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DIRITTO AMMINISTRATIVO: DASPO: si applica anche agli episodi verificatisi durante un allenamento

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

DIRITTO AMMINISTRATIVO: DASPO: si applica anche agli episodi verificatisi durante un allenamento

T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 23 ottobre 2015, n. 1347

Quanto all’ambito oggettivo di applicazione del DASPO le condotte sanzionabili sono non soltanto quelle realizzate “in occasione” di una manifestazione sportiva, ma anche quelle poste in essere “a causa” della manifestazione sportiva stessa. In tale quadro di riferimento non è dubitabile che gli episodi di violenza verificatisi durante l’allenamento di una squadra di calcio partecipante alle competizioni previste dalle federazioni sportive sono strettamente collegati con le “manifestazioni sportive”, secondo un rapporto di diretta causalità.

Il fatto

Nel corso degli allenamenti della squadra Brescia calcio presso il campo sportivo ubicato all’interno del “Centro San Filippo” di Brescia tre tifosi, appartenenti al gruppo ultrà “Curva Nord Brescia”, facevano irruzione nel terreno di gioco approfittando di un cancello rimasto inavvertitamente aperto, interrompendo l’allenamento della squadra e ingaggiando un acceso confronto con l’allenatore al fine di indurlo ad abbandonare l’incarico a causa dei risultati insoddisfacenti della squadra. Tale episodio non degenerava solo grazie al tempestivo interventi del personale della DIGOS.

Con tre distinti provvedimenti, il Questore di Brescia disponeva nei confronti dei tifosi la misura del c.d. DASPO.

I tifosi, così, agivano in giudizio per sull’assunto che il DASPO potrebbe essere disposto unicamente in relazione ad eventi accaduti “in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, tra le quali non rientrerebbero gli allenamenti; inoltre, nella specie, l’allenatore non sarebbe stato fisicamente aggredito ed il confronto, “per quanto acceso sebbene breve”, sarebbe stato esclusivamente verbale.

La decisione

Il Collegio, quanto alla riconducibilità della fattispecie in esame (allenamento) all’ambito oggettivo di applicazione del DASPO – questione che costituisce il focus della prima censura svolta dai ricorrenti -, ha richiamato tre sentenze “gemelle” della III^ Sezione del Consiglio di Stato (8/11/2011, nn. 5886, 5887 e 5888) secondo cui l’articolo 6 della L. 13 dicembre 1989, n. 40 “indica con chiarezza che le condotte sanzionabili sono non soltanto quelle realizzate “in occasione” di una manifestazione sportiva, ma anche quelle poste in essere “a causa” della manifestazione sportiva stessa. In tale quadro di riferimento non è dubitabile che gli episodi di violenza verificatisi durante l’allenamento di una squadra di calcio partecipante alle competizioni previste dalle federazioni sportive (come definite dall’articolo 2 bis, comma 1, del D.L. 20 agosto 2001, n. 336, convertito nella L. 19 ottobre 2001, n. 377) sono strettamente collegati con le “manifestazioni sportive”, secondo un rapporto di diretta causalità“.

Inoltre, ai fini dell’emanazione del DASPO non rileva che l’episodio contestato abbia o meno (a seguito di querela di parte o denuncia d’ufficio) avuto delle conseguenze sul piano penale: questa volta è la anzitutto la giurisprudenza dei TAR a ritenere che “il c.d. DASPO costituisce una misura di prevenzione che presuppone la pericolosità sociale e non già la commissione di un reato” (cfr. Tar Milano n. 19/2015) e che “la misura del Daspo può essere applicata anche a persone che non abbiano commesso, come nella specie, fatti penalmente rilevanti neppure sotto il profilo concorsuale” (T.A.R. Liguria n. 768/2015).

