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Diritto Tributario. Accertamento induttivo. La prova è a carico del Contribuente.

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Palais de Justice Rome Cour suprême de cassation

Accertamento induttivo.  La prova è a carico del Contribuente.

 

La Corte di Cassazione, con pronuncia del 4 Dicembre 2015 n. 24778, ha affermato un principio importante su una questione dibattuta ormai da tempo che chiarisce finalmente i presupposti e le modalità della determinazione induttiva del reddito.

La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, confermava la legittimità dell’operato dell’Ufficio nella rideterminazione induttiva del reddito, stabilendo che, in presenza di una contabilità carente e confusa, sia legittimo l’adozione del procedimento induttivo con una ricostruzione del giro d’affari. Secondo il Giudice di Merito nei requisiti di “ragionevolezza e logicità” non possono non considerarsi anche i costi inerenti a fronte del recupero effettuato, altrimenti opinando sarebbe un accertamento oggettivamente sbilanciato a sfavore del contribuente. La CTR applicava, alla ricostruzione effettuata dall’Ufficio, un abbattimento del 75 % dei costi riconosciuti.

L’Agenzia delle Entrate, impugnava la sentenza ricorrendo alla Suprema Corte di Cassazione, adducendo l’errore del Giudice di Appello, il quale aveva operato l’abbattimento forfettario dei costi, anche con riguardo all’Iva (operazione preclusa) in presenza di un accertamento induttivo, dove il diritto alla detrazione è limitato solo ai versamenti eventualmente effettuati dal contribuente e delle imposte detraibili ai sensi dell’art. 9 DPR 633/72 risultanti dalle dichiarazioni.

Secondo l’orientamento della Suprema Corte, quando l’Amministrazione Finanziaria procede con la rideterminazione induttiva dei ricavi si determina l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, che dovrà quindi dimostrare gli elementi contrari atti a confermare che tale reddito non sia stato prodotto o sia stato prodotto in misura inferiore a quello accertato.

Tale considerazione deve essere effettuata anche ai fini Iva; infatti, nella ricostruzione dell’ammontare dell’imponibile effettuata induttivamente dall’Ufficio, bisogna tenere in considerazione la possibile detrazione dei soli versamenti effettivamente eseguiti e le imposte detraibili. In particolare, secondo gli artt. 17, 27, e 33, l’Iva assolta sulle operazioni passive, potrà quindi essere portata in detrazione solo quando il contribuente ne dia prova evidente (onere della prova a suo carico) con le liquidazioni periodiche e annuali.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 04-12-2015, n. 24778

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6144-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.L.F., T.G., in proprio e quali ex soci della NUOVA DA LIO E CASTIGLIONI di FRANCO DA LIO & C. SNC, elettivamente domiciliati in ROMA VIA GERMANICO 197, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA NAPOLEONI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato SARTI ANDREA giusta delega a margine;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, NUOVA DA LIO E CASTIGLIONI DI FRANCO DA LIO &

  1. SNC;

– intimati –

avverso la sentenza n. 21/2009 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE, depositata il 12/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2015 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, l’accoglimento per quanto di ragione o in subordine il rigetto del ricorso incidentale.

 

Svolgimento del processo

 

  1. A conclusione di una verifica fiscale a carattere generale condotta nei confronti della s.n.c. Nuova Da Lio e Castiglioni di Franco Da Lio & C, l’ufficio (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate di Firenze, preso atto delle risultanze di verifica e, segnatamente, delle irregolarità riscontrate nella tenuta della contabilità con riguardo alla gestione del conto cassa, procedeva a rideterminare induttivamente i ricavi non dichiarati dalla società per l’anno 1998 e notificava perciò alla stessa un avviso di rettifica parziale ai fini IVA ed un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette, nonchè ai suoi soci, T.G. e D.L.F., distinti avvisi di accertamento parziale ai fini IRPEF, in relazione ai redditi da partecipazione imputati ai medesimi per trasparenza.

