Diritto Amministrativo. La qualificazione giuridica dell’Università Commerciale “Luigi Bocconi”
“Laddove la qualità di ente pubblico non sia attribuita da un’espressa disposizione di legge essa deve quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento “chiaro ed inequivoco” attraverso un’interpretazione rigorosa che parta prima dai dati oggettivi che ne facciano desumere la natura e, solo successivamente, vada ad indagare sulla “funzione” che la norma da applicare intende perseguire”.
È quanto stabilito dal T.A.R. Lazio – Roma, sez. III, con la sentenza n° 8375 del 15.06.205.
Il caso di specie vede coinvolta l’Università Commerciale “Luigi Bocconi” che aveva impugnato, chiedendone l’annullamento, la delibera dell’A.N.AC n° 144/2014 recante “Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni” nella parte in cui identificava come pubbliche amministrazioni tenute a dare attuazione alle disposizioni contenute nel D.Lgs. n° 33/2013 anche le Università non statali legalmente riconosciute.
Dopo un’attenta disamina delle peculiarità dell’Università ricorrente, il Tribunale romano dà atto della sussistenza in giurisprudenza di due opposti orientamenti in subiecta materia.
Un primo orientamento, enfatizzando e ritenendo come indizi sintomatici di pubblicità alcuni aspetti come il fine pubblico, il controllo statale e il valore legale dei titoli di studio, ha affermato la natura di enti pubblici non economici delle Università non statali che, in quanto tali, sono tenute al rispetto del codice dei contratti pubblici.
Secondo un’altra parte della giurisprudenza, invece, pur sussistendo profili pubblicistici, le Università non statali non possono essere qualificate come enti pubblici.
Il T.A.R. Lazio – Roma, con la summenzionata sentenza, dopo un’approfondita digressione sull’influsso determinante che ha avuto il diritto comunitario sul dibattito afferente la natura giuridica degli enti, ritiene di dover aderire al secondo filone giurisprudenziale.
Ed infatti, partendo dalla considerazione che “il diritto comunitario non conosce una definizione statica di pubblica amministrazione bensì dinamica (ovvero elastica) in cui prevale il profilo cd. funzionale connesso all’obiettivo che una determinata disciplina di fonte comunitaria intende perseguire” afferma che “l’effetto di ciò è che anche in ambito nazionale sposando tale tecnica di interpretazione “funzionale” sono stati qualificati come pubblici enti che utilizzano invece schemi privatistici (tipico è il caso della società a partecipazione pubblica) determinando notevoli dubbi sulla disciplina da applicare laddove non vi siano norme che chiaramente dispongano nel senso dell’applicabilità o meno a quel determinato soggetto”.
In sostanza, secondo il Collegio romano, quando si tratta di avviare un’indagine sull’applicabilità di una disciplina normativa nazionale – quale il D.Lgs. n° 33/2013 alle università non statali – non può prescindersi da un approccio che privilegi la nozione statica di pubblica amministrazione e, quindi, il dato formalistico che nel caso di specie deriva dall’art. 33 Cost. e dall’art. 4 L. n° 70/1975 in base al quale “nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”.
- 08375/2015 REG.PROV.COLL.
- 00033/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 33 del 2015, proposto da: Università Commerciale “Luigi Bocconi”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Riccardo Villata e Andreina Degli Esposti, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Villata Degli Esposti e Assoc. in Roma, Via G. Caccini, 1;
contro
ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
– della deliberazione n. 144 del 7 ottobre 2014 recante “obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”, nella parte in cui identifica fra queste anche le “università non statali legalmente riconosciute”
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 giugno 2015 il Cons. Daniele Dongiovanni e uditi, ai preliminari, l’avv. Lazzara, in sostituzione dell’avv. Villata, per l’Università ricorrente e l’avv. dello Stato A. Fedeli per ANAC;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato, in data 7 ottobre 2014, la delibera n. 144/2014 recante “Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”.
In particolare, la predetta delibera, nell’affrontare una serie di questioni riguardanti la recente normativa in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ha ritenuto che anche le Università c.d. “libere” (oltre alle Università statali) fossero assoggettate a tale disciplina poiché comprese nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001 (cfr art. 11 del citato d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).
Avverso tale delibera n. 144/2014, ha proposto impugnativa l’Università Commerciale Luigi Bocconi, chiedendone l’annullamento nella parte in cui, al paragrafo 4, identifica fra le “pubbliche amministrazioni” tenute a dare attuazione alle disposizioni contenute nel d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (come modificato dall’art. 24-bis del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114) anche le “università non statali legalmente riconosciute” (unitamente all’Allegato 1 contenente la “Elencazione esemplificativa degli organi di indirizzo politico e di amministrazione e gestione in alcune amministrazioni”, per la parte di interesse).
Al riguardo, l’Università ricorrente ha proposto i seguenti motivi:
1) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 11 e 14 del d.lgs n. 33 del 2013; dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 168 del 1989; dell’art. 1 della legge 29 luglio 1991, n. 243; dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165; dell’art. 1, comma 2, lett. f) del d.lgs n. 39 del 2013;
2) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 199, r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, Testo unico delle leggi sull’istruzione universitaria; dell’art. 1 della legge 29 luglio 1991, n. 243 sotto altro profilo; dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165; degli artt. 11, 14, 15 e 22 del d.lgs n. 33 del 2013;dell’art. 1, comma 2, lett. f) del d.lgs n. 39 del 2013.