Infatti, il divieto di cui al c.d. daspo integra – secondo l’attuale orientamento del Consiglio di Stato – una misura non repressiva, bensì di prevenzione e “precauzione di polizia” (cfr. pareri Consiglio di Stato, Sez. I, 25/03/2015, nn. 931 e 946/2015): appartiene, cioè, a quel genus di misure che – secondo la dottrina – possono essere definite come strumenti ante o comunque praeter delictum, aventi la finalità di evitare che il singolo che ne è colpito compia fatti di reato, illeciti o comunque tenga comportamenti lesivi di dati interessi, mediante la rimozione o il contenimento delle cause che si pongono alla base della commissione di tali condotte.

In tale valutazione discrezionale dell’inaffidabilità del soggetto, un ruolo considerevole assumono, poi, i c.d. “precedenti” ascritti al soggetto colpito da DASPPO.

In conclusione, il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto, anche sulla base dei suoi precedenti, non dia affidamento di tenere una condotta scevra dalla partecipazione ad ulteriori episodi di violenza.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 23-10-2015, n. 1347

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 501 del 2015, proposto da:

R.B., E.B. ed E.G., rappresentati e difesi dagli avv. Giovanni Adami e Paolo Botticini, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia, p.za M. Belfiore, 3;

contro

Questura di Brescia, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria in Brescia, Via S. Caterina, 6;

per l’annullamento

del Provv. 17 dicembre 2014, di divieto di accedere in tutti gli stadi ed impianti sportivi;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Questura di Brescia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2015 il dott. Giorgio Calderoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con tre distinti provvedimenti in pari data (17 dicembre 2014), il Questore di Brescia ha disposto nei confronti di tutti e tre gli attuali ricorrenti il divieto di accedere, per la durata di anni cinque:

– in tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale, in occasione di tutti gli incontri di calcio, anche di tipo amichevole, disputati da qualunque squadra che militi nei campionati a partire dalla Terza categoria sino alla serie A, nonché in occasione degli incontri internazionali, di Coppa Italia e della nazionale italiana e di Under 21;

– in tutti i luoghi interessati allo svolgimento degli allenamenti delle squadre impegnate nei suddetti campionati.

1.1. Identico è il presupposto dei suddetti divieti, cioè i fatti avvenuti il 10 dicembre 2014 nel corso degli allenamenti della quadra Brescia calcio presso il campo sportivo ubicato all’interno del “Centro San Filippo” di Brescia, durante i quali i tre ricorrenti, appartenenti al gruppo ultrà “Curva Nord Brescia”, avevano fatto “irruzione nel terreno di gioco approfittando di un cancello rimasto inavvertitamente aperto, interrompendo l’allenamento della squadra e ingaggiando un acceso confronto con l’allenatore I.I. al fine di indurlo ad abbandonare l’incarico a causa dei risultati insoddisfacenti della squadra”, episodio che non era degenerato solo grazie al tempestivo interventi del personale della DIGOS.

1.2. Come identica è la motivazione in essa contenuta e cioè, in sintesi, che l’azione di gruppo dei tre tifosi evidenzierebbe l’intento di porre in essere una contestazione violenta nei confronti dell’allenatore e della squadra: e ciò, nel quadro di una più ampia contestazione di amministratori e responsabili del Brescia calcio, culminata nei disordini del 22 novembre 2014, allorquando, al termine della partita Brescia-Carpi, gli ultras della Curva Nord hanno tentato di irrompere violentemente nel settore tribune e ingresso squadre.

1.3. Laddove i provvedimenti si differenziano è unicamente nell’elencazione dei rispettivi precedenti amministrativi e di polizia dei tre destinatari del Daspo, precedenti comunque assai significativi per tutti e tre i ricorrenti e risalenti, in un caso, a partire da metà degli anni ’80 e negli altri due dall’inizio degli anni ’90.

