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Il diritto di oblio soccombe rispetto al diritto di cronaca quando sussista un interesse pubblico a conoscere talune informazioni, stante anche il ruolo professionale rivestito dal soggetto.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Il diritto di oblio soccombe rispetto al diritto di cronaca quando sussista un interesse pubblico a conoscere talune informazioni, stante anche il ruolo professionale rivestito dal soggetto.

La recente pronunzia del Tribunale capitolino, sent. n. 23771/2015, offre uno spunto di riflessione per indugiare sul delicato bilanciamento tra il diritto alla riservatezza, sub specie di diritto all’oblio, e il diritto di cronaca, quale diritto ad informare e ad informarsi.

In tal senso, non appare peregrina la constatazione secondo cui l’epoca che stiamo vivendo reca con sé una ontologica contraddizione. Essa, infatti, se da un lato può definirsi quale era del cyberspazio, dall’altro vuole assicurare una pregnante tutela della riservatezza e della reputazione, anche per quel che concerne il “profilo virtuale”. È l’era in cui le informazioni vengono trasmesse con grande celerità grazie ai molteplici siti di ricerca e ai vari social network disponibili sul web ma, al contempo, è il periodo in cui ciascuno  sembra voler affermare veemente la propria privacy.

Immediato precipitato di tale situazione è la crescita del relativo contenzioso. Sono sempre più i giudizi nell’ambito dei quali gli internauti chiedono al noto motore di ricerca, Google, di “deincidizzare” i link collegati alla loro persona. E’ proprio questo, infatti, il thema decidendum della sentenza del Tribunale di Roma ivi in esame: un avvocato propone ricorso avverso Google Inc. al fine di ottenere la cancellazione di 14 link risultanti all’esito della ricerca effettuata sotto il suo nome (notizie di cronaca circa una vicenda giudiziaria in cui il medesimo sarebbe rimasto coinvolto nel 2012/2013 unitamente ad altri personaggi romani, alcuni esponenti del clero ed altri ricondotti alla criminalità della cd. banda della Magliana). Secondo l’interessato, i contenuti delle pagine web offrono una rappresentazione non più attuale della propria persona. A tal uopo, il ricorrente fonda la sua richiesta sul tempo trascorso e sulla mancanza di una sentenza di condanna.

Nel caso di specie, il Tribunale capitolino ha fatto propri gli insegnamenti dettati dalla Corte di giustizia (Grande Sezione del 13.5.2014 nella causa C-131/12, sentenza Costeja) nonché attuato le linee guida del Garante della privacy. In particolare, il Giudicante ha affermato che il diritto all’oblio, quale diritto ad essere dimenticato (right to be forgetten), risulta recessivo rispetto al diritto di cronaca laddove sussista un interesse pubblico a conoscere determinate informazioni, anche per il ruolo professionale ricoperto dal soggetto: in questo caso, il ricorrente è un libero professionista iscritto all’albo degli avvocati e, in quanto tale, ricopre un “ruolo pubblico”; non può parlarsi di notizie anacronistiche perché i fatti risalgono al 2012/2013 e soprattutto l’indagine giudiziaria non pare potersi dire del tutto conclusa tant’è che l’istante non ha prodotto documentazione in tal senso (archiviazioni, sentenze favorevoli).

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Anna Sofia Sellitto
Giudice penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università “Federico II” in cinque anni accademici, discutendo una tesi in diritto penale. Presso il medesimo Ateneo, si è specializzata in professioni legali ed ha seguito il master-corso di perfezionamento in Diritto dell’Unione europea. Ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli ed ha conseguito il titolo di avvocato. Ha frequentato diversi corsi di approfondimento post lauream ed ha collaborato alla redazione del Codice di procedura civile 2017 di M. Santise, edito da Giappichelli.