Parte ricorrente contesta la qualificazione in termini di “enti pubblici non economici” delle Università non statali sia per l’assenza di specifiche previsioni normative sia per la mancanza degli indici di pubblicità individuati dalla giurisprudenza che si è occupata della questione.
Ed invero, oltre a non essere qualificate dalla legge come enti pubblici, le università c.d. “libere” sono invece riconosciute dai rispettivi statuti come soggetti privati.
A fronte di tali indicazioni legislative e statutarie, la riqualificazione delle università non statali in termini pubblicistici potrebbe avvenire in base alla teoria, elaborata dalla giurisprudenza, degli indici rivelatori della pubblicità degli enti formalmente privati ovvero, oltre all’istituzione per legge, il fine pubblicistico, il rapporto di strumentalità o di servizio con lo Stato o con un ente territoriale in ragione del quale l’ente è sottoposto a poteri di indirizzo e di controllo, il finanziamento (totale o maggioritario) a carico dell’erario, l’attribuzione per legge di poteri pubblicistici, il carattere necessario dell’ente (nel senso dell’obbligatorietà della sua esistenza).
Tuttavia, gli indici di pubblicità devono essere univoci e prevalenti come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza secondo cui “l’impostazione di tipo formalistico impressa dall’ordinamento alla qualificazione di un ente in termini pubblicistici impone che, in assenza di un’esplicita volontà espressa nell’atto di riconoscimento della persona giuridica, il ricorso ad indici indiretti, rivelatori della natura pubblica, sia condotto con cautela, con la conseguenza che se l’atto costitutivo attribuisce all’ente […] esplicitamente la natura privata, il superamento della volontà consacrata in tale atto può avvenire soltanto allorché tali indici assumano valenza univoca, tale da superare e prevalere sulla configurazione formale, e ciò anche in ossequio ai principi fondamentali che informano il nostro ordinamento giuridico, il quale garantisce agli individui la libertà di esplicarsi nella società, attraverso la valorizzazione dell’autonomia privata” (TAR Lazio, Sez. II, 19 aprile 2013, n. 3971; Cass. civ., sez. lavoro, 15 dicembre 1999, n. 14129).
Nel caso di specie, invero, i suddetti indici risultano insussistenti (in particolare, l’istituzione per legge o la necessarietà della loro esistenza) e, comunque, non in condizione di ricondurre l’università ricorrente nel perimetro degli enti pubblici (non economici).
Con riguardo poi all’ingerenza ministeriale sulla governance delle università libere, emerge dalle disposizioni statutarie che né al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca né ad altri enti pubblici nazionali o locali sono attribuiti poteri tali da mutarne la qualificazione in termini pubblicistici. La presenza di rappresentanti ministeriali negli organismi di governo delle università ricorrenti risulta, infatti, decisamente minoritaria e non sarebbe, pertanto, in condizione di alterare le ordinarie dinamiche private di gestione di tali enti.
Con riguardo all’indice del consistente finanziamento pubblico, i beni patrimoniali a disposizione delle università libere provengono da enti promotori e finanziatori nonché dalle “rette” corrisposte dagli studenti iscritti; dal bilancio dell’Università ricorrente, risulta invero che la percentuale dei finanziamenti pubblici rispetto a quelli di provenienza privata non è mai superiore al 10%. Ne deriva quindi che la sussistenza dell’indice di pubblicità del finanziamento pubblico prevalente è da escludere con riferimento all’Università ricorrente.
L’Ateneo ricorrente contesta poi la sua assoggettabilità agli obblighi di pubblicità e trasparenza previsti dall’art. 14 del d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33, in quanto prive di organi di indirizzo politico.
Ed invero, posto che le università non statali non sono dotate di organi di indirizzo politico, la norma citata non può trovare applicazione nei confronti di tali enti.
Nei confronti delle università non statali, altresì, non può trovare applicazione neanche l’art. 22, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013 recante la disciplina della pubblicazione nei “siti istituzionali degli enti di cui al comma 1” dei “dati relativi ai componenti degli organi di indirizzo”.
Gli “enti di cui al comma 1” sarebbero, invero, gli enti compresi nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 33 del 2013 (cfr art. 11, comma 2) ma, tra tali enti, non rientrano le università non statali.
Si è costituita in giudizio l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), eccependo dapprima l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e chiedendone comunque il rigetto perché infondato nel merito, in particolare, richiamando le argomentazioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 5054/2004 che ha qualificato l’Università LUISS quale “ente pubblico non economico”.
Con memoria, l’Università ricorrente ha, a sua volta, insistito per l’accoglimento del gravame.
Alla pubblica udienza del 3 giugno 2015, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
- A) Oggetto del giudizio ed esame dell’eccezione di inammissibilità proposta da ANAC.
- In via preliminare, va delimitato l’oggetto del presente giudizio, per come emerge dal ricorso introduttivo del giudizio.
