Il lavoratore non può essere licenziato se il superamento del periodo di comporto è da ricondurre a un infortunio sul luogo di lavoro
Con la sentenza 20718 del 2015 la Cassazione, Sez. Lavoro, ha affermato che è illegittimo il licenziamento di un dipendente pubblico che superi il periodo di comporto per via di un infortunio occorso all’interno del luogo di lavoro, nel caso di specie una caduta per le scale.
La Corte d’Appello, riformando la sentenza del giudice di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento subìto dal soggetto, dipendente del Comune di Fragneto l’Abate, condannando l’ente locale al pagamento in suo favore della retribuzione globale dalla data del licenziamento a quello della sentenza.
Secondo la Corte territoriale, essendo l’infortunio avvenuto in occasione di lavoro, si sarebbe dovuto applicare l’art. 21 del CCNL di categoria, per cui il dipendente, al termine del periodo massimo di diciotto mesi di assenza, avrebbe avuto diritto alla conservazione del posto fino alla completa guarigione.
La Cassazione, rigettando il ricorso proposto dal Comune, ha affermato che l’infortunio va indennizzato anche in caso di rischio improprio, vale a dire non strettamente afferente allo svolgimento delle mansioni tipiche del dipendente, ma comunque relativo ad un’attività prodromica allo svolgimento delle stesse e, dunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative.
Più precisamente, secondo la Cassazione, l’occasione di lavoro, di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, è configurabile anche nel caso di incidente occorso durante una attività strumentale alle mansioni tipiche, quale quella di salire su una scala per prelevare documentazione da una scaffalatura, come è avvenuto nel caso di specie.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-10-2015, n. 20718
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo – Presidente –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –
Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –
Dott. MANNA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14066-2010 proposto da:
COMUNE DI FRAGNETO L’ABATE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 43, presso lo studio dell’avvocato ROMANO GIOVANNI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
B.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLE NAVI 30, presso lo studio dell’avvocato NACCARATO GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2894/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/06/2009 r.g.n. 8244/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2015 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;
udito l’Avvocato ROMANO GIOVANNI;
udito l’Avvocato NACCARATO GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Celeste Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 22 giugno 2009 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Benevento del 20 novembre 2006, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato dal Comune di Fragneto l’Abate con Delib. 25 febbraio 2003 a B. D. per superamento del periodo di comporto, ed ha condannato il medesimo Comune al pagamento in favore del B., a titolo risarcitorio, della retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quello della sentenza. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia ritenendo l’infortunio subito dal B. in data 7 agosto 2001 allorchè, a causa della rottura della scala utilizzata per il prelievo delle pratiche in archivio, era caduto rovinosamente al suolo procurandosi lesioni da cui era derivato un lungo periodo di malattia, era avvenuto in occasione di lavoro per cui, ai sensi dell’art. 21 del CCNL di categoria, al termine del periodo massimo di diciotto mesi di assenza, aveva diritto alla conservazione del posto fino alla guarigione clinica. In particolare la Corte napoletana ha considerato la documentazione sanitaria acquisita in grado di appello da cui emerge l’entità delle lesioni riportate dal B. nell’infortunio subito, e le prove testimoniali assunte dalle quali è emerso il nesso causale fra l’infortunio stesso e l’attività lavorativa.
Il Comune di Fragneto l’Abate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su quattro motivi.
Resiste il B. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta la nullità del procedimento in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4;
l’illegittimità dell’ordinanza del 14 ottobre 2008 con la quale ebbe a disporsi il rinnovo della notifica del ricorso in appello perchè adottata in violazione di legge; la conseguente nullità di ogni atto del procedimento successivo alla notifica del ricorso in appello e del decreto di fissazione di udienza, ivi compresa l’impugnata decisione. In particolare si deduce che la Corte territoriale avrebbe illegittimamente disposto la rinnovazione della notifica dell’atto di appello nonostante l’inesistenza della notifica stessa avvenuta direttamente presso la sede del Comune anzichè presso il procuratore costituito.
