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Diritto Civile. Quando il vizio del bene venduto risulta occulto il termine per denunciarlo scatta solo dalla scoperta.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Quando il vizio del bene venduto risulta occulto il termine per denunciarlo scatta solo dalla scoperta.

In caso di acquisto di un prodotto che presenta difetti, i tempi per rivolgersi al venditore e sollevare la relativa contestazione  sono di solo otto giorni dalla scoperta del vizio, scaduti i quali si verifica quella che, in gergo tecnico, viene detta “decadenza”, ossia l’impossibilità di far valere le proprie ragioni, seppur sussistenti e dimostrabili. Ma da quando decorre, propriamente, il termine di decadenza degli otto giorni? A chiarirlo è stata la Cassazione con la sentenza dello scorso ottobre n 22301. Secondo i giudici di piazza Cavour, infatti, occorre, distinguere tra: – vizio apparente: è quello rilevabile attraverso un rapido e sommario esame del bene utilizzando una diligenza inferiore a quella ordinaria e che, di norma, sono già evidenti a prima vista cd. ictu oculi. In tali casi, il termine degli otto giorni inizia a decorrere dal giorno di acquisto del bene o, se avvenuta in un momento successivo, dalla materiale consegna del prodotto (si pensi ai casi di vendita su corrispondenza); vizio occulto: è quello invece non rilevabile a prima vista, ossia non riconoscibile al momento della vendita e/o della consegna materiale. In tal caso, il termine decorre dal momento della “scoperta” del vizio e non, invece, dall’acquisto o dalla consegna della merce. La scoperta del difetto potrebbe giungere anche in un momento successivo; infatti, secondo la sentenza in commento, essa si ha solo allorquando il compratore abbia acquistato certezza (e non semplice sospetto) che il vizio sussista.Diverso è il caso di vizio occultato dolosamente dal venditore, ossia quando quest’ultimo ne fosse pienamente a conoscenza e ha operato artifici sul bene stesso proprio per non renderlo evidente all’acquirente (si pensi a una memoria usata all’interno di un computer nuovo). In tali casi, a differenza delle due ipotesi precedenti, l’acquirente non è tenuto a fare alcuna contestazione e il decorso degli otto giorni non pregiudica la possibilità di adire comunque il giudice. Anche nel caso in cui il venditore abbia espressamente riconosciuto la presenza del vizio, la denuncia non deve essere effettuata. Il problema, però, potrebbe sorgere nel momento in cui l’acquirente debba dimostrare concretamente il riconoscimento del vizio da parte del venditore. Pertanto, onde evitare problemi processuali in un momento successivo, si consiglia comunque di effettuare la contestazione del difetto. Il principio non vale solo per la vendita di prodotti al consumo, ma per qualsiasi tipo di prestazione: si pensi alla posa in opera di piastrelle per un pavimento, ad un impianto elettrico, alla realizzazione di un sito internet, ecc.È opportuno che la contestazione del vizio del prodotto venga effettuata per iscritto, in modo tale da avere prova dell’avvenuto ricevimento: pertanto è consigliabile utilizzare la raccomandata con avviso di ricevimento o la posta elettronica certificata. Accanto al suddetto termine di decadenza di otto giorni, la legge impone anche il rispetto di un termine di prescrizione: in pratica, dopo la contestazione del difetto (che, come detto, va fatta entro otto giorni) l’acquirente che voglia agire in tribunale per far valere il proprio diritto dovrà farlo entro e non oltre 1 anno dalla denuncia, diversamente perde, anche in questo caso, ogni tutela. I termini sino ad ora visti non si applicano nel caso di consegna di cosa completamente differente da quella promessa. Si pensi all’acquisto di tessuti: se la società venditrice consegna materiali del tutto inidonei all’uso stabilito in contratto, essendo privi delle caratteristiche minime di accettabilità (poiché si lacerano facilmente dopo solo pochi giorni), allora si ha una vendita di un bene completamente diverso da quello promesso. In tali casi si applica solo la prescrizione di 10 anni e non vi è obbligo di fare denuncia entro gli otto giorni. Come ha detto la Cassazione con la sentenza n. 22301 del 30 ottobre 12015, quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione di quest’ultima, tanto da poter ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (cosiddetta inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale) facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto, non c’è più obbligo di rispettare termini di denuncia del vizio del prodotto. Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. L’acquirente, a sua scelta, può chiedere la risoluzione del contratto oppure la riduzione del prezzo. La facoltà di scelta tra i due strumenti è rimessa all’acquirente a prescindere dalla maggiore o minore entità dei vizi e non è esclusa per il fatto che i vizi siano talmente gravi da impedire l’utilizzo del bene nella sua funzione caratteristica. Il codice civile stabilisce che il compratore decade dalle garanzie descritte se non ha denunciato i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta, mentre l’azione si prescrive in ogni caso decorso un anno dalla consegna del bene. Simili limiti tuttavia non operano nell’ipotesi particolare in cui la vendita venga qualificata come “vendita di prodotto totalmente diverso” di qualità o specie. In questi casi la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata consente di affermare che essa appartiene addirittura a un genere diverso da quello pattuito tra le parti alla stipula del contratto o che ha difetti tali da impedire di assolvere alla sua funzione naturale facendo degradare il bene consegnato a una sottospecie diversa da quella dedotta nel contratto.In questo caso il compratore può far valere l’inadempimento secondo le modalità ordinarie ossia entro 10 anni. Potrà quindi agire per l’adempimento o per la risoluzione ferma la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni patiti.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-10-2015, n. 22301