- Al riguardo, va anzitutto chiarito che la delibera ANAC n. 144/2014 riguardante le modalità applicative degli obblighi di trasparenza e pubblicazione previsti dal d.lgs n. 33 del 2013 si riferisce, in via esclusiva, alle “pubbliche amministrazioni” ed, in tale ambito, la predetta delibera richiama espressamente le università non statali legalmente riconosciute (cfr pg. 4 ed allegato 1 della delibera impugnata); ora, che la delibera n. 144/2014 non riguardi, in via generale, tutti gli enti richiamati nell’art. 11 del citato d.lgs n. 33 del 2013 a cui è applicabile la disciplina normativa contenuta nel decreto da ultimo citato è, peraltro, chiarito dallo stesso paragrafo 1. della delibera impugnata laddove si precisa quanto segue: “La presente deliberazione è volta a definire l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni del decreto n. 33 del 2013 con riferimento alle pubbliche amministrazioni.
La delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione delle stesse disposizioni con riferimento agli enti di diritto privato controllati o partecipati da pubbliche amministrazioni sarà oggetto di distinta deliberazione”.
In estrema sintesi, quindi, la delibera impugnata n. 144/2014 definisce gli obblighi di pubblicazione con riferimento alle “pubbliche amministrazioni” (cfr art. 11, comma 1, del d.lgs n. 33 del 2013) e agli enti di diritto pubblico di cui al successivo comma 2, lettera a) del medesimo decreto, mentre rinvia a successive disposizioni la delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione con riferimento, in particolare, agli enti di diritto privato di cui alla successiva lettera b) dell’art. 11, comma 2, del predetto d.lgs n. 33 del 2013.
- Ciò premesso, parte ricorrente contesta quindi la delibera ANAC n. 144/2014 (recante, come detto, “Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”) nella parte in cui include le Università non statali (ovvero la ricorrente) tra le pubbliche amministrazioni ed, in particolare, tra gli “enti pubblici non economici” ricompresi nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Ciò, peraltro, è confermato dalla stessa memoria difensiva depositata da ANAC che, nell’individuare la natura giuridica delle Università non statali legalmente riconosciute, le inquadra nella nozione di “ente pubblico non economico” che, a sua volta, è ricompresa nell’ambito delle “amministrazioni pubbliche” di cui al citato art. 1, comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001.
Sul punto, l’Autorità resistente richiama, peraltro, quella parte della giurisprudenza che, invero, inquadra le c.d. “università libere” tra gli enti pubblici non economici ed, al riguardo, cita in particolare la sentenza della Cassazione civile, SS.UU., n. 5054/2004 concernente l’Università LUISS.
- In sintesi, non si tratta in questa sede di chiarire se alle Università non statali siano o meno applicabili le disposizioni contenute nel d.lgs n. 33 del 2013 bensì se le predette Università siano da ricomprendere nella nozione di “pubbliche amministrazioni” di cui all’art. 11, comma 1 (che richiama, a sua volta, l’art. 1, comma 2, del d.lgs n. 165 del 2001) e comma 2 lett. a) del citato decreto.
- Alla luce di quanto sopra, il Collegio intende, sin d’ora, chiarire che, con la presente decisione, non si tratta di prendere posizione sull’applicabilità o meno alle Università non statali legalmente riconosciute delle disposizioni contenute nel d.lgs n. 33 del 2013 ovvero sulla riconducibilità delle stesse nella nozione di “enti di diritto privato” contenuta nell’art. 11, comma 2, lett. b) del predetto decreto in quanto non è oggetto del presente giudizio (per come sopra chiarito) e sussiste, peraltro, la preclusione di cui all’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo (CPA) secondo cui “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non esercitati”.
Sul punto, risulta, invero, che ANAC ha elaborato una schema di delibera recante “Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”, ancora in fase di consultazione (quindi non ancora approvata), il che conferma la sussistenza della predetta preclusione sancita dal CPA che impedisce al Collegio di spingersi in tale ulteriore indagine sull’applicabilità o meno, in via generale, alle Università non statali legalmente riconosciute delle disposizioni contenute nel d.lgs n. 33 del 2013.
- Ciò premesso, può ora passarsi ad esaminare l’eccezione di inammissibilità formulata da ANAC ad avviso della quale la delibera n. 144/2014 “sarebbe un atto di natura consultiva, non idoneo ad incidere in modo diretto ed attuale sulla posizione giuridica dei destinatari”.
L’eccezione non può essere condivisa.
La stessa delibera n. 144/2014 prevede, invero, al par. 10, che “L’Autorità eserciterà, a far data dai 30 giorni successivi alla pubblicazione della delibera, i propri poteri di vigilanza sul rispetto degli obblighi di pubblicazione, che comprendono, nei casi di mancata pubblicazione, poteri di ordine alle amministrazioni interessate affinché procedano alla immediata pubblicazione dei dati nei propri siti istituzionali.
Il Presidente dell’Autorità provvede altresì a comunicare, ai sensi dell’art. 19 c. 7 del d.l. n. 90/2014, all’autorità amministrativa competente ad irrogare le sanzioni, l’inadempimento degli obblighi riscontrati ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 33/2013, autorità amministrativa che l’Autorità si riserva di individuare con successiva delibera”.