Respinti in primo grado i rispettivi i ricorsi, tutti i predetti impugnavano le pronunce di rigetto avanti alla CTR Toscana, che, con la sentenza per cui oggi è ricorso, disattese le pregiudiziali di rito, riformava parzialmente la decisione appellata confermando la legittimità dell’operato dell’ufficio, ma riducendo l’ammontare complessivo dell’imponibile accertato in ragione dei costi non considerati.

Nel merito il giudice territoriale, pur riconoscendo che in presenza di una contabilità “carente e confusa” sia “legittimo il ricorso al procedimento induttivo e sostanzialmente valida la ricostruzione del giro d’affari effettuata dall’ufficio”, si dice tuttavia convinto che “ragionevolezza e logicità vogliono che a fronte del recupero dei corrispettivi… siano considerati i costi inerenti, senza di che l’accertamento appare oggettivamente sbilanciato, non solo rispetto agli studi di settore, ma anche rispetto alle effettive potenzialità dell’azienda”. E’ perciò “corretto come ulteriore ed imprescindibile elemento della ricostruzione operata dall’ufficio, riconoscere a fronte dei maggiori corrispettivi, un abbattimento degli stessi per effetto dei costi inerenti da quantificarsi complessivamente nel 75%, valore desumibile anche dai dati del quadro RA dell’Unico 1999”, con l’ovvio conseguente riflesso che di ciò si dovrà tenere doverosamente conto anche ai fini della determinazione delle sanzioni.

Per la cassazione di detta sentenza propongono ricorso, in via principale, l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi ed i soci della società in proprio e quali ex soci con ricorso incidentale affidato a nove motivi.

 

Motivi della decisione

 

2.1. Eccepiscono pregiudizialmente i controricorrenti che il ricorso erariale sarebbe affetto da preliminare inammissibilità in quanto a) al termine per la notifica stabilito dall’art. 327 c.p.c. non si applicherebbe il differimento disposto dall’art. 155 c.p.c., comma 4, sicchè nella specie il ricorso avrebbe dovuto essere passato per la notificazione il sabato e non il lunedì successivo; b) relativamente al ricorso nei confronti della società, la società sarebbe estinta essendone intervenuta la cancellazione dal registro delle imprese prima della notificazione del ricorso; c) non sarebbe stata inoltre osservata la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, avendo la ricorrente genericamente indicato i documenti sui quali il ricorso si fonda; e d) relativamente al ricorso nei confronti dei soci, il ricorso nulla direbbe o contesterebbe riguardo alla posizione di costoro.

2.2. Nessuna delle sollevate pregiudiziali, a parere del collegio, risulta tuttavia decisiva nel senso auspicato dai deducenti, dovendo replicarsi, quanto a quella sub a), che la proroga dell’art. 155 c.p.c., comma 4, si applica pacificamente a tutti i termini processuali, come la Corte ha già avuto occasione ripetutamente di chiarire – pur pronunciandosi nella specie per la sua inapplicabilità stante il giudicato formatosi nelle more (27048/14;

6542/14; 21382/08) – e come, del resto, la stessa norma si da cura di precisare, riferendosi “agli atti processuali svolti fuori udienza”, qual è tipicamente la notificazione di un atto di impugnazione come il ricorso per cassazione; quanto a quella sub b), che il fenomeno successorio che, secondo l’interpretazione delle SS.UU di questa Corte (6070/13; 6071/13; 6072/13) segue alla cancellazione della società – sia essa pur di persone, come ancora chiarito dalle SS.UU. (4060/10; 4061/10, 4062/10) – comporta che la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisca automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci, sicchè essi divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, e, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, e ciò anche nell’ipotesi in cui siano rimasti estranei alle pregresse fasi del giudizio (12796/12; 9110/12); quanto a quella sub c), che la prescrizione è finalizzata a soddisfare il principio di autosufficienza del ricorso, sicchè l’indicazione degli atti sui quali il ricorso si fonda – che peraltro, come riferiscono gli stessi deducenti, nella specie non è del tutto carente – si rende necessaria quando il motivo di doglianza concerna la valutazione da parte del giudice di merito di atti processuali o di documenti rilevanti al fine della decisione (21122/15: 20988/15; 22607/14), condizione che qui fa difetto; quanto a quella sub d), – che non integra peraltro una pregiudiziale di diritto, nè tantomeno una pregiudiziale di rito da cui possa inferirsi una causa di inammissibilità del ricorso, trattandosi propriamente di una difesa di merito – che, ad ogni buon conto, nella tassazione delle società di persone, stante l’identificazione del tipo con i soci che la costituiscono, i redditi della prima sono imputati ai secondi in ragione della quota spettante a ciascuno di essi nella ripartizione degli utili secondo il principio della trasparenza, sicchè l’accertamento notificato ai medesimi riflette senza altri oneri prescrittivi quello notificato alla società.