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6265/2011 proposto da:

MARCACCIO SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIVORNO 20, presso lo studio dell’avvocato SAIRA DI EUGENIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CUCCHIARINI ANNA;

– ricorrente –

contro

M.M., MA.MA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, rappresentati e difesi dagli avvocati EMILIANI FABRIZIO, SIMONE PIETRO EMILIANI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 516/2010 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 02/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2015 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato CUCCHIARINI Anna, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PATRASSI Mauro, con delega depositata in udienza dell’Avvocato EMILIANI Simone P., difensori dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23-4-2007 il Tribunale di Fermo, in accoglimento della domanda proposta da M.S. nei confronti della s.r.l.

Marcaccio, dichiarava risolto per inadempimento di quest’ultima il contratto di compravendita stipulato con l’attore ed avente ad oggetto la fornitura di tessuto destinato alla fabbricazione di tomaie, ritenendo, sulla scorta delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo e della consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa, che i predetti materiali fossero assolutamente inidonei all’uso contrattualmente stabilito, essendo privi delle caratteristiche minime di accettabilità (le tomaie, realizzate con il tessuto fornito dal venditore, tendevano a lacerarsi nel giro di pochi giorni). Nella specie, secondo il giudice di primo grado, si configurava l’ipotesi dell’aliud pro alio, anzichè la semplice ipotesi di vizi della cosa venduta; con la conseguenza che doveva ritenersi superata ogni questione relativa alla eventuale decadenza dell’azione per vizi per la mancanza di una tempestiva denuncia, o alla eventuale prescrizione breve ex art. 1495 c.c., potendo invece operare solo il normale termine prescrizionale. Con la stessa sentenza il Tribunale condannava la convenuta al risarcimento del danno in favore dell’attrice, quantificati in Euro 16.005,00 ed inteso come limitato al valore della merce restituita ed alle spese di restituzione, oltre che di ATP, con esclusione invece del maggior danno preteso dall’attore per discredito commerciale, ritenuto non provato.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la s.r.l. Marcaccio e appello incidentale M.M. e M. M., quali eredi di M.S., titolare della ditta “Calzaturificio Marozzi Sauro”.

Con sentenza in data 2-9-2010 la Corte di Appello di Ancona rigettava il gravame principale; in accoglimento dell’appello incidentale, condannava la convenuta al pagamento in favore degli eredi M. dell’ulteriore somma di Euro 10.000,00, oltre interessi legali dalla data di tale pronuncia, a titolo di risarcimento del danno da discredito commerciale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la s.r.l.