Con delibera n. 10 del 21 gennaio 2015, ANAC, in applicazione di quanto previsto dall’art 47 del d.lgs. 33 del 2013, come modificato dall’art. 19, comma 7, del decreto legge n. 90 del 2014 (che ha attribuito al Presidente dell’ANAC il potere di segnalare “all’Autorità amministrativa di cui all’art. 47 c. 3 del d.lgs. n. 33/2013 le violazioni in materia di comunicazione delle informazioni e dei dati e di obblighi di pubblicazione previsti nel citato art. 47, ai fini dell’esercizio del potere sanzionatorio di cui al medesimo articolo”), ha poi individuato l’autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni relative alla violazione di specifici obblighi di trasparenza di cui all’art. 47 del d.lgs. 33 del 2013.
In particolare, proprio per le violazioni degli obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico di cui all’art. 14 del d.lgs n. 33 del 2013, l’Autorità resistente ha disegnato un procedimento che prevede una prima fase in cui l’ANAC è il soggetto competente ad avviare il procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all’art. 47, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, provvedendo all’accertamento, alle contestazioni e alle notificazioni ai sensi degli artt. 13 e 14 della legge n. 689 del 1981 ai fini del pagamento in misura ridotta, e una seconda fase in cui, in caso di mancato pagamento, il Presidente dell’Autorità, ai sensi del citato art. 19, comma 7, del decreto legge n. 90 del 2014, ne dà comunicazione al prefetto per l’irrogazione della sanzione definitiva (ex art. 18 della legge n. 689 del 1981).
A ciò si aggiunga che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con nota del 12 febbraio 2015, ha altresì intimato le Università non statali ad adeguarsi a quanto prescritto dalla delibera ANAC n. 144/2014 entro il 24 febbraio 2015, avvertendo che, in caso contrario, non si sarebbe proceduto al “trasferimento delle risorse a favore dell’Istituzione interessata”.
Ora, risulta evidente che gli effetti per l’Università ricorrente del mancato adeguamento agli obblighi di pubblicità di cui al d.lgs n. 33 del 2013 nei tempi e con le modalità indicati dalla delibera n. 144/2014 espongono le stesse ai poteri di vigilanza e sanzionatori di cui all’art. 47 del citato decreto ed all’avvio del conseguente procedimento da parte di ANAC, come declinato nella predetta delibera n. 10/2015, nonché al mancato trasferimento delle risorse da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; ciò rende, pertanto, attuale e concreto l’interesse fatto valere con il ricorso in esame.
- B) Normativa applicabile alle Università non statali legalmente riconosciute.
- Al fine di verificare la natura pubblica dell’Università ricorrente, occorre dapprima richiamare la disciplina generale di riferimento di tali istituti contenuta, in particolare, nel regio decreto 31 agosto 1933 n. 1592, nella legge 9 maggio 1989 n. 168 e nella legge 29 luglio 1991 n. 243.
Con riferimento alla disciplina contenuta nel r.d. 31 agosto 1933, n. 1592 (testo unico delle leggi sull’istruzione superiore), vanno, in particolare, ricordate le seguenti previsioni:
– l’art. 1, anzitutto, prevede che l’istruzione superiore (universitaria) è impartita nelle Università statali e negli Istituti superiori liberi e che le Università e gli Istituti hanno personalità giuridica e autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, che è svolta sotto la vigilanza dello Stato (ora Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca);
– l’art. 198 dispone poi che, per appartenere alla categoria degli istituti (non statali) in cui può essere impartita l’istruzione universitaria (o comunque superiore), l’ordinamento di quelle Università e degli Istituti superiori liberi deve essere conforme alle norme del testo unico;
– l’art. 200 prevede, a sua volta, che le Università e gli Istituti superiori liberi devono sottoporre al Ministero competente lo statuto, allegando una motivata relazione ed un documentato piano finanziario, il quale lo approva se, nel suo complesso, risulta rispondente all’interesse generale degli studi e dell’istruzione superiore ed, in particolare, se il piano finanziario sia adeguato al raggiungimento dei fini prefissati. In particolare, poi, il ruolo organico ed il trattamento economico dei professori sono soggetti all’approvazione del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con quello delle finanze (ora dell’Economia e delle finanze);
– l’art. 212, infine, prevede che le Università e gli Istituti superiori liberi o alcune loro Facoltà o Scuole possono essere soppresse quando sia stata accertata l’insufficienza dei mezzi finanziari o del materiale didattico di cui dispongono, ovvero per ragioni inerenti all’interesse generale degli studi o alla distribuzione territoriale degli Istituti di istruzione superiore.
A sua volta, l’art. 6 della legge n. 168 del 1989, in tema di autonomia universitaria, prevede, al comma 1, che “Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti”, mentre al comma 2 dispone che “nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. È esclusa l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare”.
L’art. 1 della legge n. 243 del 1991 prevede poi che “Le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti operano nell’ambito delle norme dell’articolo 33, ultimo comma, della Costituzione e delle leggi che li riguardano, nonché dei principi generali della legislazione in materia universitaria in quanto compatibili”.
Infine, alle Università non statali, con riferimento al personale dipendente, si applicano le norme di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e, per quanto riguarda il reclutamento dei docenti, i principi contenuti nella citata legge 30 dicembre 2010, n. 240.
- C) Caratteristiche dell’Università commerciale Luigi Bocconi.