  1. Avverso detti provvedimenti, vengono dedotte con il presente ricorso le seguenti censure:
  2. a) violazione dell’art.6 comma 1 L. n. 401 del 1989 e dell’art. 2 bis L. n. 377 del 2001, nell’assunto che il DASPO potrebbe essere disposto unicamente in relazione ad eventi accaduti “in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, tra le quali non rientrerebbero gli allenamenti, come ritenuto anche dalla giurisprudenza amministrativa;
  3. b) travisamento dei fatti, in quanto nella specie:

– non vi sarebbe stata alcuna irruzione, essendo il cancello di ingresso aperto;

– l’allenatore non sarebbe stato fisicamente aggredito e il confronto, “per quanto acceso sebbene breve”, sarebbe stato esclusivamente verbale;

– si sarebbe trattato semplicemente di una “contestazione per sensibilizzare i giocatori ed il tecnico relativamente allo scarso rendimento complessivo della squadra”, dalla quale, pur essendo i ricorrenti noti e segnalati alle Forze dell’ordine, non potrebbe scaturire “un DASPO della spropositata durata di anni 5”;

– l’allenatore non ha sporto querela;

– la P.A. non spiegherebbe in cosa sia consistito il pericolo per la sicurezza pubblica, peraltro non ravvisato dal GIP del Tribunale di Brescia, che non ha convalidato il contestuale obbligo di firma.

  1. In sede cautelare, questa Sezione assumeva l’ordinanza interlocutoria 10 aprile 2015, n. 524, con cui si disponeva di acquisire dall’Amministrazione intimata, entro 10 giorni, la seguente documentazione:

” – tutti gli atti interni (eventuali denunce, rapporti, referti, documentazione fotografica etc.) utilizzati per determinare la “gravità e le modalità dei fatti per cui si procede” a carico dei ricorrenti, nonché per definire e qualificare “l’azione di gruppo dei tre tifosi”, tenuto conto della diversa connotazione della stessa condotta posta alla base delle ordinanze di non convalida emesse dal G.I.P. del Tribunale di Brescia in data 19/12/2014 nei confronti dei tre ricorrenti B.R., B.E. e G.E.;

– una relazione di chiarimenti sulla natura della manifestazione sportiva sede dei fatti, che ne chiarisca la natura e la presenza di pubblico, nonchè, se riscontrata, la relativa quantificazione”.

La trattazione della domanda cautelare veniva, pertanto, rinviata alla camera di consiglio del 6 maggio 2015.

  1. Nel frattempo, il 27 aprile 2015 parte ricorrente depositava tre distinti provvedimenti, tutti datati 11 aprile 2015, con cui il Questore di Brescia, richiamate le suddette ordinanze GIP di non convalida, disponeva nei confronti di ciascun ricorrente la sospensione della misura preventiva adottata, “nelle more della definizione della fattispecie penale tuttora sub judice”.
  2. Il 4 maggio 2015, la Questura di Brescia depositava propria relazione 2 maggio 2015, in cui rappresentava che:

– l’allenamento de quo era “a porte aperte”, con la possibilità per il pubblico di assistere;

– in quell’occasione, erano presenti un centinaio di tifosi/spettatori, nonché giornalisti della carta stampata e delle emittenti televisive locali;

– inoltre, il 28 aprile 2015, dopo la partita di calcio Brescia-Vicenza, un centinaio di ultras della Curva Nord Brescia avevano posto in essere un agguato in danno dei pulmann che trasportavano i tifosi vicentini, in uno dei quali veniva ferito un minore di 12 anni, refertato con 7 gg. di prognosi;

– tra i fermati, veniva identificato il qui ricorrente G., “capo conclamato e riconosciuto degli ultras”.

Alla relazione, erano, altresì, allegati gli anzidetti provvedimenti di sospensione, nonché i 3 successivi provvedimenti, datati 2 maggio 2015, di revoca della sospensione medesima, identicamente motivati con la considerazione che, alla luce degli approfondimenti istruttori effettuati a seguito della citata ordinanza n. 524/2015 di questo TAR, era emerso che i fatti del 10 dicembre 2014 si erano svolti alla presenze di spettatori e giornalisti, come sopra meglio precisato, e che quindi era confermata la pericolosità della condotta posta in essere; inoltre, per il ricorrente G. si dava specifico atto dell’ulteriore episodio del 28 aprile 2015, pure anch’esso sopra meglio precisato.

