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Diritto civile. Nella comunione ereditaria è inammissibile l’assegnazione per intero al migliore offerente tra gli stessi condividenti

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Diritto civile. Nella comunione ereditaria è inammissibile l’assegnazione per intero al migliore offerente tra gli stessi condividenti

“Nell’ipotesi di domanda giudiziale di divisione avente ad oggetto un unico bene immobile, atteso che i condividenti posseggono le medesime quote, è inammissibile l’assegnazione per intero al migliore offerente tra gli stessi condividenti”

Con la sentenza n. 10216 del 19 maggio 2015, la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione si esprime sulla rideterminazione dei criteri di assegnazione del bene, ai sensi dell’art. 720 c.c., laddove i coeredi siano comproprietari in quote uguali di un immobile non divisibile e ne abbiano tutti chiesto l’attribuzione e se sia consentito al giudice disporre che il bene venga assegnato al coerede che formuli l’offerta più alta e che soltanto in caso di mancanza di offerte o di mancata comparizione delle parti il bene venga venduto mediante pubblico incanto.

Nel caso di specie, con riferimento all’unico motivo proposto, avendo la Corte d’Appello ritenuto che la vendita all’incanto sia da escludere per avere entrambe le parti domandato l’assegnazione dell’intero bene e giudicato legittimo l’avvio di una gara tra i soli condividenti per la migliore offerta, in mancanza di elementi per preferire l’assegnazione dell’immobile all’una o all’altra parte, gli ermellini affermano che il procedimento divisionale non è soggetto a gara tra i condividenti, altrimenti verrebbe meno la parità di condizione degli aspiranti assegnatari e la scelta verrebbe ad essere determinata, o quanto meno influenzata, dalle maggiori o minori possibilità economiche degli aspiranti.

Se la scelta dell’assegnatario dovesse essere determinata dalla somma che egli offre di pagare a conguaglio, verrebbe meno la caratteristica tipica del procedimento per assegnazione e questo si risolverebbe in una vendita all’incanto dove l’unica particolarità consisterebbe nella limitazione della gara ai condividenti medesimi. Ma si tratta di conclusione in contrasto con il sistema della legge, che ha inteso tener ben distinta l’assegnazione dalla vendita ed ha mostrato netta preferenza per la prima, ricorrendo alla seconda come estremo rimedio quando non si possa addivenire in altro modo allo scioglimento della comunione.

La Corte Suprema sottolinea come, ai sensi dell’art. 720 c.c., in caso di comunione ereditaria avente ad oggetto un immobile non comodamente divisibile, se vi sono coeredi titolari di quote identiche e tutti chiedono l’assegnazione, il giudice ha il potere-dovere di scegliere tra i più richiedenti valutando ogni ragione di opportunità e convenienza, dandone adeguata motivazione; se poi non sia ravvisabile alcun criterio oggettivo di preferenza (o nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero), soccorre il rimedio residuale della vendita all’incanto

Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-05-2015, n. 10216

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. CIDDIO Francesco, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, Via XX Settembre, n. 15;

– ricorrente –

contro

C.B., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. MORRA Marco e Lucio Nicolais, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, piazza Mazzini, n. 27;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

C.B., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Marco Morra e Lucio Nicolais, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, piazza Mazzini, n. 27;

– ricorrente in via incidentale –

contro

C.L.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 457 del 4 luglio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 aprile 2015 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Francesco Ciddio e Lucio Nicolais;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

  1. – Con atto di citazione notificato in data 30 settembre 1998, C.L. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Fermo la sorella C.B. e – premettendo che essa attrice e la convenuta erano comproprietarie prò quota, quali eredi del padre, di un appezzamento di terreno, sito in (OMISSIS), nonchè, quali eredi della madre, di un fabbricato, avente la stessa ubicazione – chiedeva lo scioglimento della comunione, con assegnazione dei beni facenti parte della stessa.

Si costituiva la convenuta, deducendo la non comoda divisibilità del fabbricato rurale.

Esperita c.t.u., l’adito Tribunale, con sentenza non definitiva in data 11 giugno 2003, dichiarava la non comoda divisibilità del fabbricato (l’unico bene oggetto del giudizio a seguito della limitazione della domanda attrice), rimettendo la causa in istruttoria per l’effettuazione degli ulteriori incombenti.

Il primo giudice affermava che la divisione dell’immobile avrebbe determinato frazionamenti inadeguati anche per il loro alto costo e la necessaria costituzione di servitù ed osservava che, avendo ciascuna parte chiesto l’assegnazione dell’intero bene, doveva procedersi (essendo entrambe le parti titolari di quote uguali e non risultando dagli atti criteri preferenziali) alla sua assegnazione al miglior offerente tra le stesse parti, salvo il successivo ricorso alla vendita all’incanto nell’ipotesi di mancata comparizione delle parti o di mancanza di loro offerte.

  1. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 4 luglio 2009, la Corte d’appello di Ancona ha respinto il gravame di C.L., compensando tra le parti le spese del grado.

2.1. – Disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di motivi specifici, la Corte territoriale ha invece condiviso quanto sostenuto dall’appellata in ordine all’inammissibilità della domanda, formulata nell’atto di impugnazione, di scioglimento della comunione relativamente, non solo al fabbricato, ma anche all’area scoperta contigua al fabbricato:

ciò in quanto, nel primo grado di giudizio, l’attrice aveva limitato, nelle conclusioni analiticamente formulate all’udienza del 22 marzo 2001, la richiesta di scioglimento della comunione al fabbricato facente parte dell’eredità materna, con annesso spazio di area scoperta circostante, in tal modo rinunciando, implicitamente ma inequivocabilmente, alla domanda di divisione dell’appezzamento di terreno oggetto dell’eredità paterna.