Una volta definito l’oggetto del giudizio e richiamata la normativa di riferimento delle università non statali legalmente non riconosciute, è utile, sempre ai fini della individuazione della natura giuridica della stessa, riassumere i dati caratterizzanti dell’Università ricorrente:
– è stata fondata nel 1902 da Ferdinando Bocconi;
– con riferimento alla governance (ferma restando la vigilanza sulle università non statali esercitata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR – cit. art. 1 del r.d. n. 1592 del 1933), si ricava dal rispettivo statuto che, nel consiglio di amministrazione dell’Università ricorrente (art. 5) composto da 19 membri, siede un rappresentante del Governo, uno della Regione Lombardia, uno della Provincia di Milano ed uno del Comune di Milano.
Dal punto di vista dei finanziamenti, risulta che l’Università commerciale Luigi Bocconi riceva finanziamenti pubblici non eccedenti il 10% delle risorse a disposizione dell’istituto (proveniente, invece, in via generale, da fonti private ovvero le “rette” degli studenti e dall’attività scientifica e di ricerca).
Ed invero, sebbene l’art. 2 della legge 243 del 1991 preveda che lo Stato possa concedere contributi alle Università ed agli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti che abbiano ottenuto l’autorizzazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, l’ateneo ricorrente è finanziato prevalentemente da enti e soggetti privati.
- D) Giurisprudenza in ordine alla natura delle Università non statali legalmente riconosciute.
Al riguardo, va osservato che, in giurisprudenza, si scontrano due opposte visioni sulla natura delle Università non statali legalmente riconosciute; da un lato, quella che ne riconosce la natura giuridica di “ente pubblico non economico” (cfr, in particolare, Cass. civ., SS.UU., n. 5054/2004) in cui si enfatizzano alcuni aspetti come il fine pubblico, il controllo statale, i poteri certificativi e disciplinari, il valore legale dei titoli di studio, ritenendoli indizi sintomatici di pubblicità.
Alla predetta giurisprudenza si è rifatta in parte anche il giudice amministrativo il quale, con particolare riferimento alla materia delle procedure ad evidenza pubblica, ha ribadito la natura di enti pubblici non economici delle Università non statali ed, in quanto tali, le ha ricomprese nella nozione di “amministrazione aggiudicatrice” assoggettata quindi al rispetto del codice dei contratti pubblici (vgs, in particolare, Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 841; vgs anche TAR Lombardia, sez. IV, 6 settembre 2011 n. 2158, sebbene la fattispecie esaminata si riferisca al collocamento in pensione di un professore universitario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore).
Allo stesso modo, la Corte dei Conti ha qualificato le Università non statali quali enti pubblici non economici e, perciò, assoggettate alla giurisdizione contabile in materia di danni causati all’ente di riferimento da un professore universitario (cfr Corte Conti, sez. giurisdizionale del Lazio, n. 477/2010).
Dall’altro lato, vi è quella parte della giurisprudenza civile ed amministrativa che, invece, pur riconoscendo la sussistenza di profili pubblicistici nella disciplina che regola le Università non statali, tuttavia non le ritiene tali da far sussumere le stesse nell’ambito degli enti pubblici e renderle pertanto integralmente assoggettate alla disciplina pubblicistica (vgs, in particolare, Cass. civ. sez. lavoro, n. 14129/1999, TAR Lazio, sez. III, n. 351/2005, TAR Lazio, sez. II, n. 3971/2013 e, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, n. 2660/2015).
Da questa giurisprudenza, possono ricavarsi in sintesi le seguenti argomentazioni:
– l’art. 33 Cost. ammette che l’istruzione universitaria possa essere impartita anche da istituti aventi connotazione privatistica;
– l’art. 4 della legge n. 70 del 1975 prevede espressamente che nessun nuovo ente pubblico possa essere istituito se non per legge;
– la volontà legislativa di connotare in termini pubblicistici una persona giuridica può essere esplicata, oltre che con una qualificazione espressa, anche con la previsione di indici sintomatici rivelatori della matrice pubblicistica dell’ente;
– l’impostazione di tipo formalistico impressa dall’ordinamento alla qualificazione di un ente in termini pubblicistici impone tuttavia che il ricorso ad indici indiretti, rivelatori della natura pubblica, sia condotto con cautela, nel senso cioè che gli stessi devono assumere una valenza univoca, ciò in ossequio ai principi che informano l’ordinamento giuridico, il quale garantisce ai soggetti la libertà di esplicarsi nella società, attraverso la valorizzazione dell’autonomia privata;
– l’indagine in ordine alla natura pubblica di un ente sulla base di specifici indici rivelatori deve, quindi, tendere a garantire ed assecondare le aspirazioni delle figure soggettive, sorte nell’ambito dell’autonomia privata, di vedersi riconosciuta l’originaria natura, nel rispetto della volontà espressa dai soci fondatori (in questo senso, Corte Costituzionale 24 marzo 1988 n. 396), essendo tale esigenza imposta dal principio pluralistico che ispira nel suo complesso la Costituzione garantendo le iniziative private anche in ambiti di interesse pubblico;
– una lettura costituzionalmente orientata del r.d n. 1592 del 1933, conforme cioè al principio di libertà della scuola di cui all’art. 33, comma 3, Cost., porta ad escludere che l’appartenenza alla categoria di cui al n. 2 dell’art. 1 del predetto decreto implichi per le università libere la qualificazione di persone giuridiche pubbliche che, invero, deve essere caratterizzata da indici più incisivi di pubblicità e comunque diversi da quelli riconducibili al riconoscimento del potere di rilasciare titoli aventi valore legale (vgs, di recente, cit. Cons. Stato, sez. VI, n. 2660/2015 con particolare riferimento all‘Università commerciale Bocconi di Milano, nonché all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed allo I.U.L.M.).