  1. Alla camera di consiglio del 6 maggio veniva disposto un ulteriore rinvio alla camera di consiglio del 20 maggio 2015.
  2. In vista della quale, in data 14 maggio 2015 la Questura di Brescia dimetteva relazione integrativa in data 13 maggio 2015, in cui riepilogava quanto si è fin esposto e si allegava l’informativa Digos sui fatti del 10 dicembre 2014.
  3. Sempre in vista di detta camera di consiglio, la difesa dei ricorrenti depositava memoria ex art. 55 cpa, in cui sosteneva che “l’integrazione istruttoria richiesta dal TAR ha ulteriormente rafforzato la tesi dei ricorrenti” e rilevava:

– quanto alla documentazione prodotta, che si tratterebbe di una semplice relazione a firma della Polizia anticrimine e non di annotazioni di P.G.; comunque, gli aspetti ivi descritti sarebbero già tutti noti;

– quanto agli episodi della recente partita Brescia-Vicenza, che essi non avrebbero alcuna attinenza con la presente causa;

– quanto alla relazione integrativa 2 maggio 2015 della Questura, che il comportamento descritto nei Daspo verrebbe in essa ridimensionato ad “atteggiamento minaccioso”.

  1. Alla camera di consiglio del 20 maggio 2015, l’incidente cautelare non veniva trattato e si fissava direttamente la presente udienza pubblica per la decisione di merito.
  2. In prossimità della quale, la Questura di Brescia dimetteva il 12 settembre 2015 memoria conclusiva in cui:

– richiamava, in tema di pertinenza degli allenamenti al perimetro di applicazione dell’art. 6 L. n. 401 del 1989, la sentenza Cons. Stato Sez. III n. 5888/2001;

– sosteneva che anche il comportamento, censurato nei Daspo di cui si controverte, rientrerebbe nel disposto della suddetta norma;

– che l’impugnativa proposta sarebbe inammissibile, per mancata impugnazione, da parte dei ricorrenti, dei provvedimenti di revoca delle precedenti sospensioni in data 11 aprile 2015.

  1. Su quest’ultimo profilo e sulle principali questioni giuridiche caratterizzanti la controversia si soffermava il difensore dei ricorrenti in sede di discussione orale nel corso dell’odierna udienza pubblica.

Dopodiché, il ricorso passava in decisione.

  1. Ciò premesso, il Collegio ritiene che le questioni di diritto sollevate in ricorso vadano risolte alla stregua non già della giurisprudenza amministrativa di primo grado, con cui lo stesso ricorso supporta in prevalenza le proprie argomentazioni, bensì principalmente aderendo all’orientamento espresso in materia dal Giudice amministrativo d’appello ovvero dallo stesso Consiglio di Stato nella sua funzione paragiurisdizionale funzione consultiva, svolta in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
  2. Invero, quanto alla riconducibilità della fattispecie in esame (allenamento) all’ambito oggettivo di applicazione del DASPO – questione che costituisce il focus della prima censura svolta dai ricorrenti -, tre sentenze “gemelle” della III^ Sezione Cons. Stato (8/11/2011, nn.

5886, 5887 e 5888, quest’ultima richiamata nella memoria conclusiva della Questura, seppur con un errore materiale nell’indicazione della data) hanno affermato inequivocabilmente (cfr. capo 5) che l’articolo 6 della L. 13 dicembre 1989, n. 40 “indica con chiarezza che le condotte sanzionabili sono non soltanto quelle realizzate “in occasione” di una manifestazione sportiva, ma anche quelle poste in essere “a causa” della manifestazione sportiva stessa. In tale quadro di riferimento non è dubitabile che gli episodi di violenza verificatisi durante l’allenamento di una squadra di calcio partecipante alle competizioni previste dalle federazioni sportive (come definite dall’articolo 2 bis, comma 1, del D.L. 20 agosto 2001, n. 336, convertito nella L. 19 ottobre 2001, n. 377) sono strettamente collegati con le “manifestazioni sportive”, secondo un rapporto di diretta causalità”.