3.1.1. Venendo perciò al merito, con il primo motivo del proprio ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c., poichè la CTR, in riferimento alla rettifica parziale operata ai fini IVA ed all’accertamento in punto di imposte dirette conferente la società, ritenendo di abbattere i ricavi così accertati in ragione dei costi presuntivi stimati percentualmente in conformità a quelli dichiarati, malgrado di essi non vi fosse prova e la contabilità fosse stata ritenuta inattendibile, ha disatteso la norma in indirizzo “sia per aver tenuto conto di costi non emersi nè in sede di verifica, nè nel corso del giudizio, sia per aver quantificato i costi stessi sulla base della percentuale costi/ricavi esposti in una contabilità da essa stessa ritenuta sostanzialmente inattendibile”.

3.1.2. La statuizione in parola è peraltro affetta, a giudizio dell’impugnante principale, che ne fa argomento del suo secondo motivo di ricorso, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche da un vizio di contraddittoria ed insufficiente motivazione, posto, sotto una prima angolazione, che la CTR “pur giudicando inattendibile nel suo complesso la contabilità e validi gli elementi presuntivi utilizzati dall’ufficio per quantificare i maggiori ricavi, ha ritenuto che si potesse tener conto della percentuale di costi/ricavi risultante dalla stessa contabilità” e, sotto una seconda angolazione, che la CTR ha omesso di considerare che la determinazione del reddito era stata effettuata dall’ufficio mediante una dettagliata (ancorchè non analitica) ricostruzione della cassa, tenendo conto dei versamenti rinvenuti dai verbalizzanti nei conti correnti della società”.

3.1.3. Il terzo motivo del ricorso erariale denuncia a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, commi 1 e 2, avendo il giudice d’appello operato l’abbattimento forfettario dei costi anche con riguardo all’IVA, sebbene ciò “risulti espressamente precluso a livello normativo”, vero infatti che in presenza di un accertamento di tipo induttivo “il diritto alla detrazione è limitato ai versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e alle imposte detraibili ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9” e risultanti dalle prescritte dichiarazioni.

3.2. E’ tuttavia prioritario rispetto alla disamina dei motivi de quibus – in ragione della loro dipendenza logica – l’esame del primo motivo del ricorso incidentale, a mezzo del quale gli ex soci della s.n.c. Nuova Da Lio e Castiglioni di Franco Da Lio & C deducono ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento alle statuizioni da essa adottate in ordine alla rettifica parziale ai fini IVA, la nullità dell’impugnata sentenza nella parte in cui, incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c., avrebbe omesso di pronunciare in ordine alla specifica domanda intesa a far rilevare e conseguentemente dichiarare l’illegittimità del detto atto impositivo “per difetto di motivazione”, risultando quella indicata dall’ufficio “contraddittoria ed incongrua” nell’inquadramento del tipo di rettifica operata se induttiva ovvero se parziale.