- E) Valutazioni del Collegio in ordine al primo ed al secondo motivo.
- Ciò posto, la Sezione, consapevole del dibattito e delle difficoltà interpretative riguardanti il tema del riconoscimento della natura giuridica pubblica di alcune tipologie di enti (emblematico è il caso delle c.d. “società pubbliche”), nella fattispecie in esame avente ad oggetto le Università non statali legalmente non riconosciute, ritiene di dover aderire a quel filone giurisprudenziale che non le ritiene tali da farle sussumere nel perimetro degli enti pubblici e, perciò, integralmente assoggettate alla disciplina pubblicistica.
Una premessa, al riguardo, si ritiene doverosa.
Il dibattito dottrinale riguardante la natura giuridica degli enti ha subìto, fin dagli anni ’70, l’influsso determinante del diritto comunitario che, come noto, non conosce una definizione statica di pubblica amministrazione bensì “dinamica” (ovvero elastica) in cui prevale il profilo c.d. funzionale connesso all’obiettivo che una determinata disciplina di fonte comunitaria intende perseguire (nel senso cioè che l’ambito soggettivo di applicazione di una determinata normativa può variare a seconda del fine da raggiungere); il caso tipico è quello delle direttive in materia di contrattualistica pubblica le quali, funzionali al rafforzamento del mercato concorrenziale in ambito europeo, ha ampliato il campo delle entità assoggettate a tale disciplina fino a ricomprendere anche alcune tipologie di soggetti di diritto privato destinatari, anche solo in parte, di finanziamenti pubblici.
Tale conflitto tra nozione “statica” (ancora valevole nell’ambito del diritto nazionale) e “dinamica” di pubblica amministrazione ha portato la giurisprudenza, nel corso degli anni, a dare prevalenza al profilo funzionale della normativa da applicare, anche nei casi in cui non si trattava di dare attuazione ad obiettivi ed a principi di rango comunitario, con ciò provocando un’inversione logica della relativa indagine (nel senso cioè di indagare prima sul numero e sul contenuto delle norme che perseguono finalità di carattere generale applicabili ad un determinato soggetto giuridico, nato utilizzando schemi privatistici, per poi attribuirgli il carattere pubblicistico, prescindendo totalmente dallo schema utilizzato che richiama ad esempio una determinata disciplina privatistica e anche dalla stessa volontà del fondatore).
L’effetto di ciò è che, anche in ambito nazionale, sposando tale tecnica di interpretazione “funzionale”, sono stati qualificati come pubblici enti che utilizzano invece schemi privatistici (tipico è il caso delle società a partecipazione pubblica) determinando notevoli dubbi sulla disciplina da applicare, laddove non vi siano norme che chiaramente dispongano nel senso dell’applicabilità o meno a quel determinato soggetto (è evidente che, laddove non via sia una disciplina espressa, se l’ente è qualificato come pubblico, dovrà farsi riferimento alla disciplina pubblicistica mentre, in caso contrario, a quella privatistica).
Tirando le fila del discorso, ritiene il Collegio che, quando si tratta di avviare un’indagine sull’applicabilità di una disciplina normativa nazionale (come nel caso di specie, riguardante l’applicazione del d.lgs n. 33 del 2013 alle Università non statali), non possa prescindersi da un approccio che privilegi la nozione “statica” di pubblica amministrazione ovvero quell’approccio formalistico (rinvenibile in quella parte della giurisprudenza a cui si è dichiarato, in questa sede, di aderire) che, per il caso di specie, prende le mosse dalla Costituzione (art. 33) e dall’art. 4 della legge n. 70 del 1975 che, con previsione ancora vigente (seppure datata), dispone ancora chiaramente che “…nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”.
Ed invero, la più recente giurisprudenza (vgs Cass. civ. Sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209), seppure in tema di società pubbliche, risulta ancora più rigorosa nel dettare i criteri per il riconoscimento della loro natura giuridica pubblica, affermando il superamento anche del criterio degli indici sintomatici, per chiarire come tale tesi “mal si concilia con la perdurante vigenza del principio generale stabilito dalla L. n. 70 del 1975, art. 4, che, nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco” (così, anche TAR Lazio, sez. Terza ter, 4 dicembre 2014, n. 12232).
Pertanto, il Collegio, nel concordare altresì con le conclusioni a cui è giunto di recente lo stesso Consiglio di Stato (sez. VI, n. 2660/2015) quando ha qualificato come private l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, l‘Università commerciale Bocconi di Milano e lo I.U.L.M., ritiene, altresì, che quanto riconosciuto dal giudice di appello (nel parte in cui dà atto che, nel dibattito dottrinale odierno, predomina la nozione “funzionale” di ente pubblico e che, pertanto, il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa, nel senso cioè che ciò che a certi fini costituisce un ente pubblico, potrebbe non esserlo ad altri fini, rispetto all’applicazione di altri istituti che danno rilievo a diversi dati funzionali o sostanziali) rischi tuttavia di ingenerare margini di incertezza nell’applicazione, in particolare, del diritto nazionale, ponendosi in contrasto con il principio di certezza del diritto (ormai indicato da molti come volàno della crescita economica), soprattutto laddove non vi sia una norma chiara che ne imponga o ne escluda l’applicazione ad una determinata tipologia di soggetti giuridici.
