 ottobre 2014, vanno annullati nelle sole parti in cui prevedono un intervento prefettizio sostitutivo di annullamento.
17.8. Considerati la peculiarità, la novità e l’eccezionalità delle questioni trattate, l’accoglimento solo parziale del ricorso nella parte in cui si chiede l’annullamento e non per l’accertamento della nullità, e considerata altresì l’inammissibilità dell’intervento comunale ad adiuvandum, le spese di giudizio si possono compensare tra tutte le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione e per l’effetto:
annulla in toto:
– il decreto del Prefetto della Provincia di Udine dd. 27 ottobre 2014, prot. n. 64234/2014;
– l’atto di delega del Prefetto di Udine prot. 64686/2014 dd. 29 ottobre 2014;
– il processo verbale del vice Prefetto aggiunto del 29 ottobre 2014;
annulla in parte, come da motivazione:
– la nota prefettizia n. 60632 dd. 9 ottobre 2014;
– la nota – circolare prot. n. 10863 dd. 7 ottobre 2014 del Ministero dell’Interno.
Estromette dal giudizio il Comune di Udine.
Spese compensate.
Ordina alla Segreteria l’invio degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine nonché alla Procura regionale della Corte dei Conti, per l’eventuale seguito di competenza.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi della ricorrente, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente, Estensore
Manuela Sinigoi, Primo Referendario
Alessandra Tagliasacchi, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)