3.3. Il motivo è peraltro infondato.

Osservato, infatti, preliminarmente che non basta ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, è consolidato convincimento di questa Corte che “non ricorre il vizio di omessa pronuncia nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione di rigetto sul medesimo” (15679/15;

15566715; 5351/07), il che si verifica, “quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (18329/15, 16309/15; 21312/13). Nella specie la constatata circostanza che nello sviluppo motivazionale della decisione la CTR abbia affrontato e deciso il merito della vicenda lascia intendere che essa abbia inteso implicitamente rigettare la sollevata pregiudiziale, atteso che l’eccezione di contraddittorietà ed incongruenza della motivazione dell’atto impositivo costituiva un antecedente formale ineludibile sul piano della costruzione logico- giuridica della decisione, in quanto il giudice d’appello non avrebbe potuto sindacare la fondatezza della pretesa tributaria così esercitata, come ha nella specie concretamente fatto, se non appunto disattendendo l’eccezione implicitamente, in ciò per vero palesandosi un’architettura dell’impianto decisionale che risulta manifestamente incompatibile con il suo accoglimento.

Nè discende perciò che il formulato motivo, disattendendo il principio in parola, non merita alcuna adesione.

3.4. Ciò detto, il primo motivo del ricorso erariale – con cui si censura, come visto, l’impugnata decisione per la sua contrarietà alle regole che governano il riparto dell’onere della prova in materia di abbattimento dei costi – racchiude in sè una duplice doglianza, contestando l’amministrazione impugnante sia il fatto che dei costi, in ragione dei quali la CTR ha abbattuto i ricavi accertati, non vi era nella specie prova alcuna, sia il fatto che la percentuale di abbattimento era stata determinata in ragione della percentuale dei costi dichiarati, sebbene la stessa CTR avesse dubitato dell’attendibilità della contabilità, giudicandola carente e confusa.

Questo secondo rilievo autorizza l’impugnante principale, con il secondo motivo del proprio ricorso, a denunciare anche la contraddittorietà della motivazione adottata, parallelamente afflitta anche da un vizio di insufficienza.

3.5. La prima doglianza, che concreta l’errore di diritto lamentato con il primo motivo di ricorso, è fondata e la sua fondatezza, in ragione dell’assorbenza rivestita, rende superfluo l’esame della seconda doglianza ed anche del secondo motivo, vero che se non trova riscontro la tesi che i ricavi non sono abbattibili ex officio, ogni ulteriore interrogativo inteso precipuamente a sindacare la correttezza dei successivi passaggi del deliberato d’appello nella parte in cui esso ha ritenuto di operare l’abbattimento, risulta chiaramente pleonastico.

3.6. E’ invero – quanto alla doglianza accolta – stabile insegnamento, che questa Corte ha maturato sul filo della più generale convinzione che, allorchè il fisco proceda alla determinazione induttiva dei ricavi, si determina un’inversione dell’onere della prova, essendo a carico del contribuente la prova di indicare gli elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (15027/14; 23115/13; 7871/12, che sebbene l’amministrazione finanziaria in sede di accertamento induttivo sia tenuta a procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, ciò nondimeno occorre che esse siano comunque “emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente” (25317/14; 5192/11; 3995/09), in tal modo trovando conferma che grava sul contribuente l’onere di provare, in coerenza con il principio enunciato dall’art. 2697 c.c., i fatti modificativi della pretesa esercitata dall’ufficio mediante l’allegazione degli elementi reddituali in grado di incidere negativamente su di essa, senza che in ciò egli possa sperare di essere sostituito da un apprezzamento discrezionale operato d’ufficio dal giudice, dato che anche nel giudizio tributario il giudice è vincolato a pronunciare la propria decisione iuxta alligata etprobata partium.

Il pronunciamento impugnato in parte qua è dunque palesemente errato, avendo la CTR contravvenuto alla predetta regola probatoria ed assolto il compito decisionale assegnatole in violazione di essa, formulando il proprio giudizio in modo del tutto officioso e senza alcun ausilio deduttivo della parte che a detta regola avrebbe dovuto invece attenersi se avesse voluto contrastare in maniera fruttuosa le contestazioni dell’ufficio.

3.7. Quanto appena osservato non manca di riflettersi anche nella disamina del terzo motivo del ricorso erariale con cui si eccepisce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, biella parte in cui si è inteso rideterminare anche l’imponibile IVA alla luce dell’abbattimento forfettario dei costi più generalmente operato dal giudice territoriale.