Ecco perché assume particolare importanza il criterio sopra riferito, fatto proprio da parte della giurisprudenza, secondo cui laddove la qualità di ente pubblico non sia attribuita da una espressa disposizione di legge, essa debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento “chiaro ed inequivoco”, attraverso un’interpretazione rigorosa che parta prima dai dati oggettivi che ne facciano desumere la natura e, solo successivamente, vada ad indagare sulla “funzione” che la norma da applicare intende perseguire.
- Ora, nel caso delle Università non statali legalmente riconosciute, ad avviso del Collegio, tale “quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco” non si ritiene che sussista e, sul punto, si ritiene condivisibile l’indagine svolta da Cass. civile, sez. lavoro, n. 14129/1999.
In quella sede, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare, seppure con riferimento alla LUISS (ma con argomentazioni valevoli anche per le altre Università non statali), che, alla luce di quanto previsto dall’art. 33 Cost. (secondo cui l’istruzione universitaria può essere impartita anche da istituti aventi connotazione privatistica) e dall’art. 4 della legge n. 70 del 1975 (secondo cui nessun nuovo ente pubblico può essere istituito se non per legge), non è certo il riconoscimento del potere di rilasciare titoli aventi valore legale che consente all’interprete di qualificare in senso pubblicistico tali istituti di istruzione universitaria.
Proseguendo, poi, nell’indagine degli ulteriori indici sintomatici, la stessa Corte di Cassazione, sempre nella citata sentenza n. 14129/1999, ne ha escluso la rilevanza sulla base delle seguenti (condivisibili) argomentazioni:
“Quanto all’equiparazione dei docenti ed alla fungibilità relativa agli studenti, esse appaiono connesse più che alla natura giuridica dell’ente, alla garanzia di sufficiente omogeneità nelle modalità essenziali dell’insegnamento ed alla tradizionale “apertura” dell’insegnamento universitario…..
Quanto all’approvazione dello statuto, prevista anche per le persone giuridiche private, la discrezionalità comunemente attribuita al Ministro (che peraltro, ai sensi dell’art. 200 del T.U., accerta se lo schema di statuto sia rispondente nel suo complesso all’interesse generale degli studi e dell’istruzione superiore) va conciliata con il disposto dell’art. 198, secondo il quale “appartiene alla categoria di cui al numero secondo dell’art. 1 ogni università e istituto superiore libero il cui ordinamento sia conforme alle norme del presente T.U.”.
Maggiore univocità sembra avere la circostanza che la soppressione dell’università libera può essere disposta ex art. 212, oltre che per insufficienza dei mezzi finanziari, per ragioni inerenti all’interesse generale degli studi o alla distribuzione territoriale degli istituti, ma è da considerare che l’alternativa dovrebbe consistere nella perdita del potere di rilasciare titoli aventi valore legale, con evidenti riflessi sulla possibilità (v. art. 27 cod. civ.) per l’università libera di perseguire il suo scopo.
Certo, nessun indice sintomatico è, per definizione, determinante; ciò che rileva è il loro complesso, ma un elemento decisivo ai fini della valutazione complessiva è costituito dal mutamento di prospettiva introdotto dalla sentenza n. 396/88 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 (Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di una istituzione privata.
Nella motivazione della sentenza è stato infatti considerato primario proprio il criterio della genesi privatistica: la possibilità per le IPAB di essere riconosciute come persone giuridiche private è stata ritenuta diretta conseguenza del precetto costituzionale dell’art. 38, u.c., Cost., il quale, affermando la libertà dell’assistenza privata e conformando l’intero sistema costituzionale dell’assistenza ai principi pluralistici, sancisce il diritto dei privati di istituire liberamente enti di assistenza e, conseguentemente, quello di vedersi riconosciuta, per tali enti, una qualificazione giuridica conforme alla propria effettiva natura.
Sembra perciò al collegio che in una lettura del T.U. n. 1592 del 1933 conforme al principio di libertà della scuola di cui all’art. 33, comma 3; Cost. gli indici sintomatici richiamati a sostegno del principio di generale pubblicizzazione delle università libere perdano, a fronte dell’origine privatistica, il rilievo ad essi attribuito.
Deve, in altri termini, escludersi che l’appartenenza alla categoria di cui al n. 2 dell’art. 1 del T.U. implichi per l’università libera la qualificazione di persona giuridica pubblica”.
Alle predette argomentazioni che il Collegio mostra di condividere, assume altresì rilievo, come sopra riportato quanto segue, quanto previsto dall’art. 1 della legge n. 243 del 1991 secondo cui “Le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti operano nell’ambito delle norme dell’articolo 33, ultimo comma, della Costituzione e delle leggi che li riguardano, nonché dei principi generali della legislazione in materia universitaria in quanto compatibili”.
Ed invero, anche da tale disposizione normativa, si ricava che la disciplina pubblicistica applicabile alle Università statali non si applica in via diretta a quelle non statali ma nei limiti di compatibilità, il che costituisce un argomento ulteriore che esclude l’inequivocità degli indizi di pubblicità degli istituti universitari di che trattasi.