13.1. Tale generale enunciato ermeneutico è avvalorato, nel caso di specie, dalla considerazione che un ulteriore nesso di causalità tra l'”incidente” verificatosi durante l’allenamento del 10 dicembre 2014 e le “partite ufficiali” del Brescia calcio è ravvisabile nella stessa qualificazione data dai ricorrenti al proprio comportamento, dagli stessi definito “contestazione per sensibilizzare i giocatori ed il tecnico relativamente allo scarso rendimento complessivo della squadra”: scarso rendimento complessivo ovviamente dimostrato nel corso delle manifestazioni sportive ufficiali relative al campionato in corso, cui ha fatto seguito la contestazione dell’allenatore in occasione dell’allenamento.

13.2. Inoltre, gli stessi ricorrenti non hanno giudizialmente contestato la motivazione addotta dalla Questura nei menzionati Provv. 2 maggio 2015 (di revoca della precedente sospensione 11 aprile 2015 degli atti qui impugnati): e cioè che i fatti del 10 dicembre 2014 “si sono verificati alla presenza di 100 tifosi/spettatori presenti, nonché giornalisti della carta stampata e delle emittenti televisive locali, e che quindi è confermata la pericolosità della condotta posta in essere e il rischio di gravi degenerazioni”.

Orbene, tale acquiescenza non rileva tanto sotto il profilo dell’eventuale inammissibilità della presente impugnativa degli originari Daspo del 17.12.2014 – come pure prospettato dalla difesa erariale – quanto, certamente e soprattutto, sotto il profilo dell’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 64, comma 2 c.p.a., a mente del quale il giudice deve porre a fondamento della decisione “i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”.

Essendo stato, dunque, “pubblico” il contesto in cui i ricorrenti hanno tenuto la condotta di cui si controverte, la stessa si colora all’evidenza di immediata pregnanza e significatività sotto il profilo di quel pericolo di lesione anche solo potenziale dell’ordine pubblico (stante la presenza di un centinaio di persone e di giornalisti), individuato dal Consiglio di Stato come legittimo presupposto per l’emanazione di un DASPO (cfr. ad es. sez. III, 29/11/2012, n. 6089).

13.3. D’altra parte, si tratta di un contesto oggettivamente assai diverso da quello, sicuramente assai poco connotato dal carattere “pubblico” (“irruzione nella palestra mentre era in corso la riunione tecnica di pre-allenamento”), viceversa preso in esame dalle sentenze “Olimpia basket” del Tar Milano (nn. 2839 e 2884 del 2014), invocate dai ricorrenti.

13.4. Il primo motivo di ricorso deve, pertanto, essere respinto.

  1. Analoga statuizione va assunta in ordine al secondo e ultimo motivo.

14.1. Circa il diverso avviso manifestato dal GIP in sede di non convalida degli obblighi di firma, è sufficientemente richiamare che le stesse sentenze gemelle Cons. Stato nn. 5886, 5887, 5888 del 2011 danno correttamente atto del difforme orientamento espresso in “altre pronunce dei TAR e dei giudici penali”: e, dunque, se ne discostano consapevolmente.

Il che è quanto anche questo Giudice intende fare.

14.2. Parimenti, ai fini dell’emanazione del Daspo non rileva che l’episodio de quo abbia o meno (a seguito di querela di parte o denuncia d’ufficio) avuto delle conseguenze sul piano penale: questa volta è la anzitutto la giurisprudenza dei TAR a ritenere che “il c.d. DASPO costituisce una misura di prevenzione che presuppone la pericolosità sociale e non già la commissione di un reato” (cfr. Tar Milano n. 19/2015) e che “la misura del Daspo può essere applicata anche a persone che non abbiano commesso, come nella specie, fatti penalmente rilevanti neppure sotto il profilo concorsuale” (T.A.R. Liguria n. 768/2015).