Posto infatti che in forza della disposizione citata dall’ammontare dell’imponibile determinato induttivamente “sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33”, l’IVA assolta sulle operazioni passive – ovvero sulle operazioni che comportando l’acquisto di un bene o la fruizione di un servizio costituiscono un costo per l’impresa – potrà essere portata in detrazione in quanto afferente a costi documentati, dovendo invero l’operazione in relazione alla quale l’ammontare dell’imposta assolta potrà essere detratta dall’ammontare dell’imponibile induttivamente determinato constare dalle liquidazioni periodiche ed annuali, sicchè, se ciò sottolinea e rafforza ulteriormente l’asserto che è ritraibile in punto di diritto dall’accoglimento del primo motivo di ricorso – poichè l’IVA potrà essere portata in detrazione se ed in quanto il contribuente nei confronti del quale si procede con accertamento induttivo ne dia prova -, non diversamente, risulta inoppugnabile l’errore in cui è caduta la CTR nell’operare l’abbattimento forfettario dei costi e nel ritenerne per di più la rilevanza ai fini IVA in manifesta violazione del precetto enunciato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1.

4.1. Con il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale i ricorrenti lamentano per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla dedotta illegittimità dell’avviso unico notificato alla società per quanto afferente alla regolazione dei profili sanzionatori, vero che la CTR, sebbene debitamente sollecitata, aveva omesso di pronunciarsi sia con riguardo al fatto che nel detto atto “era stato indicato quale autore delle violazioni… il rappresentante legale della società”, mentre le sanzioni nel medesimo atto erano state irrogate nei confronti della società (secondo motivo), sia con riguardo al fatto che le sanzioni per infedele dichiarazione presentata nel 1999 per redditi del 1998 erano state irrogate “nei confronti della società anzichè nei confronti del legale rappresentante della stessa” (terzo motivo).

4.2. Entrambi i motivi sono infondati avendo formato oggetto di implicito rigetto posto che la CTR, all’esito del proprio sindacato estimativo della pretesa erariale alla luce dell’operato abbattimento percentuale dei costi, ha testualmente disposto che “le sanzioni siano calcolate nella misura minima rapportandole alla nuova quantificazione dell’IVA a debito e ai nuovi imponibili IRAP ed IRPEF come sopra determinati”, così mostrando inequivocabilmente ovvero per effetto di una pronuncia che interloquisce nel merito della pretesa sanzionatoria che entrambe le pregiudiziali sollevate in ordine all’imputazione soggettiva delle sanzioni erano state implicitamente rigettate, attesa, per quanto si è già sopra osservato con riferimento al primo motivo del ricorso incidentale, l’incompatibilità logico-giuridica di siffatto pronunciamento con il loro accoglimento.

5.1. Il quarto motivo del ricorso incidentale allega ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, e D.P.R. n. 600 del 1973, 41-bis perchè il giudice d’appello ha ritenuto legittima la parziale rettifica degli imponibili IVA e delle imposte dirette, affermando in particolare che l’ufficio è libero di scegliere la metodologia accertativa che ritiene migliore, sebbene le richiamate disposizioni di legge “non lasciano affatto l’ufficio libero di ricorrere all’accertamento parziale a sua insindacabile scelta, ma al contrario dettano i presupposti alla cui ricorrenza l’ufficio è abilitato a ricorrere a tale metodologia accertativa”.

5.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi adottata dal giudice territoriale.

Esso è frutto di un evidente errore di focalizzazione in quanto si è scambiato il tipo dell’accertamento con il metodo di esso.