A ciò si aggiunga quanto segue:
– l’Università ricorrente non compare menzionata nemmeno nell’elenco annuale delle pubbliche amministrazioni redatto dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009 che, come noto, costituisce la lista più allargata degli enti pubblici di rilievo nazionale e locale;
– diversamente opinando, utilizzando cioè lo schema di Cass. Civ., SS.UU., n 5054/2004 (che qualifica le Università libere tra gli enti pubblici), non vi sarebbe alcuno spazio per la costituzione di istituti universitari di natura privata che, invece, nel caso degli istituti scolastici di livello inferiore, non è affatto posta in dubbio.
I predetti elementi, unitamente ad una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento con l’art. 33 della Cost., costituiscono ulteriori indizi del fatto che la stessa non possa essere qualificata quale ente pubblico.
- Ora, alla luce di quanto sopra esposto e delle caratteristiche sintetizzate al precedente punto C (in particolare, con riferimento alla governanceche registra quattro rappresentanti pubblici su 19 membri nell’ambito del consiglio di amministrazione ed all’entità dei finanziamenti pubblici che non superano il 10% del totale delle entrate), l’Università Commerciale Luigi Bocconi non può essere qualificata come ente pubblico non economico e non rientra quindi nel campo di applicabilità della delibera n. 144/2014, riferita come detto alle sole “pubbliche amministrazioni”.
- F) Ulteriori valutazioni del Collegio.
In ragione dell’accoglimento delle doglianze contenute nel primo e nel secondo motivo, il Collegio potrebbe altresì esimersi dall’esaminare l’ulteriore censura con cui l’Università ricorrente deduce che l’art. 14 del d.lgs. n. 33 del 2013 non sarebbe applicabile in quanto le università non statali non sono dotate di organi di indirizzo politico.
Al riguardo, il Collegio, alla luce di quanto affermato di recente dal Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, n. 5/2015 (in ordine al profilo dell’assorbimento dei motivi di ricorso) ma anche nell’ottica di una eventuale ri-edizione del potere da parte dell’ANAC con riferimento alla fattispecie in esame, ritiene di dover esaminare, seppure sinteticamente, la predetta censura.
La prospettazione della ricorrente non può essere condivisa in quanto, proprio l’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs n. 33 del 2013 definito nell’art. 11 (ovvero tutte le pubbliche amministrazioni nonché alcune tipologie di enti di diritto privato) non consente di ritenere che il riferimento ivi contenuto agli organi di indirizzo politico si riferisca soltanto a quegli organi che svolgano un mandato elettivo all’interno delle pubbliche amministrazioni.
Ritiene invero il Collegio che il richiamo agli organi di indirizzo politico (come, peraltro, si desume dal recente parere reso dal Consiglio di Stato, sez. II, n. 3105/2014 con riferimento al CNEL) debba essere interpretato prendendo come riferimento gli artt. 4 e 14 del D.lgs n. 165 del 2001 nella parte in cui si fa riferimento, sebbene con riguardo alle “amministrazioni pubbliche”, all’organo che definisce obiettivi, priorità, piani e programmi e che, in estrema sintesi, indirizza e definisce le linee di azione dell’ente.
Risulta poi chiaro che l’individuazione di tali organi dovrà essere effettuata in concreto con riferimento alle peculiarità dell’ente di riferimento ed, in quest’ottica, non risulta irragionevole la soluzione adottata da ANAC nella delibera impugnata di dover individuare, di volta in volta, gli organismi di che trattasi attraverso una disamina dei compiti agli stessi attribuiti dai rispettivi statuti.
Né la disposizione di cui al citato art. 14 del d.lgs. n. 33 del 2013 risulta in contrasto con la delega contenuta nell’art. 1, comma 35, lett. c) della legge n. 190 del 2012 in quanto il riferimento ai “titolari di incarichi di esercizio di poteri di indirizzo politico” va interpretato nel senso sopra indicato (ovvero agli organi che definiscono obiettivi, priorità, piani e programmi e che, in estrema sintesi, indirizzano e definiscono le linee di azione dell’ente); lo stesso vale con riferimento alla ipotizzata violazione del principio di irragionevolezza in quanto la legge n. 190 del 2012 e, di conseguenza, il d.lgs n. 33 del 2013 hanno inteso introdurre obblighi di trasparenza generalizzati all’interno delle pubbliche amministrazioni e di determinati soggetti privati, quale corollario del principio di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Cost..
- G) Conclusioni
- In conclusione, il ricorso va accolto nei sensi di quanto sopra esposto e, per l’effetto, va annullata la delibera n. 144/2014 nella parte in cui riconduce l’Università ricorrente nell’ambito degli enti pubblici di cui all’art. 11, commi 1 e 2 lett. a), del d.lgs n. 33 del 2013, fermo restando quanto rappresentato al precedente punto A) 1.4.
- Le spese di giudizio, in ragione dell’assoluta novità della questione, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla la delibera n. 144/2014 nella parte in cui riconduce l’Università commerciale “Luigi Bocconi” nell’ambito degli enti pubblici di cui all’art. 11, commi 1 e 2 lett. a), del d.lgs n. 33 del 2013.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore
Vincenzo Blanda, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)