La Corte territoriale ha poi confermato la conclusione di non comoda divisibilità del fabbricato, sia per la necessità di dover fronteggiare interventi costosi per la divisione materiale del bene (implicanti la realizzazione di aperture, di due bagni e di una scala interna, l’asportazione di porte e la separazione degli impianti), sia perchè la creazione di due unità abitative, ciascuna delle quali necessariamente penalizzata quanto a superfici, avrebbe determinato una apprezzabile incidenza negativa sul valore complessivo dell’immobile.

Attesa l’insussistenza di elementi per preferire l’assegnazione dell’immobile all’una o all’altra delle parti ed esclusa la possibilità, in presenza di richiesta di assegnazione avanzata da ciascuna di esse, di far luogo alla vendita all’incanto, la Corte d’appello ha giudicato conforme a legge e rientrante nella logica del sistema il criterio concretamente adottato dal Tribunale, consistente nell’assegnare il fabbricato alla condividente disposta ad effettuare la migliore offerta sulla base di un valore corrispondente alla metà del valore complessivo del bene quale stimato dal c.t.u..

  1. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello C.L. ha proposto ricorso, con atto notificato il 14 dicembre 2009, sulla base di un motivo.

L’intimata ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato ad un mezzo.

Motivi della decisione

  1. – Con l’unico motivo, la ricorrente in via principale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 720 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Con esso si pone il quesito se, ai sensi dell’art. 720 c.c., là dove i coeredi siano comproprietari in quote uguali di un immobile non divisibile e ne abbiano tutti chiesto l’attribuzione, sia consentito che il giudice disponga che il bene venga assegnato al coerede che formuli l’offerta più alta e che soltanto in caso di mancanza di offerte o di mancata comparizione delle parti il bene venga venduto mediante pubblico incanto.
  2. – Il motivo è scrutinabile nel merito, essendo da respingere l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse sollevata dalla difesa della controricorrente.

Infatti, sin dall’atto di appello C.L., se in via principale aveva domandato che venisse dichiarata la comoda divisibilità del fabbricato con assegnazione di due porzioni in natura alle condividenti titolari di quote uguali, in subordine – in caso di conferma della sentenza di primo grado sul punto della non comoda divisibilità del bene immobile – aveva chiesto che venisse comunque dichiarata inammissibile l’assegnazione per intero al miglior offerente tra le stesse condividenti.

E’ quest’ultima richiesta che sostanzia l’attuale motivo di ricorso:

avendo la Corte d’appello ritenuto che la vendita all’incanto sia da escludere per avere entrambe le parti domandato l’assegnazione dell’intero bene e giudicato legittimo, in mancanza di elementi per preferire l’assegnazione dell’immobile all’una o all’altra parte, l’avvio di una gara tra i soli condividenti per la migliore offerta, la ricorrente ha interesse a mettere in discussione i criteri seguiti dal giudice del merito per lo scioglimento della comunione ereditaria.

D’altra parte, l’eccezione di inammissibilità del motivo muove da un presupposto – l’avere C.L. rinunciato alla domanda di assegnazione a essa del bene oggetto della divisione – chiaramente smentito dalla sentenza impugnata, la quale invece ha evidenziato che “entrambe le parti hanno chiesto l’assegnazione dell’intero bene”.

  1. – Nel merito, la censura è fondata.

Ai sensi dell’art. 720 c.c., in caso di comunione ereditaria avente ad oggetto un immobile non comodamente divisibile, se vi sono coeredi titolari di quote identiche e tutti chiedono l’assegnazione, il giudice ha il potere-dovere di scegliere tra i più richiedenti valutando ogni ragione di opportunità e convenienza, dandone adeguata motivazione; se poi non sia ravvisabile alcun criterio oggettivo di preferenza (o nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero), soccorre il rimedio residuale della vendita all’incanto (Cass., Sez. 2, 5 dicembre 1977, n. 5271; Cass., Sez. 2, 13 maggio 2010, n. 11641).

La consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude che la scelta del condividente cui assegnare il bene possa dipendere dalla maggiore offerta, che uno di essi faccia, rispetto al prezzo di stima (Cass., Sez. 2, 4 gennaio 1969, n. 8; Cass., Sez. 2, 11 agosto 1982, n. 4548;

Cass., Sez. 2, 1 febbraio 1995, n. 1158).

Il procedimento divisionale, infatti, non è soggetto a gara tra i condividenti, altrimenti verrebbe meno la parità di condizione degli aspiranti assegnatari e la scelta verrebbe ad essere determinata, o quanto meno influenzata, dalle maggiori o minori possibilità economiche degli aspiranti.

Se la scelta dell’assegnatario dovesse essere determinata dalla somma che egli offre di pagare a conguaglio, verrebbe meno la caratteristica tipica del procedimento per assegnazione e questo si risolverebbe in una vendita all’incanto: l’unica particolarità consisterebbe nella limitazione della gara ai condividenti medesimi.

Ma si tratta di conclusione in contrasto con il sistema della legge, che ha inteso tener ben distinta l’assegnazione dalla vendita ed ha mostrato netta preferenza per la prima, ricorrendo alla seconda come estremo rimedio quando non si possa addivenire in altro modo allo scioglimento della comunione.

Ha pertanto errato la Corte d’appello a rimettere l’attribuzione dell’intero bene al condividente disposto ad effettuare la maggiore offerta sul prezzo di stima.

  1. – L’accoglimento del ricorso principale determina l’assorbimento dell’esame del motivo di ricorso incidentale con cui C. B. si duole della totale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
  2. – La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta.

La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Ancona, che la deciderà in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 aprile 2015.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2015