14.3. Quanto, poi, all’intrinseca gravità o meno del fatto in sé (e cioè: l'”acceso” confronto con l’allenatore del Brescia) occorre tener presente:

  1. a) che un’aggressione verbale non già ad un allenatore, ma alla moglie dell’allenatore (unitamente, per vero, a un’aggressione fisica ai danni di uno spettatore) è già stata ritenuta sanzionabile con Daspo dalla giurisprudenza amministrativa cautelare (ancora di primo grado): si veda, di recente, Tar Lecce, Sez. I^, 9 aprile 2015, n. 156;
  2. b) che, in ogni caso, il divieto di cui al c.d. “daspo” integra – secondo l’attuale orientamento del Consiglio di Stato, che ha superato quello espresso nella sentenza n. 4018/04 richiamata dai ricorrenti – una misura non repressiva, bensì di prevenzione e “precauzione di polizia” (cfr. pareri Consiglio di Stato, Sez. I, 25/03/2015, nn. 931 e 946/2015): appartiene, cioè, a quel genus di misure che – secondo la dottrina – possono essere definite come strumenti ante o comunque praeter delictum, aventi la finalità di evitare che il singolo che ne è colpito compia fatti di reato, illeciti o comunque tenga comportamenti lesivi di dati interessi, mediante la rimozione o il contenimento delle cause che si pongono alla base della commissione di tali condotte;
  3. c) che la valutazione, in concreto, dell’inaffidabilità del soggetto spetta all’Autorità amministrativa, la quale è chiamata a un apprezzamento discrezionale nel bilanciamento tra il prevalente interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza dei cittadini e l’interesse privato ad accedere liberamente negli stadi (così, ancora, i citati pareri nn. 931 e 946/2015);
  4. d) che, pertanto, “tale misura si connota di un’ampia discrezionalità, in considerazione della sua finalità di tutela dell’ordine pubblico” (Consiglio di Stato Sez. III, 23/12/2011, n. 6808 e sez. VI, n. 2572 del 2 maggio 2011; di recente ordinanza cautelare Sez. III, 27 marzo 2014, n. 1323).

14.4. In tale valutazione discrezionale dell’inaffidabilità del soggetto, un ruolo considerevole assumono, poi, i c.d. “precedenti” allo stesso ascritti.

In particolare, la citata sentenza n. 6808/2011 ha espressamente affermato che “il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto, anche sulla base dei suoi precedenti, non dia affidamento di tenere una condotta scevra dalla partecipazione ad ulteriori episodi di violenza” (cfr. capo 4.2.).

Il rilievo dei precedenti è stato successivamente ribadito dalla stessa Sez. III nella sentenza 4/02/2013, n. 668/2013.

Ancora, sempre la III Sezione (sentenza 22/11/2011, n. 6138) aveva poco prima esplicitato che “i precedenti indicati e i procedimenti penali in corso con riferimento ad essi fanno, dunque, parte integrante della motivazione del provvedimento e la corroborano con ulteriore e aggiuntiva evidenza”.

Sotto questo profilo tutti e tre i Provv. 10 dicembre 2014 qui impugnati risultano ampiamente “corroborati” da una puntuale descrizione dei numerosi precedenti addebitati a ciascun ricorrente nell’arco di oltre un ventennio, precedenti tra cui figura anche l’essere stato ogni ricorrente già destinatario di almeno un paio di altri Daspo.

14.5. Proprio l’elemento della (ripetuta) recidiva fa sì che la durata massima quinquennale dell’ulteriore Daspo, loro inflitto il 10.12.2014, sfugga alla censura di “sproporzione” – peraltro, appena incidentalmente prospettata in ricorso – come già da tempo evidenziato dalla giurisprudenza di questo T.A.R. (20/10/2010, n. 4095, che non risulta appellata).

E del resto, le stesse sentenze Cons. Stato n. 6138 e n. 6808 del 2011, sopra citate, hanno ritenuto legittima la durata massima quinquennale del daspo, in presenza di specifici precedenti di polizia.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

La natura prevalentemente interpretativa della controversia giustifica, tuttavia, la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente, Estensore

Mauro Pedron, Consigliere

Mara Bertagnolli, Consiglieri