Marcaccio, sulla base di sei motivi.

M.M. e Ma.Ma., quali eredi di M. S., titolare della ditta “Calzaturificio Marozzi Sauro”, hanno resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte di Appello, nel ritenere certo che la merce resa era stata fabbricata con il tessuto fabbricato dalla s.r.l. Marcaccio, non ha tenuto conto delle gravi incertezze emerse al riguardo in sede di ATP e di CTU. Il motivo è privo di fondamento.

La Corte di Appello ha motivatamente disatteso la deduzione dell’appellante, secondo cui non sarebbe stato dimostrato che i materiali esaminati in sede peritale, e ritenuti gravemente difettosi, provenissero effettivamente da una fornitura effettuata dalla s.r.l. Marcaccio. Essa ha spiegato che tale assunto appariva di per sè contraddittorio, dal momento che Io stesso appellante aveva affermato, in principalità, che i materiali in questione avevano dato Luogo a difetti non dovuti alle loro caratteristiche intrinseche, bensì ad errore di lavorazione da parte dell’acquirente (a causa del taglio nel senso della trama anzichè nel senso dell’ordito); il che presupponeva come ammesso e scontato che i materiali di cui trattasi fossero quelli forniti dalla società appellante, e non da altri.

Si tratta di argomentazione sufficiente e congrua, che vale a sorreggere la valutazione espressa sul punto dal giudice del gravame, rendendola immune dai vizi denunciati.

2) Con il secondo motivo la ricorrente, dolendosi ancora dell’insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che il giudice di appello, nel dare per scontata l’apodittica affermazione del C.T.U. circa l’inidoneità del materiale fornito dalla s.r.l.

Marcaccio ad assolvere la sua funzione, e cioè ad essere utilizzato per Le tomaie delle scarpe, non ha considerato che il materiale reso dall’attore rappresenta una minima parte del materiale fornito dal calzaturificio Marozzi ai propri clienti e del quantitativo di tessuto acquistato dalla ditta Marcaccio, che è servito per fabbricare circa 5.500 paia di scarpe.

Il motivo deve essere disatteso, proponendo meri assunti in fatto, basati su una elencazione riassuntiva del quantitativo di tessuto asseritamente fornito e reso, senza nemmeno specificare se i dati esposti siano stati desunti da documenti ritualmente prodotti nel corso del giudizio di merito.

3) Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1490 c.c.. Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, nella specie non ricorre un’ipotesi di aliud pro alio, non potendosi parlare nè di cosa di genere diverso nè di cosa totalmente inservibile nè di inidoneità della stessa ad assolvere la sua funzione economico-sociale, in quanto il tessuto è stato utilizzato per fabbricare scarpe e il Calzaturificio Marozzi ha contestato un minimo quantitativo di merce rispetto alle paia di scarpe vendute e di quelle realizzate con il quantitativo di tessuto acquistato.

Il motivo è infondato.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualità (le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex art. 1495 c.c.) si distinguono dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio – che da luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato art. 1495 c.c. -, la quale ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione di quest’ultima, sì da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziali dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie dei tutto diversa da quella dedotta in contratto (Cass. 19-12-2013 n. 28419; Cass. n. 10916 del 2011; Cass. n. 26953 del 2008; Cass. n. 9227 del 2005, Cass. n. 13925 del 2002; Cass. n. 2712 del 1999).

Lo stabilire se si versi in tema di consegna di aliud pro alio o di cosa mancante di qualità, di cosa affetta da vizi redibitori, involge un giudizio di fatto devoluto al giudice del merito:

pertanto, in sede di legittimità, il controllo della Corte deve limitarsi a stabilire se il giudice di appello, nell’esprimere il proprio giudizio di fatto, si sia attenuto ad un corretto criterio di distinzione tra le accennate diverse ipotesi (Cass. 19-12-2013 n. 28419).