Censurandosi infatti il deliberato della CTR – poichè essa avrebbe legittimato il ricorso all’accertamento parziale, ritenendo che sia privo di vincoli e che l’ufficio possa perciò ricorrere ad esso liberamente – si intende criticare la decisione per la sua contrarietà al dettato normativo, tutt’altro che privo di vincoli e di prescrizioni di indubbio rigore. Ma in tal modo si critica appunto la decisione con riguardo al modo in cui l’accertamento parziale è stato operato, laddove al contrario il giudizio espresso dalla CTR si situa, per così dire, “a monte” sul piano delle scelte operative – sul piano delle scelte di metodo, appunto – sottintendosi che, solo una volta che si sia optato per l’accertamento parziale, solo allora ne deve essere rispettato il paradigma giuridico e non già prima quando l’ufficio, valutati gli elementi istruttori a sua disposizione, decida di procedere con rettifica parziale. La CTR non ha dunque affermato che il ricorso all’accertamento parziale è libero – nel che si sostanzierebbe la doglianza espressa dai ricorrenti -, ma nel puntualizzare che “l’ufficio è libero di scegliere la metodologia che ritiene migliore al fine di imprimere maggiore speditezza all’azione amministrativa”, ha voluto non solo sottolineare la legalità dell’azione accertatrice, ma pure la discrezionalità che ad essa presiede, segnatamente nella scelta del modus operandi da seguire nel caso concreto.

6.1. Vizio di insufficiente motivazione i ricorrenti incidentali imputano all’opposta sentenza a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con il quinto, sesto, settimo, ottavo e nono motivo di ricorso, censurando sotto il dedotto profilo il deliberato del giudice di appello poichè questi avrebbe ritenuto attendibile la ricostruzione induttiva dei ricavi operata dall’ufficio “senza tenere conto delle puntuali ed ampie contestazioni formulate da essi ricorrenti”, in grado, se debitamente apprezzate, “di condurre alla diversa ed opposta conclusione della non valida (o meglio illegittima) ricostruzione del giro di affari effettuata dall’ufficio” (quinto motivo); avrebbe confermato la legittimità dell’avviso unico notificato alla società, sebbene una volta appurato che lo stesso fosse viziato per aver riproposto la pretesa in punto di IVA già contenuta nell’avviso di rettifica parziale, ciò avrebbe dovuto condurre a ritenere “l’illegittimità nel suo complesso dell’accertamento unico per le imposte dirette e l’IVA” (sesto motivo); avrebbe ritenuto regolare la notifica dell’avviso unico destinato alla società, sebbene “lo stesso risultasse essere stato notificato non alla società, nè alla sede, nè al rappresentante legale ( D.L.), ma solo ed esclusivamente al socio T.” (settimo motivo); avrebbe del pari ritenuto legittimo l’avviso di rettifica parziale notificato al socio D.L., la cui motivazione rimanda all’avviso unico notificato alla società, malgrado “al momento della notifica dell’accertamento al socio nessun accertamento era stato notificato alla società e, quindi, nessuna rettifica del reddito dichiarato di questa era stato effettuato” (ottavo motivo) e quindi “fosse al socio sconosciuta la motivazione dell’accertamento del reddito della società” (nono motivo).

6.2. Tutti gli esposti motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto sottopongono a critica capi della decisione impugnati per un comune vizio motivazionale – sono infondati.

Sebbene essi abbiano perciò una comune radice, non evidenziano tuttavia alcun vulnus logico nella motivazione della decisione impugnata, ma si limitano a riproporre argomenti già sottoposti al vaglio del giudice del merito e da questo, pur in difetto di un’espressa delibazione, implicitamente disattesi, essendo da tempo noto, come questa Corte ha reiteratamente chiarito, ai fini dell’adempimento dell’obbligo della motivazione, che “Il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (21969/15; 15758/15; 8767/11).

Ripropondendoli ora si postula la rinnovazione di un giudizio di fatto che compete esclusivamente al giudice di merito e che si sottrae al sindacato di legittimità demandato a questa Corte.

  1. In conclusione vanno dunque accolti il primo ed il terzo motivo e va assorbito il secondo motivo del ricorso principale.

Va viceversa respinto il ricorso incidentale.

  1. La causa, previa cassazione della decisione impugnata, va rinviata al giudice territoriale per il seguito di competenza ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione;

Accoglie il primo ed il terzo motivo e dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso principale; respinge il ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Toscana che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 sezione civile, il 10 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2015