Con il secondo motivo si assume violazione dell’art. 421 c.p.c., comma 2 e art. 437 c.p.c., comma 2 in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare si lamenta che il giudice dell’appello avrebbe fondato la propria decisione in relazione alla malattia in questione sulla base di documentazione sanitaria acquisita solo in appello pur essendo di data anteriore al ricorso di primo grado, per cui l’originario ricorrente avrebbe avuto l’onere di produrla tempestivamente con il medesimo ricorso introduttivo senza la possibilità per il giudice d’appello di valersi dei poteri istruttori d’ufficio.
Con il terzo motivo si deduce omessa motivazione per l’omesso esame di un documento che, ove esaminato e valutato correttamente in base a criteri di verosimiglianza, avrebbe certamente condotto il Giudice di seconda istanza ad una conclusione diversa da quella alla quale è addivenuto: il tutto in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare si assume che la Corte territoriale, nell’emettere la decisione impugnata, non avrebbe considerato il parere espresso all’esito delle sedute del 3 novembre 2003, n. 177 e del 4 febbraio 2004, n. 40, dal Comitato di verifica per le cause di servizio.
Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in particolare si deduce che, sulla base delle risultanze istruttorie erroneamente valutate, la Corte territoriale sarebbe pervenuta all’erronea conclusione che l’infortunio in questione è avvenuto in occasione di lavoro senza accertare la mancanza di nesso eziologico dell’infortunio stesso con la prestazione lavorativa svolta.
Il primo motivo è infondato. La notifica eseguita presso la sede dell’ente anzichè presso il procuratore costituito è nulla non essendo idonea a produrre gli effetti dell’atto, ma non è inesistente in quanto trattasi pur sempre di atto riconducibile alla categoria delle notifiche. Tale principio è coerente con il criterio distintivo adottato in molte delle decisioni di questa Corte che avevano ritenuto la nullità in fattispecie omologhe a quella in esame, perchè detto criterio, improntato alla valorizzazione della esistenza di un qualche “riferimento” o “collegamento” tra il luogo in cui è stata tentata la notifica e la persona cui la copia dell’atto avrebbe dovuto essere consegnata, ben può tradursi, in termini generali, nel rilievo che in quei casi l’atto era comunque individuabile come “notificazione” del ricorso, perchè quel determinato “riferimento” o “collegamento” al destinatario consentiva di non escludere a priori che la notificazione potesse raggiungere lo scopo suo proprio, e cioè quello di portare a conoscenza del destinatario il contenuto dell’atto notificato (Cass. Sez. Un. 29 aprile 2008, n. 10817); motivo, questo, sufficiente a ritenere legittima l’assegnazione di un nuovo termine per la notifica come operato dalla Corte d’appello nel caso in esame.
Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili riguardando il merito della controversia. In particolare la produzione di documentazione in appello è riservata la potere istruttorio d’ufficio del giudice nel rito del lavoro, e l’utilizzo di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità anche considerando che tale documentazione era preesistente e quindi poteva ben essere allegata o prodotta nel giudizio di primo grado, circostanza questa che non incide sulla legittimità della produzione essendo questa comunque disposta, si ripete, dal giudice nel suo insindacabile giudizio di attivazione di mezzi istruttori.
Parimente insindacabile è la considerazione della Corte territoriale relativa al parere espresso dal Comitato di verifica per le cause di servizio, essendo motivata logicamente e congruamente la diversa convinzione a cui il medesimo giudice è pervenuto.
Il quarto motivo relativo al giudizio sul nesso causale è pure infondato riguardando sempre la valutazione riservata al giudice del merito. In particolare, nel caso in esame la Corte territoriale ha valutato il rischio improprio.
D’altra parte la valutazione della Corte d’appello al riguardo appare corretta in punto di diritto. Infatti l’indennizzabilità dell’infortunio subito dall’assicurato sussiste anche nell’ipotesi di rischio improprio, non intrinsecamente connesso, cioè, allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro svolto dal dipendente, ma insito in un’attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative, a nulla rilevando l’eventuale carattere meramente occasionale di detto rischio, atteso che è estraneo alla nozione legislativa di occasione di lavoro il carattere di normalità o tipicità del rischio protetto Cass. 4 agosto 2005, n. 16417).
Conseguentemente l’occasione di lavoro, di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, è configurabile anche nel caso di incidente occorso durante un’operazione strumentale alle mansioni assegnate all’operatore, quale quella di salire su una scala per prelevare documentazione da una scaffalatura.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in complessive Euro 100,00 per esborsi, ed Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2015