Nella specie, la Corte di Appello, nel ritenere che non si era in presenza di un vizio della cosa venduta, ma di un’ipotesi di vendita di aliud pro alio, non si è discostata dagli enunciati principi, avendo accertato, con motivazione immune da vizi logici, basata sulle risultanze delle indagini tecniche esperite, la radicale ed assoluta inidoneità dei tessuti forniti dalla ditta Ma., per la loro intrinseca struttura, ad essere utilizzati per l’uso contrattuale convenuto, cioè la fabbricazione delle tomaie; tant’è che, come evidenziato in sentenza, le tomaie stesse, per la intrinseca incompatibilità con le sollecitazioni flessive caratteristiche dell’uso delle calzature, si laceravano in pochi giorni.

4) Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 c.c., sostiene che il giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto irrilevante la prova testimoniale articolata dalla convenuta, dapprima ammessa e poi revocata, volta a dimostrare il mancato rispetto dei termini di prescrizione e di decadenza.

Il quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e art. 1224 c.c., per avere il Tribunale, in assenza di prova, quantificato in Euro 24.914,60 il danno per calzature rese e in L. 5.000.000 le spese di spedizione, e riconosciuto il risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c..

Entrambi i motivi sono inammissibili, in quanto le censure mosse investono le statuizioni adottate dal Tribunale e non quelle rese dal giudice di appello.

Con il ricorso per cassazione, infatti, non possono essere proposte censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado, anzichè contro quella di appello, che costituiscono l’unico oggetto del giudizio di legittimità (cfr. Cass. 21-3-2014 n. 6733; Cass. 15- 3-2006 n. 5637; Cass. 20-6-1996 n. 5714).

5) Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1226 c.c., e la mancanza di motivazione, per avere la Corte di Appello liquidato in via equitativa il danno da discredito commerciale in Euro 10.000,00, in assenza di prova dell’esistenza di tale danno.

Anche tale motivo non è meritevole di accoglimento.

La Corte di Appello ha ritenuto certa l’esistenza dei danno da discredito commerciale sulla base di argomenti logici, legati al notorio ed all'”id quod plerumque accidit”, spiegando, con motivazione sufficiente e non incongruente, che la commercializzazione di prodotti radicalmente inidonei alla usuale funzione delle calzature (le tomaie si rompevano in pochi giorni), quale conseguenza dell’impiego di tessuti assolutamente inadatti alla funzione della tomaia, non poteva non determinare un grave discredito commerciale del calzaturificio M. di fronte alla propria clientela e di fronte a segmenti di mercato in fase di acquisizione;

discredito (con conseguente necessità di cambiare il marchio) che, pertanto, ha sentenza impugnata ha ritenuto in rapporto di causa- effetto con la disfunzionalità del prodotto fornito dalla ditta Marcaccio.

Il giudice del gravame ha altresì fornito adeguata giustificazione dei parametri utilizzati nella quantificazione del danno in questione in via equitativa in Euro 10.000,00, avendo tenuto conto del volume di affari attuale e virtuale della ditta acquirente e della colpa concorrente, ex art. 1227 c.c., di quest’ultima, che avrebbe potuto accorgersi per tempo delle radicali deficienze qualitative del materiale fornito, ed astenersi dal commercializzare i prodotti realizzati con quel materiale.

Si tratta di apprezzamenti in fatto che, in quanto sorretti da argomentazioni immuni da vizi logici, si sottraggono al sindacato di questa Corte.

E, in realtà, le deduzioni svolte dalla ricorrente per negare la configurabilità di un danno da discredito commerciale subito dalla controparte, attraverso la formale denuncia di violazione di legge e di vizi di motivazione, si risolvono in sostanziali censure di merito, che mirano ad ottenere, sul punto, una diversa e più favorevole valutazione delle risultanze probatorie rispetto a quella compiuta dal giudice territoriale. In tal modo, peraltro, viene sollecitato a questa Corte l’esercizio di poteri di cognizione che non le competono, rientrando nei compiti istituzionali del giudice di merito l’accertamento dei fatti oggetto della controversia e la valutazione delle prove.

6) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2015